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Autore: gattina04    12/06/2016    4 recensioni
Tanti personaggi nuovi, le cui storie non sono mai state raccontate, sono arrivati a Storybrooke. E se tra questi si celasse qualcuno legato al passato di Hook? Come potrebbe reagire se una persona che credeva ormai perduta per sempre si aggirasse tra le vie di Storybrooke? E oltre a tutto questo cosa faranno Hyde e la Regina Cattiva?
Storia ambientata tra la quinta e la sesta stagione, cercando di immaginare ciò che sarebbe potuto accadere all'inizio di questa nuova stagione di OUAT.
Dal testo: "Non sapevo più chi guardare, non ci stavo capendo più nulla. Avrei voluto rassicurare Killian ma non sapevo neanche da cosa fosse turbato. Chi diavolo era quella donna?"
"Non era il solito bacio; sapevamo entrambi che aveva un significato diverso. Era un gesto disperato di due amanti costretti a lasciarsi troppo presto, era una atto di due innamorati separati dal destino"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Finalmente sono tornata! Avrei voluto scrivere qualcosa prima, ma tra l'università, la tesi e tutto non ho avuto un attimo di tregua. Però adesso sono qui e ho una nuova storia per voi. Ho avuto questa idea per la testa per giorni e ho deciso di metterla per scritto; spero che vi piaccia... non so ancora come si evolverà tutta la questione, ho dei punti fermi ma per il resto la trama potebbe variare 
molto.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se l'idea vi piace!
Un abbraccio,
Sara


1. Nuovi arrivi e addio normalità
 
Normale. Sembrava quasi impossibile che a Storybrooke potesse esserci un momento simile. Tra battaglie, magie e sortilegi, portali, sempre nuovi nemici, avere un momento di normalità sembrava quasi impossibile.
Eppure ci ero riuscita: avevo appena detto a Killian di amarlo, senza nessuna pressione, senza nessun pericolo incombente. Eravamo solo io e lui di fronte alla tavola calda di Granny, una giovane e normale coppia che si scambiava un dolce bacio e per giunta nello stesso luogo in cui avevo finalmente ceduto e mi ero lasciata andare per la prima volta.
«Andiamo a casa?», sussurrai quando mi rimise a terra. Alzai timidamente gli occhi verso di lui facendogli capire quanto desiderassi un po’ di intimità, un agognato momento di privacy solo per noi. «A casa nostra».
«A casa nostra?», domandò facendomi palesemente notare l’esultanza sul suo volto.
«In fondo è la casa che tu hai scelto per noi, anche se fino adesso non ci hai mai abitato».
«Swan, mi stai forse dicendo che vuoi iniziare la nostra convivenza?».
«Già», confermai sorridendo e posandogli un dolce bacio sulla guancia. «Proprio adesso».
Ci incamminammo mano nella mano, le dita intrecciate come a sancire la nostra indissolubile unione. Passai il pollice lungo il dorso della sua mano, soffermandomi ad accarezzare i contorni di quegli anelli che ormai conoscevo bene. Era incredibile quanto un gesto così semplice fosse potuto mancarmi. Non era niente di particolare, ci tenevamo solo per mano, eppure stringere le sue dita tra le mie non mi era mai sembrato così importante.
«Anche tu mi sei mancata tanto Swan». Era riuscito a capire i miei pensieri senza che io avessi aperto bocca.
«Non voglio più stare senza di te», sussurrai in un tono che era appena udibile. «Ti ho già perso troppe volte, non ti lascerò più andare».
«Beh è davvero un sollievo, perché da ora in poi ho tutta l’intenzione di restare per sempre con te. Sarò come la tua ombra tesoro, ti darò il tormento».
«Bene». Sorrisi di più e mi strinsi di più contro la sua spalla. Continuammo a camminare in silenzio, riuscendo a comunicare anche senza pronunciare una parola. Doveva essere normale quando c’era di mezzo il Vero Amore.
Vero Amore: mi sembrava ancora così strano, come in un sogno fantastico; invece era tutto reale. Non avevo mai creduto di poter essere così fortunata da poter avere quello che in quel momento avevo ottenuto. Io che ero sempre stata un’orfana, sola senza mai nessuno su cui poter contare ad eccezione di me stessa, adesso mi ritrovavo ad essere la persona più amata che ci fosse al mondo e non solo da Killian ma anche dalla mia famiglia. Senza contare il fatto che ero completamente e perdutamente innamorata.
