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Autore: rossella0806    06/06/2016    2 recensioni
Il commissario Alessandro Terenzi è ormai alla sua terza indagine letteraria: un lunedì mattina di inizio novembre, viene ritrovato cadavere il noto imprenditore delle ceramiche torinesi Giorgio Appiani Uzia, ucciso nell'ufficio della sua fabbrica e, così, per il poliziotto, si apre un nuovo rompicapo da risolvere il prima possibile.
Ghirodelli, il fedele collega ed ispettore, sarà sempre al suo fianco, così come Ginevra, la simpatica ed impicciona archeologa ormai diventata la fidanzata ufficiale del commissario, la cui unica compagnia, fino ad allora, era stata Miss Marple, la tartaruga di terra.
Tra malanni di stagione, ex mogli, segretarie eccentriche, vecchiette diffidenti e figli ambigui, accompagneremo Terenzi in questa nuova avventura dai risvolti, man mano, sempre più oscuri.
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giovedì 20 novembre, ore 16. 40, commissariato “L’Aquila”, Torino


Ghirodelli entrò come una furia nell’ufficio di Terenzi, intento a scrivere un paio di SMS.
-Commissario, e’ tornata! Rossi e Berardi mi hanno appena telefonato per dirmi che Svetlana è entrata nel palazzo di corso Garibaldi 36!-
Il poliziotto si alzò dalla poltrona come un moderno Lazzaro, dimenticandosi del cellulare e delle carte da firmare che aveva accumulato sulla scrivania.
-Oh, molto bene! Una volta ogni tanto siamo fortunati anche noi: in appena due giorni si è rifatta viva! Andiamo!-
Quando arrivarono sul posto, la sirena spenta per non insospettire la ricercata, trovarono i due agenti di turno fuori dalla volante, appoggiati con finta noncuranza alle portiere anteriori di una vecchia Seicento blu.
-Da quanto tempo è arrivata?-
-Sono venti minuti, commissario- gli rispose Berardi, grattandosi distrattamente la nuca ed ammiccando in direzione dell’attico del palazzo davanti a loro.
-Era da sola?-
-Sì- continuò, precisando anche che aveva con sé un paio di valigie.
-Ci sono uscite laterali?-
-No, commissario, sono andato a controllare mentre vi aspettavamo, ma negativo- proseguì questa volta Rossi.
-Allora tu e il brigadiere rimanete qui di guardia, io e l’ispettore saliamo. Tenete gli occhi aperti, mi raccomando, e per qualsiasi necessità teniamoci in contatto con gli auricolari-
Tutti e quattro annuirono e si scambiarono un’occhiata di reciproca fiducia, mentre fiumi di adrenalina invadevano i loro corpi: finalmente, dopo giorni di inattività, finalmente qualche cosa si stava smuovendo, le acque del mar Rosso si erano aperte per lasciarli passare.
E chissà che, con un briciolo di fortuna in più, il sesto senso di Terenzi che non lo aveva abbandonato da qualche giorno a quella parte, non si rivelasse corretto, tanto che la misteriosa donna con il geco tatuato non tornasse utile anche per risolvere l’omicidio di Appiani.
-Andiamo, Ghirodelli-
Nell’androne del palazzo, per fortuna, non incontrarono nessuno: salirono le scale con circospezione, la mano sulla pistola spianata davanti a loro.
Il commissario era quasi convinto che la donna non avrebbe fatto resistenza, ma era meglio munirsi preventivamente, piuttosto che ritrovarsi impreparati e, perciò, rimanere fregati proprio sul più bello.
Quando arrivano all’attico, Terenzi ordinò sottovoce:
-Suona il campanello, ma non dire niente. Appena apre, entriamo con una scusa, d’accordo?-
-Va bene-
L’ispettore fece come gli era stato comandato e, pochi istanti dopo, la porta si aprì con naturalezza.
-Chi siete?- domandò Svetlana, un accento dell’Est Europa ad accarezzare quella voce suadente che li accolse.
