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Autore: David89    14/04/2009    1 recensioni
Madeilene era una piccola città della Baviera orientale, dipinta tutt'attorno da montagne e boschi, sperduta e difficile da trovare, se non si era del posto. Il cartello della città era ormai scolorito e sbiadito, come un fiore guardato per troppo tempo, e lasciato in balia dell'inverno. Una piccola via portava alla piazza della città: la fabbrica dei giocattoli, maestosa, con muri possenti e cancelli d'ottone, era ormai lasciata al più solitario abbandono. Il cancello d'ingresso, un tempo bianco, era ormai diventato verdognolo dalla ruggine.
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA CITTA' DEI GIOCATTOLI









Liberamente ispirato al capolavoro di Benoît Sokal, Syberia

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Madeilene







Dal diario di Karen Spall. Pagina quattordici.

... E' incredibile come la fabbrica sia ormai del tutto abbandonata. I pochi abitanti del posto che ho avuto modo di incontrare non mi hanno saputo dire nient'altro ... Sono riuscita a vederla da più vicino entrando da un piccolo varco seminascosto dalla vegetazione (…)
La città di Madeilene è così triste...
Alloggio presso un piccolo albergo. Ci sono solo io, e l'oste, a quanto pare. Ho conosciuto solo lui. Paul si chiama, o forse così si fa chiamare. Non m'ha voluto dire niente riguardo la fabbrica dei giocattoli. Quando gli ho chiesto del proprietario, il signor Halberg, sul suo viso sono scese le tenebre. Devo capire meglio cos'è successo. Domani parlerò con il sindaco. Ho preso appuntamento al telefono. Spero che si ricordi di me.
(…)


L'arrivo di una giornalista americana era stato preannunciato da Oscar, il piccolo giocattolo parlante che fungeva da strillone.
Pioveva a Madeilene, di una strana pioggia scura, quasi cenere, mischiata con gocce d'acqua grigie.
Tutta la città era immersa in un silenzio tombale; l'inverno era alle porte.
Gli alberi erano spogli di vita, e le strade deserte.
Madeilene era una piccola città della Baviera orientale, dipinta tutt'attorno da montagne e boschi, sperduta e difficile da trovare, se non si era del posto. Il cartello della città era ormai scolorito e sbiadito, come un fiore guardato per troppo tempo, e lasciato in balia dell'inverno. Una piccola via portava alla piazza della città: la fabbrica dei giocattoli, maestosa, con muri possenti e cancelli d'ottone, era ormai lasciata al più solitario abbandono. Il cancello d'ingresso, un tempo bianco, era ormai diventato verdognolo dalla ruggine. Due soldatini d'ottone regolavano con una serie di ingranaggi, l'apertura della fabbrica. Due chiavi d'oro, inserite all'interno delle due bocche, avrebbero aperto l'ingresso, dando la possibilità a chiunque di entrare ed ammirare la splendida aquila che troneggiava davanti al possente portone della fabbrica. Ma del rapace non rimaneva che uno stampo nero, coperto forse dalla fuliggine, e mai più pulito; dei soldati invece, il tempo e la non più manutenzione avevano bloccato gli ingranaggi, e una delle due bocche sembrava non più funzionare.
Il ciottolato che conduceva fin alla fabbrica era ormai ricoperto di foglie secche ed erbacce che spuntavano dagli interstizi delle pietre. I cespugli, prima rigogliosi e aventi sembianze di animali esotici, erano solo dei cumuli di rami secchi, senza alcuna acqua che potesse tramite le radici degli arbusti ridar loro vita.
Le poche case situate dirimpetto alla fabbrica erano lunghe e slanciate, di un tocco Liberty, con i muri di solido mattone rosso spento, i tetti di rame, e le finestre dalle più molteplici forme. Erano tutte una affiancata all'altra, e in molte si potevano leggere parecchie insegne come “Pasticceria”, “Panificio”, “Fabbro”. In altre, quelle più lasciate all'abbandono, avevano un cartello affisso all'entrata con scritto “Vendesi”.
Nessuna luce proveniva dalle finestre delle case. La pioggia era l'unica a stroncare quel silenzio che regnava sovrano in tutta la città di Madeilene.
Anche l'albergo dove alloggiava Karen era stranamente immerso nell'oscurità. Due sole le luci che fioche davano un qualche segno di vita attraverso i vetri spessi e colorati dell'edificio: al secondo piano, in una stanzetta piccola e fatta di legno, la camera di Karen; la hall, dove un vecchio uomo, Paul, così si era presentato alla giornalista, era ritto davanti al bancone, a controllar prenotazioni su un libro dalle pagine bianche e sgualcite. L'unica cliente era proprio l'americana, e forse era l'unica da chissà quanti anni.

