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Autore: bisy    09/06/2016    3 recensioni
La storia dell''instabilità mentale di un anziano affetto da schizofrenia, per il quale l'unico appoggio sicuro è costituito dagli scontrini che per anni ha raccolto per strada, di cui è appunto Collezionista.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Precisazioni: il fine di questa one-shot è unicamente quello di condividere uno scritto sul quale ho messo impegno e riceverne opinioni o spunti migliorativi per eventuali future pubblicazioni. Citando la schizofrenia, grave patologia psichica, non è mio volere offendere in alcun modo chi ne fosse colpito o ritenere oggetto di superficialità il discorrere di questa nello svolgimento della trama di una storia adatta, appunto, a questa sezione. Per qualunque malinteso o critica responsabile, sono ben disposta a rispondere in via privata o recensione :) Buona lettura!


 

Scarpe da tip tap, nero, sx e sx. € 69,99⌇

 

Si dice che praticare il collezionismo sviluppi le capacità di ricerca e di catalogazione. Io possiedo decine di scatoloni pieni zeppi di ricevute fiscali.

Sì, quelle cartine sottili di colore bianco, solitamente inutili ma illogicamente desiderate per suggellare anche l'avvenuto minimo acquisto. Scontrini.

 

Si dice anche che avere interessi spinga alla conoscenza, in quanto alla volontà si somma il piacere dell'approfondimento. A me divertono molto gli scontrini gettati a terra o addirittura nella pattumiera, nei supermercati. Quelli delle gelaterie finiscono col far rassegnare al fatto che il classico crema e stracciatella sia ormai demodè per le nuove generazioni di papille gustative.

E poi, i classici intramontabili delle fiere paesane: mucchietti di carta straccia, uniti a rigagnoli di frutta un po' troppo matura, che attutiscono agli anziani passi il contraccolpo del suolo cocente.

 

Si dice, tra l'altro, che per molti sia inspiegabile e fortemente associato a tendenze psichiche anomale l'accumulo ossessivo-compulsivo di una gamma estesa d'oggetti quotidiani, che dovrebbero invece scivolar via come sabbia asciutta dalle dita capitaliste dei moderni. Il fatto è che sono ormai vecchio, e la lucida distanza che mi separa dalle follie compiute mi dice che esse non sono mai state follie. Fin da tredicenne leggevo le favole nascoste tra i numeretti in colonna, ed il loro lieto fine aveva sempre cifre grandi, che sfoggiavano in bella vista, in fondo, nel manto nevoso del paesaggio di cellulosa stampata. Altra cosa da specificare, se non si fosse capito, per me la matematica è un morbo incurabile dal quale credo di essere immune, in quanto geneticamente vaccinato fin dallo stadio embrionale. Mia madre, filosofa, passava le giornate in calzoni inspiegabilmente rotti e grembiule a zappare la discola terra di queste campagne. La sera, esausta, faceva coricare noi sette pargoli e sorvegliava in vestaglia il sonno della casa, sulla sedia a dondolo che aveva assunto le forme decise del suo corpo robusto, ricamando finchè al giorno cedeva la notte, che è il giorno del domani. Mia madre era analfabeta: ve l'ho detto, era filosofa.

Mio padre, psicologo abilissimo nell'indurre autoconvinzione nei pazienti, aveva una predilezione sfacciata nei miei confronti, quale figlio maggiore e figura paterna per i fratellini orfani. Non ero ancora nato quando egli, partigiano, si dissolse in una bomba: eppure mi ha fatto convincere della sua attuale presenza, qui con me.

 

Si dice, addirittura, che si cerchi di colmare una mancanza di tipo affettivo dedicando tempo ed energie ad attività vane e fini a se stesse quali la coltivazione di una raccolta di oggetti selezionati. C'è però da aggiungere che per affermare ciò occorre possedere due cose: del tempo in eccedenza per farsi gli affari degli altri ed una scatola cranica al cui interno le connessioni celebrali abbiano ampio ricircolo d'ottusità. Dovrei essere solo per dirmi carente d'affetti, ma ho la mia montagna di scatoloni pieni di scontrini.

Amo molto passare in rassegna il “gruzzoletto” della giornata quando, a tarda sera, mi sistemo al centro del mio grande letto a gambe incrociate, artrosi permettendo. Divido il guadagno per importanza o simpatia, disponendo il mucchietto importante sul ginocchio sinistro e quello simpatico sul destro - anche se ultimamente tendo a considerare importante ciò che mi regala un sorriso e simpatico ciò che ritengo determinante per la vita di un qualunque individuo al quale, accidentalmente o per volere, è caduto il piccolo documento di avvenuto acquisto di uno o più beni - , per cui mi limito a inscatolare tutto quanto senza troppi riserbi. I romanzi che ho letto tra quei numeri in lista basterebbero da soli ad ampliare potenzialmente all'infinito la coscienza e l'intelletto, ma il problema è che le trame sono interscambiabili e sono dunque ancor più infiniti i libri che ho letto e leggerò.

 

Si dice che io sia un tipo ombroso, solitario, che punta lo sguardo a terra quasi gli faccia da bastone da passeggio e pensa alle disgrazie della sua vita e di quelle altrui, per quanto il suo precoce ritardo mentale glielo consenta.

