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Autore: Ibizase80    09/06/2016    1 recensioni
Annabeth, la ragazza da cento e lode, dovrà mettere la testa in qualcosa di completamente nuovo e fuori dai suoi standard. Un collegio le apre le porte: riuscirà a varcarle, uscendo dai suoi schemi e dalle sue convinzioni più profonde? E se la musica si mettesse in mezzo?
La regina dagli occhi di diamante scenderà dal suo trono per scoprire un nuovo mondo?
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Annabeth si sentiva tremendamente a disagio.
Non sapeva se era per la sua presenza, per il ricordo di quello che era accaduto qualche giorno prima, o per il comportamento di Hazel. La riccia non stava ferma un attimo, come se avesse degli spilli sulla sedia; la sua espressione era però estremamente concentrata.
Sta cercando di far finta di niente”.
La bionda la ringraziò mentalmente, e connesse di nuovo il cervello ripromettendosi di fare lo stesso.
Ormai, il professore di matematica aveva terminato l’appello, e stava cercando di ricordare agli studenti gli argomenti fatti l’anno prima; alle facce dubbie degli studenti, aveva preso il pennarello ed iniziato a disegnare qualche figura a caso sulla lavagna.
Hazel aveva tirato fuori dallo zaino un enorme quaderno viola, ed ora  stava scrivendo freneticamente: le parole uscivano dalla penna ad una velocità disarmante. Annabeth decise di imitarla, iniziando a tracciare su un foglio a quadretti linee e punti e scrivendo accanto qualche didascalia.
 Al contrario di ciò che si aspettavano sia la bionda che Hazel, nessuno disturbò il professore nella sua spiegazione. Di tanto in tanto, Annabeth sbirciava in direzione di Jackson: il ragazzo aveva un’espressione impassibile che non lasciava trasparire nulla, e “quattro occhiate su cinque” lo aveva sorpreso attento e con lo sguardo fisso, o in direzione della lavagna o del professore. Niente di condannabile, in poche parole. La bionda non sapeva se esserne delusa o segretamente contenta.
Al suonare della campanella Hazel sobbalzò, mentre gli altri studenti si alzarono di colpo tra  grida di gioia. Annabeth le rivolse uno sguardo veloce e allontanò piano la sedia dal banco.
-An, dove devi andare ora?
-Non saprei…so solo di dover essere in classe con Talia. Forse Chimica?
Nel frattempo, le ragazze lasciarono i loro posti e si mossero in direzione della porta. La bionda stava per chiedere ad Hazel dove si trovasse la classe seguente, quando la riccia la salutò in tutta fretta e si diresse verso il professore di matematica. Non fece in tempo neanche ad urlare una risposta che la furia dei suoi compagni di corso l’aveva spinta fuori dalla classe.
Annabeth si guardò intorno: cercò una faccia, una sola, che le potesse sembrare familiare in senso positivo; gli studenti che le passavano accanto erano completi estranei e, con grande gioia da parte della ragazza, non le rivolgevano neanche uno sguardo. In quel momento le sarebbe andata bene anche un’occhiata di disapprovazione. Rimasta per     qualche secondo immobile, pensò di tornare immediatamente da Hazel; ma, presa dalla foga e dal nervosismo, non fece altro che scontrarsi con un ragazzo che si trovava nella sua traiettoria, provocando le risate della sua banda. Non fece in tempo a chiedere scusa, che quello l’aveva spintonata via. Ignorando ciò, si mise  accanto alla porta cercando con lo sguardo Hazel, sperando stesse ancora parlando con il professore; ma lui era scomparso, e lo stesso aveva fatto l’amica.
Per la prima volta in tutta la giornata, Annabeth ebbe una voglia matta di piangere. Voglia di piangere e  far scivolare via quelle lacrime piene d’ansia, di stress e di paura. Poi si disse di non essere una bambina e di potercela fare: le ricacciò indietro e uscì dall’aula.