All’improvviso sentii Hook fermarsi accanto a me e fu solo quando alzai la testa che notai che in effetti eravamo proprio di fronte a casa nostra. Ero talmente persa nella mia bolla di felicità che non mi ero accorta di niente.
«Eccoci qua tesoro». Mi passò l’uncino sulla guancia rivolgendomi un meraviglioso sorriso.
«Sei pronto? Il nostro futuro sta per cominciare».
«Beh io lo sono sempre stato e tu sei pronta?».
«Sì». Mi avvicinai di più a lui e lo baciai dolcemente. Non ero mai stata più pronta di così. Non avevo più paura, non ce l’avevo più da molto tempo. Il terrore di perderlo e il dolore per averlo perso realmente mi avevano fatto capire come tutte i miei dubbi e le mie perplessità fossero in realtà delle stupidaggini.
«Ti amo», sussurrai staccandomi dalle sue labbra e incatenando il mio sguardo al suo.
«Dio Swan! Potrei davvero abituarmi a sentirtelo dire così spesso». Il mio sorriso si allargò ancora di più, mentre con l’uncino mi schiacciava contro il suo petto, le nostre mani sempre unite.
«Ti amo», ripetei baciandogli la punta del naso. Adesso mi sembrava davvero facile pronunciare quelle due paroline, con lui era diventata la cosa più naturale del mondo. Con il mio pirata non avevo bisogno di armature, perché sapevo che non avrebbe mai potuto ferirmi; mi fidavo ciecamente di lui, e non avevo bisogno di fingere o di innalzare i miei soliti muri, anche perché lui riusciva sempre a buttarli tutti giù.
«Lo sai cosa mi ha detto Zeus, prima di rimandarmi qui?», mi domandò facendosi improvvisamente serio.
«No cosa?».
Alzò la mia mano, sempre intrecciata alla sua, per poterla portare vicino al suo viso per depositarvi un piccolo bacio. «Mi ha detto che era ora di rimandarmi al posto in cui appartengo. Io ti appartengo Emma». A quelle parole il mio cuore perse un colpo, per poi iniziare a battere più veloce. Nelle sue iridi chiare potevo leggere la profonda verità di ciò che aveva appena affermato e tutte le implicazioni che comportava. Non ci sarebbe mai stato nessuno che mi avrebbe amato quanto Killian Jones ed io non avrei mai amato nessun altro così tanto.
«Noi ci apparteniamo», affermai. Lasciai andare le sue dita per poterlo abbracciare ed allacciarmi al suo collo; le mie labbra trovarono subito le sue dando vita ad un bacio appassionato. Le nostre lingue si cercarono e si intrecciarono, inebriandomi con il suo sapore eccezionale. Sembrava che la mia bocca fosse nata solo per poter riuscire a baciare Killian Jones in quel modo. Il suo uncino mi spinse di più contro di lui, facendo aderire i nostri corpi: anche un solo millimetro di distacco sembrava intollerabile. Con la mano mi sciolse la coda, passando le dita tra le ciocche, mentre le mie erano già scivolate sotto la sua giacca, esplorando quel corpo meraviglioso.
Ci staccammo solo un secondo per poter riprendere fiato, la fronte appoggiata su quella dell’altro. Quello era il nostro gesto, il modo in cui solamente guardandoci riuscivamo a comunicare e a capirci. E fu così anche in quel momento: sapevo perfettamente cosa stavano dicendo i suoi occhi, colmi di emozione. “Ti voglio”.
Fu come se tutto il tempo in cui eravamo stati separati si fosse palesato in quell’istante. L’Oscurità, Camelot, l’Oltretomba non ci avevano dato un attimo di tregua. Non potevamo più aspettare, non potevamo rimandare oltre: finalmente eravamo insieme in un attimo tranquillo, io ero me stessa, lui era vivo e ce l’avevamo fatta. Avevamo affrontato tutto insieme e insieme avremmo affrontato ogni altra difficoltà che avrebbe potuto intralciare la nostra felicità.
