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Autore: Laylath    09/06/2016    3 recensioni
Com'è complicato trovare le giuste parole e mettere da parte l'orgoglio.
Per due amanti dai caratteri difficili come Havoc e Rebecca lo è ancora di più.
Bisogna aspettare la mezza estate, il momento giusto, quell'intuizione necessaria quanto inaspettata per capire che l'amore non è mai una via dritta e tranquilla, ma spesso è piena di curve e... giravolte.
II classificata al contest 'How Shakespeare said' indetto da fra_eater sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jean Havoc, Rebecca Catalina
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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II classificata al contest "How Shakespeare said" indetto da fra_eater sul forum Efp
 http://www.freeforumzone.com/d/11264866/How-Shakespeare-said/discussione.aspx/1



 
Giravolte di un amore di mezza estate

 


Le regole dell’esercito erano chiare sull’avere una relazione con un altro soldato: era assolutamente vietato. In questo modo si volevano evitare favoritismi, specie tra gradi differenti, ma con tutta probabilità si temeva anche che la professionalità sarebbe venuta meno in presenza di una relazione tra commilitoni.
Insomma, si sarebbe potuto scrivere un trattato in merito, forse addirittura esisteva e solo gli amanti di questo genere di letture, come Falman, ne erano a conoscenza.
Quello che ogni soldato sapeva fin troppo bene era che, con la giusta discrezione, si poteva aggirare il regolamento ed intrecciare una relazione con una collega. Salvo poi essere pronto a subirne le conseguenze.
Per esempio quella di trovarti in missione proprio con la tua ex, con la quale hai rotto nemmeno un mese prima. Davanti alla carenza di personale, causa micidiale epidemia di influenza, non ci sono scuse che tengano: peggio per te che quasi un anno prima avevi deciso di invitarla ad uscire dopo che ti era stata presentata.
“È andato da quella parte, ne sono sicura!” Rebecca scattò in avanti all’inseguimento di un ladruncolo a cui stavano dando la caccia da ore. Se non ci fossero state in gioco alcune preziose lettere dell’esercito una simile seccatura sarebbe stata compito della polizia; invece era toccato ai militari occuparsene e, tra i fortunati prescelti in salute, c’erano Havoc e Rebecca.
“È la decima volta che lo dici! – sbottò il biondo, raggiungendo la soldatessa e correndo assieme a lei – E le altre nove si sono rivelate buchi nell’acqua! Per me hai le traveggole”.
“Si è infilato nel boschetto, fidati – rispose lei, accigliandosi lievemente mentre arrivavano al limite della pineta che si trovava all’interno del parco di East City. Armeggiò per qualche secondo alla cintura e tirò fuori una torcia – è svelto come un folletto, ma questa volta lo prendiamo”.
“Caccia al folletto, fantastico – ironizzò Havoc, seguendola in quell’intrico di alberi che, di notte, faceva davvero uno strano effetto – ci vogliamo mettere anche qualche fata?”
“Di sicuro con te il giullare non manca. Forza, tieni il passo”.
Dannazione al suo carattere – pensò mentalmente lui, mentre non poteva far altro che starle dietro – non vedo l’ora che questa nottata finisca.
 
