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Autore: _Ala_    14/04/2009    1 recensioni
Mi raccontavi della tua intera esistenza, dei tuoi migliaia e migliaia anni di vita.
Di tutte le persone che eri stato costretto a uccidere, di tutti i mondi che avevi fatto esplodere.
E dicevi che non eri nato che nel momento in cui i tuoi occhi….”
La sua voce si spezzò, “mi avevano guardata.”
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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riassunto
Il distruttore di mondi

 

 
Bastò appena un istante. Un solo momento.
Girò la maniglia della porta che aveva appena aperto e se la richiuse alle spalle. Allungò un dito verso l’interruttore della luce, sfiorò quella piccola superficie liscia.
E poi si immobilizzò, così, nell’atto di schiacciarla.
Con gli occhi frugò nel buio della stanza cercando tra le ombre familiari.
E c’era un ombra che non avrebbe dovuto esserci, un ombra che lei conosceva troppo bene.
Appena la scorse i suoi occhi si spalancarono, scioccati, le sue stesse labbra si aprirono appena, per permetterle di rubare altra aria; i suoi polmoni avevano bisogno di riprendere fiato.
L’ombra si mosse, venne verso di lei, mutò la sua forma.
Ora era alta, la superava, lo sovrastava.
Ma era uno dominazione gentile, tranquilla.
L’ombra diede il tempo alla giovane donna di accettare la sua presenza, di comprenderla appieno.
Le ci vollero minuti interi.
Era perfettamente immobile, ghiacciata nella sua posizione, col braccio teso, ma dentro di lei i sentimenti si scatenavano con la forza prorompente di una tempesta.
Dolore, gioia, paura, rabbia, incomprensione.
C’era tutto, ogni nuova emozione esplodeva cancellando la precedente, senza darle il tempo di pensare, di soffermarsi su un sentimento il tempo necessario per comprenderlo.
L’ombra aspettò ancora, educatamente.
Entrambe le figure apparivano cristallizzate, impassibili, indifferenti al tempo, alle parole.
Sembravano non esserci cuori a battere, polmoni a respirare.
Solo dagli occhi si intuiva la devastante, inclemente forza della passione scatenata da quell’incontro.
Dagli occhi della ragazza, per lo meno.
L’ombra era prima di forma, priva di lineamenti, sebbene al tempo stesso li contenesse tutti.
Era semplicemente buio, era semplicemente vuoto.
Uno squarcio stesso nella sostanza di cui era formato il mondo.
La donna lentamente ritirò il braccio, come intuendo che la luce avrebbe spezzato quell’atmosfera trasparente che si era creata.
Inoltre, i suoi occhi non erano pronti a vedersi rivelare lui.
Il suo gesto era un movimento che le proveniva dall’inconscio, un procedimento di auto protezione, senza contare l’istinto, la memoria della sua fuga dalla luce. Il ricordo della sua predilezione a rimanere confuso nelle tenebre.
L’ombra chinò discretamente il capo, un piccolo segno di ringraziamento.
La donna si passò una mano tra i capelli lavati di fresco, tirandoli indietro.
"Cosa ci fai tu qui?"
La sua voce era priva di qualunque emozione. Una voce atona, inflessibile.
Ma l’ombra sembrò tremare nell’udire il suo suono.
"Scusami, so che avevo promesso, ma era necessario".
Non era esattamente chiaro da dove venissero quelle parole, il punto da cui arrivasse la sua voce, dato che non aveva bocca.
Ma a un tratto erano lì, nella stanza, come prodotte dall’aria stessa, una voce bassa, morbida come una leggera carezza sulla guancia.
Una voce maschile, pulita, eppure ricca quanto lo può essere una sinfonia per orchestra, o un paesaggio incontaminato in cui si sentono gli uccelli, l’acqua che scorre e l’aria che fruscia tra le foglie.
Alla donna si riempirono di lacrime gli occhi.
Il suo collo si tese tremante come a ricevere quella carezza.
Per un attimo sembrò combattuta tra l’evidente frustrazione alla comparsa di quelle piccole gocce o il lasciarcisi andare, abbandonarsi alle proprie emozioni forti e crescenti.
Ma alla fine riuscì a controllarsi.
