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Autore: PandorasBox    08/06/2016    1 recensioni
#1 [Talia/Reyna]
#2 [Jason]
#3 [Nico/Will]
#4 [Luke/Talia]
#5 [Talia/Reyna]
#6 [Nico/Will]
#7 [Leo, Teen Wolf!au]
In quel momento, la sua già di suo triste e complicata vita, era diventata un film. Ma non un film bello, un film che somiglia più alle infinite telenovelas che vede tía Rosa in cui, ad una sfiga se ne aggiunge un’altra ed un’altra e poi un’altra ancora e arrivi a milleottocento puntate senza aver risolto nulla e con più morti di una guerra nucleare. Solo che i morti che vorresti tornassero non tornano e restano sottoterra
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Il tempo per cui vale la pena è quello che decidi solo tu

Io da qui ne vedo già un bel po', e se vuoi ne prendo anche per te."






 

Ci sono tre modi per guardare alle cose: quello giusto, quello sbagliato e quello necessario.

 

Quello giusto è tipico delle persone misurate, quelle che hanno la vita in pugno e possono stringere ed allentare la presa quando vogliono. È il punto di vista di chi sa che, semmai qualcosa dovesse andar storto, potrebbe comunque raddrizzarlo con uno schiocco di dita ed un po’ d’olio di gomito.

Inutile dirlo, lui non ha mai avuto la fortuna di vedere le cose da quel punto di vista, neanche nei periodi migliori.

 

Quello sbagliato è tipico di tutti gli altri, è il modo in cui la maggior parte del mondo si approccia ad una difficoltà perché piangere prima ed agire poi è assolutamente più semplice che cercare una soluzione in tempi consoni e comportarsi come persone civili.

Lui, per tutta la sua vita, aveva visto le cose dal punto di vista sbagliato ed aveva ricevuto come premio una dose formato famiglia di astio e rancore. Non è una cosa che consiglia e sta cercando di smettere.

 

Quello necessario, invece, è il punto di vista di chi vuole risalire la china, di chi si rende conto che le montagne che vedeva sul suo cammino erano solo sassi e che, volendo ed impegnandosi, impara che aggirarli è molto più facili che scalarli a mani nude. Il primo passo, gli dicono, è accettare di non essere più soli e di non poterlo più essere per tutto il resto della vita perché, quando butti giù un muro puoi provare a ricostruirlo da capo ma poi devi sempre cementare le pietre con una massiccia dose di sincerità e allora tanto vale lasciarlo com’è, a pezzi ed ai tuoi piedi, magari chiedere aiuto per portar via un po’ di schifo per poi godersi il panorama insieme.

È una gran fatica ma poi scopri che c’è un bel sole allegro oltre a tanti tramonti tristi, brindi con un bicchiere di limonata e ti godi lo spettacolo.

 

Il primo passo, si dice, lo ha fatto e, certo, ancora deve schivare qualche maceria rimasta qua e là ma sa che non è più solo e che difficilmente lo sarà di nuovo perché non ha più motivo di nascondersi dietro un dito e gli altri non devono più fingere di non vederlo.

Perché se vuole che la gente smetta di trattarlo come un ragazzino spaventoso in perenne crisi adolescenziale, beh, lui deve essere il primo a decidere di non vedersi più così. Perché è stato lui a trasformare un sasso (per quanto grosso e pesante) nell’Himalaya ed ora deve rimediare. Deve imparare a vedere le cose sotto un’altra luce.

Ed è quel che sta provando a fare, sdraiato sul suo letto, la testa penzoloni dal materasso perché gli hanno sempre detto che tutto dipende dal modo in cui si guardano le cose e lui vuole vedere se cambia qualcosa a vederle al contrario.

«Non era esattamente quello che intendevo quando ti ho detto di vedere le cose da un altro punto di vista.» dice una voce divertita fuori dalla sua finestra. Nico sposta lo sguardo dal muro che ha di fronte a quel quadrato luminoso alla sua destra e la prima cosa che mette a fuoco sono un paio di braccia abbronzate, poi un sorriso che taglia ben bene una faccia altrettanto abbronzata ed una massa di capelli biondi e arruffati di chi si è alzato e non se n’è ancora accorto. L’ultima cosa che mette a fuoco sono un paio di occhi chiari che lo guardano a metà tra il divertito ed il perplesso ─ che poi è l’espressione standard dell’altro, sempre in bilico tra l’apprensione e il divertimento e qualcos’altro.

Visto a testa in giù, si dice, Will ha una faccia ancora più irritante che visto a testa in su -a testa in giù somiglia troppo a suo padre, per dire- però il sorriso è sempre quello ed è comunque sempre bello.

E lui è comunque sempre scemo perché se ci pensa si imbarazza ma non c’è un bel niente di cui imbarazzarsi, è solo una constatazione, ma abituarsi ad essere sinceri con sé stessi è un processo lungo.

«Volevo provare a vedere se hai la faccia da scemo anche visto da qui.» replica, non muovendosi di un millimetro e strizzando appena gli occhi per cercare di capire cosa l’altro abbia poggiato sul davanzale mentre cerca di mettersi comodo.

«La faccia da scemo ce l’ho anche visto di lato, pensavo ormai lo sapessi. Sono settimane che mi hai sempre intorno!» è la replica, poi un altro sorriso che gli fa venir voglia di avere gli occhiali da sole ed una domanda «Mi apri la porta o devo scavalcare?»

«Visto che non ho intenzione di alzarmi da questo letto prima dell’ora di pranzo mi sa proprio che dovrai arrangiarti.»



