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Autore: AlienorJ    05/06/2016    2 recensioni
Giappone, presente. Hikari Tanaka è una ragazza comune alle prese con la difficile scelta di cosa vuole fare del suo futuro. Suo padre, un medico rispettato, vorrebbe che seguisse le sue orme e frequentasse medicina all'università, suo nonno invece vorrebbe che si decidesse ad accettare la proposta di Kenui,un suo compagno di scuola, di sposarlo. Hikaru, dal canto suo, vorrebbe solo girare il mondo. Una sera, sfuggita di nuovo all'appiccicosa presenza di Kenui, trova rifugio in un vecchio tempio shintoista, apparentemente disabitato.
Mentre si aggira tra i vecchi edifici, una luce attira la sua attenzione verso un capanno. All'interno, Hikari trova un vecchissimo pozzo, proprio all'interno del quale scopre un bagliore. Attirata inspiegabilmente verso l'orlo del pozzo, non appena lo raggiunge viene colpita da una forza incredibile.
Da allora, la sua vita cambierà per sempre. Soprattutto dopo l'incontro con un affascinante mezzo-demone alla ricerca della spada di suo padre, la mitica Tessaiga.
Una storia ambientata diversi anni dopo il lieto fine di Kagome e Inuyasha e che vedrà stavolta al centro della scena i loro eredi.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Se continuava così sarebbe impazzita presto. Quella fastidiosissima sensazione che provava quando stava distante da Keiichi non l’aveva abbandonata un solo istante per tutta la notte. Come avrebbe mai potuto a proteggerlo se lui spariva in quel modo? Che gli fosse successo qualcosa?
Forse a lui poteva non importare se le capitava qualcosa, cosa sulla quale non aveva alcun dubbio ormai, ma Hikari non ci teneva proprio a cominciare il dialogo successivo con Kagome con “Tutto bene! Ah, e sai tuo figlio? Niente, non ce l’ho fatta! Mi dispiace”. No, non ci teneva proprio.
Si era rigirata in quella specie di materassino stra-scomodo per tutta la notte. Per non parlare del freddo che l’aveva fatta rabbrividire come una foglia. Come facevano a vivere con tutti quegli spifferi? Le mancavano le comodità del suo secolo. Cosa non avrebbe dato per un bel letto comodo con un caldo piumone in quel momento!
Invece se ne stava a rabbrividire, avvolta in una coperta troppo leggera per scaldarla, cercando di resistere all’impulso di andare a cercare Keiichi. Così aveva deciso di uscire dal regno dello spiffero per andare da Izumi. Si erano messe d’accordo per vedersi il mattino presto, così Izumi le avrebbe dato dei vestiti adatti a quell’epoca.
Non che Hikari smaniasse all’idea di indossare un vecchio kimono, ma se non altro avrebbe avuto qualcos’altro a cui pensare. Sarebbe arrivata un po’ in anticipo ma pazienza. Avrebbe finalmente conosciuto i famosi gemelli.
Chissà cosa poteva aspettarsi? Due brontoloni attaccabrighe come Keiichi o invece due vivaci e dolci birbe come Izumi? O forse qualcosa di ancora diverso?
“Sei in anticipo!”
Hikari si voltò, incrociando così lo sguardo gioviale di Shippo.
“Shippo!” lo salutò contenta “Stai andando anche tu da Izumi?”
“Sì!” rispose “Dobbiamo cominciare a programmare la partenza”.
“Ma scusa” gli chiese curiosa “Tu non vivi con Izumi?”.
Shippo divenne tutto rosso e la guardò stupefatto, “Cosa? No! No! Ma cosa dici! Io e Izumi non siamo mica sposati!”
“Oh!” disse Hikari, non del tutto convinta, “Pensavo che formaste una vera e propria coppia, che steste insieme”, cercò di spiegarsi meglio Hikari.
“Beh, sì è cosi” rispose impacciato Shippo, tormentandosi i capelli “ma fammi capire, nella tua epoca le persone vivono insieme anche se non sono sposate?”.
“In effetti, sì!” ammise Hikari “Non tutti vogliono sposarsi, alcuni semplicemente decidono di convivere e basta. Altri ancora vivono insieme per un po’ e si sposano poi più avanti, quando sono davvero convinti”.
“Convinti?” chiese ancora Shippo “E di cosa?”.
