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Autore: Old Fashioned    01/06/2016    20 recensioni
Una tempesta mai vista prima sembra volersi abbattere su Pemberville. Nella stessa cittadina giunge, assieme ad una mandria che viene dall'ovest, il cadavere di un ragazzo morto in circostanze misteriose.
Lo sceriffo Hayes entrerà in possesso del diario del ragazzo, scoprendo il segreto inconfessabile che ha segnato tutta la sua vita e infine lo ha portato alla morte.
Suggerisco di ascoltare "Ghost riders in the sky" mentre la leggete, preferibilmente la versione di Johnny Cash
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spartani 2
LA MANDRIA DEL DIAVOLO




Spinto dal vento, un cespuglio di salsola attraversò rotolando la strada deserta. Lo sceriffo Hayes lo seguì distrattamente con lo sguardo, quindi alzò gli occhi al cielo, che era un unico ribollire di nubi turgide e scure. “Si prepara una tempesta,” constatò.
“Strano, di questa stagione,” disse l'uomo che camminava al suo fianco.
Il primo si strinse nelle spalle senza rispondere. Era strano, in effetti. Ed era strana anche come tempesta. Da quel che ricordava non s'erano mai viste nubi di quella tonalità rossastra da quelle parti, e anche quelle folate calde e umide come fiato di animali erano decisamente fuori dell'ordinario.
“Sembra di sentire delle vacche spaventate che muggiscono,” soggiunse l'altro, che camminava tenendosi il cappello per evitare che le raffiche glielo strappassero via.
“È la mandria che è arrivata ieri, dottore,” rispose Hayes con poca convinzione. In effetti sembravano lamenti, più che altro, e non davano l'idea di venire dai recinti. L'impressione era che provenissero dal cielo. “O forse è il vento,” brontolò, piegandosi in avanti.
Le raffiche sollevavano mulinelli di polvere color ruggine.
I due proseguirono in silenzio per un po'. Era dal giorno prima che la tempesta cresceva d'intensità, ma ancora non sfogava. Il vento fischiava gemendo negli interstizi e nel cielo livido rotolavano i tuoni, però non cadeva una sola goccia di pioggia. Illuminate dai lampi, anzi, le nubi color cinabro sembravano fatte di fuoco, più che d'acqua.
“E di quella faccenda, dottor Bateson, che mi dite?” chiese dopo un po' lo sceriffo.
L'altro allargò le braccia in un gesto di impotenza. “Nulla, purtroppo.”
“Nulla?”
“È inspiegabile.”
“Come sarebbe a dire?”
“Che non ha alcuna spiegazione logica. Va contro ogni legge della Scienza.”
“Per caso mi state dicendo che per dare un senso a questa faccenda dovrei scomodare il Reverendo Summers?”
Il medico, un uomo corpulento dall'aspetto autorevole, sospirò e laconico rispose: “Forse.”
Lo sceriffo non replicò e i due continuarono fianco a fianco, ognuno immerso nei propri pensieri. Il vento aveva sollevato una caligine polverosa che faceva dolere la gola e bruciare gli occhi, tanto che Hayes si coprì bocca e naso con il fazzoletto che portava al collo. Il dottor Bateson si limitò a togliersi gli occhiali a pince-nez e a riporli in una tasca del panciotto. “Venite a vedere,” disse poi, “venite. Vi renderete conto voi stesso che è una cosa inspiegabile.”

La casa di Bateson era un po' discosta dall'unica strada della cittadina. Si ergeva anzi solitaria su un piccolo crinale ed era circondata da un ampio portico sotto il quale normalmente sostavano i pazienti in attesa di essere ammessi al gabinetto di consultazione.
In quel momento non c'era nessuno sotto il portico, e anche le finestre erano buie. Sulla sommità del tetto una banderuola di metallo cigolava sospinta dalle raffiche.
“Venite,” ripeté il dottore rompendo finalmente il silenzio, “vi farò vedere quello che intendo.”
Entrarono nell'ambulatorio. Hayes non c'era mai stato, e si guardò intorno perplesso. Alla luce incerta della lanterna che il medico aveva acceso, le stampe anatomiche e lo scheletro appeso in un angolo prendevano un aspetto decisamente sinistro. “Che mi prenda un colpo...” mormorò fra i denti indietreggiando quando il suo sguardo si posò su un boccale di vetro che conteneva un feto deforme.
“Il figlio della povera signora Jones,” disse Bateson con un sospiro. “Un caso sfortunato ma molto interessante di situs viscerum inversus. E ora, se volete seguirmi...”
Aprì una porta che dava su un breve corridoio. Da lì entrarono in una stanza buia nella quale stagnava un forte sentore di liscivia e medicinali. “Eccolo qui,” disse il medico posando la lampada a petrolio su un supporto, “venite a vedere.”
La luce rivelò una camera piccola, dalle pareti rivestite di scaffali. Su ogni mensola c'erano libri, strumenti medici e altri oggetti che Hayes non aveva mai visto. Da una parte c'era un tavolo di metallo sul quale erano allineati ferri chirurgici di ogni genere e al centro del locale troneggiava un lettino coperto da un lenzuolo bianco. Sotto il lenzuolo si indovinava chiaramente la sagoma di un corpo.
Lo sceriffo si avvicinò. Bisturi e preparati anatomici gli suscitavano una certa inquietudine, ma di cadaveri ne aveva visti non pochi nella sua carriera, e da parecchio tempo avevano smesso di fargli impressione. “È lui?” chiese.
Per tutta risposta il medico sollevò un lembo di stoffa, rivelando il volto pallido di un giovane di circa vent'anni.
Il ragazzo aveva i capelli rossi e una spruzzata di efelidi sul naso. Le sopracciglia e le labbra erano fini e ben disegnate e in generale il viso era piuttosto bello, di una bellezza raffinata che in quelle zone di frontiera era difficile incontrare. Aveva un'espressione serena, tranquilla. Se non fosse stato per il leggero alone bluastro intorno agli occhi si sarebbe detto pacificamente addormentato e immerso in qualche bel sogno.
Lo sceriffo lo osservò attentamente. Gli afferrò il mento e vincendo il rigor mortis gli girò la testa da una parte e dall'altra, ma il collo gli apparve perfettamente integro, bianco e liscio come porcellana. “Non ha segni,” constatò.
“Nè lì né in nessun'altra parte del corpo,” puntualizzò il medico alle sue spalle. “Nemmeno il più piccolo graffio.”
“Potrebbe essere stato un serpente?”
“Lo escluderei, si vedrebbero i fori lasciati dai denti. Inoltre il veleno del serpente genera terribili sofferenze.”
“Forse aveva qualche malattia?”
“È il giovanotto più sano che mi sia capitato di esaminare in tutta la mia carriera. Tutti gli organi perfetti, non ha alcuna anomalia.”
