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Autore: AnyaTheThief    01/06/2016    4 recensioni
Roman Kozlov fissava quella palazzina da alcuni minuti. Gli sembrava incredibile che fosse rimasta in piedi, visto il destino crudele nel quale era incorsa Vienna intera.
“Quanto tempo è passato? Quanto tempo dall'ultima volta che mi hai baciata e senza parlare mi hai promesso una vita assieme?”
Athos si svegliò all'improvviso con un sussulto ed ansimò forte, in un letto di sudore. Si portò le mani tra i capelli fradici e fissò il vuoto per alcuni minuti.
Sbroglierò i nodi che ho creato nei due capitoli precedenti di Crossed Lives, spero li abbiate letti!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un breve riassunto di Crossed lives: Viktoria Haas è una ragazza austriaca che vive a Vienna con suo padre, sua sorella Eva e sua nonna durante la seconda guerra mondiale. Scopre che suo padre nasconde in una stanza sotterranea della sua fabbrica un ebreo, Ben Keller. Mentre i due sembrano innamorarsi e condividere più di quanto pensino, le coincidenze e i sogni che Viktoria fa da quando era bambina diventano sospettosi. Viktoria riceve dalla nonna un crocifisso antico e scopre che l'anziana, come lei, ha dei ricordi di una vita precedente. Grazie ad essi aveva potuto recuperare, in gioventù, il crocifisso sepolto ai piedi di un albero a Parigi. Lì aveva conosciuto un ragazzo, Jerome, che poi sarebbe diventato il nonno di Viktoria. Viktoria si confronta con Ben, che da anni disegna sempre lo stesso volto, il volto della ragazza, anche quando non la conosceva. Scoprono allora di essere le reincarnazioni di Aramis e della regina Anne. Nel frattempo, la verità sul destino del moschettiere e della regina viene rivelata a Viktoria sempre nei suoi sogni: sono stati giustiziati entrambi, accusati di tradimento. Il crocifisso era stato affidato da Aramis a D'Artagnan, che a sua volta lo aveva affidato a Constance, che poi lo aveva sepolto ai piedi dell'albero dove poi la nonna di Viktoria lo ha ritrovato. Ben e Viktoria vanno incontro ad un tragico destino, ma almeno questo non ve lo spoilero, se non l'avete letto!! Nel capitolo bonus, siamo nel 2015 e scorgiamo brevemente la vita di Iris, una ragazza spagnola che è venuta in qualche modo in possesso del crocifisso, che incontra quasi per caso Manuel. I due appena si vedono capiscono subito di essersi già incontrati in altre vite. Altri non sono che, di nuovo, la Regina ed Aramis.



Breve riassunto di Crossed lives - la Promessa: Bea e Tommaso sono due boy scout, cresciuti assieme e da sempre coppia inseparabile. Quando erano piccoli, quasi per gioco, si sono scambiati i fazzolettoni da scout ed in quel momento entrambi hanno avuto delle visioni delle loro vite precedenti. Bea altri non era che Constance, mentre Tommaso era D'Artagnan. Bea non ha mai voluto parlarne, perché ha visto cose terribili. Quando era la Constance del 1600, aveva dovuto sopportare il rimanere vedova di D'Artagnan, con suo figlio appena nato. La cosa l'ha sconvolta così tanto da portarla ad un gesto estremo, che poi ha costretto i Reali a doverla allontanare da Parigi. Quando Bea e Tommaso si trovano in una situazione di pericolo, vengono salvati proprio da Iris e Manuel, che li riconoscono all'istante.



Con questo, credo ultimo, capitolo di Crossed lives voglio chiudere i "buchi" che sono rimasti aperti. Vi consiglio comunque di recuperare i due precedenti, per avere maggiore continuità. Anche se non vi piacciono le coppie (nemmeno a me piacciono, lol), vi assicuro che si tratta di qualcosa di completamente diverso e non rende assolutamente in questi due mini-riassunti!! Buona lettura!





Roman Kozlov fissava quella palazzina da alcuni minuti. Gli sembrava incredibile che fosse rimasta in piedi, visto il destino crudele nel quale era incorsa Vienna intera.