Non c'erano dubbi, infatti, che si trattasse di lei: aveva gli stessi capelli lunghi e folti, di quella tonalità rossastra tanto rara e preziosa, gli stessi occhi verdi della foto segnaletica.
Il superiore si fece avanti e, nascondendo l’arma da fuoco dietro la schiena, cominciò a presentarsi.
-Buonasera, signorina, scusi il disturbo. Siamo degli amici della sua vicina di casa, la signorina Anna del piano di sotto: si ricorda, ha traslocato da poche settimane … -
-Ah sì, me lo ricordo. Ma perché avete suonato da me?-
-Vede, non ci risponde: avevamo un appuntamento con lei più di un’ora fa e siamo preoccupati perché non ci apre. Ho dimenticato il cellulare in ufficio e Francesco- spiegò seraficamente, indicando Ghirodelli –ha la batteria esaurita. Vorremmo chiederle di poterla chiamare con il suo telefono, se non le dispiace-
La ragazza li guardò storto per qualche secondo, indecisa se credergli oppure no, poi la Fortuna sembrò guidare la sua risposta affermativa.
Così, non appena aprì la porta, Terenzi e l’ispettore entrarono fulminei e richiusero la porta dietro di loro come ad impedire l’entrata di un cataclisma di enormi dimensioni.
-Ma chi siete?! Cosa state facendo? Io chiamo aiuto, chiamo polizia!-
-Non le conviene signorina Zacharova. O forse, dovrei dire Brekoska, come adesso si fa chiamare?-
-Io non vi conosco, uscite subito da casa mia!-
-Noi sì, però. Sono il commissario Terenzi e questo è il mio collega, l’ispettore Ghirodelli. Mi dispiace dirle che abbiamo arrestato il suo amante, anzi, per l’esattezza l’intera banda di strozzini è stata sgominata: mancava all’appello soltanto lei, ma direi che adesso l’abbiamo trovata e possiamo chiudere il cerchio-
Il poliziotto strinse i polsi della donna dietro la schiena, senza troppi complimenti, facendo un cenno a Ghirodelli che tira fuori le manette.
-Bene, così siamo sicuri che non può scappare. Si sieda-
Svetlana venne accompagnata fino sul divano, dove si accasciò con fare melodrammatico.
-Io non ci credo che avete arrestato Gianni! Voi siete bugiardi-
-Invece mi dispiace deluderla, signorina, ma è così! Ci deve seguire in centrale per chiarire la sua posizione-
-Non verrò da nessuna parte! Mio diritto è avere avvocato!-
-Lo avrà a tempo debito, non si preoccupi. Adesso, però, se non vuole complicare ulteriormente le cose, venga con noi. Glielo sto chiedendo con le buone, se non fosse abbastanza chiaro …-
La donna li sfidò con i suoi intensi occhi smeraldi, l’espressione atterrita e di sfida sul bel volto ovale.
Abbassò lo sguardo come per riflettere ancora qualche secondo, quindi si arrese all’evidenza dei fatti ed acconsentì a seguirli.


Una volta in commissariato, la ragazza si era calmata: non aveva parlato per l’intero tragitto e, dopo essersi divincolata un po’, alla fine si era chiusa in un mutismo praticamente difficile da scalfire.
-E’ inutile che continua a fare scena muta! Anche se lei non parla, abbiamo la testimonianza di diverse persone che le attribuiscono un ruolo di primo piano nella banda: il suo stesso Gianni ce lo ha confessato! Vuole alleggerire la sua posizione oppure no?!-
Svetlana continuava a mantenere gli occhi fissi al pavimento, come certa della falsità dei discorsi che quell’uomo, ronzante attorno a lei come un insetto fastidioso, le stava propinando.
