Dopo sei lunghi anni di assenza da EFP e dal mondo delle fanfiction, dopo anni di doveri e di stress universitari a cui ho sacrificato ogni sogno e ispirazione, ritorno con questa fantasticheria in forma di racconto. Si tratta di un focus sulla scena del manga in cui Georgie va a trovare Abel in prigione dopo la sua condanna a morte e i due si dicono addio "al 100 %". Ho riportato fedelmente alcune battute e azioni del manga, ampliando e descrivendo poi i momenti lasciati all'immaginazione del lettore, cercando di non essere troppo esplicita.
Dedico questo racconto alla mia carissima Australia (alias Liliana) e a tutti coloro che non hanno mai smesso di rimuginare e sognare su quest'opera fantastica che è "Lady Georgie".
Alle
porte dell'infinito
Come
si saluta qualcuno
per l’ultima volta? Con quali parole, con quali gesti accompagnare
quello che
sarà un addio? Georgie si pose queste domande mentre avanzava verso la
prigione che
teneva in ostaggio il suo Abel e con lui le certezze di una vita.
L’odore acre di sporcizia e di umidità e
quello penetrante del sangue dei prigionieri invasero i suoi sensi al
punto da
farle cedere le gambe.
«Fatti
forza» le sussurrò Maria,
stringendole la mano, mentre le camminava davanti.
Arrivate
di fronte alla
porta che avrebbe condotto alle scale per la cella di Abel, la ragazza
le mise dolcemente
una mano sulla spalla: «Georgie, io ho
fatto tutto ciò che potevo …»
«Grazie,
Maria … Grazie di
cuore» sentì rispondere la propria voce tremante.
«Io
ti aspetto qui … Va da
lui adesso, presto!»
Erano
giorni che desiderava
quell’incontro, aveva lottato con tutta se stessa per rivedere Abel,
eppure
adesso si sentiva codarda e quasi desiderava scappare. Scappare per non
sentirsi inutile, unica responsabile di quel dolore. Scappare per non
dovergli
dire addio. Non c’erano speranze! Se solo Abel avesse tentato di
evadere, lo
avrebbero freddato sul posto: non ne sarebbe uscito vivo in nessun
caso! Non
sarebbe più tornato in Australia, gli occhi che lei aveva tanto amato
si
sarebbero spenti per sempre!
Soffocò
un singhiozzo mentre
scendeva le scale e finalmente arrivò davanti alla cella. Non era il
momento di
essere deboli. Abel aveva bisogno di lei e lei ne aveva di lui,
terribilmente.
Lo
vide. Il capo chino, i polsi soffocati dalle manette, bloccati ad una
lastra sopra la sua testa. Il petto,
il suo porto sicuro, la sua casa, era lacerato da graffi e ferite. Il
suo cuore
si infranse e qualsiasi pensiero svanì di fronte al bisogno disperato
di
stringerlo a sé: «Abel!».
Quando
Abel vide quella
massa di capelli dorati pensò di essere morto senza essersene accorto e
di
essere già nell’aldilà. Magari in paradiso gli ultimi desideri di un
moribondo
venivano esauditi! Magari tutto ciò che non era stato possibile avere
in vita
lo si poteva vivere da morti! Ma quando udì i suoi passi cristallini
risuonare sul
pavimento, quando vide i suoi occhi colmi di lacrime e le sue braccia
protese
verso di lui, capì di essere vivo. Si ricordò di avere un cuore, un
cuore che
tornò a pompare vita e desiderio. Si ricordò di avere dei polmoni
ancora forti
e tornò a respirare, a respirare davvero come non faceva più da tempo.
Ma
perché lei era lì? Perché non era salpata per l’Australia, mettendosi
in salvo
con Arthur? La gioia venne contaminata dall’apprensione: «Ma che cosa
ci fai
qui? Dovresti essere in viaggio per l’Australia! Geor…»
Inizialmente
non capì cosa
stesse accadendo. Fu tutto un battito di farfalla.
Il suo odore gli si fece improvvisamente più
vicino, così vicino da farsi respiro, lacrime, carne. Le labbra umide
di
Georgie cercarono le sue smaniosamente, come se temessero che lui
potesse
smaterializzarsi da un momento all’altro. Un bacio al sapore di lacrime
e
sorpresa, un bacio madre che chiudeva il cerchio della perfezione, il
senso di
tutta un’esistenza. Georgie, forse, ricambiava i suoi sentimenti?
Stentava a
crederci. Come avrebbe voluto abbracciarla, stringersela forte al
petto, farla
sua! Ma con le manette e le catene che gli bloccavano le braccia verso
l’alto poteva
solo ricambiare i suoi baci, farci l’amore con lo sguardo.
