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Autore: _Riri_Sunflower_    10/06/2016    2 recensioni
In una parte remota di chissà quale parte del cielo, Mark, Lexie e George guardavano quotidianamente ciò che accadeva ai loro amici al Grey Sloan Memorial. Avevano visto i susseguirsi di pazienti, amori e medici tra i corridoi dell'ospedale finché, una mattina, un grave incidente non catturò la loro attenzione: Derek Shepherd era in pericolo di vita, e loro non potevano fare niente per salvarlo.
Una straziante AU sull'incidente di Derek, e l'impossibilità dei suoi amici e colleghi a salvarlo.
PERICOLO LACRIME!
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Sheperd, George O'Malley, Lexie Grey, Mark Sloan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Nel futuro
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Era un tranquillo giovedì mattina, il sole splendeva su Seattle e le persone correvano da una parte all’altra della città per andare a lavoro, chi in macchina chi sul ferry boat. Era tutto esattamente come doveva essere e gli abitanti non sembravano sentire il peso della monotonia.
Da qualche altra parte, invece, tre medici che non potevano più praticare la loro professione, assistevano a quello che succedeva sulla città, rimanendo sempre informati su ciò che accadeva ai loro amici.

«Ma la gente perché si ostina a suonare i clacson quando ci sono chilometri di coda?» Il giovane dottore non aveva mai capito perché le persone dovessero comportarsi in quel modo tutti i giorni alle ore di punta.

«Perché sono idioti, semplice. Sicuramente ci sarà qualcuno che, appena può, prenderà una scorciatoia, e qualche furbo che proverà a sorpassare la coda, prendendosi una marea di insulti dagli automobilisti in coda.»

Una giovane donna, di neanche trent’anni, se ne stava seduta, anzi spaparanzata su una poltrona girevole, mangiando delle noccioline da una ciotola accanto a lei. Il primo medico non rispose: rimase attaccato al vetro della finestra a guardare il mondo che scorreva davanti ai suoi occhi.

Proprio come aveva detto l’amica, all’improvviso una macchina svoltò a destra, prendendo una scorciatoia. Non sarebbe stato nulla di che, se su quell’auto non ci fosse stata una persona nota ai tre chirurghi.

«No. Perché è andato di lì? Se va da quella parte non arriverà prima all’aeroporto!» La voce dell’uomo si alzava di diverse ottave ogni volta che pronunciava una frase, facendo sbuffare la ragazza e il fidanzato che li aveva appena raggiunti. «Venite qui, presto!»

«Si può sapere cos’hai da urlare? Siamo a due metri da te, ci sentiamo benissimo.»

«Due auto hanno avuto un incidente. I soccorsi li hanno già portati via, ma ho l’impressione che non sia ancora finita…» Non disse esattamente cosa aveva visto, aveva paura di sbagliarsi, e lui non poteva permettersi di farlo. Per uno stupido errore commesso diversi anni prima, gli avevano affibbiato il soprannome di 007.

«George, gli incidenti accadono tutti i giorni, non c’è bisogno di agitarsi tanto.» La ragazza continuava a mangiare le sue noccioline, ignara del pericolo che avrebbe coinvolto una persona a lei cara.

George non rispose all’amica: sentiva che da un momento all’altro sarebbe successo qualcosa di grave. Era una di quelle sensazioni che non se ne va via finché non si avvera. Stava quasi per arrendersi il giovane O’Malley, quando un suono di clacson e un boato lo fece rimanere incollato al vetro.

«MERDA!»

«O’Malley, calmati… mi stai facendo venire mal di testa.» Il chirurgo più anziano dei tre stava per perdere la pazienza e tutti lì sapevano che era meglio non farlo arrabbiare: avevano dei ricordi ben precisi delle conseguenze alle sue arrabbiature.