Erano passati cinque minuti, e la lezione sarebbe iniziata a secondi. La bionda si arrese all’idea di chiedere a qualcuno; vide una sola persona nel suo campo visivo e, dopo essersi fatta coraggio, si avvicinò rapidamente.
-Scusami, io avrei bisogno di un’informazione-
Al vedere degli occhi color smeraldo si sentì morta dentro e maledisse sé stessa.
Di tutte le persone che ci sono in una scuola di non so quanti metri quadri proprio lui dovevo andarmi a cercare?
Jackson si girò, sorpreso, e si fermò.
-Certo, dimmi pure.
La sua voce era calma e cordiale. La bionda deglutì impercettibilmente.
-Ecco, mi chiedevo…mi chiedevo dove fosse la classe C2. Sono nuova e…
Annabeth Chase, sta zitta”, disse una parte indefinita del suo cervello.
-  Si. Guarda,è semplice. Vedi il corridoio laggiù? Quando arrivi lì, gira a sinistra. Cammina un po’,   
   e troverai alla tua destra un altro corridoio; fai qualche altro passo, e trovi l’aula a sinistra.
   Destra. Sinistra.
Abbassò qualche secondo lo sguardo e mimò con le dita le due direzioni. Poi alzò le spalle e ridacchiò appena.
-Non lo so, non mi ricordo. Comunque-
-I nomi delle aule si leggono abbastanza bene e potrò trovarla benissimo da sola. Grazie mille per l’aiuto.
Con sguardo appena interrogativo, il ragazzo accennò un sorriso e annuì.
-Esattamente. Niente, figurati.
Annabeth guardò di sfuggita lui e il suo ciuffo e, prima che lui potesse accorgersi di qualcosa, si allontanò in tutta fretta.
 
Corse come non mai. Fortunatamente, le indicazioni erano giuste ed arrivò in un baleno. La porta era chiusa, indice di una lezione già iniziata; la bionda pregò mentalmente e, dopo un momento di esitazione, bussò con mano tremante.
Sentì partire dall’interno della classe un “Avanti” e, dopo essersi fatta coraggio, fece forza sulla maniglia ed entrò.
Confidando nelle sue abilità da attrice, fece la faccia alla “biondina sperduta” guardando prima di sfuggita la classe, e poi più intensamente la professoressa che trovava poggiata alla cattedra. Diversamente dalle sue aspettative, la donna le sorrise. Era giovane, molto più giovane della Quick: indossava un paio di jeans scoloriti ed una maglietta morbida; il viso era appena tondo, decorato da due occhi scuri, lentiggini accennate e labbra carnose. I capelli, di colore marrone chiaro, erano legati in una coda alta.
-M-mi scusi per il ritardo, professoressa, non sono riuscita a trovare la classe prima.
Si rese conto della frase assurda che aveva pronunciato solo alle risatine degli studenti; si sentì avvampare con violenza.
La professoressa, fortunatamente, non sembrava dello stesso avviso. La indicò, sorridente, e le chiese:
-Nuova?
Annabeth annuì senza pensare.
-Allora siamo in due. Per oggi chiudo un occhio. Puoi sederti. Tranquilla, dai!
La bionda cercò rapidamente con lo sguardo Talia, che trovò seduta in terza fila. La dark le rivolse un’espressione intrisa di sarcasmo, e buttò lo zaino a terra per farle posto.
-Mi raccomando, con calma Chase – le disse sottovoce.
La bionda le rivolse un’occhiata glaciale e tirò fuori il suo astuccio.
E anche questa è andata.”
La professoressa prese in mano un foglio, probabilmente quello su cui erano scritti i nomi degli alunni della lezione, e una penna. Diede uno sguardo veloce alla classe, che iniziava a mostrare i primi segni di impazienza, e si staccò dalla cattedra.
-Stavo dicendo – guardò in direzione di Annabeth – che è un piacere per me essere qui con voi oggi. Sono una nuova professoressa, come avrete notato, e vengo da lontano. Per iniziare bene questo viaggio insieme, vorrei conoscervi bene e parlare con voi.
