A differenza
degli altri Spoiler, la trama di quest’ultimo non
è tutta farina del mio sacco:
si ispira ad una barzelletta in romanesco, un po’ boccaccesca
ma molto
divertente, raccontatami dai miei genitori. Il rating, di conseguenza,
sarà più
alto del solito (scurrilità in vista!).
Sehun e
Jongin erano buoni amici. Forse non tanto quanto Sehun avrebbe sperato
(benché Minseok
gli ricordasse in continuazione che voler infilare lingua e mani
rispettivamente nelle tonsille e nelle mutande di Jongin non erano da
considerarsi pulsioni di tipo amichevole), ma ci stava lavorando.
Aveva in
mente un piano infallibile per spingere l’altro tra le sue
braccia; cioè, per
diventare il migliore amico di Jongin. L’amichetto del cuore.
Del cu-ore, per
l’appunto. Uno dei punti fondamentali di suddetto
machiavellico intento
recitava: asseconda l’amore
amico
tuo in ogni suo capriccio. E Sehun lo rispettava con
scrupolo e dedizione.
Se mostrava segni di stanchezza, gli offriva un massaggio. Se rognava
perché
non c’erano dei succulenti cosciotti di pollo trasudanti
fritto ad aspettarlo
in dormitorio, lui si occupava di telefonare al take away
più vicino. Piccoli
gesti, insomma. Ognuno di essi, sperava Sehun, rappresentava un passo
in avanti
verso il cu-ore di Jongin.
Un giorno
l’amico gli propose di andare a pesca. Come mai gli fosse
saltata in mente una
simile idea, non avrebbe saputo dirlo. Il pesce non piaceva a nessuno
dei due!
Però Jongin lo stava guardando con occhi colmi di infantile
aspettativa, ed era
così carino in quel momento che Sehun non seppe negargli
quella gioia. Jongin
guidò una ventina di minuti, diretto in campagna. Arrivati
nei pressi di un
lago artificiale, parcheggiò la macchina e trascorse cinque
minuti abbondanti a
spiegare a Sehun il corretto funzionamento di una canna da pesca.
Dopodiché
calarono in acqua lenze ed esche.
“Sono
sicuro
che ti piacerà, è molto rilassante” si
girò a sorridergli Jongin. “Venivo qui
con mio padre da piccolo. Nei weekend, quando lui non doveva lavorare e
io non
avevo lezione di danza”.
Sehun,
lusingato per la rivelazione, ricambiò il sorriso e si
concentrò sull’acqua
stagnante di fronte a sé. Vivendo con altre otto persone,
non gli capitava
spesso di venire sopraffatto dal silenzio. Anche di notte i rumori non
cessavano mai davvero; vuoi per la lavatrice in funzione, vuoi per
altri suoni
sulla cui natura è meglio sorvolare. Era piacevole, decise,
prestare ascolto
esclusivamente al proprio respiro e al frusciare del vento.
Finché durò, si
gustò quel raro senso di quiete.
Poi successe
l’impensabile, un evento che cambiò completamente
le loro vite. Jongin lo vide
posare la canna sull’erba -errore fatale, tipico del
pescatore inesperto- e,
con una mano già sulla cerniera dei jeans, lo
sentì mormorare un esasperato:
“Scusa bro, mi sta scoppiando la vescica”. Jongin
avrebbe dovuto avvisarlo di
non compiere gesti inconsulti, ma le sue palpebre si erano serrate
ancor prima
che potesse elaborare quanto le retine avevano disgraziatamente
catturato e
inviato al cervello. Perché sì, a condividere uno
spazio limitato con altri
coetanei si finiva per non scandalizzarsi più di nulla, ma
il pisello di Sehun
proprio non lo poteva vedere. Era più forte di lui. Ne aveva
un sacro terrore
misto, come è ovvio, a un certa reverenza: dimensioni
così toccano solo a pochi
eletti. Nondimeno, Jongin trovava l’arnese di Sehun alquanto
minaccioso. Fu a
causa della sua diffidenza che non ebbe la prontezza di riflessi
necessaria a
bloccare le azioni dell’amico sul nascere, e informarlo che
non era cosa buona
né giusta scoprire alcuna parte del corpo giacché
c’erano delle vipere, in riva
al lago, che attaccavano-
“PORCA
ZOZZA!” l’urlo assai virile di Sehun avrebbe
risvegliato un cimitero. Jongin,
mosso da empatia e rimorso in parti uguali, lo imitò.
“CHE
CAZZO
URLI, E’ A ME CHE UNA STRONZA COSA VISCIDA HA MOZZICATO
L’UCCELLO!” proseguì
l’altro sullo stesso tono da soprano.
“…Una
vipera” sputò fuori.
“UNA
VIPERA?
MA CHE CAZZO, SE SAPEVI CHE QUI C’ERANO VIPERE
PERCHE’ NON MI HAI AVVISATO?” si
contorse dal dolore, la mano ancora sui gioielli di famiglia.