Hayes si chinò di nuovo sul corpo e abbassò il lenzuolo fino a mettere a nudo il torace. Rivelò spalle non eccessivamente larghe ma ben impostate e solide, e un corpo snello ma robusto. Decisamente un bel ragazzo forte, che scoppiava di salute.
Eppure a Pemberville era arrivato cadavere. Erano stati i cowboy che accompagnavano la mandria proveniente dall'ovest a segnalare la sua presenza. Il ragazzo era con loro in qualità di aiuto cuoco, avevano detto, ed era inspiegabilmente morto a poche miglia dalla città.
Ora chiedevano un prete che officiasse un rito funebre.
Lo sceriffo ricoprì il cadavere col lenzuolo. “Non c'è il rischio che abbia qualche malattia contagiosa?” domandò all'improvviso, già immaginando le conseguenze di un'epidemia nel piccolo centro abitato.
Scuotendo la testa, Bateson rispose: “Ve l'ho detto: è – o meglio, era – sano come un pesce, povero ragazzo.”
Tutti e due fissarono la sagoma coperta dal telo bianco. Le finestre erano chiuse e i rumori della tempesta giungevano come gemiti lontani. La luce della lampada a petrolio tremolava appena gettando ombre sinistre sugli scaffali ingombri di strani oggetti. Hayes notò che sul lenzuolo erano rimaste ditate color ruggine dove lui l'aveva afferrato. “Dannato vento,” brontolò fra i denti.

Tornando al suo ufficio, lo sceriffo passò davanti al Lazy Dog, il saloon di Pemberville. Assisté in quel modo a una scena abbastanza usuale, ovvero Harry Due Pinte, l’ubriacone del posto, che veniva buttato fuori dal locale. L’uomo rotolò nella polvere, si rialzò malfermo, raccolse il cappello e se lo calcò in testa con fare indignato, ma invece di andarsene sacramentando come succedeva di solito, tornò sui suoi passi e barcollando rientrò nel saloon.
Hayes lo seguì perplesso con lo sguardo: avrebbe giurato di avergli visto in faccia un’espressione di paura. La cosa era piuttosto strana, perché Due Pinte era un ubriacone e un piantagrane, ma non si spaventava nemmeno di fronte a una banda di indiani inferociti.
Decise di vederci chiaro ed entrò nel locale.
Apparentemente il Lazy Dog non aveva nulla di diverso dal solito: il pianista suonava una delle sue melodie, c’erano le due ragazze appoggiate al bancone e un gruppetto che giocava a carte intorno a un tavolo. Scorse Due Pinte letteralmente rintanato nell’angolo più nascosto del saloon.
“Salve a tutti!” disse a voce alta.
Gli rispose solo qualche grugnito. “Queste dannate carte non vogliono uscire,” protestò qualcuno dal tavolo dei giocatori.
Sempre più perplesso Hayes si avvicinò al bancone. “Che c’è di nuovo?” domandò.
“Che volete che ci sia, sceriffo,” gli rispose il padrone del locale mettendogli davanti un bicchiere, “sempre le solite cose.”
L’altro non replicò. Di solito quando arrivava in città una mandria il padrone del Lazy Dog era felice, perché significava cowboy assetati e pieni di soldi a cui dare da bere. Stavolta invece era più serio del Reverendo quando faceva la predica. Hayes afferrò il bicchiere, ma una delle ragazze lo fermò: “Lasciate stare quella roba, sceriffo!”
Roba? Come sarebbe a dire?” s’intromise il padrone, “il mio whiskey è il migliore della zona!”
“Sa di vacca,” fu la lapidaria risposta.
L’uomo fece tanto d’occhi. “Cosa?”
“Di vacca. Puzza come una mandria. Tutto qui puzza di mandria, l’aria , i tavoli, i vestiti! Non ve ne accorgete?”
A quella frase, la cui ultima parte era stata quasi gridata, fece seguito un silenzio attonito, rotto solo dal suono vagamente metallico della pianola e dal sibilo del vento all’esterno. Qualche persiana sbatacchiava in lontananza.
La seconda ragazza parve stupita dal comportamento della collega La prese sottobraccio e con voce sommessa le suggerì: “Vieni, Maud, andiamo fuori a prendere un po’ d’aria.”
“Non sono ubriaca,” protestò l’altra, “e poi fuori non ci vado. È da lì che viene la puzza, è dappertutto.”
“Giusto, resta qui, bella,” intervenne un tizio appoggiato al bancone, “bevi con me.”
“Dovrei bere questa roba che puzza di vacca?”
“Sai che me ne importa? Ci sono stato così tanto in mezzo alle vacche che la puzza nemmeno la sento più. Brindo alla salute di un mio amico!”
Con gesto plateale appoggiò sul tavolo alcune monete.
“Davvero?” chiese Maud avvicinandosi con interesse. “E dov’è questo tuo amico?”
“Morto stecchito.”
La donna s’irrigidì. “Oh, beh. Allora non c’è rimasto tanto a cui brindare, no?”
“Al contrario, bellezza,” rise l’uomo, “brindo al fatto che a differenza di lui io sono ancora vivo e ho voglia di bere e divertirmi!”
Hayes fissò il nuovo arrivato, che con strafottenza gli restituì lo sguardo. Era un cowboy alto, con le spalle larghe. Aveva i capelli biondicci lunghi sul collo e occhi chiari dall’espressione a metà fra lo spavaldo e l’astuto. Una barba di due giorni gli ombreggiava il viso magro. Un tipo poco raccomandabile, nell’insieme.
“Siete nuovo di queste parti?” domandò lo sceriffo.
L’altro fece per mandarlo al diavolo, ma si accorse della stella che portava sul petto. “Sono arrivato ieri con la mandria,” rispose con un ghigno, “e ora ho voglia di bere e divertirmi. È un delitto, forse?”
“Non lo è,” convenne Hayes, “se la cosa rimane nei limiti della legge. Con chi ho l’onore?...”
“Zachariah Brown. Zack, per gli amici.” Sorrise di nuovo e trangugiò il suo bicchiere di whiskey con ostentazione, quasi sfidandolo a imitarlo. “Quindi voi potete pure continuare a chiamarmi signor Brown,” soggiunse.
“E voi mi chiamerete sceriffo, che ne dite?” replicò Hayes sullo stesso tono. “Rispettate la legge, fate il bravo bambino e nessuno si farà male.”
“Oh, certo. La legge. Chi mangia la salsiccia e rispetta la legge non dovrebbe mai guardare come l’una e l’altra vengono fatte, dico bene?” Spinse il bicchiere verso il padrone del saloon per farselo riempire di nuovo, cosa che egli, avendo visto le monete, fece senza indugio.
Hayes fermò il braccio del forestiero prima che questi potesse portare alle labbra il liquore. “Stavate parlando di un vostro amico,” gli disse.
“Già. Un bravo giovanotto irlandese. Ha pensato bene di crepare prima che il capo ci pagasse, più soldi per noi.” Poi, a voce più alta: “Quindi brindo alla salute di un buon amico!”
