Buon
pomeriggio a tutti!
Mi
presento, sono Sapphire_ è questa è la mia prima
storia nel fandom
delle originali romantiche qui su EFP. Anche se a dire il vero ne ho
una miriade tra le mie cartelle del pc, ho deciso di pubblicare
questa (che per ora è ferma al terzo capitolo)
perché, non so per
quale motivo, ci sono particolarmente legata.
L'idea
mi è venuta in mente da tanto, tipo due estati fa, e avevo
buttato
giù giusto la prima parte, ma in quest'ultimo periodo l'ho
rispolverata e ho pensato “perché non pubblicarla
e vedere se
potrebbe piacere a qualcuno?”; e così ho fatto.
Questo
primo capitolo, tutto sommato, mi piace, anche se ci sono alcune
cosucce che aggiusterei, ma ho preferito lasciarlo così
com'è per
non so quale precisa ragione – anche se forse un po' di
pigrizia
c'è.
Come
ho accennato prima il secondo capitolo è pronto e il terzo
quasi
finito, per gli altri invece non so quanto tempo avrò, dato
che
quest'anno sono di maturità e non potrò dedicare
troppo tempo alla
scrittura dato che ho anche un'altra storia in corso che non voglio
abbandonare. Però prometto di trovare un equilibrio!
Detto
ciò, vi auguro una buona lettura! Se qualcuno volesse
lasciarmi un
commento, qualunque esso sia per poter anche migliorare, mi farebbe
tantissimo piacere!
Di
nuovo buona lettura!
Un
abbraccio,
~Sapphire_
~It's too cliché
Capitolo uno
Lo
vide. Lo riconobbe in mezzo alla folla. Sapeva che era lui quello
perfetto, che lo doveva assolutamente avere, e iniziò a
farsi strada
tra la folla di ragazze che la circondavano. Sui suoi fedeli tacchi
dodici traballò ma non mollò, era vicina, ce
l'aveva quasi fatta,
eccolo
lì...
«MIO!»
Lo
strillo acuto e colmo di gioia attirò l'attenzione di alcune
persone
all'interno del negozio, che finirono per guardare April chi con
divertimento, chi con sorpresa al vedere cosa stringeva con quella
morsa ferrea.
«Ah,
è bellissimo!»
Osservò
con sguardo soddisfatto il completino in pizzo rosso fuoco su cui era
riuscita a mettere le mani, sfiorando compiaciuta il tessuto con le
mani dalle unghie ovviamente laccate di rosso scarlatto. L'aveva
visto quando era ancora dall'altra parte del negozio di intimo,
mentre era alla ricerca di qualcosa che l'attirasse, e subito aveva
sentito il legame che li legava ormai indissolubilmente.
«Prendo
questo» tubò felice, spostandosi una ciocca bionda
da sopra gli
occhiali rossi.
La
commessa, una ragazza tutta boccoli e profumo, sorrise e prese il
completo, per metterlo poi in un sacchetto di carta col logo del
negozio e accettando i soldi che April le porgeva.
«Grazie
mille e arrivederci»
Ma
le parole giungevano lontane e vaghe alle orecchie di April,
rinchiusa nella bolla dorata chiamatasi
ho-fatto-un-nuovo-bellissimo-e-(forse)-inutile-acquisto.
Ed
eccola lì la porta, stava per uscire, era solo un passo, ma
il
richiamo dello shopping compulsivo la fece voltare verso altri
completi – erano
in sconto accidenti!
- ma no, non poteva passare, c'era qualcuno a bloccarle il passaggio
ma se ne accorse troppo tardi e, voilà,
sedere all'aria.
E
April proprio non riuscì a frenare la lingua.
«Ma
sei un idiota?» furente, alzò lo sguardo verso l'idiota
che le aveva appena fatto fare una figuraccia di fronte a tutti. Gli
occhiali le erano scivolati sul naso e in un primo momento non vide
niente, ma li tirò su e una visione la colpì.
Alto,
bell'aspetto, sguardo freddo e dagli occhi scuri, piercing al labbro
e un importantissimo dettaglio.
«Che
bellissimi capelli rossi!»
Quasi
si lanciò sul ragazzo che la guardò sbalordito
per la strana – e
imbarazzante
verrebbe da aggiungere – reazione di April.
Gli
sorrise luminosa, dimentica del fatto che era colpa sua se aveva
fatto una scivolata in grande stile di fronte a tutto il negozio,
concentrata unicamente sui capelli del giovane.
«Sono
rossi naturali?» chiese, mettendo le mani morbide e curate
tra i
capelli del ragazzo. Questo, dopo un primo secondo di smarrimento, si
allontanò scocciato e colpendola alla mano per fargliela
spostare.
«Non
credo ti possa interessare. La prossima volta guarda dove metti i
piedi» rispose secco il giovane.
Senza
guardarla più di un secondo – anzi, sfuggendo in
tutti modo allo
sguardo verde assoluto di April – si affrettò a
cogliere il
pacchetto che gli era scivolato da terra ed uscì di gran
lena dal
negozio, lasciando la povera ragazza con uno sguardo deluso e
affascinato da quei fantastici – e anche morbidi, aveva
potuto
appurare – capelli rossi.