Parlare in terza persona di me stesso, ed in questi termini, mi fa venire fame. Una fame impellente, un vuoto nell'apparato digerente che si estende all'intero mio essere e che mi fa percepire come stabile il vortice che mi avvolge interamente, opprimente e profumato come può esserlo una camicia di forza aspersa di lavanda.

La schizofrenia è l'arte mentale di costruire muri, di suddividere e confondere al contempo reale ed ideale. Per questo temo che il mio buon vecchio vorticello talvolta mi faccia credere a cose immaginarie, come probabilmente lo sono queste dicerie.

 

Si dice che scrivere un diario aiuti ad esprimersi al meglio e costituisca uno sfogo sano al quotidiano sovraccaricarsi di pensieri e stimoli: raccogliere le idee e oggettivizzarle le chiarisce e le rende consultabili in futuro. Il problema è che le idee che ho raccolto nei diari dovrebbero essere decodificate per coloro che, dopo la partenza del mio treno, avessero la pazza intenzione di andarsele a sbirciare o, peggio, pubblicare. Non ho proprio tempo per questo, domani partirò e non posso riguardarmi tutti quegli scontrini.

É curioso nascere con in dotazione valigie a bizzeffe da riempire, affannarsi tanto per salire a bordo di quel treno senza ripensamenti e decidere all'ultimo di aprirle e di gettarne il contenuto al vento.

 

Milioni di bianchi ricordi volano sparsi al respiro del cielo, in una stazione deserta intrisa di luce che si fa soffusa al chiudersi dei portelli.

La morte è un unico istante fatto di anni d'anziano. Un'attesa al binario giusto, col biglietto di sola andata già obliterato, torturati dal pungente tocco di spillo che invita a rimembrare un qualcosa che manca terribilmente. Il concetto è in archivio, ma sotto innumerevoli pensieri che lo fanno cadere sempre più in basso e così sfuggire alle dita dell'illuminazione. Consapevolmente ignoto, il panorama che si ammirerà da quei grandi finestrini ci apparirà bellissimo, i sedili comodi come un abbraccio materno, le lacrime tiepide come la fronte di un bambino che dorme tranquillo. Spazientiti, infine si cederà al sospirato avvistamento della locomotiva e si verrà trasportati in un catatonico susseguirsi di speranze serene. Lievi come meteoriti schiantati su pianeti mastodontici, si saliranno le tre o quattro scalette che ci separano dall'interno del veicolo sbuffante, facendo attenzione a non inserire il piede nello spazio vuoto fra aldilà e aldiqua, ci si volterà, estatici, verso la banchina deserta e nell'oasi al coperto si vedrà lo spessore del nostro vissuto. Il viaggio è in solitudine, come lo sono i preparativi frenetici per cui ci facciamo aiutare da altri solitari. Per questo dico sempre che l'egoismo non esiste. Il treno inizia a cigolare sforzando le ruote, la massa metallica fende l'aria al suo passaggio e, senza accorgersene, si è già partiti.

Come a mia madre spesso udivo pronunciare al termine dei suoi rammendi, è già domani.

Spero che i miei fratelli, nemmeno ricordo quanti siano ormai, comprendano il valore del primo scontrino tutto mio che conservo, che trascende il mero decoro o le necessità psicofisiche: un paio di scarpette da tip tap, lucide e nere come l'occhio di un falco intelligente, una sinistra e l'altra pure. Chissà se sono già finite all'inceneritore a quest'ora... In compenso, lo scontrino troneggia al centro del letto tra le mie mani ormai pietra ed io, che più io non sono, con un sorriso imbalsamato scolpito nel volto pallido, termino di leggere l'ultimo romanzo della mia esistenza, il cui protagonista alla fine si libra nel vento a bordo di un treno lasciando turbinare a mezz'aria scontrini importanti, scontrini simpatici e scontrini che sono entrambe le cose, magari confiscati alla noncuranza altrui, intatti od in pezzi, che ricuciono legami inconsci e riappacificano consanguinei distanti.

 

Durante i miei molti giri perlustrativi ho avuto modo, tra un reperto cartaceo ed un altro, di riflettere sull'importanza di un ritmo che scandisca la candenza regolare dei propri passi. Ciò è garante di larghi tragitti e di fatiche attenuate, specialmente per i più attempati. Ora, ritmo e risposta cinetica sono intercorsi da un certo passaggio, mentale o meno che sia, il quale fa sì che tempo e spazio, dove il tempo è il ritmo e lo spazio è il passo a tempo, risultino scissi. L'unico modo per conciliare questa voragine è indossare scarpe che, colpendo col tacchetto a terra, producano un rumore. Ma rumore e musica non sono poi la stessa cosa, perchè per far del rumore una musica occorre che essa venga sentita da canali uditivi direttamente connessi all'animo. Serve un rumore musicale, tutto qui. E la danza, dato che esiste solo se a tempo di musica, è proprio quel tramite che occorreva. Senza preventive esercitazioni, l'anima assetata di quel ritmo musicale che solo camminando per ore nella natura si trova, si abbevera alla fonte di una danza innata indossando scarpe collegate alla danza e quindi al ritmo del procedere. Bene, spiegata dunque la logica della mia scelta per l'ultimo pezzo della collezione, non mi resta che chiarire il perchè delle due sinistre; ma non ho tempo, il treno è partito, lo dirò quando sarò giunto a destinazione.

   
 
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