Ancora si udivano in lontananza ancora delle esplosioni, e colonne di fumo si innalzavano da edifici rasi al suolo o dati alle fiamme. Per le strade, i carri armati sovietici sfilavano vittoriosi accompagnati dalle grida di gioia dettate in parte dalla vodka, in parte dall'eccitazione di avere la città nelle proprie mani. Alcuni spari facevano intuire che restavano ancora dei nazisti nascosti da giustiziare; ma fu l'urlo di una donna proveniente da chissà dove che ridestò Roman dalla sua catarsi. Questo fu seguito da uno scoppio di risa: lo stavano facendo di nuovo.

Gli tremarono le mani, ma sapeva di essere impotente; se avesse provato a fermarli, sarebbe finita male, di nuovo. Glielo ricordavano le costole ancora doloranti dal suo ultimo tentativo di strappare una bambina dalle grinfie dei suoi compagni. Era più piccola di Nina, sua sorella minore, la sua Ninochka, e lo sguardo impaurito che gli aveva lanciato prima di essere gettata sul tavolo da quattro uomini grandi e grossi, gliel'aveva ricordata in maniera impressionante, tanto che non aveva potuto restarsene con le mani in mano.

Una fitta all'addome lo costrinse ad allentare la cinghia del Mosin-Nagant che portava in spalla. Gliele avevano date di santa ragione, ma almeno la bambina era riuscita a fuggire.

Vigliacchi.

Si comportavano tutti da conquistatori, ma non era per quello che lui si era arruolato. Non avevano liberato migliaia di persone dai loro aguzzini soltanto per prendere il loro posto. Dopo tutte quelle battaglie, avrebbe soltanto voluto ritornare a casa da sua madre e sua sorella, e lasciare vivere quei poveracci che già avevano subito troppo dalla guerra.

E così, immobile, restava Roman Kozlov davanti a quel palazzo; un quaderno impolverato stretto tra le mani, e gli occhi azzurro cielo a contrasto della sua pelle scurita dallo sporco. Un dettaglio fuori posto in un quadro catastrofico, uno spiraglio di luce su una città d'ombra, uno schizzo di colore aggiunto da un bambino in un disegno in bianco e nero.

Un altro strillo rotto dai singhiozzi gli lacerò il cuore. Si voltò all'improvviso, ma l'unica cosa che vide furono cinque soldati con la sua stessa divisa ridere e barcollare lungo la strada, reggendosi in piedi a vicenda.

Per non sentire più le urla, si fece coraggio ed entrò nell'edificio.

La scala era buia perché non c'era più elettricità, e dovette stare attento a non inciampare nei gradini. Contò uno, due, tre piani, prima di incontrare lo sguardo spaventato di una vecchia signora che si affrettò a ritirarsi nel proprio appartamento; la udì fare parecchi giri di chiave.

Salì ancora una rampa di scale e si ritrovò proprio in fronte alla porta che stava cercando. Senza esitare ulteriormente, deglutì e bussò. Si ricordò all'improvviso di aver il fucile in bella vista, così se lo sfilò rapidamente e lo appoggiò al muro.

“Chi sei? Siamo armati.” udì una voce femminile dall'altra parte della porta. Dovevano averlo visto attraverso lo spioncino, anche se non aveva sentito i passi avvicinarsi.

“Non voglio farvi del male. Sto cercando il signor Haas, mi hanno detto che abitava... che abita qui.” il suo tedesco era un po' incerto ma comprensibile, nonostante il forte accento russo.

“Se ne vada.” rispose la donna, dopo qualche secondo.

“La prego. Voglio solo parlare. Ho trovato una cosa... credo vi appartenga.” spiegò. Poi sollevò il quaderno all'altezza del proprio capo, mostrandolo davanti allo spioncino. “Era tra le macerie della fabbrica del signor Haas.” cercò di dire in maniera convincente.