“Già preso? Come sarebbe a dire che l’hanno già preso?”
“Sì, sottotenente, più o meno mezz’ora fa. – la voce di Fury era incredibilmente nasale, segno che l’influenza ancora non mollava la presa su di lui – Non vi hanno informato? Sono tutti rientrati alla base”.
“A quanto pare avvisare questi due poveri scemi non rientrava nelle loro priorità – Havoc si sistemò meglio l’auricolare e lanciò un’occhiataccia alla bruna che scuoteva il capo incredula – Giusto per curiosità: dove l’hanno acciuffato?”
“Settore sei. Strano che non abbiate sentito nulla”.
“Beh, sai, stando nel settore uno e non nel settore sei – fece particolare attenzione ad enfatizzare i due numeri – è difficile avere contatti con il resto delle squadre. Torna a riposare, sergente, ora rientriamo pure noi”.
“Ricevuto”.
Spegnendo la piccola ricetrasmittente, Havoc fissò irato la sua compagna. Perché le aveva dato retta e non l’aveva bloccata immediatamente? Eppure doveva immaginarselo che con lei non avrebbe concluso niente di buono.
Almeno qualche parola di scusa per queste ore di inutili inseguimenti potresti dirla – pensò.
“Settore uno, eh? – commentò Rebecca, con aria seccata – Dannazione, non è proprio serata: è andato tutto male a partire dall’assegnazione”.
“Ah, adesso sarebbe colpa mia? Reby, sei tu che hai visto il ladro dove invece non c’era nessuno!”
“Per te sono Catalina, sottotenente Havoc! – ritorse lei – Quanto al ladro, anche se non era lui qualcosa sono sicura di aver visto”.
“Ma sentila!”
La luce di un piccolo lampione che stava in quella radura, al centro della pineta, illuminava il viso della ragazza in maniera davvero particolare, mettendo in risalto i suoi grandi occhi scuri. Ancora una volta Havoc pensò con nostalgia al periodo in cui erano complici e amanti perfetti, quando ancora i litigi ed i loro caratteri difficili non avevano preso il sopravvento. Gli faceva rabbia pensare che tutto era finito per quella che ora gli sembrava una sciocchezza, come l’aver lanciato una rapida occhiata alla cameriera del locale dove erano andati a cenare.
Ma forse… – uno strano pensiero gli balenò in mente. Così assurdo che paradossalmente sembrava possibile – si può ancora salvare il salvabile.
E se una caccia al ladro finita male in quella notte di mezz’estate fosse l’occasione del destino per riallacciare la relazione con quella che, in fondo, sapeva essere la donna perfetta per lui? Perché, inutile negarlo, anche se in quelle settimane aveva cercato di dimostrarsi forte, il vuoto che aveva lasciato Rebecca era qualcosa di incolmabile.
Forse lo vuole persino lei – arrivò ad ipotizzare, osservando l’espressione in parte sconsolata della ragazza. Possibile che stesse solo aspettando che lui prendesse l’iniziativa? Per altre persone non l’avrebbe creduto possibile, ma Rebecca era così particolare che poteva persino arrivare a simili espedienti.
“L’hai fatto apposta, ammettilo” disse con baldanza, cogliendo quella strana palla al balzo.
“Cosa?”
“Ma certo! Non sei una soldatessa da quattro soldi, non ti faresti mai ingannare da una falsa pista: mi hai portato qui intenzionalmente, vero?”
“E per quale assurdo motivo l’avrei fatto?” Rebecca si mise a braccia conserte, squadrandolo con sospetto.
Ad Havoc parve che fosse un atteggiamento assolutamente voluto: stava senza dubbio giocando a fare la preziosa, invitandolo a continuare e dunque confermando la sua teoria.
“Sei ancora innamorata di me, ovvio”.
Lei scosse il capo con incredulità, lasciando comparire una strana espressione sul suo volto, straordinariamente bello in quella luce fredda. Ragazza strana, Rebecca Catalina: da amante sensuale dal sorriso sempre pronto, eccola diventare una creatura di ghiaccio, come se quello che avevano vissuto assieme non fosse mai esistito.
“Tra tutte le cose, Jean Havoc, questa è senza dubbio la più idiota che potessi mai dire!”
“Come no! Si vede lontano un miglio che tutto questo…”
“Finiscila! – lo interruppe lei, dandogli uno spintone – Sul serio mi credi così poco professionale da seguire volutamente una falsa pista e finire in questo dannato boschetto? Per cosa poi? Per te?”
Havoc si passò una mano tra i capelli, non riuscendo a capire se avesse preso un abbaglio totale o se Rebecca stesse solo proseguendo nel suo gioco. In ogni caso si stava sentendo come un completo idiota.
Ma a questo punto tanto vale tentare il tutto per tutto.
“In fondo ti ho assecondato – dichiarò, mettendosi le mani in tasca – non l’avevi capito?”
“Mi assecondavi?”
“Oh, senti Reby, finiamola con questo girarci attorno… torniamo assieme, ti va?”
Ecco, come piaceva a lui: una proposta diretta, senza nessuno di quegli strani giri di parole che servivano solo a rendere le cose più complicate. Niente sottintesi o trucchi, solo la semplice verità.
Tuttavia la ragazza non sembrava molto contenta di come si stessero evolvendo le cose. Se prima la sua espressione era gelida, a quella proposta divenne furente, i capelli neri e mossi che sembravano gonfiarsi per la rabbia.
“Come osi chiedermi una cosa simile dopo tutto quello che mi hai fatto passare?” lo apostrofò, irrigidendosi e serrando i pugni tanto da rendere visibili alcune vene azzurrine.
“Dico solo che… aspetta! Dopo quello che ti ho fatto passare? – Havoc si inalberò davanti a quell’accusa così infamante – Vorrei ricordare che pure tu hai la tua dose di colpa! Se litigavamo ogni sera era anche per il tuo caratterino non proprio dolce! Vipera!”
“Non so ancora perché sto qui a sentirti!”
“Mi ci hai portato tu, scema!”
“Bene! Considerando le tue grandi doti di soldato sono sicura che riuscirai ad uscire da solo e tornare a casa – sibilò lei – buonanotte, sottotenente!”
Veloce come un fulmine, si girò ed iniziò a correre, infilandosi nel folto degli alberi e lasciando Havoc solo come un ebete in quella piazzetta illuminata.
Si sentiva come se un fulmine l’avesse colpito, o come se lei l’avesse appena schiaffeggiato.
Le cose non erano andate come aveva previsto, proprio no. Forse era stato troppo precipitoso nel voler riallacciare i rapporti con lei, avrebbe dovuto aspettare tempi migliori. Invece si era lasciato guidare dalla sua dannata impulsività, quella che l’aveva messo nei guai con le donne più di una volta.
Serata di merda! – sbottò mentalmente, mentre tutte quelle considerazioni sfrecciavano nel suo cervello  ormai a frittata fatta – Ma sono sicuro di non essermi inventato tutto!
Fissò con rabbia la statua di marmo di un fauno che si trovava al centro della radura, trovando che l’espressione beffarda di quel viso dai lineamenti affilati fosse rivolta proprio a lui, come se si fosse divertito un modo ad assistere al suo dramma d’amore. Abbassando lo sguardo sul basamento notò la frase che vi era incisa:
“Gli innamorati hanno come i pazzi un cervello tanto eccitabile e una fantasia tanto fervida che vedono assai più cose di quanto la fredda ragione riesca poi a spiegare” 
“Ma che succede? Stanotte tutti mi vogliono prendere per il culo? Ehi! –  chiamò, prendendo finalmente una decisione – Reby, aspettami!”
Corse nella direzione presa dalla ragazza, graffiandosi anche con le spine di un cespuglio di rovi che si trovava sul bordo dello stretto sentiero. Ma quell’esitazione iniziale gli era costata cara: era chiaro che lei aveva un vantaggio tale per il quale non l’avrebbe mai raggiunta.
I grilli, nel frattempo, cantavano quella che sembrava una canzoncina di scherno nei suoi confronti.
 