«Che
peccato che sia scappato così in fretta. Potevamo fare
amicizia»
borbottò April, chinandosi per prendere il pacchetto che era
caduto
anche a lei.
Quando
però lanciò una veloce occhiata al suo interno,
diventò pallida
come un morto.
«La
mia lingerie!»
Calmati
idiota. Calma. Era solo una semplice ragazza. Non spaventarti,
è
tutto a posto. Ora è lontana.
A
ripetersi quelle parole in testa, Aaron Marlowe, ventisei anni e un
promettente futuro da game designer, si sentiva veramente
stupido.
Solo
che non poteva, era più forte di lui, non riusciva a far
calmare
quel maledetto cuore che batteva all'impazzata, spaventato
all'inverosimile da...
«Una
ragazza. È solo una ragazza. Non devo aver paura di lei, non
mi farà
niente, è anche lontana. Avanti Aaron, comportati da uomo
cazzo!»
Tra
le vie di New York, anche se stava chiaramente parlando da solo,
nessuno gli lanciò più di un'occhiata, rendendolo
libero di
continuare a tentare di convincersi che cazzo
doveva stare tranquillo, perché aveva parlato con una
ragazza, non
incontrato un serial killer.
Eh
già, era parecchio imbarazzante. Ventisei anni suonati e
Aaron aveva
una fottuta
paura
delle ragazze. Non riusciva a parlar loro, a guardarle per
più di un
minuto e otto secondi – già, era stato addirittura
cronometrato.
Le guardava e non vedeva delle carine e adorabili donne con un paio
di tette e qualcosa a cui tutti gli uomini aspiravano, no, lui vedeva
dei mostri assetati di sangue che se avesse fatto qualche scatto
improvviso gli sarebbero saltate al collo – sì
esatto, come con
gli animali feroci: bisognava muoversi lentamente e con cautela, in
questo modo non gli avrebbero fatto del male.
E
lui non sarebbe morto di crepacuore a neanche trent'anni.
Entrò
in automatico allo Starbucks che gli si pose di fronte agli occhi,
sapendo già di essere in ritardo quando incontrò
lo sguardo di Tom,
suo migliore amico da vent'anni, che lo fissava seccato.
«Quindici
minuti di ritardo. E tu sai quanto odio le persone
ritardatarie, vero?» sibilò infastidito Tom.
Con
neri capelli mossi, sguardo freddo e da cattivo ragazzo, vestito con
abiti più grandi di almeno una taglia, Tom Evans sembrava
più il
tipo che faceva aspettare le persone per ore, piuttosto il precisino
che era effettivamente. In ogni caso Aaron a malapena lo
sentì,
preso com'era ancora a riprendersi. E l'amico se ne accorse subito.
«Qualcuno
qui sembra piuttosto scosso. Cos'è, una ragazza ti ha
guardato per
un secondo di troppo?» ironizzò, inarcando un
sopracciglio su cui
faceva mostra un piercing orizzontale. Aaron rimase per un attimo in
silenzio, a disagio, poi rispose.
«Ci
siamo scontrati e mi è quasi caduta addosso»
borbottò, mentre
poggiava distrattamente la busta del negozio sul tavolo, affianco al
bicchiere di caffè dell'amico, nella quale un
“Tom” accompagnato
da uno smile spiccava di un lucido nero.
Tom
scoppiò a ridere.
«Oh
avanti Aaron! Vi siete solo scontrati, non ha cercato di mangiarti!
Stai tranquillo» cercò di rassicurarlo tra le
risa. Aaron sollevò
di scatto gli occhi nocciola, che in quel momento apparivano
terrorizzati.
«Tu
non capisci! Lei... Io... Entrambi guardavamo da un'altra parte e lei
mi è praticamente andata addosso. Ho sentito tutto,
capisci?»
quasi strillò isterico.
«Oh,
immagino cosa tu possa aver sentito» ironizzò
l'altro.
A
quelle parole, Aaron prima arrossì come un tredicenne e poi
sbiancò.
«Oddio...»
«Suvvia
Aaron, è stato solo un piccolo incidente. Ora o stai
tranquillo o
fatti una seduta dallo psicologo perché, amico, la
situazione ti sta
proprio sfuggendo di mano»
Il
rosso fece una smorfia al solo pensiero di ritrovarsi ad andare da
uno di quei tizi.
«No
grazie. Sto bene così» borbottò.
«Oh,
si vede» rispose ironico Tom. Poi allungò una mano
verso la busta,
più incuriosito che veramente interessato.
«Piuttosto,
fai vedere che hai comprato»
Aprì
il sacchetto tranquillo, per poi bloccarsi osservando ciò
che c'era
al suo interno.
«Ehi,
per caso quando ti sei scontrato con quella tizia ti è
caduta la
busta?» chiese senza alcun tono particolare. Aaron
aggrottò le
sopracciglia.
«Mi
pare di sì. Perché?»
Tom
sorrise, improvvisamente divertito; infilò poi la mano
dentro la
busta.
«Perché
o ti piace indossare intimo femminile – cosa che avrei
già saputo,
credimi – o dubito fortemente che questa lingerie sia
tua»
E
così dicendo, tirò fuori dal sacchetto delle
mutandine di pizzo
rosso fuoco.
Aaron
sbiancò.