"Ricordo bene la tua promessa", disse amaramente.
Anche l’ombra sembrava sforzarsi per la sua impassibilità, ma ci riusciva meglio di lei.
"Sai che era l’unica cosa da fare"
Disse, senza incertezze.
E di nuovo quella musica riempì l’ambiente, riempì ogni minuscolo spazio di quella stanza.
Ogni cosa si caricò di quella bellezza incomparabile.
L’espressione della ragazza si frantumò gradualmente, ma in un momento, al pari di uno specchio colpito al centro che, come con un motivo a onda, si infrange in tanti pezzi su tutta la superficie.
"Oh, al Diavolo!" esclamò in fine con voce spezzata, impregnata di dolore.
Si lasciò cadere in ginocchio mentre si copriva la bocca con entrambe le mani per trattenere un urlo, uno sfogo a tutto quello che sentiva e che non riusciva a controllare.
L’indifferenza tanto saldamente costruita a allenata dell’ombra si disintegrò nell’istante stesso in cui le ginocchia della donna picchiarono per terra.
La frazione di secondo che servì al rumore per raggiungere orecchio umano venne attraversata dall’essere, che comparse al fianco di lei. Il corpo di quest’ultima pareva scosso da tremiti e convulsioni immani, i singhiozzi le scuotevano il petto, il viso era rosso, contratto nello sforzo di cercare di respirare, le spalle sussultavano come quelle di una piccola creatura agonizzante.
L’ombra non aveva forma, era semplicemente dappertutto, avvolgeva ogni piccola membra della ragazza con forza comparabile solo alla premurosa tenerezza nel non danneggiarla.
Il suo corpo avvinto a quello della giovane era immobile, non emetteva alcun suono.
Eppure la quantità di puro dolore che sprigionava era mille volte più impressionante di quello dell’altra.
Restarono così il tempo di un battito di cuore, o forse il tempo di un’eternità, e quando alla fine lei si calmò l’ombra non si mosse dal suo fianco, ritirandosi solo un po’ di più in sé stessa.
"Guarda" disse con la voce ancora intrisa di lacrime, "guarda quello che mi fai fare".
E l’ombra senza occhi guardò, e quello che vide lo sconvolse come un sentimento preso a sé stesso non avrebbe mai potuto fare.
"Perché mi fai questo?"
La voce di lei era un sussurro, forse appena un respiro formulato tra due labbra che si muovono. Ma lui lo sentì. Anche se non rispose, perché lei continuò.
"Hai preso il mio cuore, hai preso la mia anima, hai preso la mia vita e tutti i sogni che io avessi mai avuto. E io te li ho donati con il sorriso sulle labbra, non potendo credere alla felicità che vedere te felice poteva darmi.
Mi hai aiutata, mi hai protetta.
Io ti ho dato tutto quello che a te mancava.
Tu non esistevi, non davvero, fino a quando io sono arrivata.
O almeno. Questo era quello che mi dicevi, e io riuscivo a capirlo benissimo dato che era quello che sentivo io".
La sua voce scemò nel pianto. Questo lungo discorso sembrava aver consumato ogni goccia del suo essere.
L’ombra la abbracciò di nuovo, e di nuovo tutto in lui era tristezza, era dolore, e voleva dire qualcosa, ma lei non aveva finito.
"La mia vita era niente, niente , prima che arrivassi tu.
Ero sola. Una bambina senza madre ne padre, senza posto dove andare.
Ti ricordi quella notte in cui mi hai trovata?
Io me la ricordo. Tutti i giorni.
Quei quattro animali mi avevano quasi uccisa, stavo morendo, là, con le loro risate nelle orecchie, e cento lame velenose che mi stritolavano dentro. E poi… sei arrivato tu.
Un’ombra, nient’altro.
Li hai uccisi vero? Ci sono arrivata solo quando te ne sei andato.
Ma dovevo pensarci prima. Tu sei un assassino dopotutto.
Ma non mi importava, non mi importa adesso.
Non mi è mai importato, lo sai.
Tutto quello che conta è che mi hai abbracciata, esattamente come hai fatto un minuto fa, e non mi hai lasciata morire.
Sei diventati il mondo intero per me.
Eri il mio presente, il mio passato.
Ma, più importante, eri il mio futuro.
L’unico che io abbia mai avuto. L’unico che io volessi, in ogni caso.