 

Will è uno di quelli che le cose le vede nel modo necessario e un po’ anche nel modo giusto e Nico non capisce come ci riesca perché di schifo sotto mano ne ha avuto parecchio dalla vita ma lui le sorride in faccia e raddrizza le spalle e non sente il bisogno di piangersi addosso.

Forse è così perché è un modello nuovo mentre lui è uno di quelli abbastanza datati, magari questi semidei 2.0 (questi esseri umani 2.0) hanno quella marcia in più che permette loro di non passare la vita a rimuginare, farsi il sangue cattivo e buttar fuori il loro peso in lacrime e negatività.

A volte si chiede se si possa fare l’upload perché non sarebbe male, non sarebbe male davvero.

 

«Comunque i film a colori e tutti questi effetti speciali sono una figata.» dice, per scrollarsi di dosso un po’ di pensieri e perché Will si è girato solo per controllare che non si sia addormentato visto che sono più di trenta secondi che non fa domande ─ e non è colpa sua perché ormai sa chi sono i protagonisti ed ha più o meno capito che quello con la cicatrice è Harry Potter e, davvero, ora capisce perché la gente ci sia entrata tanto in fissa.
Will aggrotta le sopracciglia e sistema lo schermo di quel lettore DVD portatile che, da come racconta, gli è costato un mese di non ha ben capito cosa con quelle due che hanno preso il posto degli Stoll a capo dei traffici loschi del Campo. A suo dire, però, gli sta facendo un favore perché è ora che conosca il Ventunesimo secolo e non capisce come un paio di film sui maghi ed altri su strani supereroi che se le danno di santa ragione possano aiutarlo. Erano molto più utili i libri di storia che gli aveva rimediato un paio di settimane prima, i dischi che continua a portargli, per dire.

Tutt’ora, comunque, le diavolerie inventate negli ultimi settant’anni gli sembrano molto più assurde di una scuola di magia e di tutta la storia di essere figlio di Ade ed aver combattuto due guerre e tutto il resto, quindi decide di godersi i film e non pensarci troppo su. Anche il fatto che qualcuno come Will voglia aiutarlo per il semplice gusto di farlo, poi, lo disorienta ma, ora che ci pensa, deve essere qualcosa insito nell’indole da crocerossino di Solace e quindi la cosa diventa già più plausibile.

«Perché, non c’erano i film a colori quando....?» la voce di Will lo sveglia di nuovo, lo guarda con quel suo sguardo curioso mentre si gratta una guancia come fa di solito quando è imbarazzato ma non lo vuole dare a vedere.
Scuote la testa, allungandosi quel che basta per afferrare un pacchetto di patatine che è quasi sicuro di non aver finito «Hai idea di quando è arrivato il sonoro, Solace? E la TV a colori? Siamo davvero qui a parlarne?»

Will blocca il film ─ male, molto male, perché quello significa parlare e lui mica ancora è così bravo- e si gira lentamente verso di lui e si pente di non aver molta via di scampo perché ora quel paio di occhi azzurri lo scrutano ben bene e, da qualsiasi parte la guardi, quella situazione non è quella in cui vorrebbe ritrovarsi (forse).

«A volte dimentico che sei più vecchio di mio nonno.» borbotta solo, prima di ritirarsi, rifilandogli un’occhiata strana sotto le sopracciglia aggrottate «Deve sembrarti tutto strano.»

«Infatti mi sembra tutto strano.» ammette, stringendosi nelle spalle. «Non so se in bene o in male, però. Non ho avuto tempo per capirlo.»

Will sembra farsi bastare la risposta perché (per fortuna!) decide di far cadere la cosa e gli regala un gran sorriso e riavvia il film «Non una parola, ora, che arriva il pezzo importante» dice solo, mettendosi comodo con la schiena contro il letto, spalla contro spalla, rifilandogli una gomitata.

Silenzio, le immagini scorrono sotto i loro occhi.

«Quindi aspetta, Will blocca un attimo!, il tipo con il turbante ha due teste perché…?»

Will prova a rispondere ma poi ci sono solo un sospiro ed una risata, lo sguardo che si distrae dal film ed un bacio (timido) a fior di labbra.


 

 

«Comunque, no, volevo dirti...e se un giorno di questi ti portassi a prendere un gelato da qualche parte qui a Long Island? Conosco anche un bel negozio di dischi, magari...»

«Stai chiedendo un appuntamento ad uno più vecchio di tuo nonno? Siete così sfacciati, voi giovani d’oggi?»

«Sì, lo sto facendo e sì, lo siamo. La fai sembrare una cosa brutta.»

«Se accettassi sarebbe strano?»

«Non nel Ventunesimo secolo. Basta non dire che sei più vecchio di mio nonno.»




 

Ci sono tre modi per vedere le cose: quello giusto, quello sbagliato e quello necessario.

Quello necessario è il punto di vista di chi vuole risalire la china, di chi si rende conto che le montagne che vedeva sul suo cammino erano solo sassi e che, volendo ed impegnandosi, impara che aggirarli è molto più facili che scalarli a mani nude. Il primo passo, si dice Nico, è accettare di non essere più soli e di non poterlo più essere per tutto il resto della vita, accettare il fatto che, a tutti gli altri, tu possa piacere esattamente così come sei, anche se non hai capito tutta quella storia di Voldemort e cose così.

È accettare di essere capiti ma, soprattutto, accettarsi. Ed è bello, ed è strano ma strano in senso buono, è un po’ come guardare qualcuno a testa in giù e capire che cambia niente ma in realtà cambia tutto, ché tanto le facce sceme rimangono tali ma forse, vista così, anche la tua tanto intelligente non sembra.



 
«Credo mi piaccia, sto Ventunesimo secolo. Vedi di farmi piacere anche il gelato.»
   
 
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