«Oh
merda»
«Oh
merda!» strillò per l'ennesima volta
April, battendo i pugni
sul bancone di legno laccato e piagnucolando come ormai faceva da
più
di mezzora. Di fronte a lei May, sua amica da una vita, alzò
gli
occhi azzurri al cielo mentre sistemava dei documenti dietro il
banco.
«È
la millesima volta che lo ripeti, tesoro, e credo che continuare non
faccia ricomparire per magia il tuo adorato completo» disse.
April
sollevò la testa che stava continuando a sbattere sul legno,
mostrando gli occhi verdi arrossati e il trucco leggermente sbavato
dietro agli occhiali.
«Tu
non capisci! Noi due eravamo legati da un filo indissolubile,
i
nostri destini erano incrociati dalle stelle!»
strillò. May,
nonostante conoscesse April da quando erano ancora sul passeggino, la
fissò un poco sbalordita.
«Era
solo un completo April, non farla tragica. Perché non l'hai
ricomprato se proprio lo volevi?» chiese, iniziando a pinzare
dei
fogli tra loro.
«Credi
che non ci abbia provato?» borbottò la bionda,
sollevandosi del
tutto e tirando fuori dalla borsetta rosso ciliegia uno specchietto
rosso fragola «Sono andata dalla commessa ma a quanto pare
hanno
terminato la mia taglia. L'unica rimasta disponibile era quella che
avevo appena comprato, e quell'idiota se l'è
presa!» continuò
irata.
«Avanti,
non l'ha fatto apposta. In fondo lui potrebbe dire la stessa cosa di
te che gli hai preso i boxer. A proposito, ho notato la taglia:
sembra ben piazzato il tipino» scherzò May.
L'amica le lanciò uno
sguardo truce.
«Non
mi interessa la taglia dei suoi boxer, voglio solo riavere la mia
lingerie» continuò a lamentarsi, facendo
nuovamente sollevare al
cielo gli occhi dell'altra ragazza, che si sistemò un ciuffo
di
capelli castani che le era sfuggito dalla coda di cavallo.
«Beh,
a patto che tu lo rintracci – e dubito che tu ci riesca,
perché
siamo a New York – non credo lo rivedrai, mettiti il cuore in
pace»
«Mai!»
sibilò April, finendo di sistemarsi il trucco.
«Allora
buona fortuna tesoro» tagliò corto May, anche lei
terminando di
pinzare i vari documenti e ponendoli ordinatamente in fila.
«May!
Vieni qui!»
La
voce stridula del suo capo attirò la castana, che con un
sorriso di
scuse abbandonò l'amica.
April
si guardò intorno alla hall, ancora sconsolata, lasciando
scivolare
gli occhi su quel luogo che ormai conosceva a memoria – beh,
ogni
qualvolta avesse un problema, o un gossip da raccontare, o una
semplice voglia di parlare, si fiondava lì.
Le
piaceva quel posto – le agenzie matrimoniali in genere le
piacevano; trovava adorabile come delle persone si adoperassero in
tutti i modi per trovare l'anima gemella di qualcuno. Ciò
che più
amava del lavoro dell'amica non era quello però, ma la parte
relativa all'organizzazione dei matrimoni veri e propri. April amava
i matrimoni. Con tutto quel bianco, i fiori, la
felicità che si
poteva quasi toccare – ah! Fantastico!
Ma
lei era ancora ben lontana da un grande passo del genere.
Il
campanello alla sommità della porta di vetro
tintinnò, avvisando
che qualcuno stava entrando. April voltò appena lo sguardo,
e subito
venne attirata da una folta capigliatura rossa che le
ricordò
qualcuno.
«Buongiorno»
la donna salutò educata e con un sorriso pacato, spostando
con un
gesto elegante i lunghi capelli rossi dietro la schiena.
April
la fissò attentamente, attirata dalla chioma infuocata,
senza porsi
tanti problemi: era alta e sottile come un giunco, vestita con un
grazioso vestito color crema che le arrivava circa al ginocchio, con
una morbida scollatura e maniche a tre quarti; scarpe con un poco di
tacco, foulard bianco al collo e degli occhiali da sole sollevati sul
capo che le mantenevano i capelli.
Guardandola,
April morì un po' dentro alla vista di tutta quella eleganza
e
bellezza.
«Buongiorno»
borbottò, sentendosi all'improvviso a disagio nei suoi
altissimi
tacchi neri abbinati ai jeans a vita bassa e un top scuro; si strinse
più addosso la giacca, cercando di coprirsi e sentendosi
nuda.
«È
lei la signorina May Sharper?» si informò cortese
la donna. Ancora
più a disagio, April si sistemò gli occhiali con
un gesto nervoso.
«Emh,
no, io non lavoro qui. Aspetti un attimo, May si è dovuta
allontanare» rispose con tono basso.
La
donna le sorrise e la ringraziò con un cenno, rimanendo a
pochi
passi da lei.
April
continuava a sentirsi a disagio.
Oh
avanti idiota. Datti una calmata.
La
voce dentro di sé continuava a ripeterglielo, ma la
sensazione
spiacevole non voleva sparire. E lei sapeva perfettamente
perché,
mentre osservava la donna con la coda dell'occhio.
Ecco
quello che io non potrò mai essere: eleganza, finezza, e in
procinto
di sposarmi.