“PORCO ZEUS FA
UNO STRACAZZO DI MALEEEEEH!” ululò.
“Ma
che ne
sapevo io che ti saresti messo a pisciare en plein air”
sbottò. “E sui pesci,
per giunta. Te l’ho detto che non si devono disturbare
altrimenti scappano, o no?”
“E CHI
SE NE
SBATTE DEI PESCI, JONGIN! CHIAMA QUALCUNO, UN DOTTORE, IL MANAGER, MIA
MADRE,
OBAMA, IO STO PER RENDERE L’ANIMA A SHISUS CAZZO”
pianse isterico l’altro.
“Hai
ragione. Chiamo il 119” balbettò, nervosissimo. Le
dita gli tremavano tanto che
dovette digitare e cancellare più volte il numero
d’emergenza sul touchscreen.
“SONO
TROPPO
SEXY FREE & SINGLE PER MORIRE IN UN MODO COSI’
STUPIDO” piagnucolò Sehun a
un volume esageratamente alto perché potesse essere
sopportato a lungo da
timpani umani. “SONO ANCORA VERGINE, PERDYO!”
A Jongin
quasi cadde il cellulare di mano per la sorpresa. Frenò
l’impulso di esclamare:
“Sul serio? Anch’io!” e pregò
che qualcuno rispondesse al più presto alla sua
telefonata.
“Qui
è il
Pronto Soccorso del Seoul National University Hospital. Qual
è il problema?”
esordì una voce di donna.
“Abbiamo
bisogno di un’ambulanza. Siamo ad una ventina di chilometri
da Seoul, verso
sud, in campagna. Conosce il lago-?”
“Sì,
ho
capito. Comunico subito le coordinate all’autista. Intanto
spiegami cosa è
successo, con calma e precisione. Potrebbero essere necessarie delle
misure di
primo soccorso, in attesa che arrivi l’ambulanza”.
Jongin
obbedì, inframmezzando il resoconto con singhiozzi e
cercando di distrarre
Sehun che nel frattempo gli si era aggrappato al gomito ma almeno aveva
smesso
di strillare.
“Un
altro
coglione che non sa controllare la propria vescica”
sospirò la centralinista.
“Non lo sapeva che quella zona è piena di
vipere?”
“Ehm”
borbottò lui.
“In
ogni
caso, la situazione è grave”
riacquistò un tono professionale. “Il veleno
della vipera agisce abbastanza rapidamente; i paramedici non
arriveranno mai in
tempo. Devi farti forza, ragazzo”.
“La
prego,
non mi dica che-” Sehun sollevò la testa e lo
guardò in attesa del responso, il
volto ridotto ad una maschera di angoscia. Non
può morire, ti prego, non lui.
“Tranquillo,
sei ancora in tempo per salvarlo” disse lei.
“Però devi succhiare via il sangue
infetto”.
Oddio
sì grazie sì oddio, vivrà.
Vivr- “Mi
scusi. Non
ho capito bene” farfugliò.
“Devi
succhiare. Dalla ferita. Altrimenti il veleno entrerà in
circolo nell’organismo
e il tuo amico schiatterà prima di riuscire a metterti le
mani addosso. Perché
io lo so, quello sciocco macaco in calore non aspetta altro!”
esclamò, sicura
del fatto suo.
Il cervello
di Jongin si congelò. Quella donna era pazza: succhiare via
il sangue?
Accostare le sue virginee labbra al- al- al- maledetto coso
e-
“Adesso
ti
devo lasciare, ho altre chiamate in arrivo. Buona fortuna,
cocco” la voce
femminile riprese a parlare, beffarda e sibillina come se conoscesse
entrambi
personalmente. “Certo, Sehun è scemo ma ti ama, ed
è questo l’importante. Un
piccolo sacrificio e vivrete per sempre felici e contenti” e
riattaccò.
“Jongin?
Che
ti ha detto?!” la stretta sul gomito aumentò.
Jongin lo
fissò come in trance, gli occhi spalancati di un cerbiatto
in tangenziale. Non
era una persona crudele, tuttavia… “Ha detto che
devi morire”.
(Spoiler:
Sehun si salvò, ma non grazie all’intervento
dell’ambulanza. Due anni più
tardi, lui e Jongin erano sposati e padri di quattro bambini. Quando,
diverso
tempo dopo, i figli chiesero loro come avevano capito di essersi
innamorati
l’uno dell’altro, i genitori glissarono con grande
abilità.)
La
comicità
grottesca al limite del sadico è uno dei miei talloni
d’Achille. Mi scuso con
gli animi sensibili che hanno letto, spero di non avervi traumatizzati.
Una
cliccatina è sempre gradita: https://www.facebook.com/Il-Genio-del-Male-EFP-152349598213950/.
Prepariamoci
spiritualmente al comeback. Something
ghèi this way comes.