Svincolò il polso dalla presa dello sceriffo e di nuovo trangugiò il whiskey.
Hayes stava per replicare quando vide il suo vice entrare nel saloon. “Avvicinatevi, Wilcox,” gli disse chiamandolo con un gesto. L’atmosfera era così greve che anche la vista del suo vice, un uomo magro e torvo non a torto soprannominato ‘il becchino’, gli dava una vaga sensazione di sollievo.
Wilcox lo raggiunse diligente. “Signore, ci sono gli uomini che avete mandato a chiamare,” lo informò.
“Dove?”
“In ufficio. Il capo ha cercato di fare casino, ma gli ho detto che doveva aspettarvi. Per le indagini.”
“Molto ben detto, Wilcox. Andiamo.”
Di solito non era così felice all’idea di andare nel suo ufficio ad interrogare dei testimoni riottosi, però quel giorno piuttosto che rimanere al Lazy Dog sarebbe andato anche a stanare dei fuorilegge in mezzo al deserto.

I cowboy che avevano accompagnato la mandria giunta dall'ovest lo attendevano sotto il portico davanti al suo ufficio. Alcuni erano seduti, altri gironzolavano in strada fumando, altri ancora imprecavano contro il vento sollevandosi il bavero della giacca. Il capo, un uomo dall’aria autorevole con una vistosa cintura dalla fibbia d’argento e stivali in pelle di serpente, appariva decisamente poco soddisfatto.
“Dobbiamo stare qui ancora per molto?” chiese non appena vide avvicinarsi lo sceriffo. “C’è un sacco di lavoro da fare!”
“Faremo presto,” gli promise Hayes conciliante, “devo solo farvi alcune domande sul ragazzo morto.”
“Ancora quel dannato ragazzo?” protestò l’altro ergendosi in tutta la sua considerevole statura, “Se avessi saputo che ci avrebbe creato tanti problemi l’avrei fatto seppellire nella prateria, altro che funerali religiosi!”
“Devo solo farvi alcune domande,” ripeté lo sceriffo, cortesemente inamovibile, “seguitemi in ufficio. Prima cominciamo e prima finiremo.”
Dall’uomo, un allevatore che rispondeva al nome di William Carney, Hayes apprese che il ragazzo si chiamava Aidan O’Connor ed era originario dell’Irlanda. Sapeva a malapena stare a cavallo, l’allevatore l’aveva definito con disprezzo ‘uno di città’, ma era stato assunto come aiutante del cuoco e le sue mansioni erano essenzialmente cucinare, rassettare e fare il bucato.
“Non ha mai creato problemi,” concluse Carney, “se ne stava per conto suo e non parlava con nessuno. Non so di che sia morto e non mi interessa. Seppellitelo e facciamola finita.”
Gli uomini di Carney confermarono essenzialmente quello che lui aveva detto. Qualcuno lo chiamava l’irlandese, qualcun altro si ricordava il cognome, ma non sentì nessuno chiamarlo col nome proprio. Tutti convennero comunque che non aveva mai creato problemi.
Hayes sospirò. Se per caso il ragazzo era stato ammazzato durante il tragitto, quelli si erano messi d’accordo davvero bene per insabbiare tutta la questione. Sarebbe stata una rogna trovare le prove di quello che era successo. Sempre che fosse stato ammazzato, ovviamente.
Ma se non era stato ucciso, di cosa era morto? A dispetto di quanto gli aveva assicurato il dottore ripensò alla possibilità di una malattia. Chi gli garantiva che non ci fossero malattie che la medicina ancora non aveva studiato?
Malattie contagiose, magari, che uccidevano senza lasciare segni. Lo sceriffo rabbrividì al pensiero e si ripromise di ordinare a Bateson di far cremare il corpo, tanto per non correre rischi.
A fatica si riscosse dai suoi pensieri e chiese a Wilcox: “Chi manca?”
“Il cuoco e un tale che si chiama Brown, sceriffo. Il rimesta-pentole è qui fuori, ma l’altro non riusciamo a trovarlo.”
“Lascia perdere, ci ho parlato prima al saloon.”
“Non sa niente?”
“Anche se sapesse, non è il tipo che me lo verrebbe a dire. Fa passare il cuoco, piuttosto.”
L’uomo che entrò aveva la fisionomia che chiunque immaginerebbe pensando a un cuoco: rubizzo, corpulento e con l’aria vagamente porcina. Aveva con sé un involto che continuò a stringere in mano anche quando lo sceriffo lo invitò a sedersi e mettersi comodo.
“Allora, signor Forbes, voi che mi dite di Aidan O’Connor?” domandò Hayes, già pronto a sentire per l’ennesima volta le solite tre frasi.
“Un bravo ragazzo,” rispose prontamente il cuoco, “gentile, educato, non creava mai problemi. Doveva essere uno istruito, quando non lavorava scriveva sempre.”
“Cosa scriveva?”
“Non lo so, aveva un libro che non faceva mai vedere a nessuno. Però una volta scrisse una lettera per uno degli uomini e vi garantisco che aveva la grafia più bella che si potesse immaginare. Secondo me doveva essere un contabile o qualcosa del genere.”
Lo sceriffo lo fissò stupito. “Com’è possibile che un contabile finisca a fare l’aiuto cuoco per un gruppo di cowboy?”
L’altro si strinse nelle spalle. “Non saprei. Però era educato, non diceva mai parolacce, era sempre ordinato. Aveva i modi di uno di città.”
“Per caso l’avete visto stare male o comportarsi in modo strano negli ultimi giorni?”
Il cuoco ci pensò un po’ su e poi scosse la testa.
“Non avete avuto l’impressione che soffrisse per qualcosa?”
“L’unica cosa che posso dirvi è che la tempesta sembrava preoccuparlo. Ogni tanto guardava in su e faceva una faccia strana, come se avesse paura.”
“Non vi ha mai detto di cosa aveva paura?” chiese lo sceriffo, sperando che il cuoco si sbottonasse su eventuali maltrattamenti nei confronti del ragazzo.
Forbes scosse la testa. “Ve l’ho detto, non parlava molto.”
Hayes si chiese se stesse coprendo qualcuno. Magari qualcuno che aveva preso di mira quel giovanotto e si divertiva a fargli delle angherie, non sarebbe stata la prima volta che si imbatteva in una cosa del genere.
Fissando negli occhi il suo interlocutore, lentamente disse: “Se sapete qualcosa dovete parlare. È molto importante.”
“Desolato, vi ho detto tutto quello che sapevo,” fu la risposta. Fece una pausa durante la quale parve immerso in una tormentosa riflessione. “Era un bravo ragazzo,” ripeté poi, “molto educato. Come se ne incontrano pochi. Riuscirete a scoprire perché è morto?”