~
Due anni dopo
 
Era da almeno dieci minuti che stava davanti all’ingresso dell’ospedale, tanto che diverse pazienti che passeggiavano nel cortile la fissavano con perplessità e sospetto.
Eppure Rebecca non riusciva a fare il primo passo per percorrere il sentiero di ghiaia ed entrare nell’edificio: era come se una forza invisibile la tenesse incatenata a quel marciapiede.
Andiamo, che ci vuole? – si disse per l’ennesima volta, cercando di farsi forza – Non è da te esitare in un simile modo, Rebecca Catalina!
Era tutto molto semplice: bastava entrare, andare nella sua stanza e fare una semplice visita di cortesia, proprio come si fa tra commilitoni. Nell’arco di mezz’ora se la sarebbe cavata e sarebbe potuta tornare a casa, a farsi finalmente una doccia dopo una pesante giornata di lavoro.
Del resto era già una settimana che lui era tornato da Central City: non era cortese aspettare così tanto per andare a trovarlo.
Farsi infilzare come uno spiedino… tra tutti i modi in cui poteva farsi male…
Un improvviso groppo le salì in gola, facendola sentire la persona più stupida del mondo.
Perché doveva sentirsi in questo modo per quell’idiota che l’aveva fatta soffrire così tanto? Com’era possibile che a distanza di più di due anni dovesse provare un simile magone per lui?
“Adesso basta! – esclamò con rabbia, pestando un piede a terra e facendo sobbalzare una vecchietta che le stava passando accanto – Vado, gli dico quanto è stato scemo e tanti saluti!”
Lo stava facendo solo perché Riza avrebbe sicuramente voluto così.
 