Già,
perché dubitava che la donna fosse lì per cercare
marito piuttosto
che organizzare il proprio matrimonio.
«Tutto
bene? Sembra una che è stata appena lasciata dal proprio
fidanzato»
La
voce della donna la colse impreparata, facendola sobbalzare.
Guardò
la nuova arrivata che la fissava con un pizzico di preoccupazione nel
volto sottile, anche un poco incuriosita.
April
scrollò le spalle.
«No
no, nulla di tutto questo. Ho solo perso una cosa» si
ritrovò a
rispondere. La donna le sorrise di nuovo.
«Meglio
così»
«Non
ho neanche un ragazzo» continuò April, ridendo in
maniera forzata.
Ma
perché gliel'hai detto? Mica le interessa, stupida!
«Davvero?»
e invece no, pareva proprio che le interessasse. La donna si
avvicinò
e le porse la mano.
«Comunque
molto piacere, io sono Rosalie Marlowe»
La
bionda si ritrovò a stringerle la mano quasi senza
accorgersene,
sorridendole di rimando e sentendo la sensazione di disagio
abbandonarla, forse tranquillizzata dalla gentilezza dell'altra.
«April
Montgomery, piacere mio» rispose.
Rosalie
continuò a sorriderle.
«Se
non hai un ragazzo, allora immagino tu sia qui per l'agenzia
matrimoniale»
April,
dentro di sé, si sorprese della curiosità della
donna; non le dava
l'impressione di una tipa indiscreta, ma quel modo di fare tranquillo
le fece piacere e la spinse a rispondere laddove in un altro caso
avrebbe sorvolato la domanda con fastidio.
«Oh
no, neanche per quello. May, la ragazza che si è appena
spostata, è
la mia amica e passo spesso a trovarla» spiegò.
Rosalie fece un
sorriso malizioso.
«Se
lavora qui e tu non hai un ragazzo, perché non ti ha mai
presentato
qualcuno?»
April
rise scuotendo il caschetto biondo.
«Ha
tentato più volte ma io non voglio –
cioè, mi piace un sacco
l'idea dell'agenzia matrimoniale, ma nonostante tutto ho un'idea
dell'amore fin troppo romantica e fiabesca e sono convinta che
troverò la mia anima gemella anche senza ricorrere a
un'agenzia,
semplicemente guidata dal mio destino» disse convinta.
A
quelle parole, Rosalie scoppiò a ridere, causando
l'imbarazzo
improvviso di April.
«Oh,
non arrossire, non rido di te! Trovo adorabile l'idea che tu ti sei
fatta dell'anima gemella, ma da quasi trentenne mi viene da avvisarti
che è molto difficile trovarla senza qualche aiutino esterno
o senza
particolare fortuna»
April
la guardò incuriosita.
«E
tu? Come hai fatto a trovare la tua?» domandò.
Rosalie la guardò
ironica.
«Chi
ti dice che non sia qui per l'agenzia matrimoniale?»
Dentro
di sé, April si rispose.
Perché
sei bellissima, elegante, e si vede lontano un miglio che stai per
sposarti.
Continuò
però a tacere, sistemandosi gli occhiali nervosa.
«Ok,
lo ammetto, effettivamente mi sto per sposare» si interruppe,
sorridendo ad April «Beh, se devo essere sincera non so
esattamente
come ho fatto a trovarla. A dir la verità poi, quando uscivo
con
Mathias, succedeva sempre qualche imprevisto che puntualmente
rovinava l'appuntamento – ne stavamo uscendo pazzi! Ci siamo
pure
lasciati un paio di volte. Ma nonostante questo, quando è
capitato e
io provavo a interessarmi a un altro uomo, mi veniva sempre da
confrontarlo a lui, a pensare a quanto mi sentissi a mio agio sotto
il sguardo e tra le sue braccia, e quando altri provavano a baciarmi
ogni volta scappavo terrorizzata!» raccontò,
fermandosi un attimo
per ridacchiare. Ascoltando quelle parole interessata, April rise
insieme alla donna.
«Finché
un giorno Mathias, in seguito alla seconda volta che ci eravamo
lasciati, mi ha invitata a cena e mi ha parlato chiaro: mi disse che
aveva provato a uscire con altre donne ma che non era la stessa cosa,
che tutte gli sembravano scialbe e noiose e orribili, che non
riusciva a levarsi la mia immagine dalla testa»
«E
poi che è successo?» la incitò April,
notando come si fosse
fermata. Rosalie la guardò maliziosa.
«Beh,
dopo quelle parole ci siamo baciati, e credo tu possa intuire cosa
sia successo dopo»
April
rise.
«Oh,
quello mi sembra ovvio! Ma dico, dopo tutto questo?»
«Dopo
tutto questo siamo usciti ancora qualche altra volta, finché
ben
presto lui non mi ha chiesto di sposarci. E ovviamente io ho
accettato, sarei stata una pazza a rifiutare e il mio cuore non se lo
sarebbe mai perdonato. Per la precisione, mi ha fatto la proposta
proprio undici giorni fa» concluse.
«Ecco
perché sei qui, allora»
«Già.
Pensiamo di sposarci fra circa cinque mesi, a settembre. Voglio poter
preparare le cose con calma e che sia tutto perfetto»
«Mi
sembra il minimo!» intervenne la bionda.