“Di aver scelto la persona giusta”.
Shippo assunse un’espressione pensierosa davvero buffa, che fece sorridere Hikari.
“Ci vuole così tanto a capirlo?” chiese allora “Se è quella giusta dovrebbe essere facile riconoscerla”.
“Non sempre, credo” rispose titubante Hikari “Purtroppo non so risponderti. Le uniche persone davvero innamorate che ho conosciuto erano i miei genitori. Papà dice sempre che aveva capito che mia madre era quella giusta appena l’aveva vista. Si conoscevano da neanche un anno quando si sono sposati”.
“Io invece ho visto anche un amore tormentato, quello tra Inuyasha e Kagome” raccontò “Era evidente per tutti ciò che provavano, ma la loro missione, il passato e l’indecisione di Inuyasha…sembrava che il destino si accanisse per separarli. Alla fine, hanno avuto una possibilità perché Kagome non si è mai arresa”.
Doveva essere davvero orribile restare al fianco di qualcuno che si ama senza poter mai cedere, senza poter neanche sperare. Stare insieme eppure non esserlo mai. Kagome doveva aver avuto un cuore davvero grande e una forza di volontà impareggiabile per sopportare tutto ciò che aveva vissuto nell’epoca Sengoku.
“E tu?” chiese Shippo con un sorriso malizioso.
“Io cosa?” chiese.
“Izumi mi ha detto che hai uno spasimante piuttosto deciso nella tua epoca” la stuzzicò “Sicura che non ci sia qualcosa tra voi?”.
“Kenui?! Ma cosa dici!? Assolutamente no!” rispose scontrosa, guardandolo male.
Shippo rise di gusto. Izumi aveva davvero la bocca larga…Hikari doveva ricordarsi di dirgliene quattro! Se Shippo avesse spifferato a Keiichi qualcosa riguardo alla bugia che avevano raccontato a Kenui per sbarazzarsi di lui, si sarebbe davvero infuriato e dal momento che già la sopportava a malapena, non sarebbe stata una grande idea provocarlo ulteriormente.
“Credi che Keiichi sarà tornato a casa?” Hikari non riusciva a smettere di preoccuparsi. Anche se Shippo era una piacevole distrazione, con la sua allegria, i suoi pensieri tornavano irrimediabilmente a convergere sul mezzo-demone. Era davvero snervante, se non addirittura umiliante.
“Immaginavo che ti aggirassi sconsolata per i boschi a causa sua”, ammise Shippo.
“Non sono sconsolata!” si offese Hikari “Immagino di poterne parlare con te. È strano: da quando è iniziata tutta questa storia è come se non fossi più me stessa. Provo cose che normalmente non proverei, come questa costante preoccupazione per il benessere di Keiichi. Anche se so che può cavarsela benissimo da solo, e anche se lo conosco appena, non posso farne a meno. Sento che dovrei stargli vicino; anche se lui mi disprezza e non si fida di me, sento di doverlo proteggere. Anche ciò che faccio è ormai privo di senso per me. Mi sono buttata contro una freccia per proteggere un ragazzo che fino a un attimo prima mi stava aggredendo, solo perché ho reagito a un impulso che anche mentre lo seguivo non capivo. È come se non avessi più una volontà mia. E odio tutto questo. Odio desiderare di stare vicino a qualcuno che mi odia”.
“Credo che tu sbagli innanzitutto nel credere una cosa” intervenne serenamente Shippo “Dubito fortemente che Keiichi ti odi. Sicuramente non si fida di te, ma lui non si fida di nessuno, al di fuori di sé stesso”.
Hikari dubitava delle parole di Shippo. Era convinta che, se solo avesse potuto, Keiichi l’avrebbe risbattuta nel pozzo dal quale era arrivata sperando di non incontrarla mai più.
“E riguardo alla tua mente confusa” continuò il demone “credo che l’unica che potrà svelare qualche mistero sarà Kagome. Quando mi disse che un giorno sarebbe venuto qualcuno a cercarmi, mi disse che avrei dovuto fidarmi, perché dentro di sé quella persona avrebbe avuto qualcosa in grado di proteggerci tutti. Qualunque cosa ti muova, Kagome si fida di te, quindi dovresti fidarti anche tu”.
“A sentire Kagome e anche voi, io dovrei fidarmi del mondo”, si lamentò Hikari.