Il tutto sembrava alla bionda leggermente “mieloso”, ma fece finta di niente. In fondo, si trovava nelle stesse condizioni di suo padre: nuova professoressa, che probabilmente non aveva mai insegnato ad una classe in vita sua, che aveva fatto non si sa quanti chilometri per trovarsi sola in un posto sperduto nel nulla. La capiva, eccome se la capiva.
-Magari prima di invecchiare, prof? – disse una voce imprecisata. Una risata immediata scoppiò nell’aula; Annabeth rimase impassibile, e Talia sollevò appena un lato della bocca, non particolarmente divertita.
-Invecchierei comunque prima io di voi, non preoccuparti.
Sorrise.
-Come stavo dicendo, mi piacerebbe conoscervi, ed ovviamente questo comporta che voi conosciate me. Io sono la professoressa Thomson, Ester Thomson. Insegno Biologia e Chimica, e sono abilitata al sostegno. Spero questo sarà un ottimo anno, sia per voi che per me.
Concluse il tutto con un’espressione decisamente più rilassata rispetto a quando aveva accolto la bionda in classe. Sospirò appena e spiegò il foglio che aveva in mano.
Iniziò a fare l’appello; ad ognuno chiedeva cose diverse, come la città di provenienza, l’hobby che amava, il tipo di pizza che preferiva. Il tutto era decisamente strano, ma gli studenti, probabilmente mossi a compassione verso quella che poteva effettivamente essere una sorella, le risparmiarono urla e commenti. Ovviamente rimanevano le risatine di sottofondo e le occhiate dubbiose, ma la Thomson ci passava sopra e faceva finta di niente.
Arrivata ad Annabeth, piegò appena la testa verso destra e la incassò tra le spalle.
-Annabeth Chase, dimmi: se sei nuova, cosa ti ha spinto a venir in questo posto? E’ strano che una ragazza di sedici anni si sposti da una scuola all’altra.
La bionda si strinse le mani ed iniziò a sudare freddo.
Si aspettava una domanda simile, considerando che “qual è il tuo colore preferito?” era già stato chiesto, ma non aveva pensato ad una risposta. O almeno, non aveva pensato ad una risposta credibile.
Non poteva dire  che era per le sue capacità innate: alla Dyson Moore entrava solamente chi aveva abbastanza soldi da gettare dalla finestra. Era vero che la scuola pubblica americana era un posto abbastanza terribile, ma prima di un luogo sperduto nel nulla una “normale persona ricca” avrebbe cercato nella sua città un collegio decente, non uno con la retta annuale pari al costo della casa dei Chase o di una qualsiasi famiglia non messa troppo bene economicamente. O i figli hanno vinto una borsa di studio, oppure è un modo anche poco segreto di toglierteli dai piedi. “Oppure tuo padre è venuto a lavorare qui e ti ha portato dietro come zavorra”.
Dire la verità era troppo. Non sapeva come avrebbe reagito la sua professoressa, né tantomeno cosa avrebbero fatto i suoi coetanei. Figurarci, le storie sulle preferenze verso i figli dei professori si sarebbero sprecate. Avevano lo stesso cognome e, nel giro di qualche giorno, metà scuola avrebbe scoperto tutto; ma Annabeth non aveva nessuna intenzione di velocizzare il processo.
Dire la verità a metà sperando che la Thomson non avrebbe fatto altre domande? Era l’unica soluzione plausibile nel giro di pochi secondi.
-Mio padre lavora qui e mi ha chiesto di accompagnarlo. Tutto qui.
Fece la faccia più innocente che le venne in mente. La professoressa, forse dopo aver colto il messaggio implicito della ragazza, non chiese nient’altro e passò oltre.