Georgie
si staccò a pochi
centimetri dal suo volto e i suoi occhi meravigliosi gli frugarono
nell’anima. Gli
appoggiò le mani al petto, la sua roccia, bisognosa di quel contatto,
percependo
il battito del suo cuore sotto il palmo, e vibrò per la piacevole e
rassicurante sensazione che il calore del suo corpo sapeva sempre
trasmetterle:
«Avevo tanta voglia di vederti. Mi mancavi così tanto … Non ce l’ho
fatta ad
aspettare che ti liberassero … »
Abel
la guardava in
silenzio, ancora stordito dall’emozione di averla con sé. I suoi occhi
blu, abissi
magnetici, la scrutavano attenti, mentre lei lo liberava inserendo le
chiavi nella serratura delle manette.
«Papà
e gli altri
entreranno presto in possesso delle prove per smascherare il traffico
di droga di
Dangering … Vedrai, ce la faranno prima del giorno dell’esecuzione,
perciò…»
disse lei, rompendo il silenzio mentre Abel si sgranchiva, tornando a
prendere
padronanza del suo corpo intorpidito da giorni di cattività.
Lui
non rispose e la ferì
con lo sguardo.
«Abel
…»
«Perché
ti sei messa in
pericolo venendo qui?! Perché non siete salpati Se ti trovassi verresti
uccisa!».
Georgie
abbassò lo sguardo.
Cosa le importava oramai di vivere se vivere significava respirare
senza di lui?
«E
Arthur?»
La
ragazza ancorò
ulteriormente lo sguardo al suolo. Mentirgli era penoso, ma sapeva di
farlo a
fin di bene. La verità sulla morte del fratello lo avrebbe distrutto e
avrebbe
vanificato la sua stessa condanna a morte: «Si sta riprendendo bene … »
«Allora
andatevene in
Australia al più presto! Se non vuoi che muoia per niente, allora
salpate in
fretta!» rispose Abel, serio, come se morire fosse la cosa più ovvia
del mondo.
In
Georgie si ruppe ogni
ultima resistenza, gli argini che contenevano la sua diga di dolore. La
morte,
la fine di tutto, la fine di quella voce, di quel corpo di cui amava
ogni fibra,
non era un’ipotesi lontanamente razionalizzabile.
«Abel!
Non devi nemmeno
pensare a una cosa del genere! Se ti perdessi non potrei più vivere!»
Le
parole fluirono più
veloci delle sue lacrime: «Se non posso vivere insieme a te allora
preferisco
morire anch’io! Se morissi qui, ora, non mi importerebbe!»
Si
aggrappò al suo petto,
disperatamente. Se solo il tempo si fosse fermato in quel momento,
congelandoli
in quell’abbraccio! Se solo fosse stato possibile vivere un finale
alternativo!
Abel
in quel momento desiderò
morire. Non davanti ad un plotone di esecuzione, non davanti ad una
folla
curiosa e avida di sangue, no. Se doveva morire allora che
accadesse pure in quell’istante, con Georgie tra le sue braccia.
Georgie,
Georgie, Georgie. Sarebbe morto con quel nome sulle labbra, più sacro
di
qualsiasi preghiera. E lo ripeté, la chiamò ancora una volta, per avere
l’ulteriore
conferma che non fosse un sogno.
«Georgie
… »
«Non
voglio separarmi da
te, Abel! É per questo che sono qui!».
La
baciò d’impeto, tra le lacrime. Il
corpo, il viso, l’anima intera anelanti a lei. Georgie lo amava! Lo
amava! E
lui l’aveva scoperto proprio quando si era rassegnato all’idea di non
incontrarla
mai più, di morire senza rivedere il suo volto!
Sentì
il corpo incendiarsi
ad ogni bacio, ad ogni sospiro, ad ogni carezza. Le mani tremanti di
Georgie
che gli scivolavano sul viso, sulle spalle, sulla schiena lo
sconvolgevano. La
sua bellezza lo accecava e sapere che era finalmente sua, corpo e
anima, lo
faceva impazzire. Non sarebbe riuscito a controllarsi a lungo, non in
quel
momento, non in quell’addio.
Ogni
sua cellula era
affamata di lei, niente sarebbe più bastato a contenere la passione
tenuta
a freno da una vita. La sua lingua cercò la sua, le sue dita si
tuffarono nei
suoi capelli soffici. La strinse, avvicinandola ancora di più a sé,
perché
attraverso quel bacio potesse finalmente dirle tutte le cose che in
quegli anni era stato costretto a tacerle.