«Dottor Sloan, se venisse qui, capirebbe perché sono così agitato.» Svogliato e sbuffando, Mark Sloan si alzò dalla poltroncina accanto alla quale era seduta Lexie e si avvicinò alla grande finestra che si affacciava sulla città di Seattle. Non appena guardò giù, il suo voltò cambiò espressione, passando dall’annoiato allo sconvolto. Spalancò gli occhi, credendo di aver preso lucciole per lanterne, ma l’orribile spettacolo era sempre lo stesso.

«No, no! Non può essere vero. Stanno arrivando i soccorsi? Come accidenti è potuto accadere?» Oramai, anche il dottor Bollore non ragionava più. Lexie si girò a guardare il fidanzato, chiedendosi cosa passasse per la testa ai due uomini.

«Mark, pure tu? Sembrate impazziti.»

«Lexie, ti prego, vieni a vedere anche tu. Si tratta di Derek.» Quelle ultime quattro parole fecero scattare qualcosa nel cervello della piccola Grey, che senza farselo ripetere una seconda volta si alzò in piedi abbandonando le sue noccioline e si avvicinò alla finestra. Le bastò vederlo caricare sull’ambulanza per farla cadere a pezzi: Meredith era con lui? I bambini stavano bene? Dove lo stavano portando? Si sarebbe salvato? Lacrime silenziose rigarono il viso della dottoressa, le stesse che aveva versato più e più volte ogni volta che qualcuno dei suoi cari non riusciva a vedere una nuova alba. Mark si accorse solo dopo qualche minuto che Lexie si era seduta per terra, spalle contro il muro e testa bassa sulle ginocchia. Si inginocchiò accanto a lei, mettendole un braccio intorno alle spalle e stringendola contro il suo corpo.

«Andrà tutto bene, Lexie. Lo porteranno al Grey Sloan e lo salveranno.» Ma quelle parole, purtroppo, non divennero mai realtà. George continuava a guardare l’ambulanza che se ne andava dalla parte opposta a dove si trovava l’ospedale in cui aveva lavorato alcuni anni.

«Non voglio infrangere i vostri sogni, ma lo stanno portando in un ospedale che non è attrezzato come centro traumatologico.»

«Cosa? Ma non possono! Rischieranno di fare dei pasticci e così Derek non si salverà. Perché non lo portano al Grey Sloan?» Lexie era fuori di sé dalla rabbia e Mark non era da meno. Solo George provava a mantenere il controllo, nonostante risultasse difficile data la situazione. «Voglio sentire cosa dicono.»

Dopo un breve dibattito tra il paramedico dell’ambulanza e un medico del pronto soccorso, portarono Derek all’interno della struttura ospedaliera introducendo la sua situazione con queste parole: «Sconosciuto colpito di lato da un autoarticolato, trauma da forte impatto al cranio, al petto e all’addome. Ipotensione persistente dopo due litri di salina. Il polso è a 130.»

«Non è uno sconosciuto! Lui è Derek Shepherd, il miglior neurochirurgo del paese! Il presidente lo aveva voluto a tutti i costi nella sua equipe.» George stava iniziando a perdere le staffe e se ciò fosse capitato, ci sarebbe voluto molto tempo per farlo calmare. Mark cominciò a ripetersi tra sé che il suo migliore amico non era ancora morto e che si sarebbe salvato. Era in ospedale, circondato da chirurghi e da infermieri che avevano studiato. Potevano salvare il suo amico. Uno dei medici assegnato a Derek chiese quattro unità di sangue e intanto i tre chirurghi facevano il conto dei danni che aveva subito il dottor Stranamore.

«Ha lo scalpo lacerato, possibili fratture multiple. È poco reattivo, 10 sulla scala di Glasgow.»

«Come si chiama, signore? Mi sente?» Una specializzanda si avvicinò a Derek porgendogli queste domande, ma non ottenne risposta.