 
Un rumore fastidioso venne a disturbare il mio sonno. Cercai di ricacciarlo in un angolo della mente anche perché non riuscivo a  capire di cosa si trattasse. Non volevo svegliarmi, non del tutto almeno, non dopo quello che era successo durante la notte. L’immagini di quella sera tornarono prepotenti ad invadere i miei pensieri, facendo accelerare il battito del mio cuore. I baci, le carezze, la sua mano su di me, il suo corpo, lui dentro di me, l’amore che permeava ogni singolo respiro.
Quel maledetto rumore continuava, ma io non avevo né la forza né la voglia di aprire gli occhi per capire di cosa si trattasse. Cercai di concentrarmi invece sugli altri tre sensi che mi restavano. Avevo le labbra gonfie e sentivo ancora il suo sapore sulla lingua: un misto di rhum e sale, un gusto meraviglioso, così come il suo odore che ormai avvolgeva completamente anche il mio corpo. E poi c’era il calore, l’incredibile torpore del suo corpo nudo a contatto con il mio. Killian stava dormendo completamente appoggiato a me, stringendomi nel suo forte abbraccio. Cercai di ricordare in che posizione ci fossimo addormentati, ma non rammentavo esattamente quando la stanchezza aveva preso il sopravvento. Ricordavo di aver pensato che ero troppo eccitata ed emozionata per riuscire a dormire, invece mi ero sbagliata.
Non ero abituata a dormire abbracciata ad un uomo; non era proprio da me far parte di quelle coppiette che non riescono a staccarsi neanche la notte. Sicuramente quella era stata una magnifica eccezione: l’aver creduto di aver perso l’altro per sempre, aveva fatto vacillare ogni nostra difesa. Killian non doveva star comodissimo in quella posizione, con il moncone sulla mia pancia, l’altro braccio chissà dove e il viso appoggiato sulla mia spalla e affondato nei miei capelli. Eppure la necessità di stringermi, di non lasciarmi neanche per un secondo, aveva preso il sopravvento.
Il rumore fastidioso sembrò cessare ed io sospirai di sollievo per il semplice fatto di non dover preoccuparmi più di quello, qualunque cosa fosse. Mi concentrai sul respiro di Killian per riuscire a riprendere sonno; era lento e regolare, un ritmo che facilmente mi avrebbe riportato nel mondo dei sogni, anche se già tutta quella situazione mi sembrava un miraggio. Hook dormiva profondamente, riuscivo a sentire il suo corpo alzarsi e abbassarsi leggermente e il suo respiro mi solleticava la pelle.
“Probabilmente il paradiso deve essere qualcosa di molto simile a questo”, mi ritrovai a pensare. Ma quello di sicuro non era il paradiso, perché quel maledetto rumore tornò a farsi sentire, con la stessa intensità di prima, come a ricordarmi che non avrei potuto ignorarlo per sempre.
“Beh staremo a vedere”. Cercai di cambiare posizione, in un tentativo di distrarmi da quell’insistente suono. Al mio movimento Killian iniziò a svegliarsi, mugolando una leggera ed inutile protesta. Mi rigirai e lui allargò le braccia per far si che potessi mettermi sul fianco opposto in modo da riuscire ad appoggiare la testa vicino alla sua.
«Che diavolo è?», sussurrò accorgendosi solo in quel momento del rumore.
«Non lo so. Continua a dormire». Per tutta risposta sentii le sua bocca sopra la mia, il mio labbro tra i suoi denti.
«Ormai mi hai svegliato». Fu solo allora che mi concessi di aprire gli occhi; la luce filtrava dalla finestra chiusa e il suo viso, illuminato da alcuni raggi di sole, era ad un centimetro dal mio. Nei suoi occhi riuscivo a leggere esattamente tutto quello che stavo provando io.
Il rumore cessò di nuovo e io ne approfittai per baciarlo. Come avremo fatto a lasciare quella stanza per tornare alla vita “normale” di Storybrooke?
Mi portai sopra di lui intensificando il bacio. In quel momento un suono diverso e più breve interruppe le nostre effusioni.
Killian si tirò più su appoggiandosi alla testiera del letto, per quanto glielo permettesse il mio peso. «Credo che sia il tuo telefono Swan». Spalancai la bocca, folgorata da quella semplice affermazione. Certo che era il mio telefono! Come avevo fatto a non riconoscerlo? Beh evidentemente ero totalmente presa da altro.
«È nei miei pantaloni», ricordai. Il problema era capire da che parte della stanza fossero finiti. Perché adesso che mi serviva il mio cellulare non si rimetteva a squillare?