Ogni
centimetro di distanza
era un dolore, abbracciarsi, stringersi non era mai abbastanza. Se solo
avessero
potuto sciogliersi e rapprendersi in un’unica forma per sempre! Non più
due
singoli corpi, ma un’unica anima. In eterno.
E
se fosse stato possibile
recuperare tutti gli anni di inconsapevolezza sprecati così! Se solo
Georgie avesse
saputo prima che le mani di Abel su di sé le avrebbero fatto
dimenticare il mondo
intorno a lei, le mani di Abel che non le facevano paura, ma che la
accompagnavano a casa, verso di sé, verso un mondo di percezioni di cui
non
aveva mai creduto capace il proprio corpo.
Sentiva
la pelle in fiamme.
Lui le cingeva saldamente la vita per poi risalire lungo la schiena e
fermarsi
appena sotto il suo petto. E continuò così, in una danza estenuante, in
attesa
di qualcosa che non sapeva spiegarsi, finché Abel non si impadronì del
suo seno
da sopra la stoffa e lei perse il respiro.
I
loro baci erano sempre
più irrequieti, i loro corpi un grumo di desiderio.
«Georgie,
amore mio…» le
sussurrava Abel, svestendola lentamente senza smettere di baciarla.
E
Georgie sentì il bisogno
a sua volta di liberarlo dagli indumenti che erano ormai poveri stracci
a
brandelli. Desiderava carezzare la sua pelle, averla a contatto, averla
ovunque
e dimenticarsi di esistere.
La
vergogna, il pudore che
un tempo avrebbe provato nuda di fronte ad un uomo, che aveva
provato poi con Lowell, erano un ricordo lontano con Abel. Non si
sentiva nuda.
Si sentiva semplicemente se stessa nel gioco più naturale del mondo.
Abel, il
suo Abel. Era questo il suo unico pensiero adesso. Non più l’imbarazzo,
non più
l’indugio, ma solo l’insostenibile emozione di vederlo senza veli,
bellissimo
come il sole d’Australia, davanti a lei, per lei.
Sbarazzatisi
degli ultimi
odiosi strati di stoffa, abbracciarsi nuovamente fu la perfezione.
Georgie gli
strinse le braccia intorno al collo e Abel la prese in braccio e la adagió
delicatamente su una panca, distendendosi su di lei, nell’unico
giaciglio che
potesse ospitarli in quel luogo squallido. E improvvisamente le immagini del passato si sovrapposero al presente. Vide la bambina che correva scalza per i prati, vide la ragazzina innocente e ignara del suo amore e vide la donna tra le sue braccia. Una vita intera, l'aveva amata, la vita intera che avevano vissuto insieme.
«L’unica
cosa che ha sempre
riempito i miei pensieri sei tu … L’unica visione che ha sempre
riempito i miei
occhi sei tu... » le sussurrò a fior di labbra, inspirando la sua
essenza, perdendosi
nell’immagine del suo corpo bellissimo.Quante notti l’aveva
desiderata,
quante! E ora era lì, fremente sotto di lui!
La assaporò ovunque per imprimersi nei sensi
ogni
parte di lei. Il suo collo, i suoi piccoli seni, il suo ventre, lo
scrigno del
suo piacere.
Georgie
tirò la testa
indietro gemendo, il suo corpo tremante si stupiva di ogni singola
percezione,
mentre le sue mani impazzite cercavano il contatto con i muscoli
guizzanti di
Abel. Lui tornò su di lei, impadronendosi delle sue labbra,
stringendola più
forte, le sue dita deliranti afferravano ogni parte del suo corpo, ogni
incavatura, ogni sporgenza. Affanno dopo affanno.
Lei
si aggrappò alle sue
spalle ampie come vallate, poi scese con le mani sui glutei,
avvicinandolo
ancora di più al suo piacere, per sentire il suo desiderio svettante
contro di
sé.
«Abel
… io non … io»
boccheggiò, supplicante.
Non
sapeva più come saziare
quella fame insopportabile e dolcissima. Non sapeva cosa chiedergli.
Lui
le sorrise dolcemente,
carezzandole la guancia. Poi le baciò le palpebre. Non disse niente,
semplicemente acconsentì a quella richiesta che già il suo cuore
implorava.
Fu
il rumore delle onde che
si infrangono sugli scogli. Fu la luna che si alza nel cielo, tra le
chiome
degli alberi, in un bosco senza luce. Luce, fu luce del sole sulla
pelle. Fu
l’ossigeno dopo l’apnea di un’intera vita. Fu la vita, la vita vera. La
verità
in poche spinte. E il dolore non aveva importanza. Il dolore era la
vita
stessa, inevitabile, necessario.