“Ci sto provando,” rispose lo sceriffo, “certo un po’ di aiuto non sarebbe sgradito.”
Il cuoco si guardò intorno. “Beh, tenete questo.” Gli porse l’involto. “Forse qui dentro ci sarà qualcosa di utile.”
Hayes percepì la forma di un libro.
“È quello che scriveva sempre,” spiegò Forbes rispondendo alla sua domanda inespressa, “forse c’è scritto anche cosa gli è successo.”
“Grazie, io…”
“Ora devo andare,” disse l’altro alzandosi rapidamente, “non dite a nessuno che ve l’ho dato.”

Lo sceriffo e il suo vice rimasero a guardarsi in silenzio. “Secondo me era matto, sceriffo,” disse con sicurezza Wilcox. “Guardava in su e faceva la faccia strana, non parlava con nessuno, veniva dalla città. Se non era matto questo, io non mi chiamo Jonathan Wilcox.”
“Magari uno di città non ha mai visto una tempesta come quelle che ci sono dalle nostre parti,” osservò pacato Hayes, poi guardò fuori e pensò che in effetti sarebbe stato difficile non spaventarsi. Il vento mugghiava, e non era solo un modo di dire. Sembrava che mille manzi terrorizzati stessero urlando con tutta la loro forza. I tuoni facevano pensare a un galoppo forsennato e i lampi crepitavano da una nube all’altra generando sinistri bagliori da fucina.
Nonostante il vento, dappertutto gravava un’inquietante caligine rossastra.
Lo sceriffo si alzò e raggiunse la finestra. Era pomeriggio, ma per le strade di Pemberville non si vedeva anima viva. Persino i cani randagi si erano dileguati. “Piuttosto brutta, eh?” buttò lì.
Alle sue spalle, Wilcox rise nervosamente e rispose: “Non sarete mica uno di città anche voi, vero?”
“No, e non sono neanche svitato se è per questo, però non ho mai visto una cosa del genere in vita mia.”
“È solo una tempesta,” rispose rapido l’altro, “una dannatissima tempesta e niente di più. Sarà meglio che vada a controllare i recinti, quelle bestie stanno facendo un chiasso infernale.”
Uscì prima che lo sceriffo potesse dire una parola.
Rimasto solo, questi diede un’altra occhiata fuori, quindi spostò lo sguardo sull’involto che era rimasto abbandonato sulla scrivania. Si avvicinò e lo aprì rivelando un grosso quaderno verde con la copertina rigida e un po’ consunta sugli angoli. La costa si era staccata ed era stata riparata con il nastro gommato. Qua e là si intravedevano i resti di una sottile decorazione dorata. Le pagine erano ingiallite, in alcuni punti un po’ sfrangiate. Dava l’idea di un oggetto molto usato ma tenuto con grande cura.
Lo prese in mano e cominciò a sfogliarlo.
La prima annotazione risaliva a circa tre anni prima. Era scritta in caratteri fini e regolari, cosa che creava un certo contrasto con il contenuto, che invece era piuttosto tragico.
Il signor Smithers ha bruciato il mio vecchio diario,” diceva infatti, “ha detto che conteneva cose immorali. L’ha buttato nel fuoco nonostante le mie proteste, e poi ha buttato fuori me da casa sua. Naturalmente non mi vuole più nemmeno come contabile, quindi dovrò trovarmi un altro lavoro, anche se temo che non sarà facile, perché ha detto che farà del suo meglio per rivelare a tutti il mio segreto, in modo da metterli in guardia contro di me.”
Di colpo interessato, Hayes si sedette alla scrivania. L’annotazione successiva era di qualche giorno dopo e parlava della decisione del ragazzo di lasciare la città.
Andrò all’ovest, là nessuno mi conosce e potrò ricominciare da capo.”
Lo sceriffo calcolò che all’epoca Aidan O’Connor doveva avere circa diciassette anni. Un po’ presto per scrivere cose del genere.
Negli anni successivi il ragazzo si era spostato in città sempre più piccole e sempre più ad ovest. Un mese da una parte, sei dall’altra, quattro in un altro posto e così via. Di pari passo i lavori che svolgeva diventavano sempre più umili: l’aveva conosciuto come contabile, poi era diventato copista, ragazzo di fatica in un giornaletto locale, addetto alle pulizie in una banca, sguattero e infine mozzo di stalla.
Nei suoi scritti c’era costantemente l’allusione a un non meglio specificato segreto. O’Connor ne parlava come di una cosa molto brutta, che faceva di tutto per tenere nascosta, anche se non sempre ci riusciva. Quando il suo segreto veniva scoperto, egli invariabilmente cambiava città, non si capiva bene se di sua iniziativa o costretto da qualcuno.
Perplesso, lo sceriffo posò il diario. Che genere di segreto poteva essere? O’Connor stava sfuggendo alla Giustizia? Era per caso un ladro? Un baro? Un assassino?
Gli sembrava dannatamente giovane per essere un delinquente incallito. Forse era malato? Magari pazzo?
Non riusciva a darsi una spiegazione logica. Fra l’altro ripensava al corpo che aveva visto nell’ambulatorio del dottore e gli sembrava impossibile che uno con quell’aspetto, per di più descritto da tutti come gentile e taciturno, potesse essere un criminale o un folle.
Riprese la lettura, la faccenda l’aveva incuriosito un bel po’. Aveva la sensazione che le circostanze di quella morte misteriosa fossero in qualche modo legate al segreto di cui il ragazzo parlava con tanta angoscia e sperava di trovare nel diario una conferma alle sue supposizioni.

Lesse varie vicissitudini, raramente fortunate, e finalmente arrivò alla parte che parlava di quando O'Connor aveva accettato il lavoro di aiuto cuoco.
Credo che lo prenderò,” scriveva, “ho quasi finito i soldi e da queste parti non c'è tanto da fare gli schizzinosi. Non so andare a cavallo, ma il signor Carney mi ha detto che non ce ne sarà bisogno, perché durante gli spostamenti starò su un carro. Mi ha chiesto se sono capace di cucinare e lavare i panni e io ho detto di sì, ovviamente, perché non volevo fare brutta impressione. Nei giorni che mi restano prima della partenza chiederò alla signora Sandham se mi insegna qualcosa, magari le cose più semplici.
C'è già un vero cuoco, comunque, il signor Forbes. Io sarò solo il suo aiutante.”
C'era una riga vuota, poi il testo riprendeva in una grafia più rapida e spigolosa, come se si trattasse di una nota vergata frettolosamente e con un certo grado di agitazione.
Questa volta non devo farmi scoprire. Nessuno deve venire a conoscenza del mio segreto. Per prima cosa, non posso permettermi di perdere anche questo lavoro, non ho i soldi per cambiare ancora città e non so davvero cosa potrei andare a fare. E poi ho paura. I cowboy non sono teneri con certa gente e non ho idea di cosa mi farebbero se lo scoprissero. Potrebbero anche ammazzarmi e lasciarmi in mezzo alla prateria, chi se ne accorgerebbe?”