Gli rispose un lungo silenzio. Rassegnato, appoggiò il quaderno a terra e riprese il suo Mosin-Nagat. “Lo metta giù.” gli intimò la voce decisa dall'interno dell'appartamento. “Lo lasci dov'è e potrà entrare.”

Roman accennò un sorriso soddisfatto, ma subito se lo cancellò dal volto: non voleva sembrare troppo sicuro di sé. Lasciò il fucile appoggiato al muro e si allontanò dalla porta con le mani sollevate. Sentì la chiave girare nella toppa e finalmente l'uscio si aprì.

Una ragazza bionda, dall'aria sciupata e severa lo guardava scettica, quasi imbronciata. Prima della pistola che gli stava puntando contro, vide i suoi occhi chiari che lo giudicavano. Si sentì nudo e inerme di fronte a quello sguardo anche perché, senza perderlo mai di vista, gli sequestrò il fucile. Richiuse la porta; la udì armeggiare con qualcosa e non capì sul momento se avesse intenzione di riaprirla. Ma poi eccola di nuovo; maneggiava la pistola con sicurezza e le sue parole tagliavano l'aria tra di loro per quanto suonavano dure.

“Non provi a fare niente di stupido. So come usarla, l'ho già fatto.”

“Non è mia intenzione.” balbettò lui, un po' agitato.

“Lo prenda.” lei gli fece cenno al quaderno a terra e Roman lentamente si chinò per raccoglierlo.

Entrò nell'appartamento preceduto dalla ragazza che non lo perse di vista nemmeno per un secondo. Anche se avesse voluto fare qualcosa, non avrebbe fatto in tempo nemmeno ad estrarre il coltello.

“Mi chiamo Roman Kozlov.” provò a spezzare la tensione, invano.

“Eva.” rispose la ragazza freddamente, poi allungò la mano per farsi porgere il quaderno con la copertina in pelle. Lui esitò. Si era quasi affezionato a quell'oggetto, non era sicuro di volerlo affidare a quella ragazza così rude, che non era esattamente la persona che si aspettava di trovare.

“Il signor Haas...” provò a dire.

“Mi dia quel quaderno o sparisca per sempre.” tagliò corto lei. Roman vide il suo occhio destro luccicare impercettibilmente.

Nel momento in cui stava per allungare il blocco alla ragazza, una voce richiamò l'attenzione di entrambi.

“Eva, chi c'è?”

Il panico si diffuse negli occhi di lei, mentre una vecchietta gobba e canuta sbucava dalla stanza adiacente. Sorrideva beata, inconsapevole di ciò che stava accadendo.

“N-nessuno, nonna, torna di là!” le ordinò, alternando lo sguardo da lei al soldato. Ma dopo un primo attimo di sbigottimento, Roman aveva perso interesse per l'arma che gli veniva puntata contro. Non poteva fare a meno di notare lo sguardo con il quale l'anziana donna lo stava fissando: lo stesso sguardo che si rivolge ad un amico ritrovato dopo tanto tempo.

La nonna di Eva si portò una mano al petto e con l'altra abbassò lentamente il braccio della nipote che reggeva la pistola.

“Nonna, cosa...?!” esclamò la ragazza, stupefatta.

Roman era rimasto interdetto. Non aveva mai visto quella persona, ma qualcosa gli diceva che quello era il posto giusto. Un sentimento di pietà e affetto gli smosse il cuore verso l'anziana, ma non nello stesso modo in cui si commuoveva vedendo le povere donne afflitte dalla guerra. Era diverso, era qualcosa di più familiare.

In un gesto automatico, allungò il quaderno verso Eva che, pur avendo abbassato la pistola, continuava a lanciargli occhiatacce scettiche. Quando la ragazza lo sfogliò, l'emozione prese il sopravvento. “Vicky...” gli parve che sussurrasse, mentre le lacrime bagnavano le pagine ingiallite.

“Mi... Mi dispiace, l'ho trovato e... Quei disegni mi hanno ricordato... Non lo so...” cercò di giustificarsi, mentre la nonna ancora lo guardava sorridendo. “Quel viso mi era famigliare, e pensavo che voi sapeste...” aggiunse, incerto.