Rosalie
aprì la bocca per dire qualcos'altro, ma venne interrotta da
un'altra voce.
«Scusi
il ritardo signorina Marlowe, il mio superiore aveva bisogno di
me»
May
arrivò con aria trafelata, mostrando un sorriso di scuse
verso la
donna; quest'ultima sorrise e fece un vago gesto con la mano, come a
scacciar via una mosca.
«Oh,
non si preoccupi. Ho trovato una piacevole compagnia a dire il vero.
Inizialmente l'avevo scambiata per lei se devo essere sincera, come
abbiamo parlato al telefono non sono riuscita a distinguere bene la
voce» disse Rosalie.
«Non
ho comunque intenzione di farle perdere altro tempo però,
quindi se
vuole seguirmi possiamo iniziare subito» May sorrise cortese
pronunciando queste parole.
«Certo»
«Beh
May, allora io vado» intervenne la bionda, spostandosi dal
bancone e
avvicinandosi alla porta. L'amica le sorrise.
«Ok
tesoro, ci sentiamo. E non continuare a disperarti per quel
completo!» l'avviso con tono scherzoso May. April fece una
smorfia.
«Non
farmici pensare ancora, sto cercando di superare il trauma. Beh, buon
lavoro a tutte due, è stato un piacere conoscerti
Rosalie» fece
April, iniziando ad aprire la porta. Rosalie le sorrise luminosa.
«Oh,
è stato un piacere anche per me! Spero di rivederti qualche
volta,
magari continuiamo la nostra chiacchierata!»
April
rispose al sorriso e le fece un cenno, poi senza aggiungere altro
uscì dall'agenzia, salutando con la mano un'ultima volta le
due
donne che le lanciarono un'ultima occhiata dall'interno per poi
sparire in un corridoio.
La
bionda sorrise, ritrovandosi immersa nell'aria newyorkese.
Aveva
proprio dei fantastici capelli rossi.
Immerso
in un vago alone di disperazione, Aaron cercava con tutte le sue
forze di non volgere lo sguardo verso quel – ormai odiato
–
pacchetto.
Ogni
tanto la sua forza di volontà crollava miseramente e gli
lanciava
delle velocissime occhiate, come a confermare se fosse sempre
lì –
ma era abbastanza normale che non si fosse mosso di una virgola, non
potevano di certo spuntargli i piedi.
«Basta.
Ora smetto di pensarci» disse ad alta voce.
Perché, ovviamente,
ignorare il problema equivaleva a farlo sparire no?
«Smetti
di pensare a cosa?»
La
voce di Suzanne lo fece per un attimo sobbalzare, e la
osservò di
sottecchi mentre la donna sistemava i bicchieri sul tavolo,
preparandolo in vista della cena.
«Ehi,
oggi il nostro fratellino è proprio strano, non
trovi?» continuò
Suzanne, questa volta non rivolta a lui ma alla ragazzina che,
indisturbata fino a quel momento, leggeva un libro appollaiata su una
poltrona. Isabel, la sorella più piccola, alzò lo
sguardo annoiata,
sistemandosi una ciocca di capelli rosso fuoco dietro l'orecchio.
«Perché,
solitamente non lo è?» chiese a sua volta.
Suzanne
ridacchiò, finendo di posizionare l'ultimo bicchiere,
terminando
così di preparare la tavolata per otto persone.
«Beh,
questo è vero»
«Vorrei
farvi presente che ci sono anche io in questa stanza»
esclamò
sarcastico Aaron, lanciando una veloce occhiata a tutte e due.
Suzanne
rise ancora, facendo ondeggiare la coda di cavallo che, illuminata
dal lampadario, mostrò varie tonalità di rosso.
«Perché
non ci dici che hai e la fai finita? È da quando sei
arrivato che
non fai altro che borbottare e impallidire all'improvviso. Si
può
sapere che è successo?» intervenne un'altra delle
sorelle, questa
volta Sophie.
«Secondo
me è successo qualcosa con una ragazza»
Victoria
intervenne a sua volta, aggiustandosi una qualche inesistente
imperfezione all'unghia dell'anulare sinistro e scrollando vaga le
spalle.
Aaron
sbuffò, osservando le sue quattro sorelle che – come
al solito,
precisò nella sua testa – si impicciavano nella
sua vita.
Si
passò una mano tra i capelli rossi, tratto comune a tutta la
famiglia escluso il padre. In un certo senso odiava quel colore,
nonostante lo facesse sentire parte di quel fin troppo allargato
nucleo familiare in cui tutti sembravano interessarsi alla sua vita.
Ma fece un vago sorriso pensando alle sue sorelle –
sì, saranno
state anche delle impiccione, ma ormai ci era abituato. In fondo,
bisogna abituarsi a non avere una propria privacy avendo ben cinque
sorelle di svariate età: c'era Suzanne, la più
grande, di trentun
anni, la più matura che nascondeva un lato da maestrina; poi
Rosalie, che non era ancora a casa, di ventinove, l'angelo di casa di
una curiosità infinita; Sophie, di ventidue, la sportiva
delle varie
sorelle sempre andando da una parte all'altra, che faceva spesso
comunella con Victoria, la diciannovenne sempre presa da ragazzi e
feste. Infine Isabel, la più piccolina, di soli sedici anni,
quella
calma e indifferente al resto del mondo. L'unica che in qualche modo
non si impicciasse troppo nella sua vita.