Quei cinque anni insieme, sono stati l’unica cosa che io ricordo, l’unica cosa a cui penso, l’unica cosa che per me sia mai importata qualcosa.
Ma quello che importava..
È che tu dicevi la stessa cosa.
Mi raccontavi della tua intera esistenza, dei tuoi migliaia e migliaia anni di vita.
Di tutte le perone che eri stato costretto a uccidere, di tutti i mondi che avevi fatto esplodere.
E dicevi che non eri nato che nel momento in cui i tuoi occhi…."
La sua voce si spezzò, "mi avevano guardata." Concluse in un soffio.
L’ombra stette in silenzio, guardandola con un intensità totalmente sconosciuta, totalmente estranea agli umani.
Eppure per lei era più famigliare del suo stesso sguardo nello specchio.
"Io so che tu mi amavi…"
Disse. E stavolta la sua voce era alta, decisa.
"E allora perché mi hai lasciata?"
"Lo sai perché". Disse lui istantaneamente.
Ma lei scosse la testa.
"No.. cosa importava che i tuoi nemici ti avessero scoperto? Che il tuo vecchio padrone ti rivolesse? Cosa importava se io ero in pericolo al tuo fianco?
Ero al tuo fianco. E basta.
Tu mi avresti protetta. E anche se fossi morta… morire, vivere, qual è la differenza in fondo?
Credi sul serio che vivere senza di te sia diverso dal morire ogni giorno? Credi questo?
Rispondimi ti prego."
Ma lui non poteva farlo.
Perché non riusciva a parlare.
Lui, l’ombra, l’essere immortale, il distruttore di mondi, di universi…
Davanti alle parole di quella donna era debole come un bambino.
"Per favore, non parlare così"
Disse con una nota di tristezza in più nella voce.
"Ti prego, non farmi stare peggio di quanto io già stia.
So di averti fatta soffrire. Lo so. E muoio di questo.
Ma la mia scelta non cambia. Preferisco vederti viva su questo mondo, seppur lontana da me.
Preferisco stare male, mille volte il male che provi tu. Perché io lo posso provare in una mente mille volte superiore alla tua.
Ma preferisco farlo.
Pensarti morta.
Pensarti senza più la capacità di pensare, di amare, di fare ogni cosa con una passione singolarmente presente in te…
Io non posso farlo,
dici che avresti preferito essere in pericolo per stare con me, ma io non posso essere tanto egoista da accontentarti.
Io ti amo.
Con ogni mia sfaccettatura dell’essere, con ogni parte dei miei cuori, delle mie menti… io ti amo."
E nessuno, nessuno al mondo, nessuno al di fuori, avrebbe potuto dubitare di quelle parole.
Perché loro stesse vibravano di sincerità, ne erano l’anima pulsante.
La donna chiuse gli occhi, sul suo volto era scolpita un’aura di pura serenità, pure gioia.
L’ombra non poté impedirsi di ammirarla, incantato.
Tutto in lui palpitava a quella vista.
Il viso disteso di lei era il cielo d’estate. Era aria pulita, era luce, era vita, si, era l’ossigeno che gli permetteva di esistere.
Restò così, provando l’irragionevole meraviglia di un bimbo che vede l’arcobaleno per la prima volta, e lei non aveva fretta.
Si stava gustando la sua voce, la sue evidente sincerità, il suono di quelle parole.
Si faceva cullare dal loro significato.
Quando la donna riaprì gli occhi non c’era che pura luminosità in essi.
"Forse ne è valsa la pena dopotutto" disse.
"Forse tutta la gioia, tutto il dolore della mia insignificante vita ci sono stati solo per portarmi a questo, a capire questo.
Qui, in questo momento, stretta a te, a te che sei il mio tutto, il mio ogni cosa, a te, te che dici di amarmi…
Solo ora capisco cos’è la più completa e perfetta pace.
No, non pace, è troppo poco.
Felicità.
Cosa me ne faccio della pace? Io non voglio pace per me.
Voglio solo questo.
So che ne sei capace; allora ferma il tempo.
Ferma questo mondo, ferma ogni essere che vi respira.
Per me, ti prego, fammi restare così per sempre".
Ma, mentre rifletteva su quella proposta così totalmente egoistica un amaro sorriso le si dipinse sulle labbra.
"Ma non lo farai, vero?
E non per la Terra , o per i suoi abitanti, cosa sono loro per te, distruttore di mondi?
Ma proprio per me.
Perché sarebbe come uccidermi".