«Certo che ti sente! Si chiama Derek Shepherd. Prova a cercare il suo nome su internet, magari ti fai un’idea di chi hai davanti.» George aveva sempre avuto un debole per il lavoro del dottor Shepherd e vedere che altri medici non riuscivano a riconoscerlo, lo faceva andare in bestia.

«George, calmati… se avessero trovato i documenti non glielo avrebbero chiesto.»

«Perdita della capacità verbale, possibile emorragia cerebrale. Eppure ha le pupille uguali e reattive.» Mark continuava a fare una lista mentale, pensando a come avrebbero potuto aiutare Derek.

«Devono fare una TC, altrimenti accadrà il peggio.»

«Ha una frattura toracica a destra, voglio un drenaggio toracico da 36, ora. Signore, può dirmi il suo nome? È ancora ipoteso e tachicardico, dopo due flebo. Potrebbe avere un’emorragia toracica.»

I tre chirurghi del Grey Sloan si guardarono, senza sapere esattamente da che parte andare a parare. Quella ragazza sapeva il fatto suo, si vedeva che ci metteva anima e corpo nel suo lavoro, ma l’altro medico sembrava non prenderla troppo in considerazione. Anzi, per nulla. Continuava a chiedergli il nome e, quando finalmente si accorse che non riusciva a parlare, ordinò una TC cerebrale, perché non sapeva quanto fosse estesa la lesione cranica. L’altro medico, che non voleva dare ragione alla collega, le disse che c’era troppo sangue nell’addome e non avevano il tempo per una TC. Sentendo ciò, Mark si mise a urlare con tutto il fiato che aveva in gola: «Certo che avete tempo, razza di incapaci! Andate immediatamente a fare la TC e non portatelo subito in sala operatoria, chiaro?»
Per quanto Mark avesse ragione, i due medici non potevano sentirlo: erano solo loro e le loro decisioni. Un attimo dopo che si allontanarono, la bambina che Derek aveva salvato soltanto poche ore prima, Winnie, si avvicinò a lui, controllando se fosse vivo nello stesso modo che gli aveva insegnato. Quando tornarono i due medici, la giovane donna la portò via e iniziò a farle domande sperando nell’identificazione del paziente.

«Quell’uomo, lo conosci?»

«Sì. È Derek.»

«Derek? Derek chi? È un familiare? Un vicino?»

«È un mio amico.» Lexie si emozionò a sentire quella semplice frase. Lei era amica di Derek. Quella bambina, seppur non in modo completo, aveva potuto aiutare i medici a identificare l’uomo che era arrivato con gravi danni in seguito all’incidente.

«Va bene. Sai il cognome del tuo amico?»

«No. Cioè, l’ho appena conosciuto. Oggi ha tirato me e mia mamma fuori dalla macchina dopo l’incidente. Ha sistemato la sua gamba, ha aiutato Charlie… e ha rimesso a posto le interiora di Alana e ci ha salvati!»

«Ti ha salvato?»

«Ha salvato tutti noi. Lui è un dottore.»

«Lui è un dottore?» Mark strinse le mani a pugno, facendosi sbiancare le nocche: Winnie aveva appena detto alla dottoressa che Derek è un dottore e lei stentava a crederci? Perché non trovavano quei maledetti documenti?

«Credo sia un chirurgo.»

La bambina aveva capito ogni cosa mentre i medici del dottor Shepherd non aveva ancora intuito che il problema più grande era alla testa. Quasi come se fosse un segno, Derek iniziò ad avere problemi: la verità era che stava cercando di far capire ai chirurghi intorno a lui di fargli la TC. Se solo fosse riuscito a parlare…

«Cosa sta succedendo?» Lexie non riusciva a guardare, aveva paura. Continuava a pensare a sua sorella Meredith.

«Non lo so, non si capisce. Aspetta… sta provando a indicargli la testa, ma gli hanno bloccato la mano!» E proprio mentre terminava quella frase, i medici si mossero per portarlo in sala operatoria. Il dottor Sloan fu costretto ad allontanarsi dalla finestra per non urlare gli insulti più coloriti, così tocco a George informare Lexie, che finalmente era riuscita ad alzarsi da terra.