«Dobbiamo
romperti le palle per il resto della serata o ti sbrighi a dirci che
è successo?» insistette Sophie, sedendosi sulla
poltrona opposta
rispetto alla sua.
«Niente
di che» rispose.
È
inutile che insistiate, non ve lo dirò,
pensò fra sé il ragazzo. Si sarebbe umiliato se
lo avesse fatto.
«Qualcosa
mi dice che centra questo!» esclamò divertita
Victoria, alzandosi
di scatto dal divano e afferrando veloce il sacchetto del negozio di
intimo prima che Aaron potesse pensare di reagire. Ma appena si
accorse della situazione, sbiancò.
«Vicky,
stupida ragazzina, restituiscimelo immediatamente!»
urlò, alzandosi
di corsa anche lui e rincorrendo la sorella che girò attorno
al
tavolo, sfuggendogli; ma il fratello la raggiunse in fretta e lei,
rapida, lanciò la busta.
«Sophie!»
L'altra
sorella afferrò pronta il pacchetto al volo, mentre Aaron
cambiava
obiettivo e si lanciava verso di lei.
«Suzanne!»
anche la maggiore prese il sacchetto, agitandolo vittoriosa verso il
fratellino che si affannò verso di lei. Prima che potesse
raggiungerla però, l'oggetto che stava saltando fino a quel
momento
da una parte all'altra venne strappato via dalle mani della maggiore.
«Quando
la smetterete di fare i dispetti a vostro fratello? Suvvia, siete
grandi ormai!»
Ed
eccola, con tutta la classe e l'eleganza possibile, la signora
Marlowe entrare nel soggiorno, accompagnata dal signor Marlowe che
lanciò un'occhiata di pietà verso il suo unico
figlio maschio,
costretto a sopportare, come lui, il matriarcato che vigeva in quella
casa da anni.
Ma
Elizabeth Marlowe, nonostante avesse una certa età, aveva
ancora gli
stessi capelli rossi e la stessa curiosità di quand'era
ragazzina,
ed entrambi li aveva trasmessi a ciascuna delle sue adorabili figlie,
anche se, in quanto a curiosità, in minor misura con la
più
piccola. Aprì perciò senza tanti preamboli il
sacchetto, guardando
all'interno.
«Oddio!»
esclamò la donna, e Aaron in quel momento iniziò
a pregare che una
voragine si aprisse nel terreno facendolo sprofondare, permettendogli
così di abbandonare non solo la situazione, ma anche la sua
vita
colma di imbarazzi.
«Tesoro,
perché non mi hai detto di avere una fidanzatina?»
chiese con
emozione la donna.
Aaron
deglutì rumorosamente, a disagio.
«Fidanzata
Lizzie, ormai nostro figlio ha ventisette anni» intervenne
Jason
Marlowe, l'unico uomo della famiglia oltre ad Aaron, costretto come
il figlio a sopportare le angherie che comportava avere sei donne
nella propria vita e casa. Per fortuna, in quest'ultima, si erano
ridotte a tre.
«Ventisei»
corresse sconsolato Aaron, desolato dal fatto che neanche suo padre
si ricordasse la sua età.
«Cosa
c'è?» chiesero quasi in coro le varie sorelle,
tranne forse Isabel
che però alzò lo sguardo incuriosita.
Elizabeth
sorrise, tirando fuori dal pacchetto una lingerie piuttosto sexy
rosso fuoco.
«Uh,
guardate che bei regali fa il nostro Aaron alla sua
fidanzata!»
esclamò Suzanne ridendo.
«Perché
il mio ragazzo non mi fa dei regali del genere?»
piagnucolò
Victoria, mettendo il broncio. Sophie le lanciò un'occhiata
inarcando un sopracciglio.
«Forse
perché tu non ce l'hai un ragazzo?»
interloquì.
«Non
avete capito niente!» esclamò Aaron, i capelli
dritti dopo averci
passato varie volte la mano.
«Non
è mio – cioè, non l'ho comprato io!
È stato un incidente, stavo
uscendo dal negozio, lei mi è venuta addosso e ci siamo
scontrati,
le buste sono cadute e ce le siamo scambiate! È stato solo
un
errore»
spiegò veloce il ragazzo, mangiandosi quasi le parole.
Sophie
ghignò.
«Ah,
quindi ora si dice così? “Scambiarsi le
buste”...»
«Vuoi
smetterla di pensare sempre male?» le urlò il
ragazzo.
«Chi
pensa sempre male?»
Una
nuova voce fece notare a tutti i presenti che qualcun altro era
arrivato, e tutti si voltarono verso la donna che era appena entrata
nel soggiorno.
Rosalie
Marlowe, vestita con il vestito crema della mattina, guardò
la sua
famiglia con i grandi occhi grigi che sbattevano perplessi di fronte
alla situazione.
«Tesoro!
Finalmente sei arrivata, com'è andata all'agenzia?»
Elizabeth
cambiò rapida argomento, avvicinandosi alla seconda figlia,
Rosalie,
che sorrise dolce in direzione della madre, per poi abbracciarla.