Hayes rifletté parecchio su quell'ultima frase. Il ragazzo aveva paura di essere ucciso. Era stato davvero assassinato? In che modo, se non c'era nemmeno il più piccolo segno di violenza sul corpo? E perché proprio a cinque miglia da Pemberville, con giorni e giorni di pianura disabitata alle spalle?
Oppure si era ucciso? E anche in quel caso, come?
Un mistero che sembrava non avere soluzione. Continuò la lettura:
Siamo in viaggio da circa una settimana. Avrei voluto scrivere prima, ma all’inizio i miei nuovi compiti erano così pesanti che appena avevo un momento libero mi mettevo a dormire. Adesso mi sto pian piano abituando e tutto quello che il signor Forbes mi chiede di fare sta diventando un po’ meno faticoso.
Di solito precediamo la mandria con il carro, per trovare il posto adatto all’accampamento. Appena ci fermiamo devo andare a cercare legna, o se non ce n’è devo preparare un focolare adatto al carbone. Quando ho finito, il signor Forbes mi fa sbucciare le patate, o tagliare il lardo e dopo cena devo andare al ruscello a lavare le stoviglie.
Questo per quanto riguarda la cucina, poi c’è tutto il resto, come lavare e rammendare i vestiti e preparare i giacigli e il fuoco per la notte. Sto imparando anche ad occuparmi dei cavalli dei cowboy. All’inizio mi facevano un po’ paura, non sono tranquilli come quelli che accudivo a Edgefield, ma ormai sto prendendo confidenza anche con loro.
Qui nessuno mi rivolge la parola, al massimo mi chiamano ‘ragazzo’ o ‘rosso’, per via dei capelli. Dubito che ci sia qualcuno a parte il signor Carney che sappia come mi chiamo, ma in fin dei conti forse è meglio così, almeno non correrò il rischio di tradirmi mentre faccio conversazione…”
Lo scritto continuava su quel tono per un po’. Lo sceriffo a questo punto era decisamente curioso e si chiedeva che diavolo avesse quel poveretto. Che cosa poteva essere che lo costringeva a starsene per conto suo come una specie di appestato, a non parlare con nessuno e a fare solo i lavori che nessun altro voleva?
“…dopo l’episodio del signor Smithers mi ero ripromesso di non mettere mai più per iscritto certe cose, ma questa volta proprio non ce la faccio. Ce l’ho sempre davanti agli occhi, ormai me lo sogno anche di notte e se non mi sfogo in qualche modo ho paura che finirò per dire o fare qualcosa di compromettente. Se scrivo qui forse riuscirò a stare un po’ meglio, inoltre la maggior parte dei ragazzi è analfabeta, quindi non dovrei correre particolari rischi.
Zachariah Brown, è lui il mio problema.
Il mio problema e contemporaneamente anche il mio sogno, perché è l’uomo più affascinante che abbia mai visto in vita mia.
In mezzo agli altri sembra un lupo in un branco di cani, è forte e selvaggio, e non riconosce altre regole se non quelle che lui stesso si impone. Quando lo vedo arrivare in sella al suo cavallo, con quell’aria spavalda e un po’ strafottente che fa così arrabbiare il signor Carney, ho sempre un tuffo al cuore.”
“Diavolo,” disse Hayes a voce alta, sollevando sconcertato lo sguardo dalla pagina che stava leggendo. Spinto dal vento, un cespuglio secco finì contro la finestra facendolo sobbalzare. Si alzò e andò a tirare la tenda.
“Diavolo,” ripeté dopo un po' scuotendo la testa. Era quello il segreto? Aidan O'Connor era un invertito? Fu attraversato da una vaga sensazione di imbarazzo. Normalmente non gli andavano per niente a genio certe cose e valutò che se gli avessero detto subito dei gusti di O'Connor probabilmente si sarebbe schifato un bel po'. Dopo aver letto il suo diario, però, gli sembrava di conoscere quel ragazzo da anni, e la scoperta non lo indignava come si sarebbe aspettato. “Poveraccio,” disse soltanto con un sospiro.
Poveraccio davvero, pensò con un'alzata di spalle. Una vita passata a nascondersi nella vergogna, e a scappare ogni volta che la faccenda veniva scoperta. Chissà perché non era andato da un dottore, poi, per farsi curare quella malattia? Ormai nessuno l'avrebbe più saputo.
Scuotendo la testa tornò alla scrivania e raccolse il diario.
Zack non accetta ordini da nessuno,' proseguiva lo scritto, 'il signor Carney in persona fa fatica a farsi obbedire da lui, tuttavia non lo licenzia, perché è il cowboy migliore che si possa trovare. Di solito uno bravo riesce ad isolare dalla mandria un vitello, lui ha isolato un coniglio selvatico che si era rifugiato in mezzo alle vacche, e poi l'ha preso col lazo. L'ho visto coi miei occhi.
Il coniglio poi l'ha portato al signor Forbes per farselo cucinare. Gli altri ne volevano un pezzo, tutti sono stanchi di manzo e patate, ma lui se l'è mangiato tutto da solo. Ne potete catturare uno anche voi se lo volete, ha detto, la prateria ne è piena.
Tutti si sono arrabbiati, ovviamente, ma Zack è fatto così. È un predatore, prende ciò che vuole, non dà aiuto a nessuno e non si aspetta di riceverne. Lavora con qualcuno unicamente se l'altro è alla sua altezza, altrimenti fa da solo, e siccome non ritiene quasi nessuno alla sua altezza, va a finire che è praticamente sempre da solo.
A differenza di me, lui da solo ci sta bene. È come se non volesse avere niente a che fare con gli altri. Lo si vede stagliarsi a cavallo contro l'orizzonte e scrutare la mandria, e un attimo dopo partire al galoppo per recuperare un gruppetto di manzi che stava rimanendo indietro. Poi torna come se niente fosse, e guarda gli altri con aria di sufficienza, come sfidandoli a fare altrettanto.
Quando è lontano, tutti parlano di lui. Male, perlopiù. Pete dice che è un tipaccio, che ha ucciso più di un uomo nella sua vita, che ha fatto il ladro di cavalli e che a Laredo c'è addirittura una taglia su di lui. Gli altri non ci credono, oppure nonostante i soldi che potrebbero guadagnare non hanno il coraggio di sincerarsene direttamente, quindi Zack è libero di comportarsi come vuole e spadroneggia su tutti. A parte il signor Carney, naturalmente. Con lui sta zitto, ma solo perché se venisse licenziato non riceverebbe la paga.
Io dovrei detestare un individuo del genere, è prepotente, sfrontato e violento, ma non riesco a pensare ad altro che ai suoi occhi, oppure a quel suo modo al tempo stesso insolente e spavaldo di calcarsi il cappello in testa e di andarsene non appena qualcuno o qualcosa l'ha annoiato.”