Eva richiuse il quaderno seccamente, tacendolo, si asciugò rapida alcune lacrime con il dorso della mano, poi allungò la stessa a riprendere il fucile di Roman che aveva nascosto sopra l'armadio all'ingresso.

“Il... Il signor Haas...?” provò a chiedere un'ultima volta, ma Eva fu più rapida di lui e non gli fece finire la domanda.

“Se ne vada.” gli comandò, porgendogli il suo fucile. “Per favore.” aggiunse, un po' addolcitasi.

Il russo cercò complicità nella vecchietta con lo sguardo e la vide armeggiare con fatica per slacciarsi qualcosa sulla nuca.

“Dica ai suoi amici di stare alla larga.” asserì Eva, mentre lui con incertezza riprendeva il suo Mosin-Nagat e prendeva tempo nel rimetterselo in spalla: che intenzioni aveva quella donna? Mentre Roman camminava verso la porta, non distoglieva lo sguardo dalla nonna di Eva. La porta stava ormai per venire chiusa dalla ragazza alle sue spalle, quando una vocina flebile e stanca per lo sforzo appena compiuto, la trattenne. “Aspetta!”

Roman si bloccò, incuriosito, ed Eva fece lo stesso.

“Nonna, cosa fai?” domandò, mentre la donna avanzava verso la porta, stringendo qualcosa in mano. Una lunga catenella argentata le pendeva dalle dita e quando le aprì il suo palmo mostrò un gioiello: un crocefisso tanto vistoso quanto prezioso, argentato, con cinque pietruzze incastonate.

“Nonna, no!” intervenne Eva, con tono indignato.

“Lo prenda.” sorrise la donna. “Io l'ho conservato per troppo tempo, e non mi appartiene.”

Roman era stupefatto. Aveva sgranato gli occhi e non sapeva cosa fare, ma l'insistenza della donna che continuava a spingergli la mano contro al petto lo portò a prendere quella collana che sarebbe finita per cadere a terra.

“Ma io...” scosse il capo in direzione di Eva. “Io non voglio...” fece per dire. Ma la ragazza stava fissando la nonna intensamente, come per studiarla, da qualche momento.

“Lo prenda.” concluse, arricciando le labbra e dilatando le narici, mandando giù la decisione dell'anziana insieme a qualche lacrima. “Addio.”

E richiuse la porta, praticamente spintonandolo fuori e piantandolo lì sul pianerottolo, attonito, con in mano il crocefisso.

Lo fissò nella penombra, esaminandolo attentamente mentre scendeva le scale. Incespicò nei propri passi un paio di volte, ma niente poteva fargli battere il cuore più dell'emozione che aveva provato nel rivedere quella donna. Non sapeva nemmeno perché la sua mente continuava ad imporgli la parola “rivedere”, dato che era la prima volta che la incontrava. Quando uscì in strada, ebbe cura di infilarsi in tasca la collana in modo da nasconderla.

Si guardò intorno, ma la situazione non era cambiata rispetto a qualche minuto prima. Pensava di sentirsi più leggero dopo aver restituito quel quaderno, invece aveva di nuovo un fardello che gli pesava in tasca. Quell'oggetto non era suo. Non era nemmeno della signora che glielo aveva dato. Ma questa volta non aveva indizi per poterlo restituire al legittimo proprietario. E poi, non era mica un corriere.

Si incamminò. Non fece in tempo a muovere un paio di passi, che un fischio lo fece sobbalzare, e riconobbe il rumore che ne seguì. Il dolore lancinante giunse soltanto dopo alcuni secondi: qualcuno gli aveva sparato. Il proiettile lo aveva solo graffiato ad un braccio e la pallottola si era conficcata nel muro alle sue spalle.

Cercò freneticamente con lo sguardo nella direzione dalla quale era provenuto lo sparo e vide un uomo infilarsi correndo in un vicolo. Portava un cappello ed una giacca lunga; il tramonto che stava calando sulla via non gli permise di vederlo in volto, ma si fiondò al suo inseguimento. 

  
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