«Penso di averli lanciati dietro la porta». Indicò l’uscio che era accostato per metà. Mi alzai per andare a controllare, tirandomi dietro il lenzuolo per coprirmi.
«Beh non c’è bisogno che tu ti copra tesoro, io assisto allo spettacolo volentieri». Scossi la testa e mi accucciai dietro la porta. In effetti i miei pantaloni erano lì e il mio cellulare era nella tasca.
C’erano una diecina di chiamate perse: un paio di Regina, un paio di Henry, tre di mio padre e una di mia madre che però risalivano tutte alla sera prima. Neanche per un solo istante mi ero accorta dello squillo del telefono, e nemmeno Hook. Eravamo presi da ben altro.
Le altre due erano di nuovo dei miei genitori ma risalivano a quella mattina. Trasalii vedendo che erano quasi le nove, non credevo di aver dormito così tanto. In più c’era un messaggio di mia madre; il suono più corto, evidentemente.
Emma, lo so che sei con Killian ma è da ieri sera che ti cerchiamo. Mr. Hyde è a Storybrooke e con lui molti altri abitanti della Terra delle storie mai raccontate. Vieni da Granny appena leggi il messaggio.
«Merda», inveii alzandomi e tornando verso il letto.
«Che succede?».
«Succede che siamo a Storybrooke». E che ovviamente la normalità non era destinata a durare a lungo in quella cittadina.
Gli lanciai il telefono, in modo che potesse leggere il messaggio di mia madre, mentre io iniziavo a cercare la mia biancheria che Killian aveva fatto volare chissà dove. Forse avrei fatto prima a rinunciare alla mia ricerca e a prendere qualcosa di pulito dall’armadio.
«Maledizione». Lo sentii alzarsi per andare a cercare i suoi vestiti. «Mi sa che il momento tranquillo è finito».
«Impara a vivere la tua vita in mezzo alle crisi, o finirai per non viverla per niente», lo citai. «Adesso sbrigati è già tardi».
 
Non molto tempo dopo arrivammo da Granny. Nel locale c’era un gran via vai di gente, volti che non avevo mai visto e che probabilmente appartenevano ai nuovi abitanti di Storybrooke. I miei genitori si dovevano già essere dati da fare, per mia fortuna. Tenendo Killian per mano, entrai nel locale e mi feci largo verso un tavolo dove avevo visto mia madre.
«Mamma», la salutai. «Scusa il ritardo».
«Oh Emma, Hook! Finalmente ce l’avete fatta».
«Che cosa sta succedendo?».
«Mr. Hyde è arrivato in città, l’hanno incontrato ieri Regina ed Henry, ha detto loro che ha fatto un patto con Gold e che in cambio di non so cosa adesso Storybrooke è sua».
«Quali sono le sue intenzioni?», chiese Killian al mio posto.
«Non lo sappiamo. Però ha portato con sé molte persone le cui storie non sono mai state raccontate. Adesso sono qui e non sappiamo niente di loro». Mia madre scosse la testa preoccupata e rassegnata.
«E cosa ci fa tutta questa gente da Granny?», domandai guardandomi intorno.
«Beh abbiamo deciso di fare una specie di censimento. Non sappiamo chi sono queste persone, ma il Dottor Jekyll ci ha detto che, il suo alter ego non è molto benvoluto. Stiamo tentando di capire se possiamo fidarci di loro. Molta è gente comune, che ha sempre vissuto nella Terra delle storie mai raccontate, non deve essere per forza schierata con Hyde. Adesso si ritrovano in una città completamente nuova e sono spaesati, stiamo cercando di dare una mano».
Sembravano essersela cavata bene anche senza di me. Avevano già un piano di attacco, o almeno così sembrava. «Dobbiamo capire cosa ha in mente Hyde», sospirai entrando in modalità sceriffo. «Di certo Storybrooke non è sua e non lo sarà mai, poi ci occuperemo anche di Gold».
«Quel maledetto coccodrillo trova sempre il modo per creare problemi». Sospirai e gli accarezzai il dorso della mano con il pollice. Dovevamo metterci a lavoro, ma non ce l’avrei fatta senza un caffè.
Killian sembrò leggermi nel pensiero. «Vado a farmi dare due tazze di caffè dalla nonna».