Hayes sollevò il capo e proferì un insulto. Rievocò l'immagine del tizio che aveva incrociato al Lazy Dog e a mezza voce disse: “Se crede di potersi comportare così anche qui a Pemberville, gli faccio passare la voglia.”
Oggi lui e Jed Perkins hanno litigato,” proseguiva O'Connor, “o per meglio dire è Zack che è andato ad attaccare briga con Jed. Ogni tanto lo fa, è uno dei suoi divertimenti preferiti: va da qualcuno e lo provoca fino a che l'altro esasperato non gli dà un pugno, allora lui reagisce e cominciano a darsele di santa ragione. Poiché Zack è il più robusto e il più aggressivo del gruppo, l'esito di questi scontri è abbastanza prevedibile.
Questa volta però la cosa è andata un po' troppo oltre, nel senso che Zack ha continuato a prendere a calci Jed anche quando era a terra e aveva smesso di difendersi, col risultato che adesso Jed non riesce nemmeno a stare a cavallo ed è sul carro con noi. Il signor Forbes è sicuro che abbia almeno due costole rotte.
Il signor Carney si è arrabbiato molto, naturalmente, ma Zack si è limitato ad alzare le spalle e a fare il suo solito sorrisetto di superiorità. “L'avete visto anche voi,” ha detto, “è stato lui a colpire per primo. Io non ho fatto altro che difendermi.” E poi se n'è andato a controllare la mandria come se niente fosse.
Penso che il signor Carney lo caccerebbe via, se potesse, ma in effetti trovare un altro cowboy come lui non è facile.”
Seguivano alcune pagine di considerazioni del ragazzo. Nonostante tutto, egli sembrava convinto che Zachariah Brown in fondo fosse una brava persona, e che bastasse solo trovare il modo di prenderlo nel verso giusto per rivelare le sue doti nascoste.
L'unico commento che gli venne in mente fu che chiunque, uomo, donna o invertito, quando si innamora rincretinisce.
Quel tizio era un depravato, un tanghero e un bastardo, e il solo favore che poteva fare al genere umano era quello di incappare in qualcuno più grosso e più cattivo di lui che finalmente lo spedisse all'altro mondo.
Il povero O'Connor, che disperato languiva dietro un individuo del genere, gli fece quasi pena.
A questo punto il diario si interrompeva per circa una settimana. Hayes si chiese se il ragazzo fosse stato malato, o se qualcosa gli avesse impedito di scrivere. Magari quel tizio se l'era presa con lui, tipico di quel genere di prepotenti farsela coi più deboli.
A quel pensiero provò la stessa rabbia di quando da ragazzino scopriva che qualcuno aveva fatto del male al suo fratellino più piccolo.
Continuò a leggere:
Domenica ho avuto davvero paura. Stavo rigovernando i piatti nel ruscello quando ho sentito dei passi. Ho alzato gli occhi e ho visto che stava arrivando Zack. Il mio primo impulso è stato quello di scappare, ma subito mi sono reso conto che non era possibile: con i piatti lavati a metà e nient'altro da fare, come avrei potuto non far capire a Zack che me ne stavo andando a causa sua? Come tutti i predatori è attratto dal movimento, se mi avesse visto scappare in quel modo mi avrebbe certamente inseguito, inventandosi qualche motivo per prendersela con me.
E poi c'era un altro problema, naturalmente: l'attrazione che provo per lui. Sarebbe capace di uccidermi se scoprisse una cosa del genere, e in questo di sicuro gli altri gli darebbero man forte anche se lo detestano. Cosa sarebbe successo se mi avesse sorpreso a fissarlo in un certo modo?
Subito ho incollato lo sguardo a terra e ho continuato la rigovernatura.
Lui ha cominciato a spogliarsi. Lo vedevo con la coda dell'occhio, si toglieva i vestiti uno dopo l'altro con calma, sembrava anzi che lo facesse con studiata lentezza, come se volesse mettersi in mostra.
Che hai da arrossire?” mi ha chiesto improvvisamente, “non hai mai visto un uomo nudo?”
Ero stato molto attento a non mostrare nessuna reazione, ma purtroppo certe cose non si riescono a comandare e l'idea di avere vicino Zack che si stava spogliando mi aveva fatto diventare rosso fino alla radice dei capelli.
Ho balbettato qualche scusa.
Sarà meglio che ci fai l'abitudine” ha risposto “perché adesso voglio lavarmi.”
Poi ha preso un pezzo di sapone ed è entrato nel ruscello, fermandosi proprio davanti a me.
L'acqua gli arrivava appena alle cosce, e lasciava visibile tutto ciò che la decenza avrebbe voluto coperto.
Il Signore mi è testimone, credo che nessun martire cristiano abbia mai dovuto sopportare un supplizio come quello che ho subito io in quel frangente. Volevo scomparire sottoterra, morire, scappare, ma non essere costretto a lavare i piatti con gli occhi incollati a terra sapendo di avere a cinque passi di distanza Zachariah Brown completamente nudo che si lavava.
So che è sbagliato, ma l'unica cosa che in quel momento desideravo era che... Dio mi perdoni, non riesco nemmeno a scriverlo qui.
Poi ad un certo punto Zack ha detto: “Smettila di fissarmi.”
Non lo stavo guardando, ero stato ben attento a non alzare gli occhi una sola volta dal mio lavoro, quindi ho risposto: “Non ti sto guardando, Zack.”
Non è vero. Mi stai fissando come se non avessi mai visto un uomo nudo. Cosa sei, uno di quelli?”
Cosa?”
Uno di quelli a cui piacciono i maschi.” Ha sputato da una parte con disprezzo. “Un invertito.”
Mi è corso un brivido gelato giù per la schiena e subito mi sono affrettato a negare. Intanto mi chiedevo con angoscia se le parole di Zack erano solo una provocazione gratuita o se davvero nonostante tutto mi ero lasciato sfuggire qualcosa e gli altri si erano accorti di me.
No, no!”
Garantito che se lo scoprivano ero morto.
Invece sì,” ha risposto lui con decisione, “sei uno di quelli. Magari in questo momento hai una gran voglia che io ti faccia il servizietto, è per quello che mi stai guardando in mezzo alle gambe.”
Non sapevo più cosa rispondere, e non ho trovato nulla di meglio da fare che piantare lì tutto e scappare via più veloce che potevo.
Alle mie spalle Zack rideva come un matto, e anche gli altri si stavano divertendo un mondo. Forse ha solo voluto farmi uno scherzo dei suoi, ma mi manca il coraggio di accertarmene.
Credo sia meglio se d’ora in avanti gli sto ancora più lontano. Io sono sicuro di non aver mai lasciato trapelare nulla, ma nonostante la sua apparenza ruvida ha una sensibilità fuori dal comune e non è escluso che abbia comunque percepito qualcosa di me.”
