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Autore: _missMusic_    08/06/2016    3 recensioni
Non tiene conto dei fatti avvenuti nel romanzo.
È conseguenza di alcune vicende avvenute nel GdR ufficiale del romanzo Vodka&Inferno.
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Dalla FanFiction:
"E quei volti, quei suoi fantasmi, avevano eliminato tutte le meraviglie di cui lei avrebbe ancora potuto godere. Le sarebbe bastato poter avere quei nomi per essere felice.
Tuttavia nessuno l’avrebbe cercata, nessuno l’avrebbe aspettata, nessuno l’avrebbe salutata.
Era morta da sola, così come era nata.
E quei nomi e quei volti l’avrebbero dimenticata."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE!
Questa storia non tiene in alcun modo conto degli eventi raccontati nell'opera originale di Penelope Delle Colonne.
Fa parte della storia del GdR Vodka&Inferno, forum tratto dall'omonimo romanzo.

Ha valore ON GdR.
 
 
 
                                                                                   SCONFITTA



“Mère des souvenirs, maîtresse des maîtresses,
Ô toi, tous mes plaisirs! ô toi, tous mes devoirs!
Tu te rappelleras la beauté des caresses,
La douceur du foyer et le charme des soirs,
Mère des souvenirs, maîtresse des maîtresses!
Les soirs illuminés par l'ardeur du charbon,
Et les soirs au balcon, voilés de vapeurs roses.
Que ton sein m'était doux! que ton coeur m'était bon!
Nous avons dit souvent d'impérissables choses
Les soirs illuminés par l'ardeur du charbon.
Que les soleils sont beaux dans les chaudes soirées!
Que l'espace est profond! que le coeur est puissant!
En me penchant vers toi, reine des adorées,
Je croyais respirer le parfum de ton sang.
Que les soleils sont beaux dans les chaudes soirées!
La nuit s'épaississait ainsi qu'une cloison,
Et mes yeux dans le noir devinaient tes prunelles,
Et je buvais ton souffle, ô douceur! ô poison!
Et tes pieds s'endormaient dans mes mains fraternelles.
La nuit s'épaississait ainsi qu'une cloison.
Je sais l'art d'évoquer les minutes heureuses,
Et revis mon passé blotti dans tes genoux.
Car à quoi bon chercher tes beautés langoureuses
Ailleurs qu'en ton cher corps et qu'en ton coeur si doux?
Je sais l'art d'évoquer les minutes heureuses!
Ces serments, ces parfums, ces baisers infinis,
Renaîtront-ils d'un gouffre interdit à nos sondes,
Comme montent au ciel les soleils rajeunis
Après s'être lavés au fond des mers profondes?
— Ô serments! ô parfums! ô baisers infinis!”
— Charles Baudelaire

 
 
 



La notte, il giorno, il tramonto, l’alba.
Il mare, la montagna, la collina, la pianura.
L’acqua, l’aria, il fuoco, la terra.
Questo, quello, quell’altro e quell’altro ancora.
 
C’erano un’infinità di ragioni per non fare quella scelta. C’erano meraviglie su meraviglie, piaceri su piaceri, diritti su diritti, di cui i suoi occhi azzurri si sarebbero potuti beare, di cui le sue mani si sarebbero potute colmare, di cui il suo animo si sarebbe potuto soddisfare.
C’erano braccia pronte ad accoglierla, da qualche parte, in qualche tempo, ma quelle che lei voleva, quelle che lei desiderava, erano inermi, fredde, lontane, scomparse.
 
L’amore, l’odio, la gioia, il rancore.
L’amico, l’amante, il marito, il fratello.
Il povero, il ricco, il pazzo, il saggio.
Uno, due, tre e quattro.
 
Acque agitate, venti leggeri, pioggia sottile. L’ennesima precipitazione primaverile, una delle tante tipiche di quella zona della Carelia. Una donna sul bordo del muretto del porto, le dita dei piedi nel vuoto, la brezza fra i capelli biondi che tempo prima erano più scuri, più rossi, color del sangue.
 
Faceva un po’ freddo a quell’ora, con il firmamento plumbeo tempestato di piccole gemme. Infinite, preziose, irraggiungibili, meravigliose gemme. La luna era una triste spettatrice di quel che presto si sarebbe compiuto.
Un poeta spagnolo cantava della luna come di una madre malata, come una peccatrice, come una complice, come un’amica, come un’amante. La luna era quello, era tutto quello. Osservava quel che avveniva sotto di sé, in silenzio. A volte interveniva, nascondendo il colpevole o l’innocente con il suo petto adamantino, senza calore, senza sentimento, nascondendo prove che solo il sole avrebbe rivelato.
Il sole, sincero e onesto, che non accettava quel che la sua pallida moglie faceva.
La luna, che amava e odiava suo marito ad ogni cambio di maschera.
Loro, che si incontravano due volte all’anno, o forse sette, e che si amavano come i giovani più passionali, come i genitori più amorevoli.
Loro, che erano perfetti ed imperfetti.
 
Guarda, guarda, guarda.
Canta, canta, canta.
Gioca, gioca, gioca.
Cadi, cadi, muori.
 
Un fruscìo di stoffe, uno spostamento d’aria, un tonfo leggero, silenzio.
 
La neve, i fiori, i frutti, le foglie.
Giallo, arancione, rosso, viola.
Il sole, il mattino, si alza, sorge.
Ancora, ancora, ancora, sempre.
 
Qualcuno la trovò e la raccolse.
Qualcuno la pianse. Così giovane, così bella, così triste, di quella tristezza che anche nella morte la accompagnava.
Gli occhi chiusi, le labbra socchiuse.
Aveva pronunciato un nome prima di fallire, prima di arrendersi, prima di lasciarsi andare.
 
La notte, il giorno, il tramonto, l’alba.
L’amico, l’amante, il marito, il fratello.
Gioca, gioca, gioca.
Ancora, ancora, ancora, sempre.
 
Quel suo cuore non ce l’aveva fatta. Quel suo cuore l’aveva abbandonata e lei, già sola, non aveva sopportato quel dolore così crudele, così arrogante.
Non aveva accettato che il suo cuore si fosse donato a qualcuno senza chiederle il permesso, non aveva accettato che il suo cuore fosse occupato da così tanti nomi e da così tanti volti.
Tanti nomi, tanti volti, che per lei erano tutto, ma per i quali lei non era nulla.
E quei volti, quei suoi fantasmi, avevano eliminato tutte le meraviglie di cui lei avrebbe ancora potuto godere. Le sarebbe bastato poter avere quei nomi per essere felice.
Tuttavia nessuno l’avrebbe cercata, nessuno l’avrebbe aspettata, nessuno l’avrebbe salutata.
Era morta da sola, così come era nata.
E quei nomi e quei volti l’avrebbero dimenticata.

 
  
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