La sera era giunta quasi subito nella piccola città di Madeilene. La pioggia continuava inesorabilmente a scendere, senza sosta, allargando le pozzanghere che si erano formate lungo la strada che portava alla fabbrica. Il cielo era sempre più cupo e grigio.
Karen era scesa lungo le scale che conducevano all'ingresso. Subito a destra il bancone, con dietro un enorme scaffale pieno di chiavi. Ora di cena; forse Paul le avrebbe preparato qualcosa da mangiare.
«Ehm... Chiedo scusa...» Karen si era leggermente protesa verso il bancone. Paul sembrava assorto nei suoi pensieri.
«Si? Cosa succede?» sembrava quasi essersi svegliato «Ah, è lei signorina Spall... In cosa posso esserle utile?»
«Forse l'ora non è delle più felici, ma sarebbe ora di cena, e mi stavo chiedendo se...»
«Oh, ma certo!» si era dato una pacca sulla fronte con il palmo della mano. «Chiedo scusa signorina, a quanto pare questa testa vuota senza più ingranaggi non conosce più cosa vuol dire gestire un albergo... Prego mi segua...»
Condusse la giornalista fino ad una porta a vetri, piccola, ma dove sembrava provenire una strana luce. Il rumore della pioggia si faceva sempre più presente.
Aprì la porta, e davanti agli occhi di Karen, si estendeva una sala da pranzo immensa, enorme. Tavoli ovunque, in abbondanza rispetto alla capienza dell'albergo. Maestosi lampadari, spenti, pendevano dal soffitto. Grandi finestre trasparenti davano a un piccolo giardino, immerso nella più totale oscurità. A sinistra una porticina conduceva alle cucine. A destra invece un piano rialzato, dove un velo bianco copriva un qualcosa che sembrava essere un pianoforte o un qualcosa di veramente ingombrante.
«Mi scusi, cosa c'è sotto quel velo?» aveva chiesto Karen, incuriosita.
«Oh, niente di che... Ma prego si accomodi pure dove vuole. Io intanto vedo di portarle il menu.»
I tavoli erano tutti apparecchiati e decorati. Piatti e posate, bicchieri per il vino e per l'acqua. Solo un velo di polvere li ricopriva, a causa forse di una cura che mai c'era stata.
Karen si era accomodata al centro della sala, in un piccolo tavolo per due persone. Si sentiva quasi a disagio, dentro quella enorme sala completamente vuota.
Non aveva fatto in tempo a guardarsi attorno, che Paul gli aveva consegnato il menu.
C'erano un sacco di pagine, che spaziavano dagli antipasti ai primi; secondi e piatti di carne e pesce, dessert e una carta di vini immensa.
La giornalista aveva iniziato a sfogliarlo, interessata da alcune pietanze che dai nomi sembravano nascondere qualcosa di invitante.
«Allora, se possibile prenderei questa zuppa di legumi, per primo; come secondo questi involtini di carne, e dell'acqua se c'è.»
Paul sembrava annotare tutto su un pezzo di carta, in maniera frettolosa quasi per stare al passo con la voce della donna. Aveva poi riguardato il foglietto, ma aveva scosso la testa con far sconsolato.
«Mi dispiace, ma penso che la zuppa non ci sia. E neanche gli involtini di carne...»
«Ah... Allora questo antipasto di formaggi andrà più che bene. E per secondo, vediamo un po'... Cosa mi consiglia?»
Paul continuava a scrivere, certe volte alzando la testa a guardare che magari non ci fosse qualcuno che desiderasse di lui.
«Purtroppo l'antipasto di formaggi l'abbiamo finito proprio ieri. Diciamo che per secondo potrei consigliarle questo...» con la punta della matita, sprovvista di mina, aveva indicato una pietanza in fondo alla pagina del menu, alla voce “Contorni”. Karen l'aveva guardato quasi sorpresa.
«Pane?»
«Fresco o abbrustolito, come desidera»
«E oltre al pane, cosa avete?»
«Vediamo...» Paul si era messo a sfogliarle il menu. Poi, trovato quello che cercava, le aveva di nuovo indicato la pietanza con la punta della matita.
«Acqua?»
«Bollita, o fresca di ruscello, come desidera»
«Allora del pane abbrustolito, e dell'acqua fresca. Grazie.» Karen rimase ancora più sbalordita quando vide Paul tirare fuori dalla tasca una penna, e iniziare a scrivere sul foglio.
L'uomo poi le aveva preso con un sorriso il menu, e l'aveva riposto sul tavolo, assieme agli altri, per poi dirigersi verso la cucina, che per quell'attimo che le porte si aprirono, sembrava completamente buia.
Passarono diversi minuti, ma di Paul nessuna traccia. Karen si era messa a guardare il piatto, coperto da quello spesso velo di polvere. L'aveva poi preso con le mani, per poi soffiarvici sopra, sperando di toglierne un po'.
In quel momento Paul fece ritorno dalle cucine. Reggeva con la mano un grande vassoio, dove sopra vi erano due piatti coperti da due coperchi rotondi. Con un far elegante, gli aveva poi posati sul tavolo, per poi assumere un'espressione un po' desolata.
«Purtroppo il forno mi ha dato qualche problema. Le ho portato del pane fresco, spero che non sia un problema...»
Sul primo piatto vi era posta una fetta di pane, tagliata con cura, completamene ammuffita. Sul secondo un bicchiere con dentro un liquido trasparente, forse veramente acqua.





Dal diario di Karen Spall. Pagina quindici.

La sala da pranzo dell'albergo è stata qualcosa di indescrivibile (…)
Paul stava annotando la mia ordinazione con una matita completamente senza punta. Solo quando ho fatto l'ordinazione del pane e dell'acqua, allora ha tirato fuori una penna, che probabilmente questa volta scriveva. Il pane ho provato ad assaggiarlo: Paul mi guardava, speranzoso che quello che mi avesse preparato sarebbe stato di mio gradimento. Era disgustoso. L'acqua invece era buona, normale e semplice acqua da rubinetto, credo.
(…)
Prima di tornare in camera, ho provato per un attimo a sollevare il velo bianco che copriva quella strana cosa. Ho intravisto dei piedi, ma erano di plastica, quasi di qualche giocattolo, ma non ho avuto altro tempo per vedere meglio. Paul mi stava quasi per scoprire. E' veramente così strana la città, e tutto il resto. Chissà domani come andrà con il sindaco...

  
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