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Autore: heather16    03/06/2016    0 recensioni
"Ma ora me ne vado; tu, lurida, tu, che eri la mia pura dea e ora giaci su di me, nuda e sporca di sesso. Io sono il mio nuovo dio; e al tuo risveglio con te ci saranno solo vergogna e polvere." 1500. ascesa al potere di Giuliano De Gasperi, fra sesso, imbrogli e notti insonni a riflettere. fatemi sapere cosa ne pensate, il vostro parere è importante!
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A cavallo per tutta la giornata, senza fermarmi mai. Il vento diventa pioggia, la pioggia tempesta. Cala la notte e decido di fare una breve sosta per mangiare un boccone e lasciar riposare il mio cavallo, così quando vedo un piccolo ostello mi fermo. Ma non scendo da cavallo. Una sensazione di calore mi strizza le budella e sale fino al cervello. Cado privo di sensi nel fango gelido. La notte. È buio. Sono solo. Dio, voglio una donna qui con me. Voglio mia madre. Non c’è. Un paradiso in terra. La notte. È buio. Sono solo. Massimiliano Sforza avrà il mio cavallo. Lo donerò a lui e lui mi farà re del suo ducato. Terreno. Regno. Gli donerò Beatrice, la farò fottere da lui e da suo fratello, se mi garantirà gloria e fama. No! Beatrice! Non te ne andare, non sposarti con nessuno! Sei l’unica qui che mi capisce! La notte, è buio, sono solo! Per Dio, voglio il mio cavallo, datemi il mio cavallo! Le oche, sono dappertutto! Loro mi vedono, e quella troia, lei mi vede! Si… troia, troia! Lurida scrofa, immergi il tuo viso di pietra e diamante nella conserva di mele alla mattina! Inutile. Papà. Non mi lasciare nemmeno tu. Ti voglio bene. Mi manchi. Scusa. Beatrice. Ti amo. Riprendo i sensi la mattina dopo. Tento di alzarmi, ma la mia testa gira. Tutto gira in verità: le travi del soffitto, le piastre di terracotta del pavimento, le gocce di pioggia sulla finestra. Ho freddo, e subito un dubbio terrorizzante mi trafora il cervello. Una donna vecchia e grassa entra. –Di grazia, dove sono?- nella mia testa la mia voce era scura, il mio tono severo. Invece sembro esattamente ciò che sono: poco più di un bambino. -State buono voi. Adesso vi porto una pezzuola fresca e vi riprenderete.- -Donna! Dove sono?- decisamente più convincente, ma non abbastanza da incutere timore. Ma almeno lei mi risponde, seppur ridacchiando: -Siete a qualche miglio da Monza, signore.- Sereno, risprofondo tra le lenzuola. I miei genitori non mi troveranno mai. Io stesso non riesco a capire come ho fatto ad arrivare così in fretta. E senza sbagliare mai strada. Febbricitante ma felice chiudo gli occhi. Per i seguenti due giorni rimango a letto, nutrito e coccolato. Alla mattina del terzo giorno mi alzo, e faccio per vestirmi. I denari scomparsi. Non faccio in tempo ad interrogarmi che qualcuno rientra. Stavolta è un uomo, dev’essere il padrone della locanda. -Signorino, vedo che vi siete rimesso in forze!- Non gli chiedo nulla sui soldi, potrebbe essere un malinteso, potrei averli persi cavalcando, non voglio creare problemi. Un modo lo troverò per pagare. -Grazie per le cure offertemi dalla sua gentile moglie.- - In fondo è suo padre che mi ha permesso di metter giù…- la frase rimane sospesa. Le parole si fanno pesanti per colui che sapeva di non doverle pronunciare, e per me che purtroppo temo di averle udite fin troppo bene. Un nuovo dubbio mi assale. –Perché mio padre vi ha aiutato?- -La riportiamo a casa signorino De Gasperi.- -No. No!- faccio per correre verso la porta, ma l’oste mi blocca la strada. Metto mano alla spada. -Non costringetemi ad usarla!