-Non ho niente da dire-
-Su di lei pendono diversi capi d’accusa: estorsione, gioco illegale, esercizio della prostituzione, immigrazione clandestina… -
-No! Io non sono immigrata clandestina, io ho permesso di soggiorno!-
-Una volta, ma adesso non più: da quanto ci risulta, è stata espulsa per ben due volte e tre mesi fa è anche stata fermata per falsificazione di documenti! Vuole per caso negare anche questo?-
La ragazza ritornò a chiudersi nel suo mutismo, senza degnare nemmeno di un’occhiata il foglio che il poliziotto sventolava davanti a lei: Terenzi guardò Ghirodelli che stava scrivendo a computer il verbale, o forse sarebbe stato meglio dire quello che aveva tutta l’aria di essere un monologo del commissario.
-Allora che cos’hai da dire in tua difesa?- passò a darle del tu, per cercare di farla sentire a proprio agio.
-Lo capisci che se non collabori rischierai di passare il resto della tua vita in carcere?! Sei giovane, non puoi desiderare una cosa simile!-
-Mi manderete in Bielorussia?-
-Non lo so ancora: teoricamente sì, visto che sei già stata espulsa, ma farò in modo che non accada, a patto che tu collabori. Se accetterai, ti prometto che parlerò personalmente con il magistrato: hai la mia parola-
-E Gianni? Cos’ha detto di me?-
-Quando gli abbiamo chiesto dove avresti potuto nasconderti, lui ha detto di non saperlo, che però eri stata da lui fino a una settimana fa, fino a quando sei ritornata nel tuo paese. E’ la verità?-
Terenzi aveva appreso quelle informazioni dal suo amico e collega Franco, l’Orco di Pollicino partenopeo, che lo aveva chiamato il giorno prima.
-No! Lui un bugiardo, lui mi ha detto di andare in altro suo appartamento, perché poi saremo fuggiti insieme per un posto lontano! Lui non mi ha protetta!-
-Appena gli abbiamo domandato di te, non ha esitato a dirci questa che tu ritieni una bugia-
-Maledetto bastardo! Allora anch’io dico una cosa di lui! Ha ucciso un uomo!-
Il commissario e l’ispettore si guardarono, levando la testa di scatto e malcelando la curiosità che le loro orecchie bramavano di sentire.
-Cosa stai dicendo? Ti rendi conto delle accuse che stai formulando? Quando è successo? Tu sai chi era quest’uomo?-
-Sì, io so tutto. Si chiamava Giorgio, è morto l’altra domenica, quasi due settimane fa, qui a Torino. Io c’ero, io ho aspettato in macchina- rispose decisa Svetlana, senza alcuna titubanza nella voce suadente e solo in parte isterica.
-Sai anche il cognome della vittima?- Terenzi cominciò a nutrire il terribile presentimento di conoscere già il resto della storia, ma non voleva affrettare i tempi.
-No, so solo che si chiamava Giorgio. Era bell’uomo, alto, con occhiali ma senza capelli, bel sorriso e molto simpatico-
-In che rapporti eri con lui?-
-Io ero sua amica: ci siamo baciati qualche volta, ma lui vero gentiluomo, lui non voleva fare altro. Veniva al club a giocare-
-Giocava? Ne sei sicura?-
-Sì, è venuto per prima volta un anno fa. Era venuto a pagare debito di un amico, poi ha cominciato anche lui e negli ultimi mesi ha iniziato a perdere molti soldi-
-Quanti?- incalzò il commissario, controllando che l’ineccepibile Ghirodelli continuasse a prendere appunti.
-Non so bene, non ricordo con esattezza. Credo duecentomila o trecentomila euro-
-Gianni lo ha ucciso perché non voleva pagare?-
La ragazza rimase in silenzio per pochi secondi, mordendosi le labbra e annuendo.
-Sì, credo di sì-
-E tu sei sempre stata in macchina? Non sei mai scesa?-
-No, faceva freddo quella notte, c’era tanto vento e io non volevo vedere Gianni che uccideva Giorgio. Lui era brava persona, ma non pagava, quindi da una parte giusto che lui morto, almeno diceva Gianni-
-Avevate un appuntamento con lui?-
-Sì, Gianni convinto Giorgio per parlare dei soldi che lui non voleva dare: era convinto che l’avrebbe convinto a restituire tutto denaro perso-
Terenzi andò a sedersi sul bordo della scrivania, e la fissò negli occhi:
-Sei mancina?-
-Cosa vuol dire mancina?- domandò l’altra, innocentemente.