Talia guardò la bionda ed alzò un pollice. Poi iniziò a bisbigliare all’orecchio di Annabeth:
-Complimenti, An. Chiara e concisa. Ora spera che tutti gli altri non ti vengano a chiedere di chi sei figlia.
-Abbiamo la stessa faccia e lo stesso cognome, ti pare? Penso ci arrivino anche da soli.
-Sai, io non direi. Spesso agli studenti non importa niente, se non il suono della campanella. Molto probabilmente non si ricorderanno neanche che faccia abbia il nuovo professore di storia avuto due ore fa. Figurati se si ricordano il cognome! O, come minimo, non si ricorderanno il tuo. Quindi, aspettati di tutto, dalle domande esplicite a quelle implicite.
-In pratica, è meglio che non parli con nessuno e me ne vada rapidamente.
-Sì, può darsi.
La conversazione si interruppe nel momento il cui la professoressa nominò Talia e il suo cognome.
Le chiese quanti orecchini in tutto avesse, e lei rispose “undici” con noncuranza. Annabeth le lanciò uno sguardo appena sdegnato, provocando le risate della dark.
L’ora passò così, tra una risata e l’altra. La professoressa era disposta ad ascoltare tutti, anche chi avesse cose stupide da dire o non avesse voglia di fare il “questionario”; decise di ignorare gli studenti che giocavano a “tris” e quelli che disegnavano sul banco. Suonata la campanella, che avvertiva in maniera allegra quanto fastidiosa la fine del primo giorno di scuola, la Thomson salutò tutti con un gran sorriso e aprì la porta. Un mare di persone uscirono quasi contemporaneamente dalla classe, mentre Annabeth e Talia sistemavano le loro cose nei rispettivi zaini.
Mentre aspettavano il defluire dei ragazzi, la bionda guardò in direzione della Thomson. Decisamente sollevata, stava prendendo la borsa e i fogli degli studenti. Intercettando lo sguardo della bionda le rivolse uno sguardo euforico e le si avvicinò.
Sia Annabeth che Talia dissero qualcosa che assomigliava ad un “salve”.
-Posso chiedervi una cosa, ragazze?
Dopo essersi scambiate uno sguardo interrogativo, le ragazze fecero entrambi “si” con la testa.
-Come è andata secondo voi la lezione?
Dopo qualche secondo di silenzio, fu Talia a prendere la parola.
-Meravigliosamente, prof.
-Le lezioni degli altri professori sono simili a quella che vi ho fatto fare ?
-In realtà no, prof, ma sicuramente questo è un punto a suo favore. Gli altri professori non provano neanche ad essere simpatici.
Annabeth non fece in tempo a tirarle una gomitata; la dark sorrise e si allontanò rapidamente, mentre la Thomson augurava loro una buona giornata.
 
-Che diamine ti è saltato in mente? Ti pare il modo di fare? Davanti ad un’insegnante dire una cosa del genere…
-Senti, An, non è morto nessuno. Stai calma. E’ il primo giorno di scuola e, di solito, non a molti importa ciò che dicono gli studenti perché pensano abbiano ancora i postumi dell’estate. In vacanza, quando hai centomila compiti da fare per non si sa quante materie, tu per caso vuoi bene ai tuoi professori?
-Non avevi detto che tu i compiti delle vacanze non li avevi fatti?
-Non è quello il punto. Non volevo dire una cavolata. Ha detto che vuole conoscerci? Almeno capisce chi ha davanti: una darkettona tendente al punk che odia il genere umano. E a me sta bene.
-Non ti sembra di essere un po’, come posso dire, esagerata?
-Senti chi parla di esagerazione. Quella che un minuto fa mi ha detto “come ti è saltato in mente”-
Annabeth sospirò.
-Fai come ti pare.
-Giusto per informarti: ci faccio sempre, come mi pare.
Talia imitò una linguaccia e svoltò a destra.