“La fiducia è qualcosa di molto importante” la consolò Shippo “E poi se non la concedi, finirai per diventare simpatica come Keiichi”.
“Dio me ne scampi!” rispose ridendo Hikari.
Davanti a loro, ecco comparire una casa, un po’ discostata dal villaggio, all’ombra del bosco. Dovevano essere arrivati. E le urla che giungevano dall’interno lo confermavano. Izumi comparve davanti alla porta, il volto sopraffatto dalla stanchezza che si rasserenò almeno un pochino quando la raggiunsero.
“Buongiorno, Hikari!” la salutò con un sorriso stanco.
“Non sono l’unica a non aver dormito molto allora”.
Izumi sbuffò, “la mia è i gemelli, e la tua scusa qual è?”.
“Troppi pensieri, ma soprattutto il freddo”.
“Oh, mi dispiace!” le disse sinceramente dispiaciuta.
Improvvisamente un urlo proruppe dalla casa. Un bambino che piangeva. Izumi imprecò a denti stretti, “Io lo ammazzo Keiichi! Lui se ne va tranquillo e sereno e tocca a me badare alle pesti!”.
Quindi Keiichi non era ancora tornato.
“Tornerà presto!”, la rassicurò Shippo, entrando in casa, accolto da urla di giubilo.
“Già” rispose Izumi alla porta aperta “e questa volta lo ammazzo davvero!”.
Shippo uscì, seguito subito da due bellissimi bambini dai capelli scurissimi e gli occhi nocciola. Il bambino era paffutello e con lo sguardo curioso e sensibile, oscurato dalle lacrime, mentre la sorellina lo guardava corrucciata, lo sguardo sveglio e risentito.
“Zio Shippo” si lamentava la bimba “Yoshito mi ha tirato i capelli!”.
“Perché lei mi ha detto che sono una pappamolle! Che piango sempre come una mammoletta e che papà si vergognerebbe di me!”.
“Yosuke!” la rimproverò Izumi “Sai che non devi dire cose del genere a tuo fratello!”.
“Stai zitta, Izumi!” la rimbeccò la bimba con uno sguardo combattivo “Tu lo dici sempre a Keiichi quando litigate per zio Shippo!”.
Certo che quella bambina aveva un bel caratterino! Shippo era diventato rosso come un peperone, così come anche Izumi anche se lei sembrava davvero pronta a esplodere di rabbia.
“Piccola peste…” ma Yosuke ormai non la ascoltava più. Lei e il gemello erano completamente concentrati sulla nuova venuta e guardavano Hikari come fosse stata un cono gelato con un nuovo gusto stuzzicante. Facevano un po’ paura.
Completamente dimentichi dei loro bisticci, le si avvicinarono, studiandola incuriositi.
“Chi sei?” “Da dove vieni?” “Perché sei vestita così strana?” “Sei un’altra fidanzata di Shippo?” e qui Izumi urlò di protesta.
“Izumi…” sussurrò Hikari sopraffatta “…aiuto”.
“Basta!” li rimproverò Izumi “Lei è Hikari e dovete essere gentili con lei! Viene da dove veniva mamma ed è qui per aiutarci, quindi fate i bravi, mostricciattoli!”.
Yosuke e Yoshito si guardarono complici, “Deve essere l’umana rompiscatole di cui ha parlato il fratellone!” disse Yosuke.
Umana rompiscatole?! Che razza di farabutto!! E lei che si era preoccupata per lui tutta la notte. Poteva anche perdersi nel bosco! Non avrebbe più perso un solo secondo di sonno per quella specie di mastino insopportabile.
“Credo di sì…” concesse il piccolo Yoshito “Però non sembra così antipatica!”.
“Grazie!” gli sorrise Hikari.
“Vedremo…” disse invece Yosuke, studiandola con attenzione.
Chissà da chi aveva preso la monella, si chiese Hikari sarcasticamente. Avrebbe voluto rispondere, ma una strana sensazione la gelò sul luogo. Era come sentirsi un peso incredibile sul petto, come se qualcuno cercasse di schiacciarla a terra e farla sprofondare nel terreno. Sentiva la testa pesante ed era come se volesse esplodere.
Izumi, che doveva aver percepito un cambiamento in Hikari, la guardò preoccupata, “Hikari? Tutto bene?”.
Dobbiamo scappare!