Lo sceriffo ponderò attentamente quell’episodio. Uno scherzo stupido. Zachariah Brown aveva voluto divertirsi alle spalle del ragazzo e casualmente era andato a pescare proprio l’argomento proibito.
Si chiese se la cosa fosse stata davvero casuale. Non dubitava che in effetti quel Brown fosse parecchio sensibile. Per essere davvero dei bastardi fatti e finiti com’era lui bisognava essere in grado di colpire nel punto più debole, e questo era possibile solo sapendolo individuare con precisione.
Come sarebbe riuscito altrimenti a provocare la gente fino a farsi prendere a pugni? Gente che lo conosceva, peraltro, e che di partenza sapeva dove lui andava a parare. Ci voleva finezza, in un certo senso.
Il diario proseguiva con annotazioni brevi e di scarsa rilevanza. Sembrava che l’episodio del ruscello avesse talmente spaventato il ragazzo che ormai non si fidava a mettere su carta neanche il più innocente dei suoi pensieri.
“Aidan, Aidan,” sospirò fra sé e sé lo sceriffo col tono del padre deluso, “ma che diavolo ti è venuto in mente? Non potevi rivolgerti a un buon dottore che ti aiutasse a guarire invece di continuare ad andare dietro alle persone sbagliate?”
Perché O’Connor gli sembrava un bravo giovane, in fin dei conti, anche se aveva quei gusti, e gli dispiaceva che avesse fatto una fine così misera.
Nel diario trovò di nuovo uno scritto piuttosto lungo e con interesse riprese la lettura:
Oggi ero a cavallo. Non ci so andare, ma il carro era pieno di legna da ardere che avevamo raccolto in giro e c’era anche uno degli uomini che non stava bene, quindi per me non c’era posto.
Mi hanno dato il cavallo di ricambio di quello malato. La mandria si sposta lentamente, quindi io non avrei dovuto fare altro che seguire il carro al passo, ma probabilmente la bestia aveva capito che aveva a che fare con un principiante e col passare del tempo diventava sempre più nervosa. Gli altri scherzavano sul fatto che in sella sembravo un sacco di patate, e questo naturalmente non migliorava le cose.
Ad un certo punto da un cespuglio poco lontano si è alzato in volo schiamazzando un uccello, e il mio cavallo è letteralmente impazzito. Di colpo ha buttato giù la testa e si è messo a correre come un matto. Io non sapevo come fermarlo. Le redini mi erano sfuggite di mano, quindi mi ero aggrappato alla criniera e al pomo della sella e cercavo disperatamente di non cadere. Avevo una paura terribile, non tanto di farmi male io, quanto di perdere o azzoppare il cavallo, perché di sicuro il signor Carney me l’avrebbe fatto ripagare, e io non avrei mai trovato i soldi per ripagare un cavallo da cowboy addestrato.
Poi qualcuno mi ha raggiunto al galoppo, ha afferrato le redini dell’animale imbizzarrito e l’ha fermato.
Sono rimasto di sasso: era Zack. “Calma, bello,” ha detto tranquillamente. Io pensavo che stesse parlando al cavallo e sono rimasto in silenzio, aspettandomi che mi insultasse per quello che avevo fatto, ma lui ha proseguito: “Più ti innervosisci, più fai innervosire anche lui.” Mi ha strizzato l’occhio. “E poi sta più dritto sulla sella, se ti metti così piegato in avanti lui crede che gli stai chiedendo di correre. È normale che parte pancia a terra.”
Io ero ancora scosso, e tremavo da capo a piedi. “Grazie, Zack,” ho balbettato.
Ringrazia piuttosto di non esserti spaccato il muso, razza di idiota.”
Prima che potessi replicare se n’era già andato.
Sono tornato indietro piano piano, dritto come se avessi avuto una pila di piatti in equilibrio sulla testa, ancora incredulo di essere vivo e tutto d’un pezzo.
La cosa che mi ha lasciato più sconvolto, però, è stata che Zack è venuto ad aiutarmi. Da quando lo conosco non l’ho mai visto fare una cosa del genere per nessuno.
Può darsi che gliel’abbia detto il signor Carney, magari non voleva rischiare di perdere il cavallo, ma io so che Zack esegue i suoi ordini solo quando li condivide.
Questo conferma la mia teoria: in realtà è buono, basterebbe solo prenderlo per il verso giusto e sarebbe la persona più leale e coraggiosa del mondo.
Ma qual è il verso giusto?”
Di nuovo Hayes scosse la testa desolato. Quando qualcuno è convinto di una cosa a dispetto di qualsiasi evidenza del contrario, come diavolo si fa a fargli capire che ha preso una cantonata? Se O’Connor fosse stato ancora vivo gli avrebbe volentieri sbattuto la testa contro il muro, per vedere se uscivano fuori certe idee balzane. Zachariah Brown era solo un figlio di buona donna, possibile che un ragazzo così intelligente non se ne rendesse conto?
Magari gli invertiti ragionano – o non ragionano, in questo caso – in modo diverso, concluse con un’alzata di spalle.
Notò a questo punto un fatto curioso: il diario cambiava grafia. La mano era sempre quella di O’Connor, ma il testo appariva spigoloso, sgraziato, a tratti malfermo. C'erano cancellature e macchie d'inchiostro. Sembrava che il ragazzo scrivesse in preda ad una forte emozione, non necessariamente positiva.
Anche la sintassi, che di solito era estremamente curata, diventava sconnessa e affrettata, con frasi brevi e a tratti confuse.
Io l’ho visto,” diceva, “l'ho visto ieri per la prima volta, so che sta arrivando per lui. Viene per portarlo via. Tutto il male che ha fatto non poteva restare impunito, questo lo so anch’io, ma vorrei che gli fosse concessa un’ultima possibilità, io sono sicuro che può ancora ravvedersi.”
Lo sceriffo era sempre più perplesso. Di chi stava parlando? Chi stava arrivando? Un ranger forse? O magari un cacciatore di taglie, se era vero che Brown ne aveva una sulla testa.
Il prosieguo del testo lo lasciò stupefatto e con forti dubbi sulla salute mentale del ragazzo:
È la mandria del diavolo. Una volta un vecchio che era mezzo indiano mi raccontò che i cowboy che fanno cose brutte finiscono lì, a cercare di radunare per l’eternità i manzi del diavolo nel cielo. Lo disse a me perché aveva capito che io ho il dono. Ce l’aveva mia nonna prima di me, è stata lei ad insegnarmi tutto, e poi sul letto di morte ha recitato la formula e me l’ha passato.
Il vecchio mi ha spiegato che a volte quella che sembra una tempesta è in realtà la mandria del diavolo che arriva per portare via qualcuno.
Ora sta arrivando. Le nuvole sono rosse, ci sono i tuoni e i fulmini, ma non cade una goccia di pioggia.
Viene per Zack, io lo so. Lo chiamano.