«Tutto
bene, io e May – la dipendente, è una tipa
così gentile –
abbiamo già iniziato a dare un occhiata al numero di
invitati, al
luogo della cerimonia e della festa, e mi ha detto che la prossima
volta mi avrebbe dato il preventivo» spiegò la
donna, appoggiando
la borsa su divano e seguendo gli altri che si stavano sedendo a
tavola; tutti tranne Suzanne, che andò in cucina e
portò la cena.
La
cena continuò tranquilla, tra chiacchiere sui parenti vari o
informazioni sugli studi o sui lavori dei vari figli.
Aaron
si lanciò un veloce sguardo attorno, mentre mangiava
lentamente come
suo solito; le sue sorelle, con le loro folte capigliature rosso
vivo, era ormai cresciute e si erano fatte tutte assurdamente belle.
Osservò anche i suoi genitori – Elizabeth spostava
veloce lo
sguardo e le orecchie da una parte all'altra, come se volesse vedere
e sentire il più possibile, quasi spaventata dal fatto che a
fine
serata quattro dei suoi figli se ne sarebbero andati, per tornare
ciascuno a casa propria.
Mentre
per un attimo si deprimeva pensando che le altre sorelle una volta
tornate avrebbero avuto qualcuno con cui poi stare, a differenza sua
che invece sarebbe stato solo in quella casa vuota, la voce
squillante di Rosalie lo risvegliò, facendogli prestare
attenzione a
quello che la sorella diceva.
«...ed
era così
carina!
Avreste dovuto vederla, aveva dei capelli biondi adorabili, con un
caschetto sfilato, e gli occhi grandi, verdi!» stava dicendo
la
sorella.
«Di
chi parli?» si ritrovò a dire Aaron, incuriosito.
Si ritrovò gli
occhi di tutti addosso mentre Rosalie sorrideva.
«Ho
conosciuto una ragazza quando sono andata all'agenzia, è
un'amica di
May, la dipendente. Ci ho parlato un po', è veramente
carina!»
spiegò.
Aaron
scrollò le spalle, improvvisamente disinteressato.
«Magari
se un giorno vieni all'agenzia con me la incontriamo e te la
presento» continuò la sorella.
Victoria
ridacchiò.
«Da
come la descrivevi prima, non mi sembra esattamente il tipo di Aaron,
lui fuggirebbe a gambe levate» continuò ridendo.
Aaron le lanciò
uno sguardo infastidito.
«Vicky,
smettila» Elizabeth intervenne a difesa del figlio maschio,
mentre
quest'ultimo si alzava scocciato e informava al resto della famiglia
di andare in bagno.
In
poche parole fuggì a quella conversazione che – lo
sapeva – si
sarebbe fatto scomoda per lui.
Mentre
si lavava le mani in un blando tentativo di togliersi il fastidio di
dosso, guardò fisso la propria figura allo specchio.
Oggettivamente,
riconosceva di essere un bel ragazzo. Capelli rossi, lisci e
scompigliati dal frequente gesto di passare in mezzo le dita, occhi
castani incorniciati da lunghe ciglia scure, labbra carnose con un
piercing sul labbro inferiore, all'angolo sinistro, e fisico asciutto
e tenuto in forma dalle corse mattutine.
Beh,
di certo era cambiato da quando aveva quindici anni, brutto periodo
in cui l'acne, l'apparecchio e il fisico gracile lo rendevano in
tutto e per tutto un appartenente al gruppo degli sfigati.
Ma
il diventare grande e più appetibile non aveva migliorato la
situazione con l'altro sesso, segnata indelebilmente nella sua mente
da fragile quindicenne che si era ritrovato umiliato dalla propria
cotta. Inoltre le cinque sorelle in giro per casa, con la loro
curiosità e il loro modo di fare invadente e spesso fin
troppo
imbarazzante per lui, non gli avevano mai reso facile il rapporto con
le ragazze ed aveva finito per vederle come dei mostri che avrebbero
finito per deluderlo, o imbarazzarlo, o ferirlo. E a quel punto era
finito per averne una paura immensa.
La
porta del bagno si aprì all'improvviso, causando lo spavento
di
Aaron che si calmò come vide la figura tranquilla e pacata
di
Isabel.
«Mi
hanno mandata a vedere se era tutto a posto» disse solo lei,
spostandosi una ciocca di capelli e rivelando un paio di occhi grigi.
Aaron
sorrise forzato.
«Sì,
non preoccuparti» disse e fece per uscire, ma Isabel non lo
fece
passare.
«Non
prendertela con Vicky» parlò la sorellina
«Sappiamo tutti com'è
fatta, la diverte girare il coltello nella piaga»
continuò.
Aaron
sospirò, cancellando il finto sorriso.
«Lo
so Isy, ma mi dà comunque fastidio. Vorrei soltanto che la
smetteste
di tirare fuori la questione» borbottò.
Isabel
sorrise, avvicinandosi al fratello e abbracciandolo morbida, in uno
dei rari slanci di affetto non esattamente tipici del suo carattere.
«Non
preoccuparti, ti passerà prima o poi. Basta incontrare la
ragazza
giusta» sussurrò, il viso affondato nel petto del
fratello. Lui le
accarezzò la schiena.