Quell’unico pensiero si insinuò nella sua mente con una chiarezza disarmante. Era l’unica cosa che le pareva avere senso in quel momento. Un imperativo vitale che si imponeva su qualunque altra cosa. Dovevano andarsene. Erano in pericolo.
Keiichi…” sussurrò tenendosi la testa tra le mani, sopraffatta da quella sensazione sgradevole “…sta’ lontano da qui…”.
A quel punto anche Shippo e Izumi si misero sull’attenti, guardandosi attorno circospetti.
“Demoni” sussurrò Izumi.
Demoni?, non poteva dire sul serio. Di nuovo?
“Izumi” disse Shippo, diventato serio e assumendo un’espressione decisa “porta via Hikari e i gemelli”.
“Scordatelo!” rispose la ragazza, con una velocità impressionante e grande efficienza recuperò l’arco e lo impugnò “Non ti lascio qui da solo”.
“E chi si occuperà dei gemelli?” la rimproverò Shippo.
“Ci penserò io” Hikari non sapeva da dove le arrivasse tutta quella sicurezza. In realtà, era terrorizzata, eppure riusciva ad apparire perfettamente tranquilla ed era allo stesso tempo anche convinta di poter proteggere i gemelli.
Shippo la guardò indeciso, “Sei sicura?”.
“Fidati di me”.
“Corri nella foresta!” disse Izumi, porgendole una spada, che comunque Hikari non avrebbe saputo come usare “Nascondetevi più a lungo che potete. Se non vi troveremo noi, vi troverà Keiichi”.
Hikari strinse la spada, quel pezzo di ferro così inutile nelle sue mani. Non poteva aiutare Shippo e Izumi, ma poteva comunque portare lontano i bambini e in caso proteggerli. Avrebbe fatto ciò che poteva.
Improvvisamente dalla terra uscirono tre figure. Erano tre uomini, con gli occhi roventi e le orecchie appuntite come quelle di Shippo.
“Ci avete percepito, finalmente” disse quello al centro “ce ne avete messo di tempo! Eravamo abbastanza stufi di controllarvi e basta”.
“Andatevene!” disse Shippo tra i denti, la voce minacciosa e il volto trasfigurato. In quel momento, faceva quasi paura. Anzi, molta paura. Shippo solitamente era così gentile e bonario da far dimenticare quale fosse la sua vera natura, ma in quel momento nessuno poteva avere alcun dubbio riguardo a quale fosse. Shippo era un demone.
“Tranquillo, volpino!” ripeté sempre lo stesso uomo. Aveva un aspetto bizzarro. I suoi capelli erano neri come l’inchiostro ma sembravano scintillare, come se avessero dei brillanti incastrati tra di loro. Gli occhi erano di un rosso cupo e profondo e su metà del viso aveva una runa violacea che ricordava vagamente una fiamma. Gli altri due non erano certo da meno. Uno aveva dei capelli corti e blu scuro, vestiva un kimono nero con ricamate delle folgori rosse, e l’altro invece aveva una benda nera che gli copriva gli occhi e un tatuaggio stranissimo sulla fronte. Simile a quello che aveva l’uomo che aveva parlato.
“Non ci interessano le vostre stupide vite” continuò l’uomo “Se ci darete ciò che vogliamo, ce ne andremo”.
Shippo non attese oltre, “Fuoco di volpe!” e scagliò contro di loro un fuoco verde potentissimo “Vai, Hikari!”.
Hikari prese per mano i due gemelli e cominciò a correre, guidandoli nel bosco. Correva più veloce che poteva con i due bambini che dovevano tenere il passo. Corse e non si fermò mai. Sentiva Izumi e Shippo combattere alle sue spalle, e l’unica cosa che riusciva a pensare era che non era ancora lontana abbastanza. Doveva proseguire e trovare un luogo sicuro per Yoshito e Yosuke.
 
Non avvertiva più alcun rumore. Il bosco li avvolgeva. I gemelli ansimavano, stanchi, così Hikari si fermò. C’era un roveto abbastanza ampio, proprio ai piedi di una ragnatela di radici di un albero imponente. Un buon posto dove nascondersi. Vi spinse all’interno i gemelli e finalmente si concesse un momento per rilassare i muscoli e la mente.