-Con quale mano scrivi? Destra o sinistra?-
-Destra-
-Hai una collana con un ciondolo d’oro e d’argento?-
-Sì, io ho diverse collane, ma tu come fai a saperlo?-
-Ne hai persa qualcuna durante queste settimana?-
-No, nessuna. E poi io preferisco oro ad argento, più prezioso. Ma forse se voi collana ritrovata da Giorgio io so chi può averla persa-
Terenzi e Ghirodelli si guardarono di nuovo: quella giovane era più precisa dei loro archivi digitalizzati, più completa di un elenco telefonico, più utile della Sibilla Cumana.
-Chi è?-
-Una donna: alta, magra, con un bel cappotto nero e con… come si chiama capelli tutti rotondi in testa?-
-Chignon?-
-Eh sì, chignon! Quando io e Gianni arrivati davanti alla fabbrica di Giorgio, lei usciva veloce e scappata su una  macchina molto bella-
-Ti ricordi il modello della macchina?-
-Era blu o nera: era scuro, perché undici di sera, io non ho visto bene. Però era costosa-
-Mi sai dire se era giovane?-
-Non lo so, ho appena detto che era buio. E poi, c’erano solo due lampade, no, come si dice? lampioni, perché uno rotto, ma abbastanza luce da vedere che lei correva disperata: non era vecchia ma nemmeno giovane, però non sono sicura dell’età-
-Quando Gianni ti ha raggiunto in macchina che ore erano?-
-Passato poco tempo, venti minuti, forse meno-
-Aveva con sé un cestino della spazzatura?-
-Un cestino?! No! Che cosa stai dicendo?-
Terenzi scese dal suo angolino e fece il giro della scrivania di formica, andando a sedersi sulla solita poltrona bordeaux.
-La tua posizione non è che si alleggerisca di molto, te ne rendi conto?-
-Ma tu hai detto che se io parlavo non andavo nel mio Paese! Lì io fame e non ho nessuno-
-Sì, è vero, però sei stata complice del tuo amante: avresti potuto venire prima a denunciare, di tua spontanea volontà. Comunque, sei stata precisa e, spero, veritiera nel raccontarmi l’omicidio- le concesse il poliziotto, unendo le mani a triangolo.
-Io però non ho ucciso Giorgio, dillo al magistrato!-
-Ti credo, ma è anche vero che, se la tua versione dei fatti verrà confermata, non hai mosso un dito per fermare l’assassino. Tuttavia, la tua deposizione è stata molto importante: finalmente sappiamo chi l’ha ucciso e, come promesso, ne terrò conto quanto parlerò con il giudice. Ora ti faccio accompagnare: se vuoi, puoi chiamare il tuo avvocato-
Quando la ragazza uscì per essere portata nella cella di sicurezza, Terenzi si avvicinò all’ispettore, che nel frattempo si era alzato dalla sedia dove aveva battuto a macchina.
Spense il registratore e attese che il superiore formulasse i suoi più che leciti dubbi.
-Ho un brutto presentimento, sai? Ho paura che la donna che ha perso il ciondolo e quella che ha visto andare via Svetlana sia la vedova di Appiani-
-Cosa glielo fa pensare?-
-Per prima cosa la macchina: l’ultima volta che sono andata a casa sua, siamo scesi insieme e lei, per andare all’atelier, è salita su una macchina blu scuro, una Mercedes Benz. Poi ci sono anche i particolari dei capelli e dell’impermeabile scuro, che le ho sempre visto indossare, funerale compreso. L’unica cosa che non mi convince, è la possibilità esposta dal dottor Bertani riguardo l’angolazione del colpo inferto alla vittima: secondo il medico legale, è stata una persona mancina, ma quando ha firmato la deposizione in commissariato e qualche giorno dopo le ho chiesto di scrivermi su un biglietto i suoi dati, lei ha usato senza alcuna titubanza la mano destra-
-Potrebbe essere stata una mossa giocata d’anticipo. Quello che mi domando io, capo, è chi ha drogato Appiani? La misteriosa donna che ha perso il ciondolo o l’amante di Svetlana? Perché, in questo caso, i tempi non coinciderebbero con il racconto della ragazza, che sostiene che il suo amante si è assentato meno di venti minuti e gli effetti del bromazepam non si instaurano in così brevi minuti-
Il commissario si passò una mano sulla barba incolta, indeciso a chi e a cosa credere.