«Mh»
rispose solo.
Qualcosa
gli diceva che non sarebbe stato così facile.
April
aprì la porta di casa, entrando nell'atrio buio del suo
piccolo
bilocale e accendendo la luce mentre poggiava le chiavi sopra il
piccolo mobile all'ingresso.
Il
lampadario centrale si accese, rivelando un contenuto soggiorno con
un angolo cottura, più una porta dietro la quale si
nascondevano la
camera da letto e il bagno. Tutto era arredato con un indiscutibile
gusto femminile; il colore che predominava era ovviamente il rosso.
Guardando
il disordine che regnava nella stanza, April fece una smorfia.
«Beh,
metterò a posto domani» borbottò
stanca, mentre in una parte
remota il suo cervello le diceva che no,
non rimetterai a posto l'indomani, ma lascerai che i vestiti, le
scarpe e il resto invadano il posto finché la situazione non
diventerà invivibile.
Ignorò
comunque la voce della sua coscienza e si diresse verso camera sua,
poggiando prima il take-away di cibo cinese ancora caldo.
Entrò
nella sua stanza, dove il letto a una piazza e mezzo occupava una
buona parte di spazio con il suo copriletto rosso spiegazzato e
ricoperto di vestiti. Nell'angolo destro opposto all'entrata c'era un
armadio alto e imponente, bianco, con le ante aperte che mostravano
l'infinità di abiti e altrettante scarpe, queste sistemate
con più
cura dei primi.
Con
stanchezza si tolse le scarpe dai tacchi vertiginosi, sentendosi
improvvisamente molto bassa; si levò anche i vestiti per
sostituirli
con una maglia larga e dei pantaloncini, sentendosi immediatamente
molto più comoda.
Ritornando
nel soggiorno afferrò distratta la cena e si
accoccolò sul divano,
accendendo la tv e facendo zapping alla ricerca di una commedia
romantica che le avrebbe fatto compagnia mentre mangiava.
Mentre
scorreva i canali però le squillò all'improvviso
il cellulare,
ancora dentro la borsa che era stata mollata per terra. Facendo varie
acrobazie, riuscì a raggiungere il telefono senza alzarsi.
«Pronto?»
rispose subito, senza guardare il nome sul display.
«Tesoro,
sono May»
la voce squillante dell'amica la raggiunse, facendola sorridere.
«Ehi,
tutto a posto?»
«Sì
sì, sono solo un po' stanca»
April
rise.
«Perché,
che hai fatto questo pomeriggio?»
Sentì
l'amica sbuffare.
«Non
parliamone, sono andata da una parte all'altra di New York alla
ricerca di quelle cavolo di bomboniere strane che vuole una cliente.
Chiedere qualcosa di più introvabile non poteva, sono
distrutta»
April
annuì sovrappensiero, osservando lo spot di un profumo.
Potrei
comprarlo, sembra bello,
pensò distratta.
«E
tu che hai fatto?»
«Niente
di che, sono andata un po' in giro e stavo guardando alcuni prodotti
su cui dovrei concludere un articolo per mercoledì»
«Un
articolo?! Quindi sta andando tutto bene con lo stage alla rivista?»
April
scrollò le spalle, dimenticandosi che l'amica non l'avrebbe
potuta
vedere dall'altra parte del telefono.
«Tutto
bene, mi stanno facendo sgobbare e devo correggere una miriade di
bozze, ma finalmente mi hanno assegnato un articolo come hai capito.
Niente di che, solo un trafiletto riguardo i fondotinta liquidi o in
polvere, ma è pur sempre qualcosa»
spiegò con una punta di
soddisfazione.
«Assolutamente!
E com'è che me lo dici soltanto ora?»
fece May con finto tono offeso.
«Volevo
dirtelo stamattina quando passavo, ma poi quel ladro ha rubato la mia
lingerie...» borbottò, improvvisamente infastidita.
«Ladro?
Avanti tesoro, è stato solo un incidente. Questa settimana
vai e te
ne prendi una ancora più bella eh?»
«Ma
io volevo quella!»
«Non
fare la bambina»
la rimproverò scherzosa l'amica.
«Beh,
io ora sono arrivata da Adam, ci sentiamo domani ok? Oppure se puoi
fai un salto all'agenzia, la giornata credo si prospetti piuttosto
morta» continuò.
April
annuì più a se stessa che all'amica, guardando
famelica il cibo che
ancora non aveva toccato.
«Se
ho tempo passo, promesso! E divertiti con Adam!» concluse
maliziosa.
Sentì
May ridere alla sua frase, e senza attendere altro chiuse la
chiamata.
Si
ritrovò di nuovo immersa nel silenzio tipico di casa sua, le
voci
della tv solo un sottofondo monotono e impersonale.
In
quei momenti si ritrovava a invidiare l'amica: almeno aveva un
fidanzato da cui andare, che le teneva compagnia. Quella casa invece,
per quanto piccola, era sempre tristemente vuota, e April iniziava a
sentire la mancanza di qualcuno con cui stare.
Cambiò
un altro canale e ritrovò uno dei suoi film preferiti, Serendipity;
sorrise.
Beh,
è solo una questione di attesa. Arriverà qualcuno
anche per me, ne
sono sicura.