Chissà come stavano Izumi e Shippo. Se ne era andata senza dire una parola, proprio come le avevano detto, e non si era concessa di preoccuparsi per loro. Almeno fino a quel momento. Sarebbe voluta tornare indietro, per controllare o aiutarli, ma doveva proteggere i gemelli. Izumi li aveva affidati a lei. Non poteva far altro che fidarsi di loro e spettare che fossero loro o Keiichi a trovarli e riportarli a casa. Anche perché, a quel punto, correndo così alla cieca, Hikari non aveva la più pallida idea di dove fossero, né avrebbe saputo come tornare a casa di Izumi e Keiichi.
Era davvero nei guai. In cosa era andata a cacciarsi? Perché proprio lei? In quel momento poteva essere a casa a guardarsi una puntata in streaming del suo anime preferito, oppure a mangiare un gelato con le sue amiche in centro. Invece era nascosta in un roveto, torturata da mille aghi che si infilavano nei suoi vestiti, stanca per una notte insonne e a vigilare su una coppia di bambini che la guardavano spaventati.
Era finita in un vero e proprio incubo. Voleva tornare a casa.
“Dove sei?” una voce suadente ruppe il silenzio. Hikari si congelò all’istante. Era l’uomo che aveva parlato davanti alla casa. Come poteva essere lì? Che Shippo e Izumi…
No! Non può essere!
Yosuke e Yoshito la guardavano più terrorizzati che mai.
“Avanti, Custode!” continuava il demone “So che sei qui vicina! Sento il tuo odore. L’ho sentito dal momento in cui hai varcato il passaggio del pozzo. Ho percepito il tuo odore speciale dal momento in cui sei arrivata nel nostro mondo. L’odore della Spada del Regno degli Uomini. L’odore della zanna demoniaca Tessaiga”.
Era così che li aveva trovati? Li aveva scovati seguendo il suo odore. Stavano cercando lei. Volevano solo lei.
Cosa doveva fare? Izumi e Shippo chissà dove fossero. Keiichi era scomparso e non poteva fare affidamento su di lui: la odiava, non gli interessava il suo destino e in quel momento certamente la sua preoccupazione sarebbe stata diretta verso la sua famiglia, ovviamente, non verso l’umana rompiscatole che era stato costretto a trascinarsi dietro per una macchinazione di sua madre.
E tuttavia, non aveva importanza. L’unica cosa importante in quel momento era mettere al sicuro i gemelli, e se davvero quei demoni stavano inseguendo lei, era proprio Hikari a metterli in pericolo. Finché fosse rimasta con loro, li avrebbe messi in pericolo. E Keiichi non le lo avrebbe mai perdonato. Ma soprattutto, lei stessa non se lo sarebbe mai perdonato.
“Ascoltate” sussurrò nella maniera più lieve di cui era capace “Voi restate qui, in silenzio, non muovetevi”.
“Cosa vuoi fare?” chiese Yosuke spaventata.
“Non ti devi preoccupare” le rispose cercando di tranquillizzarla “Se resterete buoni e zitti andrà tutto bene. Io li attirerò lontani da voi. Voi aspettate qui in silenzio. I vostri fratelli arriveranno presto a prendervi”.
Yoshito le strinse una mano, terrorizzato.
“Andrà tutto bene” disse, sorridendo ai bambini, cercando di infondere in loro un po’ di fiducia. Una fiducia che in realtà non aveva.
Non era una combattente, non era una sacerdotessa, non aveva alcun potere. Aveva solo una spada che non sapeva usare e la forza della disperazione.
Con ogni probabilità, per lei sarebbe finita molto male. Poteva solo sperare di allontanare il pericolo da due bambini innocenti.
Meglio me, che loro.
Senza aggiungere un’altra parola, uscì dal nascondiglio e si lanciò di corsa in una direzione a caso nel bosco. Non sapeva neppure dove fosse, una direzione sarebbe valsa un’altra. In ogni caso, probabilmente sarebbe morta, in un luogo sconosciuto, da sola.
Il pensiero le gelò il cuore. Non voleva morire così. Nulla le aveva mai fatto più paura di quel pensiero. Eppure era ciò che stava per accadere. La disperazione la travolse. Il terrore le mise le ali ai piedi. Se voleva salvarsi poteva contare solo su di sé.