-L’unico modo per sapere la verità è convocarla-


Alle sei e mezza, Clelia Camoletti si presentò nell’ufficio di Terenzi con un’aria piuttosto seccata.
Indossava un grazioso cappottino grigio tortora, sotto cui si celava una blusa rosa antico e un paio di pantaloni beige su dei tacchi neri.
-Buonasera, signora, scusi se l’abbiamo fatta chiamare a quest’ora, ma ci sono delle novità-
-Non ho molto tempo, commissario. Mio figlio domani riparte per Milano, e vorrei approfittarne per stare qualche ora con lui. Cos’è successo?-
-Sappiamo chi ha ucciso il suo ex marito-
Il volto della donna si rasserena, non dopo che un lampo di sbigottimento attraversò i suoi occhi verdi.
-Ah, bene. E chi sarebbe?-
-Un uomo, uno strozzino che possiede un club di gioco d’azzardo qui in città. Lo ha ucciso perché non pagava i debiti: le risulta?-
-Non sapevo che giocasse- continuò asciutta, la borsetta firmata stretta sulle ginocchia.
-Si ricorda che, durante il nostro penultimo incontro, le ho detto che uno degli assassini era molto probabilmente una donna?-
-Sì, me lo ricordo. Avete ritrovato anche un ciondolo, se non sbaglio-
-Infatti. Lei è mancina?-
-Non vedo che cosa possa c’entrare con l’omicidio del mio ex marito, tanto più che sa già la risposta-
-Se si riferisce a quella scena a casa sua, in cui ha firmato usando la mano opposta, la prego di rispondermi con assoluta sincerità, signora-
Clelia Camoletti lo sfidò con lo sguardo, lo stesso che aveva visto tante volte negli occhi di Gabriele, il galletto primogenito di Appiani.
-Sono mancina. E allora? Anzi, per meglio dire sono destrimana, non ho alcun problema ad usare l’una o l’altra mano-
-Molto bene, la ringrazio della sua sincerità, perché vede, la donna che ha aggredito il signor Appiani era proprio mancina e, ad essere schietti, credo che quella donna sia lei-
-Ma come si permette?! Queste sono pure illazioni, commissario! Mi stupisco che possa pensare che sia andata in questo modo! Io non l’ho ucciso, non ho fatto niente, niente!-
-Quante automobili possiede?-
-Cosa?!- continuò sbalordita, cercando conforto inutilmente nella persona di Ghirodelli.
-Mi risponda-
-Una, quella che ha visto l’altro giorno quando è venuto a casa mia-
-Senta signora, mi dica la verità. Lo faccia per lei e per i suoi figli. Ci racconti come è andata quella notte. E’ stata lei a versare i centocinquantamila euro sul conto corrente del suo ex marito, vero?-
La donna abbassa lo sguardo, stringe le mani in due pugni, poi sospira.
-Allora? Sto aspettando che prosegua … -
-Sì, sono stata io-
-Perché?-
Qualche istante di silenzio, le mani tremolanti attorno alla borsetta di marca, lo sguardo perso in un punto indefinito del pavimento.