Sul serio potresti non camminare più?
Le venne spontaneo chiederselo quando vide Havoc sdraiato in quel letto, con il camice d’ospedale che mal si adattava al suo corpo muscoloso e atletico. C’era qualcosa di profondamente ingiusto in quella posizione quasi obbligata, in quella flebo attaccata al braccio, in quelle gambe che stavano immobili sotto il lenzuolo.
Dov’era il soldato folle che le era corso dietro la notte di due anni prima?
Oh no, perché devi ripensare proprio a quella vecchia storia?
Tra loro era finita da tempo, non aveva senso ritirare fuori il passato. Entrambi erano usciti con altre persone, avevano preso strade diverse: quello che era rimasto si riduceva solo ad una strana forma di amicizia, forse più in favore di Riza che di loro stessi.
“Ti sei fatto crescere il pizzetto…” disse infine, riuscendo finalmente a spezzare l’imbarazzato silenzio che durava da almeno dieci secondi. E riuscendo soprattutto a fare qualche passo nella stanza ed abbandonare la sua posizione da bella statuina davanti alla porta aperta.
“Già – annuì Havoc, toccandosi il ciuffo di barba bionda in questione e guardandola con perplessità, come se fosse profondamente sorpreso dalla sua visita – beh… sai, quando non hai molto da fare ti vengono strane idee. Alla fine non mi dispiace, penso che lo terrò”.
“Non ti sta male. – dichiarò lei, per poi correggere subito il tiro – Tanto la tua faccia da schiaffi resta sempre la stessa”.
Il viso del soldato finalmente perse l’espressione sorpresa e si contrasse in una smorfia sfastidiata. Ecco, quella era una versione di lui che Rebecca sapeva gestire bene e questo le provocò un sorrisino di soddisfazione.
“Sei venuta qui solo per dirmi queste dolci parole? – chiese il biondo – Almeno avresti potuto portare un pacchetto di sigarette: avresti dato un senso alla tua presenza”.
“Grazie mille, eh! Io esco da lavoro, mi preoccupo di venire a trovarti… e tu mi tratti in questo modo!”
“Quanta pazienza! Come se non bastasse la mia sistemazione in questo ospedale. – sbottò – Era meglio quando ero a Central e avevo il colonnello come compagno di stanza: almeno c’era sempre qualche infermiera carina e gentile e non la vecchiaccia che mi hanno affibbiato qui. Ogni volta che mi mette la flebo è un massacro”.
“Sempre a guardare le altre”.
Lui aveva già la bocca aperta per ribattere, ma serrò le labbra e si mise a guardare verso la finestra.
Rebecca lo fissò per qualche tempo, trovando che il suo profilo fosse davvero affascinante, un misto perfetto tra virilità e giovinezza. Oggettivamente Jean Havoc era il ragazzo più bello con cui fosse mai uscita.
Di colpo si rese conto che tutte le relazioni che aveva avuto dopo di lui non l’avevano mai appagata veramente, come se lui avesse lasciato un marchio indelebile che le impediva di… innamorarsi di nuovo.
Adesso le sembrava che tutti i ragazzi con cui era uscita dopo la loro rottura fossero solo stupide dimostrazioni, per se stessa e per gli altri, per far vedere che aveva superato la delusione. Guidata dall’orgoglio si era rifugiata negli antichi sogni di un marito bello e ricco, quando la persona giusta per lei era più vicina di quanto credesse.
Oh, dai! Davvero vuoi abbassarti ad un simile livello? – si chiese, iniziando a riconoscere che forse quello che aveva provato un tempo c’era ancora – Mantieni una tua dignità, Rebecca, non puoi farlo.
Ma a volte le parole dicono l’esatto opposto di quanto suggerisce il cervello.
“Ti vedi con qualcuna?” si trovò a chiedere.
“Qualcuna? Direi di no .– lui si girò di nuovo a guardarla, gli occhi azzurri leggermente cupi – Come dire, la mia ultima relazione è durata poco ed è finita in maniera davvero tagliente”.
“Capisco”.
“Dai, non farti problemi! Scommetto che non vedi l’ora di dire che sicuramente è stata colpa mia e…”
“È stata una scema a lasciarti”.
Non era questa la risposta che lui si aspettava: rimase a bocca aperta tanto che Rebecca vide un’immaginaria sigaretta cadere sul suo grembo.
E se scema è stata lei a lasciarti, io lo sono dieci volte di più!
“Mi devo preoccupare?” chiese infine Havoc, squadrandola con sospetto.
“Perché?”