«In questo modo morirà… Non riesco a pensare al Grey Sloan senza più Derek che inizia i suoi interventi dicendo “È un bellissimo giorno per salvare vite”. Mi rifiuto di accettarlo.» I chirurghi si misero a operare, facendo tutto ciò che non andava fatto. I minuti passavano e non riuscivano a venire a capo del problema; poi, quando la speranza dei tre colleghi di Derek sembrava svanita, il chirurgo si ricordò che aveva una lacerazione alla testa. Dopo un rapido controllo delle pupille, decisero di chiamare neurochirurgia. Lexie e George tirarono un sospiro di sollievo, sussurrando a voce bassa un “finalmente”, ma i problemi erano appena cominciati.

Il tempo scorreva e più si aspettava, e più si rischiava di non trovare in tempo una soluzione per Derek. Entrò una giovane infermiera e avvisò i medici che il neurochirurgo si trovava a cena fuori e che sarebbe arrivato dopo circa venti minuti.
Mark batté il pugno sul tavolo quando capì in che situazione erano, Lexie si trattenne dall’urlare e George si premette le mani contro le tempie, come se volesse inviare un po’ della sua preparazione medica a quelli che si facevano chiamare chirurghi. Sull’orlo della disperazione, i due fidanzati tornarono a sedersi sulle poltrone che occupavano prima che iniziasse tutto quel casino, mentre O’Malley si mise a gambe incrociate per terra, sotto la finestra, così da poter avvertire gli amici non appena ci fosse stata una novità.
Il neurochirurgo arrivò dopo oltre un’ora. I colleghi iniziarono subito ad attaccarlo perché era arrivato in ritardo. George si alzò, si appoggiò alla finestra e ascoltò, in silenzio, il susseguirsi delle vicissitudini. Anche Lexie si alzò, andando a guardare cosa avrebbe fatto il neurochirurgo appena giunto in sala operatoria: ormai tutti e tre speravano che facesse loro una ramanzina per la TC cerebrale mancante. Non dovettero aspettare molto per sentirla e avevano anche constatato che, qualunque cosa avesse provato a fare, ormai era troppo tardi.

Dalla finestra vicino alla porta della stanza, iniziarono a vedersi dei lampeggianti rossi e blu alternarsi ripetutamente. Mark, non capendo di cosa si trattasse, andò a controllare e si trovò casa di Meredith, quella che Derek aveva pazientemente costruito: la polizia era andata ad avvertirla che suo marito aveva avuto un incidente e che si trovava in ospedale. Fece vestire in fretta e furia i bambini e li trascinò via con sé, da Derek.

«Sta arrivando Meredith.» Chiuse le tende della finestra e si avvicinò ai due giovani medici, che guardavano l’ingresso dell’amica e sorella nel nosocomio, Zola al suo fianco e Bailey nel passeggino che dormiva pacificamente.

«Dottoressa Grey? Dottoressa Grey, possiamo… non riusciamo a dirle quanto ci dispiaccia. Ci dispiace per la sua perdita.» Questa volta fu Mark a lasciare libero sfogo alle sue lacrime: non riusciva ad accettarlo. Il suo migliore amico era cerebralmente morto e stavano per chiedere a sua moglie, appena diventata vedova, di staccare la spina. Anche Lexie e George piansero, i loro occhi non riuscivano a trattenersi e vedevano tutto sfocato.