-Nell’ultimo mese ci eravamo riavvicinati. O meglio, era lui che si era riavvicinato a me. All’inizio credevo che mi stesse prendendo in giro, poi ho ceduto, perché continuavo ad essere innamorata di mio marito. Abbiamo ripreso ad uscire, a frequentarci, ma di nascosto, perché io non volevo. Un giorno mi ha detto che la fabbrica aveva un grosso debito, che gli affari non andavano bene: era disperato, mi ha fatto pena, anche se una parte di me diceva di non credergli, che mi stava solo usando. Così, ho fatto quel bonifico con il nome di quella donna, l’ho trovato per caso una sera, sfogliando la sua agenda che aveva lasciato sul tavolo: credevo fosse la sua amante e volevo vendicarmi, farli litigare ... - un lieve sorriso increspò le labbra della donna, ripensando a quei giorni lontani.
-Come ha fatto a farsi passare per Agnese Rampi?-
La malcapitata, nonostante tutte le prove a suo sfavore, era davvero ricoverata in ospedale, a causa di una brutta bronchite.
-Ho trovato un assegno di Francesco, il figlio di quella donna, tra i libri di mia figlia Anita. Per una coincidenza, ho scoperto che entrambi studiavano a Padova, anzi, per essere sinceri, anche Anita, prima di riprendere con il conservatorio, si era dedicata alla Biologia. E’ lì che aveva conosciuto quel ragazzo, che aveva rivisto qualche mese fa. Si erano scambiati dei libri e, per caso, lui aveva dimenticato l’assegno per la prima rata del semestre proprio in quel volume, così ne ho approfittato: con della carta carbone, ho ricopiato la firma su un assegno in bianco e, per eliminare qualsiasi traccia che potesse unire me al mio ex marito, ho deciso di far passare Agnese Rampi come la generosa benefattrice.
Su un sito di social network, ho potuto constatare che entrambe ci assomigliavamo sufficientemente fisicamente, così, grazie all’assegno emesso dalla banca che Francesco aveva lasciato in quel libro, mi sono fatta passare per lei, e la cosa ha funzionato.
Ma non volevo metterla in cattiva luce, commissario, ho fatto tutto questo perché mi vergognavo di far sapere che non avevo smesso di amarlo-
-Poi, cosa è successo, signora?-
-Una decina di giorni fa, mentre lo aspettavo nel suo ufficio, quando la fabbrica era ormai chiusa, ho sentito che parlava nell’altra stanza con qualcuno. Era al telefono, e diceva che tutti quei soldi non li aveva ancora, che era riuscito a racimolare solo la metà della somma, grazie ad una vecchia signora che glieli aveva lasciati in eredità. Quello stupido non si era nemmeno accorto di chi gli aveva fatto il bonifico, a lui interessavano solamente i soldi-
Scosse il capo amareggiata, quindi aprì la borsetta per prelevare un fazzolettino di carta con cui si soffiò il naso.
-E’ stato a quel punto che ho aperto gli occhi, che ho capito di essere stata per l’ennesima volta una stupida, una stupida che era cascata di nuovo nella sua rete di ammaliatore. Ho fatto finta di niente, fino a quella notte di domenica. Lui mi aveva dato appuntamento per cenare insieme e poi mi ha riaccompagnato a casa. Poco dopo sono tornata in fabbrica, perché in quella conversazione che avevo origliato qualche giorno prima, sapevo che quella sera avrebbe dovuto incontrare una persona, probabilmente la stessa con cui aveva parlato al telefono. Alle dieci e mezza sono entrata nel suo ufficio senza difficoltà, perché possedevo le chiavi che gli avevo sottratto facendone una copia: era agitatissimo, stupito del fatto che mi trovassi lì e, come ai vecchi tempi, mi trattò di nuovo male, come una pezza da piedi. Gli ho chiesto spiegazioni sui soldi che avevo versato, sputandogli in faccia tutta la verità, ma lui ha detto che non aveva tempo, che ne avremo riparlato: mi ha messo alla porta e io non ci ho visto più: l’ho colpito forte al collo, con il fermacarte che c’era sul tavolo e me ne sono andata. Però era vivo, perché sentivo che urlava il mio nome, ma io non sono tornata indietro. Non mi interessava più nulla di lui-
-E il bromazepam con cui è stato drogato? Non è stata lei a versarglielo?-
L’altra negò con forza.