Questa volta, la bionda era rimasta appiccicata come un insetto alla carta moschicida all’amica; voleva evitare di ritrovarsi nella stessa situazione di panico dell’ora prima. Ora i corridoi erano pieni zeppi di studenti: si raggruppavano attorno ad armadietti, classi e spazi vuoti per raccontare le loro vacanze ed avventure estive; qualcuno lasciava nelle mani degli amici dei pensierini portati dai luoghi di villeggiatura che, analizzata attentamente la loro abbronzatura, non potevano essere molto diverse dalle Hawaii o, considerando le possibilità economiche delle famiglie del Dyson Moore, le Mauritius o le Baleari. E pensare che lei non vedeva il mare dall’età di nove anni.
In cinque minuti furono fuori dall’edificio. Finalmente, dopo una giornata passata tra non si sa quanti muri, Annabeth vedeva il sole e il blu cobalto del cielo. Respirò a pieni polmoni l’aria fresca che le scompigliava appena i capelli. Sorridendo come non mai in quella mattinata, accelerò il passo per scendere le scalette. Talia era un passo più avanti a lei.
-Ah, An, ti ho detto che stamattina ho avuto il nuovo insegnante di storia?
-Davvero? No, non me l’avevi detto. Mi aveva accennato qualcosa Hazel.
La bionda sprizzava entusiasmo e sarcasmo allo stesso tempo da tutti i pori.
-E’ forte. Ha accennato solamente a qualcosa, perché ancora credo che non abbia idea di quello che dovrà fare quest’anno, ma è forte. Ha una bella parlantina e sembra simpatico. Mica è come te. Siete, a confronto, un orso grizzly e un agnellino.
-Ma quanto sei carina.
Annabeth fece un sorriso forzato.
-Comunque non assomiglio ad un orso grizzly.
-Sì che gli assomigli.
-In cosa, per esempio?
-Nel modo in cui mi guardi. Sembra che tu debba sbranarmi tra poco. E anche nelle tue simpaticissime e dolcissime risposte.
Talia imitò un sorriso angelico ed Annabeth fece lo stesso, aggiungendo però un pizzico di odio al tutto. Poi alzò le spalle e fece un impercettibile sorriso.
-Beh, meglio gli orsi grizzly che le regine di ghiaccio.
-Che?
-Niente.
 
Abbandonato il sentiero di ciottoli, le ragazze si sedettero sull’erba. Talia si distese e chiuse gli occhi, mentre Annabeth incrociò le gambe e rimase fissa a guardare il cielo.
Dopo poco, una testolina riccia fece capolino dall’ingresso; girò qualche volta la testa prima di individuare le due e, con un sorriso a tutti denti, le raggiunse saltellando. Le salutò e, prima che la bionda potesse replicare, già Hazel era seduta al suo fianco. Al contrario, Piper si fece attendere: passarono all’incirca venti minuti e non si sa quanti discorsi prima che la mora si unisse a loro.
-Un po’ più tardi, Piper. Non stavamo mica aspettando te.
-Che noiosa che sei, An! Avevo da fare.
La bionda e Hazel si guardarono con sguardo complice; anche Talia aprì un occhio.
Hazel si alzò in piedi.
-E, dimmi Pip, che genere di cose avevi da fare?
Annabeth rise delle occhiate maliziose lanciate dalla riccia. Piper si morse appena il labbro superiore; senza scomporsi, mosse la mano destra in giù e in su, come per far capire di lasciar perdere. Poi sbirciò in direzione di Talia: aveva nuovamente chiuso gli occhi.
In labiale disse qualcosa che assomigliava a un “dopo” imbarazzato ma leggero; sia Annabeth che Hazel annuirono piano.
La mora si rivolse alla coinquilina con fare entusiasta.
-Come hai passato in resto della giornata, Chase? Capisco che senza di me deve essere stato difficile andare in giro per la scuola.
Annabeth rise senza entusiasmo.
-Ma quanto siamo simpatici, oggi.
-Vedo che la cosa è reciproca.
La bionda rise sul serio, e lo stesso fecero Piper ed Hazel.