«Grazie». Mi avvicinai a lui e lo baciai dolcemente. Nonostante tutto le immagini di quella notte tornarono nuovamente più vivide che mai nella mia mente. Mi sentivo ancora il suo odore addosso, percepivo la vicinanza del suo corpo, il sapore della sua bocca e non era assolutamente un bene visto che avrei dovuto concentrarmi su ben altro.
Continuai a lasciare piccoli baci sulle sue labbra senza neanche accorgermi dello scorrere del tempo.
«Bene Swan», disse infine staccandosi da me e dandomi un bacio sulla fronte. «Adesso lasciami andare». Quando mi voltai notai che mia madre ci stava guardando sorridendo ed io mi sentii avvampare. Non era da me dare spettacolo così, tutte quelle effusioni in pubblico avevano spiazzato anche me stessa.
Mi sedetti di fronte a lei guardandomi intorno e cercando in vano un appiglio per cambiare argomento.
«Non volevo disturbarvi», disse lei prima che potessi aprire bocca.
«Hai fatto bene, invece. Dobbiamo risolvere questa ennesima crisi».
«Ehi». Appoggiò la mano sulla mia e punto lo sguardo su di me. «Sono così felice per te, non sai quanto».
«Grazie», balbettai appena.
«È questo che ho sempre voluto per te. Il Vero Amore».
«Si nota così tanto?». Mi ritrovai a sorridere, lanciando uno sguardo per individuare Killian al bancone.
«Oh tesoro si nota eccome. È una fortuna che Regina ed Henry si stiano occupando del censimento e che tuo padre sia con Neal in questo momento. Era molto contrariato del fatto che tu e Hook eravate spariti ieri sera. Gli dirò che siete arrivati stamattina presto».
«Beh grazie, anche se non credo che debba avere nulla da ridire. Non sono certo una bambina». Proprio in quel momento Killian tornò portando due tazze di caffè fumane. Era incredibile quante cose riuscisse a fare con una sola mano. Perché nella mia testa quel pensiero suonava come estremamente malizioso?
«Ecco tesoro». Mi passò la tazza e restò in piedi accanto al nostro tavolo, fissando le persone che si affannavano nel locale. Solo allora notai Regina ed Henry, immersi in dei grandi registri, seduti ad un altro tavolo davanti al quale si era radunata una fila di gente.
Regina quasi percependo il mio sguardo alzò la testa e mi vide. Abbozzai un sorriso mentre lei mi lanciò un’occhiata che sembrava voler dire “Era l’ora che arrivassi Swan”. Henry invece non mi notò e continuò a scrivere qualcosa su un grosso libro, qualcosa che probabilmente gli aveva detto l’uomo in piedi davanti a lui.
«Quanti sono più o meno?», domandò Hook rivolto a Mary Margaret.
«Non lo sappiamo, ma un bel po’ direi. Sbucano da tutte le parti. Per fortuna abbiamo rimandato molta gente a Camelot o adesso non sapremo dove sistemarli».
«Dov’è il Dottor Jekyll? Forse lui potrà darci una mano», suggerii.
«Lo sta già facendo. Sta cercando la sua gente per portarli tutti qui. Tra poco tornerà con altre persone. Nel frattempo Henry mi ha detto di darti questo. È il libro con la storia di Hyde, lo ha preso a New York, forse può esserci utile». Mi porse quel grosso volume e iniziai a sfogliarlo lentamente sorseggiando il mio caffè. Killian spiava le immagini da sopra la mia testa; gli avrei consigliato di prendere una sedia, ma sembrava non essercene neanche una libera e anche noi eravamo relegati in un piccolo tavolo per due.
Quando il campanello della porta d’ingresso suonò, annunciando l’entrata di nuovi clienti, ci voltammo tutti e tre per osservare chi fosse entrato. Il dottore aveva appena varcato la soglia seguito da un piccolo gruppo di persone e si era diretto verso il tavolo di Henry. Decisamente Storybrooke sembrava cavarsela bene anche senza di me, la loro Salvatrice/sceriffo.
Lo seguii con lo sguardo, cercando di intuire cosa stesse dicendo a Regina, quando sentii il rumore di qualcosa infrangersi a terra proprio accanto a me. Mi voltai di scatto notando la tazza di Killian in frantumi accanto ai suoi piedi, il caffè che si stava spargendo a formare una macchia, la sua mano aperta a mezz’aria.