Sono sola…
“Fuggire è inutile!” qualcosa la colpì con violenza su un fianco, sbalzandola e facendola volare per diversi metri. Sbatté contro qualcosa di ruvido e incredibilmente duro, un tronco probabilmente. La schiena cominciò a bruciare e pulsare, a causa di una grave escoriazione e le sembrava che il corpo fosse pronto a spezzarsi in due, mentre a terra cercava di riprendere fiato e schiarirsi le idee.
Un secondo colpo al ventre, arrivato da chissà dove, la scaraventò ancora più lontano. Non aveva mai subito dei colpi del genere. In realtà, non aveva mai subito colpi da parte di nessuno. Il suo corpo si contraeva dal dolore e la sua mente urlava di paura.
“Credevi di poter scappare?”, il demone era in piedi davanti a lei, la guardava come se fosse stata più insignificante di una formica, “Proprio tu! Una debole e inutile umana”.
Però, pensò Hikari, ad ogni nuova persona che incontro vengo ulteriormente declassata!
“Quando ho avvertito il tuo lezzo pensavo di sbagliarmi” continuò il demone “Ma io non sbaglio mai. Sei tu la Custode, per quanto sia incredibile. La Sacerdotessa era davvero stupida”.
Sacerdotessa? Che parlasse di Kagome?
“Dimmi” disse allora, afferrandola per la felpa e alzandola da terra come se pesasse meno di un grammo, “dov’è Tessaiga? Dammela!”.
“Non…non posso!” cercò di rabbonirlo.
“Hai il suo odore!” le ringhiò in volto “So che ce l’hai tu! Dammela subito!”.
“Io non ce l’ho!” cercava ancora di dire Hikari, ma il demone sembrava non volerla ascoltare. La gettò a terra e le diede un calcio così potente che Hikari pensò si sarebbe spezzata in mille pezzi come un vaso d’argilla.
“Ti prego…basta” sussurrò, gli occhi colmi di lacrime per il dolore.
“Prega quanto vuoi!” rispose il demone “Non ti servirà, finché non mi darai quella spada!”.
Il demone continuava a colpirla e Hikari non aveva la più pallida idea di cosa fare. La sua mente si faceva sempre più confusa, annebbiata. Ogni pensiero svaniva come fumo nel vento. Restava immobile, incapace di reagire, sperando solo che tutto finisse presto. Solo quello voleva, che il dolore finisse presto. Era l’unico pensiero che ancora riusciva a formulare, l’unico a cui la sua mente sembrava ancora in grado di dare un senso. Serrò gli occhi. Voleva solo che finisse. Solo che finisse. Niente più dolore.
E improvvisamente, i colpi cessarono. Un profondo tepore si diffuse nel suo corpo e il dolore cominciò a svanire. Si sentiva come avvolta in una coperta infinita e potente.
Aprì gli occhi. Il demone se ne stava a diversi metri da lei, con uno sguardo carico di rabbia e furore. La guardava come se avrebbe voluta ucciderla, e non aveva dubbi che lo avrebbe fatto davvero. Hikari non aveva mai visto uno sguardo come quello.
“Come hai fatto?” le urlò contro “Come può una debole umana produrre una barriera demoniaca così potente?”.
Una barriera? C’era una barriera? Hikari si guardò attorno e scorse un alone azzurrino e dorato nell’aria, come quella volta quando la freccia diretta contro Keiichi aveva cambiato direzione. Quindi era una barriera? Ed era lei a crearla? Come era possibile?
Il demone estrasse per la prima volta la spada dal fodero e si scagliò contro di lei con una forza sconvolgente. Hikari a mala pena scorse il movimento. Ebbe appena il tempo di pensare che sarebbe morta, ma non avvenne. Il demone si scontrò con la barriera. Si liberò una forza immensa e il demone venne respinto con violenza.
La barriera l’aveva protetta. L’aveva salvata.
E aveva fatto arrabbiare ancora di più il demone.
Lurido rifiuto!”.
I complimenti miglioravano sempre più.
Il demone tentò un altro attacco, ma venne respinto ancora più lontano. Anche Hikari però non stava bene. Il calore che aveva avvertito da quando la barriera si stava riducendo e cominciava a sentirsi piuttosto stanca. Eppure non aveva fatto nulla, non si era più mossa, ma era come se anche solo restare là, accucciata a terra e immobile le costasse tutte le sue forze.
Che fosse proprio a causa della barriera? Se davvero era lei a crearla, poteva avere senso che le costasse fatica tenerla attiva, anche se non aveva la più pallida idea di come facesse nessuna delle due cose.