L’ombra annuì, abbracciandola solo più forte.
Ma il viso della donna perse all’improvviso tutta la sua serenità, si increspò di nuovo nel pianto, nell’angoscia.
"Ma non capisci?!" quasi gridò, in un misto di lacrime e rabbia impotente.
"Tornando qui mi hai già ucciso!"
Questo catturò ancora di più l’attenzione dell’ombra, la sua complessa, superiore mente vagliò all’istante il centinaio di ipotesi che gli si affacciarono in essa.
"Non capisco"
Ammise alle fine, e ne appariva davvero sconcertato.
Lei quasi sorrise al suo tono, pur in mezzo alla disperazione in cui annegava.
"Sono sopravvissuta alla tua partenza, non puoi chiedermi di rifarlo", concluse con triste semplicità.
"Oh" espirò lui, non aggiungendo nient’altro.
Restarono a guardarsi per quello che sembrò un altro minuto eterno.
"Lascia almeno che riveda il tuo volto, prima di morire"
Sussurrò lei alla fine, in un tono da preghiera.
Voleva rivedere la maschera umana che aveva indossato lui per anni, mentre stava con lei.
La maschera che lei aveva preso come modello da amare.
Quegli occhi talmente chiari da sembrare vuoti, all’apparenza, ma così pieni di cose.
Pieni di interi universi.
Ma la sua richiesta lo fece rianimare.
"Smettila di parlare di morire" sibilò con voce dura, imperativa.
"Mi uccidi" aggiunse poi, debolmente.
Ma lei non si fece intenerire.
"E allora?" esclamò.
"Io muoio, mi vedi!? Muoio!
Sono già morta una volta, quando tu mi hai lasciata.
Si forse il mio corpo è sopravvissuto, ma la mia anima, il mio cuore…
Spariti, distrutti.
Ora li hai resuscitati ricomparendo così, ma moriranno di nuovo, ora che te ne andrai.
E non dubitare, stavolta il mio corpo le seguirà, perché sarò io a far si che succeda!
Io, io! Hai capito?"
Le sue parole si infransero in singhiozzi di nuovo.
Lui le se fece vicino per riprenderla nella sua stretta, ma lei lo spinse via rudemente.
"Basta! Basta! Non capisci che non riesco a sopportarlo?!"
Si rannicchiò su se stessa, dando sfogo senza freni alla sua disperazione implacabile.
E lui stette lì, impotente, a guardarla distruggersi e a sentire se stesso fare ugualmente nel vedere lei così, sapendo in più che la colpa era solo sua.
Avrebbe voluto accogliere tutto quel male in se stesso, per toglierlo da lei, per lasciarla respirare di nuovo.
Si sarebbe lasciato torturare da esso, annientare, prima di vederlo ancora su di lei.
Ma non era in suo potere farlo.
Al Diavolo i suoi poteri! Al Diavolo la sua forza e la sua intelligenza, non servivano a nulla adesso.
L’ombra non poté fermarsi, e non cercò nemmeno di farlo.
Allungò una mano, o almeno, allungò qualcosa che poteva ricordare ciò e le accarezzò i capelli.
La donna al suo tocco si lanciò su di lui, aggrappandovisi come se fosse l’unica cosa salda in mezzo a un tifone.
Si strinse a quel corpo impalpabile ma solido come la pietra e non pensò a nient’altro.
Lui la lasciò calmare, carezzandola teneramente.
"Non mi hai detto perché sei tornato"
Mormorò lei alla fine, il viso schiacciato nel buio.
Lui lasciò passare qualche minuto.
"Sei in pericolo" disse alla fine.
La sentì stringersi ancora di più a lui.
Sapeva che non poteva non credergli, sapeva che, se lui aveva deciso di rivederla, se l’aveva esposta a quel dolore, il pericolo doveva essere tangibile, reale.
L’ombra senza labbra le baciò i capelli.
"Perdonami"
Disse.
 
 
 
 
____Fine____
 
 
 
 
 
Il personaggio di Silver Surfer mi ha sempre affascinato all’inverosimile, per questo motivo l’ho estrapolato dal contesto del film per creare intorno a lui una storia autonoma.
Purtroppo nel farlo l’ho modificato al punto quasi di stravolgere le sue caratteristiche basilari, e sono stata molto indecisa se pubblicare in questa sezioni o negli originali.
Spero di avere fatto la scelta giusta e anche che la trama si capisca comunque abbastanza.
Se avete bisogno di chiarimenti sono a vostra disposizione, ovviamente!
Grazie a tutti,
_Ala_
   
 
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