«Il dottor Shepherd era un incredibile chirurgo, incredibilmente dotato. Ho sempre ammirato le sue tecniche, ho… è… stato un onore.» Videro Meredith guadare male sia il chirurgo che l’aveva operato sia la giovane strutturata e si fece dare la cartella clinica senza dire una parola, perché Mer otteneva sempre quello che voleva. Iniziò a sfogliarla, a capire dove loro avevano sbagliato, a capire che se fosse stato portato al Grey Sloan, sarebbe stato sicuramente salvo.
Zola si era addormentata sulle sedie in corridoio quando un dottore si avvicinò a Meredith con i documenti per staccare la spina. Ebbero una piccola discussione e Lexie ebbe il presentimento che, da un momento all’altro, la porta di quella stanza si sarebbe aperta e sarebbe entrato Derek Shepherd. Era questione di minuti.

La videro allontanarsi di corsa, uscire dall’ospedale per prendere una boccata d’aria; sulle scale la specializzanda che piangeva perché non era riuscita a salvare un suo paziente. Tutti e tre ascoltarono in silenzio le patetiche scuse della giovane dottoressa, stupendosi dell’enorme calma che si era impossessata del corpo di Meredith Grey. Ma ciò che li sbalordì più di ogni altra cosa, fu la perfetta ed equilibrata risposta della donna che solo un anno prima, i nuovi specializzandi del Grey Sloan avevano soprannominato “Medusa”.

L’assistente sociale aveva preso con sé Zola e Bailey, in modo che Meredith potesse occuparsi con calma dell’ultimo saluto a Derek. L’infermiera chiuse le tende della stanza e iniziò a spegnere le macchine che lo tenevano ancora in vita, facendo diventare la stanza terribilmente silenziosa. Nel momento in cui stava per staccargli il tubo che lo aiutava a respirare, Meredith la fermò.

«Cosa vuole fare?» Lexie aveva la voce rotta dal pianto, le lacrime continuavano a scorrere sul suo viso silenziose e le arrossavano gli occhi. Né George né Mark risposero, solo quest’ultimo si strinse alla propria fidanzata per farle capire che, se avesse voluto una spalla su cui piangere, lui era lì, per lei.

«Derek… Derek… Derek… Va tutto bene. Puoi andare. Staremo bene.»

«È pronta?»

«No. Ma faccia pure.» L’infermiera incaricata riprese a spegnere tutte le macchine, togliere flebo e tubi dal corpo di Derek, lasciando la moglie da sola con lui. O’Malley tirò la tenda, chiudendo la finestra da cui osservavano tutti i giorni i loro amici di Seattle e, in quel preciso istante, la porta si aprì.

Un’ondata di luce bianca attraversò la stanza: l’ombra di Derek Shepherd fece capolino nella luce, seguita dalla sua persona. Si guardò intorno, visibilmente confuso, e appena i suoi occhi si posarono su George, Lexie e Mark non ebbe più alcun dubbio: era morto.

«Dove mi trovo?»

«Noi lo chiamiamo “Paradise Hospital Center”. Siamo tutti medici, di qualsiasi nazionalità e di qualsiasi età. Ellis Grey è famosa anche qui.» La piccola Grey sorrise al cognato e andò ad abbracciarlo, dandogli un caloroso benvenuto in quello strano posto. George si mosse subito dopo, aspettò che Lexie si facesse da parte e salutò con una stretta di mano il dottor Shepherd.

«Dottor Shepherd. È un vero piacere rivederla.»

Mark era rimasto immobile, ancora non riusciva ad accettare che il suo migliore amico fosse morto. Solo quando se lo trovò davanti dovette ricredersi.

«Hai dimenticato i palloncini. Non è da te fare in questo modo.» Il dottor Bollore si mise a ridere e abbracciò il dottor Stranamore, mettendosi a piangere non appena compì quel gesto.

«Mi sei mancato, amico, anche se speravo di vederti tra diversi anni.»

«Lo so. Sei mancato anche a me.»

Senza dire altro, i quattro chirurghi se ne andarono dalla stanza con vista sulla vita di Seattle. Avevano molto da dirsi e, adesso che si erano ricongiunti, potevano finalmente farlo.
   
 
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