When summer ends
«
Credi che potremmo farcela? » chiede, «
cioè, intendo .. – »
«
So che intendi, » taglia corto lei. « Cazzo se lo
so. Ma le parole sono sempre
fottutamente semplici, e non dobbiamo far altro che scrivere qualcosa
per tua
madre. Tutto okay sul fronte
californiano, o Memorie di due
stronzi partiti per ... » s’interrompe un
attimo. Hayden vede l’incertezza
luccicare nel suo sguardo, mentre calcia una lattina di Sprite.
«
Partiti per trovare qualcosa di
straordinario, » conclude. In quelle ultime
giornate di agosto sono rimasti
ore intere al capanno, sudati e sporchi con le ginocchia appiccicate di
terra e
sangue e le mani unte, in un cimitero di bottiglie finite e cani
randagi che
passano nella campagna.
«
Forse non riusciremo mai a trovare un beneamato cazzo, però,
» replica lui. « E
questo perché siamo dei figli di puttana che hanno piantato
in asso tutto per
farsi il tour dell’America. »
Mo
sa come si senta Hayden; lo sa perché anche lei ci
è passata. Un tempo
progettava di fuggire, ma la verità è che non lo
avrebbe mai fatto. C’è sempre
qualcosa che a un passo dalla fuga ti intima di restare. Non supplica,
non
prega: ordina. In quella maniera dolce e crudele propria di ogni uomo.
«
Che ne sai? Viaggia, vivi, non essere
dispiaciuto[1] ... »
dice, « cazzo, Den, ti è mai
capitato di sentire quella voce nella tua testa che ti dice di
fermarti? Quando
senti il sudore che ti scende in posti che non sapevi neppure di avere
e
avresti voglia di ammazzarti dalla frustrazione; oppure altre volte, a
scuola,
quando ti andrebbe di salire in piedi sul banco e urlare qualcosa di
osceno?
Ecco: quella voce ti dice di fermarti, di non farlo. Adesso,
» dice,
afferrandogli le spalle, « manda a ‘fanculo quella
voce. »
Hayden
si chiede esattamente quanto tempo fa, Mo
abbia mandato a ‘fanculo quella voce. Sicuramente da prima
che si conoscessero.
« Sì, ma ... non hai mai pensato che ci sono cose
che ti costringono a
restare?, » chiede.
Sono
seduti come bambini con la schiena rivolta al muro, pronti per essere
fucilati
sul campo di guerra della loro vita, sui calcinacci freddi del suolo e
la
ruggine e l’intonaco; davanti a loro,
c’è un vecchio cartello con scritto: Park Hotel in azzurro e giallo.
«
Uh. Magari. La verità è che non
c’è mai niente
che ti costringa abbastanza, capisci? Se riusciamo a
stabilirci per un po’
nel Michigan, poi, » –
ridacchia – « ...
oh, non c’è davvero niente
che ci
costringa a comportarci come si deve[2].
»
Bene,
pensa
Den. Alla faccia della voce che certi
chiamano coscienza. L’ultima volta che si sono
visti in quel capannone
(Hayden felice e la Maureen-vera, quella prima delle droghe e il sesso
e le
mani sporche di sangue e altre schifezze, s’intende) era
settembre. Un
settembre di tanti anni prima.
Mo
indossava uno di quei vestitini da brava bimba americana ed era tutta
in ombra
sotto sua madre, fieramente europea e assillata da angosce ipocrite.
Era uno di
quei ritrovi da (Mo li avrebbe definiti così)
‘capitalisti-inguaiati-che-danno-feste-nonostante-tutto’
e c’era un uomo vestito di blu con gli occhi appiccicati
sulle gambette di
Maureen. Quel settembre (verde di speranza ma anche verde di senza
soldi e
malattie immaginarie – il padre di Mo che era un imprenditore
fallito) se l’era
mangiata e digerita, ecco la verità. E la Mo di adesso
usciva dalle salme di
una bambina distrutta. Come canta Riff, è colpa di quello
che abbiamo passato,
se adesso siamo così[3].
E
lei era dolce e preziosa finchè non ha iniziato a
rimescolare in sé stessa per
non trovare altro che il caos.
«
Sì, » Den ha un attimo per decidersi, e
l’unica fottuta parola che gli viene in
mente è ‘sì’. «
Andiamo, allora. »
Tanti
anni dopo, Hayden avrebbe scritto due parole su un pezzo di carta; un
pezzo di
carta che era stato un biglietto del treno, ma che ormai non valeva
più niente.
E da solo sarebbe tornato su un vagone grigio come gli occhi di
quell’uomo
deviato, coi chewingum appiccicati sotto i sedili e i dettagli luminosi
di ogni
passeggero.
‘Cara
Mo, ...’
...
in un vagone solitario con una donna accanto. Con le sue scarpette
viola e i
suoi occhi lontani, non s’era accorta di un ragazzo che
tornava mutilato dalla
prima grande avventura della sua vita. Hayden avrebbe ripensato a lei,
e scritto
di quella strada che li aveva portati ai confini del mondo, a piangere
disperati su usci chiusi e grattare cenere da luoghi usurati e un tempo
veri,
nel mondo psichedelico dove il tempo è una corsa sulla ruota
panoramica, e
nulla più.
«
Bene, » risponde lei, « Andiamo. »