Gli altri non la vedono, ma percepiscono che c’è qualcosa di soprannaturale all’opera. Anche le bestie sono inquiete, gli uomini hanno dovuto lavorare tutta la notte per evitare che scappassero in tutte le direzioni.
Io la vedo.
In cielo tra le nuvole ci sono manzi dagli occhi rossi, con le corna nere e lucide e gli zoccoli d’acciaio. Sul fianco hanno un marchio infuocato e il loro fiato bollente scalda l'aria. Ad inseguirli ci sono i cowboy dannati, in sella a cavalli che emettono fuoco dalle froge. Hanno volti smagriti, sguardi allucinati e le camicie fradice di sudore. Corrono senza riposo, esausti, ma non riescono mai a radunare la mandria. È il loro castigo per l’eternità.
Sento le loro grida spettrali, e sento anche i muggiti delle bestie del diavolo. Ormai sono così forti che mi impediscono di dormire.”
“Gesù, alla fine è impazzito,” commentò ad alta voce Hayes. “A forza di andare dietro a quello là ha perso il senno. Lo dicevo io che doveva farsi vedere da un dottore.”
Conosceva anche lui la leggenda della mandria del diavolo, l'aveva sentita qualche volta, ma non aveva mai pensato neppure per un momento che potesse essere una cosa reale.
Era solo una vecchia storia che si raccontavano i cowboy intorno al fuoco la notte.
Tuttavia provava uno strano disagio.
Si avvicinò di nuovo alla finestra, scostò la tenda e guardò fuori. Ormai stava calando la sera e la strada era immersa in un crepuscolo caliginoso che sembrava decisamente innaturale. C’erano tuoni e fulmini, in effetti, ma non cadeva una sola goccia di pioggia. Si sentivano dei lamenti che mettevano i brividi.
Soffocò un’imprecazione e accese una lampada a petrolio. La luce dorata sembrò attenuare un po’ la cappa di inquietudine che l’aveva pervaso e decise di riprendere la lettura. Quel ragazzo era sicuramente impazzito, del resto visti i suoi gusti e quello che diceva a proposito del suo fantomatico dono non doveva essere tanto sano neanche prima, ma era sicuro che nelle poche pagine che rimanevano avrebbe trovato una spiegazione al mistero che avvolgeva tutta la vicenda.
Ormai è certo,” lesse, “sono loro, e sono venuti per lui. Li sento mentre lo chiamano. Gli galoppano intorno tutto il tempo, lo vogliono portare via. Vorrei avvertirlo, ma cosa gli dico? Una mandria spettrale vuole rapirti a causa delle brutte azioni che hai commesso? Mi riderebbe in faccia.
Tuttavia non voglio lasciarlo al suo destino, credo che nonostante tutto meriti una possibilità. Ha fatto del male, è vero, ma può ancora ravvedersi ed è anche capace di buone azioni, me l'ha dimostrato quando mi ha salvato dal cavallo imbizzarrito.
Non c'è più molto da dire, in realtà. So quel che si deve fare e lo farò, costi quel che costi.”
Lo scritto finiva. Da lì in poi c'erano solo disegni. Il primo era una stella a cinque punte rivolta verso il basso e inscritta in un cerchio, con degli strani simboli tutt'intorno.
Nelle pagine successive ce n'erano altri. Alcuni molto semplici, per esempio un triangolo col vertice in basso, con delle lettere all'interno, oppure molto più complessi, come figure geometriche con molti lati inscritte l'una nell'altra e circondate di caratteri sconosciuti.
L'ultimo era il più spaventoso. C'era di nuovo la stella a cinque punte, poi il muso di un caprone visto di fronte e ancora simboli misteriosi.
Al centro c'erano il nome di Zachariah Brown cancellato da un tratto di penna e quello di Aidan O'Connor, con accanto tre gocce scure che riconobbe senza ombra di dubbio come sangue secco.
Le pagine successive erano vuote.
“Signore Iddio,” mormorò lo sceriffo facendosi il segno della croce. Quello era un patto col diavolo in piena regola.

In quel momento dei colpi concitati alla porta lo fecero letteralmente sobbalzare. Abbandonò il diario e andò ad aprire.
Sulla soglia c'era il medico, pallido come se avesse visto un fantasma. Aveva una lanterna in mano e appariva molto agitato.
“Che è successo, dottor Bateson?” chiese lo sceriffo.
“Qualcuno ha rubato il corpo,” fu la risposta.
“Rubato? Come sarebbe a dire?”
“Non c'è più, è sparito.”
Hayes lo fissò scettico. “Sparito? Volete dire che il corpo di Aidan O'Connor non è più dove lo avevate lasciato?”
“Proprio così.”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, poi lo sceriffo lentamente disse: “Evidentemente non era così morto come pensavamo. È l'unica spiegazione logica. Probabilmente era solo un caso... come lo chiamate voi? Di morte apparente?”
“Gli ho fatto l'autopsia, e il sangue non circolava,” rispose caparbio il medico, “inoltre gli ho tolto il cuore dal petto e poi l'ho rimesso al suo posto. Secondo voi un uomo può rimanere vivo dopo un trattamento del genere?”
“In effetti no” convenne lo sceriffo.
“Dunque che mi dite?”
Hayes rimase in silenzio, obiettivamente non sapeva che dire. Pensò di far vedere al dottor Bateson il quaderno di O'Connor, in particolare la parte finale con i disegni, ma mentre si apprestava a prenderlo udì un frastuono assordante in strada. Migliaia di zoccoli facevano tremare il terreno, si udivano muggiti e lugubri richiami.
Afferrò il lume a petrolio del medico e si affacciò sulla porta: tutta la via era occupata da una mandria di manzi che passava al galoppo. Le bestie avevano gli occhi rossi e le corna nere e lucide. Alla luce della lampada gli zoccoli mandavano bagliori metallici.
Tutt'intorno si affannavano dei cowboy in groppa a cavalli spettrali che emettevano fuoco dalle froge. Hayes riconobbe in uno di essi Aidan O'Connor. Smagrito, livido, con lo sguardo spiritato, ma chiaramente lui.
Tentò di chiamarlo, ma in quel momento qualcosa colpì la lampada mandandola in frantumi e precipitando la strada nelle tenebre più impenetrabili.
Subito Hayes corse nel suo ufficio a prendere la lanterna che aveva lasciato sulla scrivania, ma quando si affacciò nuovamente sulla soglia la strada era deserta.
Vuota, come se nessuno fosse mai passato per di lì. La terra battuta del fondo era perfettamente liscia e non vi era alcun segno della mandria che l'aveva invasa solo pochi secondi prima.
Notò che il vento si era calmato e dappertutto stava scendendo un silenzio di morte.
“L'avete vista anche voi?” chiese al dottor Bateson.
Il medico annuì in silenzio. “Che cos'era?” chiese poi.
“La mandria del diavolo. Ha portato via la persona sbagliata.”


   
 
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