Quanto avrebbe retto ancora? Si sentiva sempre più stanca, debole. Cosa sarebbe accaduto quando la barriera si fosse dissolta? Non aveva bisogno di immaginare per saperlo: il demone l’avrebbe uccisa, o peggio avrebbe continuato a colpirla cercando di ottenere da lei delle risposte che Hikari non poteva dargli. Non sapeva dove fosse Tessaiga. Non sapeva come trovarla. In realtà, se anche l’avesse vista non l’avrebbe neppure riconosciuta.
Accanto al demone comparve ne comparve un altro. Quello con l’abito rosso che sosteneva il terzo. Erano entrambi ridotti molto male.
“Ketzumi, meglio se ce ne andiamo”, disse al demone che aveva cercato di attaccare Hikari.
Ketzumi la guardò con un odio così profondo da farle tremare le ossa.
“Tornerò”, le disse e velocissimi se ne andarono tutti e tre.
Hikari sospirò esausta.
I gemelli!
Quel pensiero la spaventò ancora di più. Li aveva lasciati da soli, chissà dove. Potevano averli trovati e allora…
Doveva tornare da loro. Attingendo alle sue ultime forze, si alzò. Si guardò attorno alla ricerca di un punto di riferimento, ma non conosceva affatto quel luogo. Ogni albero pareva uguale a quello vicino, e mentre fuggiva non aveva prestato attenzione a dove si stesse dirigendo. Il demone l’aveva raggiunta praticamente subito, non doveva essere poi troppo distante da dove li aveva nascosti.
“Yoshito!” urlò, sperando che i bambini non fossero troppo lontani, e sentissero la sua voce.
“Yosuke!”.
Anche urlare le costava fatica. Svanito ormai il senso di potere e benessere della barriera, il dolore era tornato prepotente e sconvolgente. Il petto sembrava squarciarsi ad ogni respiro, sentiva le gambe tremare, pronte a cedere, e la schiena come se fosse fatta di vetro e fosse ormai incrinata, sul punto di sbriciolarsi. La testa risuonava come un tamburo.
“Yoshito! Yosuke!” chiamò ancora “Dove siete? Rispondete!”.
“Siamo qui!”.
Un gran sollievo la fece sospirare. Stanno bene!
Si trascinò più velocemente possibile verso di loro. Li trovò ancora abbracciati proprio dove li aveva lasciati.
“Siamo rimasti zitti e immobili”, le disse Yosuke.
“Siete stati bravi!” disse Hikari inginocchiandosi accanto a loro e abbracciandoli. Yoshito le si strinse contro, piangendo in silenzio.
“Davvero bravi!”.
Era esausta. Davvero esausta. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Il suo corpo era un ammasso di carne dolorante e informe. La mente era annebbiata. Quel demone l’aveva usata come un sacco da boxe e Hikari si sentiva come un guscio vuoto.
“Bambini” chiese con un soffio di voce “sapete tornare a casa da qui?”.
“Sì” rispose Yosuke decisa.
Hikari non era sicura di essere in grado di tornare a casa di Izumi. Era davvero troppo esausta. E non poteva mandarli da soli. Cosa poteva fare?
Si stava convincendo che poteva farcela, quando una voce li raggiunse.
“Yosuke!” era la voce di Izumi.
“Hikari!” e Shippo.
“Siamo qui!” urlò Hikari con la voce che le restava.
Un tramestio violento si avvicinò a loro, e i due ragazzi comparvero. Shippo si guardava attorno, circospetto. Aveva gli abiti stracciati e un livido su un occhio che già stava diventando blu. Chissà quanti doveva averne lei e che aspetto doveva avere in quel momento.
Izumi si lanciò sui fratelli che la abbracciarono stretta.
“Oh, dei! Grazie” sospirò Izumi.
Era finita. Shippo e Izumi avrebbero pensato ai gemelli. Li avrebbero riportati a casa. Il sollievo la fece rilassare. La tensione si sciolse e rimase solo la stanchezza. Una profonda e benefica stanchezza.
“Hikari…” sentì Shippo che la chiamava, ma non sapeva cosa volesse dirle. Non lo vedeva più, non vedeva né sentiva più nulla. Anche il dolore era scomparso.
Finalmente, era finita. 
   
 
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