-Con me è andata benissimo. Ha preso appunti tutto il tempo!
Talia si svegliò dal suo letargo e rivolse un’occhiata più che interrogativa alla riccia.
-Significa che una persona con te va bene se prende gli appunti? Allora io dovrei andare tutti i giorni uno schifo.
La mora ridacchiò appena, ed Hazel fece una finta faccia offesa.
-Comunque la signorina Chase, nel suo primo giorno di scuola, è riuscita anche ad arrivare in ritardo a lezione. Le è andata bene che non c’erano persone come la Quick, ma la nuova prof di Biologia. Thomson, si chiama?
-Si, si chiama Thomson! Non è adorabile? Sembra una ragazzina!
Ora anche Annabeth e Piper guardarono Hazel con aria interrogativa. Talia fece schioccare la lingua.
-Da quanto in qua i professori sono adorabili se sembrano ragazzini?
-Non lo so, è la prima cosa che mi è venuta in mente. Dai, sembra dolcissima! Ha un viso simpaticissimo, e penso sia anche molto brava.
Piper alzò le spalle in segno di resa. Annabeth rise appena e Talia scosse la testa.
 
All’una circa le ragazze andarono verso la mensa. Annabeth si separò prima dal gruppo: non aveva intenzione di rivelarlo apertamente, ma era curiosa di sentire cosa aveva da dire suo padre per quanto riguardava il suo primo giorno di scuola. Cercò nel cortile, ma non lo trovò; andò in mensa, davanti ai dormitori, ma del signor Chase non c’era traccia. Tornò indietro, verso la scuola: un gruppo di professori stava uscendo in quel momento. Scorse, da lontano, un insieme di capelli biondi; senza dare troppo nell’occhio, camminando al lato della strada di ciottoli, si avvicinò rapida.
Da vicino, si accorse di aver preso un granchio enorme: i capelli biondi erano di una donna decisamente diversa dal signor Chase. Ringraziando il cielo di non aver urlato il nome del padre, superò il gruppetto di professori ed affiancò l’ingresso. Entrò senza fare rumore.
Aprì le orecchie tentando di cogliere qualche suono: sentì, in lontananza, qualcuno che parlava.
Non era sicura, ma le sembrava di riconoscere la voce di suo padre. Decise di raggiungerlo con calma; attraversò i corridoi con attenzione, cercando punti di riferimento per ambientarsi e non perdersi nel dedalo che era quella scuola. Svoltò uno, due angoli; si perse due o tre volte ma non se ne accorse, presa com’era dal raggiungere la fonte delle voci e dei rumori.
Svoltò un’altra volta, e finalmente vide suo padre. Era in mezzo al corridoio, e non era solo. Era abbastanza preso dalla discussione per fare davvero attenzione all’arrivo della figlia. Fu l’accompagnatore a distoglierlo ed indicare la bionda. Il signor Chase, entusiasta, la salutò e le fece cenno di avvicinarsi.
-Annie! Che piacere vederti qui!
Frederick Chase le rivolse un sorriso affettuoso, che lei ricambiò.
-Signor Chase, la saluto.
L’interlocutore fece per andarsene; ma il signor Chase lo fermò un attimo prima.
-Non è necessario, Percy. Annabeth, ti presento Percy: allievo che avrà bisogno di…un “aiuto speciale”. Percy, lei è mia figlia Annabeth.

La bionda lo guardava senza badare alle sue emozioni e sperava trasparisse abbastanza odio da tenerlo il più lontano possibile da lei. Lui, visibilmente sulle spine, tossicchiò appena prima di tenderle la mano.
-Piacere – disse piano.
-Piacere mio.
Annabeth allungò la mano e rispose al saluto con poco entusiasmo. Suo padre sembrava non rendersi conto di nulla, e continuava ad indossare quel sorriso che lo faceva sembrare così simile ad un ebete.
-Bene – disse infine – credo sia ora di andare a mangiare qualcosa. Voi non avete fame?