-Negli ultimi mesi aveva attacchi di panico, almeno è quello che mi aveva confessato, e aveva cominciato ad assumere quei sedativi. Glieli avevo consigliati io, perché sono gli stessi che uso quando ho i miei soliti attacchi insopportabili di emicrania-
-E il fermacarte che ha utilizzato? Dove lo ha buttato?-
-In un bidone della spazzatura, lungo la strada di ritorno-
-Quando è entrata nell’ufficio, ha visto se c’era un cestino per i rifiuti con dentro dei fogli bianchi?-
-Si riferisce a quella specie di inusuale cassaforte? No, non l’ho visto. Però, qualche giorno prima, sono quasi certa di non averlo notato: anche quando eravamo sposati, aveva quella sciocca abitudine di nascondere le sue impressioni con l’inchiostro simpatico. Sono quasi certa che si sia disfatto di tutto, sia del cestino che dei documenti, perché una delle ultime volte che sono andata da lui, ho visto  che stava distruggendo
dei fogli bianchi nel tritacarte-
Terenzi sospirò e attese qualche istante prima di domandarle:
-Perché quando ha saputo della morte del suo ex marito ha fatto tutta quella sceneggiata? Perché non mi ha subito detto che lei quella notte era lì?-

-Non ho fatto nessuna sceneggiata. Io lo odiavo davvero, commissario, l’ho capito quella notte. E poi, cosa avrei dovuto dirle? Che lo avevo colpito? Non sapevo nemmeno se l’avevo ucciso, anche se quando me ne sono andata era ancora vivo, glielo ripeto-
-Dovrebbe ringraziarlo, sa? E’ merito suo, anche se involontariamente, che lei è ancora viva. Se non l’avesse mandata via quella notte, probabilmente quell’uomo avrebbe ucciso anche lei-
La donna si passò una mano sulla fronte, incredula e, allo stesso tempo, in una sorta di catalessi.
-Mi arresterete?-
-Su di lei pendono l’accusa di aggressione, omissione di soccorso e falsa testimonianza, ma visto che ha la fedina penale pulita, credo che il giudice ne terrà conto. Per il momento, la dovrò trattenere: è suo diritto contattare il suo avvocato-
-Posso almeno avvisare i miei figli?-
L'altro annuì, comprensivo.


Anche questo caso è chiuso, pensò amaramente Terenzi, una volta a casa.
Era stravaccato sul divano, la televisione accesa e Miss Marple sonnolente nel suo letargo.
Appena uscito dal commissariato, era andato da Carlo Della Robbia, per dirgli che finalmente era di nuovo un uomo libero, oltre che per raccontargli l’intera vicenda dell’omicidio dell’amico.
Lui era rimasto molto colpito, non riusciva a credere che l’ex moglie si fosse comportata così, mentendo anche alla Polizia, però si era reso conto che persino l’integerrimo Giorgio Appiani aveva i suoi scheletri nell'armadio: aveva fatto la bella figura di paladino della giustizia per più di un anno, mentre in realtà anche la vittima si era ridotta a giocare e a perdere una somma talmente alta da rischiare di far chiudere la fabbrica di ceramiche e di far perdere il lavoro a tante persone innocenti.
La metà del debito era ancora da saldare, però: entro fine anno, Della Robbia avrebbe versato i cinquantamila euro che gli aveva prestato l’amico, ma ancora mancavano duecentocinquantamila euro all'estinguersi del debito che, il poliziotto era certo, avrebbe rimesso di tasca propria l'amato Gianni di Svetlana.
E le sorti della fabbrica sarebbero dipese anche da quello che avrebbero voluto fare Anita e Gabriele Appiani, se continuare a gestire l'impresa in famiglia oppure passare la mano.
Per il resto della serata, il commissario decise di dimenticare le indagini e di concentrarsi su quel film che era appena cominciato, addormentandosi rilassato come non gli capitava da giorni.


   
 
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