- l’oste con quello sguardo perso che hanno tutti i villici, mi guarda con occhi e bocca spalancati, come un pesce poco prima di spirare. Ma non si muove. La rabbia è tale che mi acceca. Sguaino la spada, e come un fulmine colpisco nel grasso petto l’uomo. Boccheggia, ondeggia, sputa sangue e cade. Lo guardo, paralizzato dal terrore. Ho ucciso un uomo. In un instante ho eliminato cinquant’anni di una vita. In un istante una creatura animata è diventata un pezzo di carne ancora caldo. Sento dei passi. Dev’essere la moglie. Non posso fermarmi, perciò scappo, scappo veloce giù per le scale, spintonando la vecchia che mi guarda stupita. Solo quando arrivo alla porta sento un urlo femminile. Deve essere arrivata in camera. Intanto la piccola compagnia di ubriaconi (o quasi) ai tavoli, ai quali certamente l’oste aveva parlato di me, si alzano, e fanno per fermarmi. Corro come il vento, arrivo alle stalle, trovo il mio cavallo, salgo, tiro le redini e via come il vento. Galoppo finchè la debolezza non mi costringe a fermarmi. Lego il cavallo a un albero e mi accascio vicino a un masso. Cerco di rimettere a posto la mia testa. Probabilmente l’oste ha riconosciuto i blasoni sulla sella del cavallo. Probabilmente ha pensato io fossi un ladro, ma forse qualcuno gli ha detto che il figlio bastardo del duca era fuggito. Chissà, una guardia ubriaca, o una donnetta venuta a divertirsi. Ma c’è ancora qualcosa di strano: come fa un oste che vive a Monza a sapere di me, della mia famiglia e come può ricevere notizie sulla mia fuga cos’ in fretta? Per la prima volta da quando sono uscito dalla locanda mi guardo intorno.quei campi mal curati, l’inconfondibile campanile della chiesa del piccolo paese di Vertelli, che riuscivo a vedere dalla mia stanza. Devo essere a poche miglia da casa. Devo aver girato in tondo. Non mi sono mai sentito così stupido. La donna deve avermi detto un paese qualsiasi, per farmi credere al sicuro così da rimanere buono e tranquillo. Sono senza un soldo, senza una strada. Poi, l’immagine della bocca dell’oste, aperta, stupida e grondante sangue si visualizza nella mia mente. Non posso credere di avere ucciso. Un senso di nausea sale su dalla mia gola. Tiro fuori la spada dal fodero, e la esamino ancora sporca di sangue. Ma poi un altro pensiero, più freddo, più maligno, mi viene alla mente. Un certo fastidio. I bambini da piccoli sognano di uccidere mostri alati, tiranni meschini, e io da perfetto inetto, ho ucciso un povero oste. Quello che inizialmente era orrore lentamente si trasforma in rabbia. Quello stupido oste, se solo mi avesse preso sul serio, se solo si fosse spostato. Ho ucciso inutilmente un uomo senza valore, che non meritava nemmeno di essere passato a fil di spada. Potrei sembrare freddo, ma non riesco a non essere deluso. Cerco di organizzare un piano d’azione. Ripartirò a cavallo, e al primo viandante domanderò la via per Milano. No, no. Ormai sono paranoico. Dire a qualcuno dove sono diretto potrebbe essere rischioso. Ma cosa sto dicendo? Non tutti sanno chi sono. Dio, se solo Beatrice fosse qui con me a consigliarmi. Ebbene, mi alzo, monto a cavallo e continuo a trottare sulla via principale. Dopo una ventina di minuti scorgo un uomo. È un contadino, che porta sulla schiena una fascio di rami secchi. -Uomo, qual è la strada per arrivare in Milano?- Il vecchio, gentile e umile come solo chi è nato alle dipendenze di qualcuno ed è vissuto servo può essere, mi risponde che la strada è lunga, sono quasi due giorni a cavallo, ma Milano non è difficile da raggiungere. Mi indica soltanto una vaga direzione da prendere, con il braccio destro, ma a me va bene. Al confine con il ducato Estense chiederò ancora la strada, e poi passerò per i boschi, per non essere visto. In effetti a nessuno potrebbe importare di un fanciullo a cavallo. Ma se qualcuno mi chiedesse chi sono? Se poi quel qualcuno avesse informazioni da comunicare eventualmente a chi mi cerca? Ma poi, chi mi cerca? Per la mia famiglia la mia partenza è stata una liberazione… però hanno chiesto di me, se all’osteria è accaduto quel che è accaduto. Non so più se la mia è paranoia o presunzione.
  
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