-Sì – risposero in coro i due, senza averne in realtà l’intenzione. Si lanciarono un’occhiata di sfuggita e tornarono a fissare punti imprecisati del muro e del pavimento.
Il signor Chase, più veloce della luce, si mise alla guida dei due, malgrado avesse senz’altro meno senso dell’orientamento di entrambi messi insieme. Un pesante silenzio iniziò a tessere le sue tele in un’aria diventata improvvisamente pesante. Perseus, in imbarazzo, teneva le mani in tasca e guardava avanti solo per assicurarsi che il signor Chase non sbagliasse strada, e di tanto in tanto apriva bocca per impedirgli di perdersi. Annabeth, con le braccia incrociate, fissava il pavimento e seguiva i passi del padre.
Usciti dalla struttura, il signor Chase si allontanò dal gruppo.
-Devo parlare con l’altro insegnante di storia e capire i programmi di quest’anno. Annabeth, tesoro, ci vediamo dopo pranzo, va bene?
La bionda fece un “si” con la testa. Il signor Chase rivolse un saluto a Percy, per poi andare verso il suo collega.
Resasi conto di esser rimasta sola col suo più acerrimo nemico, Annabeth si morse un labbro.
Non solo l’aveva fatta cadere, messa in ridicolo, in una storia e avventura infinitamente più grande di lei; sapeva anche del suo segreto, ora. Non aveva più niente da difendere.
La sua reputazione, che ancora non si era neanche formata, era in serio pericolo.
Il peggio del peggio era che, anche se il signor Jackson si fosse presentato come la persona più buona di questo mondo, per principio Annabeth l’avrebbe comunque odiato come se non ci fosse un domani. Non tanto per la caduta: in fondo, le ferite si rimarginano, e quella che aveva segnato il suo ginocchio fino a poco tempo prima era quasi scomparsa. Ma vedere il modo in cui Talia si innervosiva solo nel sentire il suo nome, in cui Hazel si agitava del vederlo, e in cui Piper si ritrovava ad osservare il muro al posto del suo interlocutore la rendeva rabbiosa. In realtà, lei non sapeva niente di ciò che era successo tra le ragazze e la banda di Jackson: ma la situazione non le era stata presentata come una delle migliore. Amica del nemico? Non se ne parla. Col nemico dovrebbe esserci una tregua, nient’altro. Se poi viene fatta alle spalle del nemico, ancora meglio.
-Quindi…sei la figlia del professor Chase?
La bionda rivolse lo sguardo di sufficienza destinato a Percy a terra. Non sapeva perché, ma non voleva mostrarsi ostile quando poteva ancora godere del "beneficio del dubbio". Piper, Hazel e Talia ormai avevano i nomi marchiati a fuoco nella mente di Jackson; ma lei no. Lei poteva ancora salvarsi e giocare. Perché poteva approfittare della situazione. Che lui non si ricordasse di ciò che era successo? Le sembrava assurdo, ma era plausibile.
L’unica cosa che poteva fare, in quel momento, era sembrare una normalissima ragazza che non provava nessun genere di rancore. Per ora.
-Si. E tu…hai bisogno di un “aiuto speciale”?
Il ragazzo posò rapidamente i suoi occhi su di lei. Erano socchiusi a causa del sole e del vento, ma non lasciavano spazio a fantasie.
-Sei…disgrafico? Dislessico?
-Ho un disturbo di apprendimento ed ho problemi a stare fermo, grazie per avermelo ricordato.
-Era per dire. Quando dice “aiuto speciale”, mio padre intende diverse problematiche.
-Problematiche?
Annabeth gli lanciò il suo sguardo come si lancia una pietra. Il ragazzo si zittì.
Camminarono per un altro tratto in silenzio.
-Ti trovi bene qui? Sei riuscita a farti degli amici?
-Si, abbastanza.
E anche dei nemici”.