“Quando ti comporti così sei pericolosa: non capisco mai che cosa vuoi che io intenda… insomma, è uno di quegli atteggiamenti di voi donne che mi fa impazzire”.
“Scusa tanto se ti manifesto la mia solidarietà”.
Andiamo, scemo! Non far fare tutto a me! Mettici un po’ di buona volontà!
Ma sembrava che Havoc fosse diventato stranamente diffidente, come una preda che ha ben imparato a conoscere le insidie del cacciatore. Perché, a ben pensarci, i ruoli ora si erano invertiti: adesso era lei la cacciatrice, toccava a lei rincorrere il suo elusivo obbiettivo.
“Riza te li aveva portati i miei saluti quando stavi a Central?” si trovò a chiedere.
“Sì, assieme al messaggio per il colonnello, stai tranquilla”.
“I saluti erano veri, sai?”
“Ah… va bene”.
Dannazione, quant’è difficile! – si dovette trattenere dal tirarsi i capelli con stizza. Era una situazione così frustrante che forse la cosa migliore era dire la semplice verità.
“Ti am… ehm! – riuscì a bloccarsi tempestivamente con un colpo di tosse, dandosi dell’imbecille: compromettersi con una dichiarazione simile non era da lei – Ti andrebbe se venissi a trovarti qualche volta? Immagino che in quest’ospedale sia una vera e propria noia”.
Havoc la fissò per qualche secondo, come se stesse ben valutando cosa dire. Il silenzio durò per un minuto buono prima che si decidesse ad aprire bocca.
“Non ti arrabbiare, promettimelo – esordì – ma… non è che sei ancora innamorata di me?”
“Chi? Io? – fece una faccia inorridita, mentre il suo cuore iniziava a battere all’impazzata – Ma come ti può saltare in mente una cosa simile?”
“Va bene! Va bene… calmati!”
“E tu?”
“Scusa?”
“Tu sei ancora innamorato di me?”
“Ecco – era incredibilmente bello mentre arrossiva fino alla punta delle orecchie – se ti va potrei ancora esserlo, ma solo se ti va”.
“Tra tutte le risposte questa è la più scema che potessi mai darmi. – sbuffò Rebecca, ma poi si trovò a sorridere – Sai, tutto sommato non ho molta voglia di tornare a casa, non subito almeno. Ti va se resto ancora un poco?”
“Fai pure”.
Si scambiarono una strana occhiata imbarazzata, ma poi riuscirono a sorridere all’unisono.
Come primo passo andava più che bene, per il resto ci sarebbe stato tempo.
“Allora, da quando leggi? – chiese la soldatessa, sedendosi su una sedia accanto al letto e prendendo il piccolo libro che stava sul comodino – Non è da te”.
“L’ha dimenticato mia madre dalla sua ultima visita. Roba noiosa di sicuro”.
Rebecca aprì una pagina a caso ed il suo sguardo cadde su una singola frase:
“Da quanto ho potuto leggere o udire di racconti e storie vissute, la strada del vero amore non è mai piana”
“Pare fatto apposta…” borbottò con un lieve broncio, quasi quell’autore avesse interpretato alla perfezione la sua complicata vita amorosa.
“Cosa?”
“Niente – sorrise lei, rimettendo il libro sul piano di freddo metallo – comunque… non trovi che sia una splendida serata di mezz’estate?”
Lui la guardò per qualche secondo, quasi con fare rassegnato, come a dire che non l’avrebbe mai capita del tutto. Ma poi rispose al suo sorriso e annuì.
“Hai proprio ragione”.

 



 
 


Nda

Per quanto Havoc e Rebecca non siano una coppia canon, vari segnali lasciano intendere che a storia conclusa finiranno assieme. Diverse persone hanno ipotizzato che abbiano avuto una relazione ancor prima della trama del manga poi finita per non si sa quale motivo. Viene quasi spontaneo pensare che i loro caratteri non proprio semplici abbiano giocato parecchio sotto questo punto di vista.
Sono sempre stata favorevole a quest'evoluzione del loro rapporto e do per scontato che durante il loro servizio ad East City abbiano avuto occasione di lavorare diverse volte assieme, sebbene Havoc facesse parte della squadra di Mustang mentre Rebecca fosse maggiormente legata alla figura di Grumman.
La prima parte della storia si riferisce proprio a questo periodo, mentre la seconda si svolge quando Havoc è da poco rientrato a Central City dopo esser stato ferito da Lust.
A dire il vero sembrano perfetti per una commedia Shakesperiana: ricordano molto Benedetto e Beatrice in Molto rumore per nulla. Per questo ho ritenuto che loro, più di altri, si adattassero bene alle citazioni proposte.

  
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