«Killian che succede?». Mi alzai per verificare che stesse bene e per capire cosa fosse successo. Il suo sguardo era puntato verso la porta, stava fissando una donna. Aveva all’incirca una cinquantina d’anni e doveva essere l’ultima entrata con il gruppo del dottore. Anche lei stava guardando nella nostra direzione ma aveva l’aria perplessa, doveva aver percepito il rumore e sicuramente notava lo sguardo di Killian, ma non sembrava capirci molto più di me.
«Killian la conosci?», domandai. Lui non sembrò neanche sentirmi, aveva sempre la bocca aperta, l’espressione sconvolta. «Hook?». Appoggiai la mano sulla sua, ancora sollevata a mezz’aria ma non sembrò notarlo. «Amore?».
Forse fu quella parola a farlo tornare alla realtà. Era la prima volta che lo chiamavo in quel modo, almeno in pubblico.
«Devo prendere una boccata d’aria». Senza lasciarmi il tempo di replicare uscì di corsa dal locale. Lo seguii con lo sguardo, voltandomi verso mia madre che sembrava perplessa quanto me.
«Vai», annuì, lasciando che lo seguissi fuori. Lo trovai appoggiato ad uno dei tavolini, con lo sguardo rivolto a terra, mentre cercava di riprendere fiato.
«Killian?», mi avvicinai a lui, accucciandomi al suo fianco. «Che succede? Conosci quella donna?».
«Non lo so», sospirò dopo un secondo. «No anzi, credo di no. Assomiglia molto a qualcuno che conoscevo, ma quella persona non può essere lei. Sono solo rimasto sconvolto dalla somiglianza».
«Va tutto bene adesso?».
«Sì. Dammi solo un momento per riprendermi». Si alzò ed incrociò il mio sguardo. «È evidente che non ho pensato lucidamente, solo che per un attimo ho davvero creduto… beh non ho pensato che è proprio impossibile». Non riuscivo a seguire il suo discorso completamente, stavo per chiedergli spiegazioni ma proprio in quel momento fummo interrotti. La donna che aveva tanto sconvolto Killian era in piedi accanto a noi e ci guardava preoccupata. Ebbi come l’impressione che avesse qualcosa di famigliare ma non capii cosa. Era castana, occhi chiari, molto chiari, tra il verde e l’azzurro, una corporatura esile, alta più o meno quanto me.
«Scusate va tutto bene?», ci domandò. «Non ho potuto fare a meno di notare che mi guardavate con una tale espressione… per caso ci conosciamo?».
«No e mi scuso, per il mio comportamento», rispose Killian prima che potessi farlo io. «Mi avete ricordato una persona a cui non pensavo da molto tempo. Sono stato solo preso alla sprovvista».
«Oh sono desolata di avervi sconvolto. Sembra il sentimento prevalente di questa nuova terra». Sembrava così gentile; forse mia madre aveva ragione: le persone che erano finite a Storybrooke probabilmente erano vittime dei piani di Hyde.
Proprio in quel momento un’altra donna uscì dal locale, cercando evidentemente la sua amica. «Sylvia tocca a noi». La donna sentendosi chiamare si voltò, facendo un cenno di assenso alla sua compagna. Tuttavia nello stesso istante in cui aveva pronunciato il suo nome, avevo sentito Killian irrigidirsi. Mi voltai per osservare la sua espressione e notai che era di nuovo sconvolto, lo sguardo più scuro che mai; sembrava di nuovo respirare a fatica.
«Scusate devo andare», ci disse la donna facendo per tornare dentro.
Le lasciò giusto il tempo di finire la frase. «Vi chiamate Sylvia?».
«Sì perché?». Non sapevo più chi guardare, non ci stavo capendo più nulla. Avrei voluto rassicurare Killian ma non sapevo neanche da cosa fosse turbato. Chi diavolo era quella donna?
«E per caso un tempo siete stata Sylvia Jones?». Sentendo il suo cognome associato al nome di quella donna, mi voltai di scatto per osservare meglio quella sconosciuta di fronte a noi. Vidi che anche la sua espressione era cambiata: adesso scrutava Hook con fare circospetto.
«Nessuno mi chiama più così da molto tempo. Chi siete?».
«Sono tuo figlio».
  
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