Non si ricordava di lei. Una piccola parte del suo subconscio lo stava pregando con tutto il cuore. L’altra parte voleva indipendentemente riempirlo di pugni. Ogni parte di Annabeth stava cercando una motivazione per fare qualsiasi cosa.
 
-Facciamo così.
Percy si fermò, e la fissò con viso interrogativo.
-Cosa?
La bionda gli rivolse l’occhiata più fredda ed indagatrice che aveva a disposizione.
-Vuoi che si sappia in giro che hai bisogno di un “aiuto speciale”?
-Certo che no. Pensavo si fosse capito.
-Bene. Io non voglio che si sappia in giro che il professor Chase è mio padre. Abbiamo un segreto inconfessabile a testa.
Il ragazzo la guardò con rinnovato interesse.
-Quindi cosa proponi?
Annabeth alzò il mento, come faceva in ogni momento in cui voleva mostrare le sue abilità nascoste, e gli rivolse uno sguardo di sfida.
-Io non ti ho mai visto. Tu non mi hai mai visto. Io non ho idea di cosa tu faccia col professor Chase e tu non ti chiedi quale sia il mio cognome e non vai a porre questa domanda in giro.
Percy chiuse l’occhio sinistro.
-E perché dovrei fare una cosa del genere?
-Patti chiari, amicizia lunga.
-Questo mi sembra più un ricatto.
-Non te lo starei chiedendo se non fossi costretta dalle circostanze.
Il ragazzo fissò i ciottoli che stava smuovendo con un piede, poi girò il collo verso di lei.
-Dovrei anche far finta di non conoscerti?
La bionda rimase impassibile.
-Sarebbe preferibile.
-E per quale motivo?
La domanda trabocchetto non era attesa. La ragazza poggiò una mano sul fianco.
-Sarebbe tutto più credibile, non ti pare? E non penso tu abbia troppo voglia di far sapere in giro di aver fatto amicizia con una nuova arrivata.
-Per quanto mi risulta, non abbiamo fatto amicizia.
Complimenti per la perspicacia”.
Annabeth alzò le spalle con noncuranza.
-Chi lo sa? E’ un modo di dire.
Percy fissò un punto imprecisato del cortile e sorrise. Poi allungò la mano destra verso la ragazza.
-Io non dirò niente di tuo padre, e tu non dirai niente della mia dislessia e tutte le altre cose che ho. Affare fatto?
Annabeth allungò la sua, di mano destra.
 
-Affare fatto.
 
 



Angolo Autrice:
Si, vi do tutta la libertà di questo mondo. Potete picchiarmi e mandarmi alla forca, lo accetterei.
MI DISPIACE, la scuola è una brutta bestia e io, nel giro di sei, dico SEI mesi non sono riuscita a scrivere assolutamente niente.
Mi dispiace perchè per tutto questo tempo anche le mie idee sono scomparse, e mi sono trovata a vagare nel buio più totale.
L'unica cosa che spero, arrivati a questo punto, è che non mi abbandoniate come ho fatto con voi, anche se mi meriterei anche di peggio.
Nel fare questo capitolo ci ho messo tutto il cuore, malgrado non sia così diverso dagli altri. Probabilmente è il primo capitolo che faccio sì, per voi, ma in primo luogo per me. Perchè mi è mancato un sacco scrivere, e ora che posso finalmente farlo capisco per chi è necessario: me.
Vi chiedo ancora scusa, e vi ringrazio se state leggendo queste poche e insulse righe. Spero di non aver perso il vostro sostegno, che è stato per me davvero fondamentale in tutto questo periodo perchè, anche quando non scrivevo nulla, ogni tanto venivo a rileggermi le belle cose che mi avete scritto mesi fa e mi tiravo un po' su di morale.
Messo un punto a questo sproloquio, spero che il capitolo vi piaccia! Lasciatemi consigli, pareri: li leggerò più che volentieri. 
Bentornati a voi quanto a me.
Grazie per essere qui con me,
Elisa
  
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