Gli
occhi di Georgie si
velarono nuovamente di lacrime, ma non li chiuse, non li mosse. Non
poteva
perdere neanche un secondo dell’immagine del volto di Abel. Non poteva
lasciarsi
sfuggire nemmeno un’espressione, nemmeno un cambiamento impercettibile
nella
luce dei suoi occhi, fissi e brucianti su di lei.
«Ti
amo … Ti amo da sempre»
riuscì a dirgli, finalmente, durante quella danza. E la terra sembrò
tremare. Se la fiamma della speranza poteva riaccendersi nel suo cuore, allora che il tempo si fermasse in quell'istante, sotto il calore di Abel, tra le sue braccia.
Abel
trasalì e una lacrima
gli corse sulla guancia. La mise a sedere su di sé, una mano sulla sua
nuca, l’altra a
guidare il suo bacino. La guardò dritto negli occhi, fronte contro
fronte,
respiro contro respiro e, ancora fisso, blu nel suo verde, le sussurrò
a sua
volta: «Ti amo!».
E
dopo attimi interminabili il culmine invase la loro carne come un’onda
più alta delle altre, mentre delle gocce di vita mettevano radice
dentro di lei.
Ricaddero,
stravolti, sulla
panca ghiacciata, ma non sentirono freddo. Non esisteva più niente e nessuno al di fuori di quell’abbraccio.
Ancora ansimanti si disegnarono a vicenda con gli occhi, avvinghiati
con le
braccia e con le gambe. Sembrava loro di essere lontani, in una
prateria sperduta
della loro terra, sprofondati in un campo di mimose. Tutto intorno era
religioso silenzio. Presto si sarebbero alzati e tenendosi per mano
avrebbero
ricominciato a vivere, sarebbero tornati a casa, alla fattoria,
avrebbero dato
inizio alla loro vita insieme. Tutto sarebbe stato perfetto.
Abel
le accarezzò la
guancia: «È successo davvero?»
Georgie
annuì, rifugiandosi
nel suo petto, aspirando l’odore buono della sua pelle. Il ragazzo
poggiò il
mento sulla sua testa e la strinse a sé, cullandola.
«Abel,
non voglio andare
via! Voglio rimanere qui con te per sempre!» sospirò lei.
«Anche
io, non sai quanto,
ma devi andartene … Se ti scoprono è finita …»
«E
allora?»
«E
allora ti caccio io.
Devi vivere Georgie! Vivi per me, promettilo!».
La
ragazza annuì senza
troppa convinzione. Lacrime silenziose tornarono a solcare il suo viso.
Rivestirsi
fu la prima
condanna a morte. Ritornare, indumento dopo indumento, alla realtà,
alla
vigilia della fine. Vedersi coprire progressivamente le parti
dell’altro sapendo
di non poterle vedere e toccare mai più.
«Io
non ti lascio!»
singhiozzò Georgie, abbracciandolo disperatamente «non ti lascio qui da
solo!»
Abel
tratteneva a stento le
lacrime. Se avesse ceduto, le avrebbe reso il distacco ancora più
doloroso e
lei sarebbe rimasta ancora, col rischio di farsi scoprire.
«Devi
andare, invece … Promettimi
che sarai felice anche senza di me»
Subito
lei si ritrasse,
sconvolta: «Non voglio neanche parlare di questa eventualità!
Riusciremo a
salvarti, Abel!»
«Va
bene, ma tu promettimelo!»
le impose, carezzando e coprendo con la sua mano spaziosa la piccola
guancia di
lei.
«Non
potrei mai essere
felice senza te al mio fianco!».
Abel
la strinse nuovamente
a sé e le disse sulle labbra: «E chi ha detto che non sarò al tuo
fianco? Io
continuerò a vegliare su di te. Non ti libererai di me tanto
facilmente».
Le
sistemò il mantello
sulle spalle, mentre lei era scossa dai pianti.
«Georgie, non piangere. Tutte le volte che
sentirai la mia mancanza ricorda questa splendida notte perché non avrò
mai
smesso di tenerti stretta a me da adesso fino ad allora. Intesi?»
«Intesi»
«Vattene
adesso» ribadì, accompagnandola alla porta della cella.
I
due si fermarono l'uno di fronte all'altra: «Per sempre!» le disse con
la
voce incrinata.
Georgie
lo baciò per l’ultima
volta e tra le lacrime sospirò: «Per sempre!»
E
quella singola frase fu
il sigillo del loro congedo, la clausola di un’amputazione.
Come
si saluta una persona
per l’ultima volta? Con quali parole, con quali gesti accompagnare
quello che
sarà un addio?
A
Georgie non interessava
più saperlo. Quello non era un addio.
Lei e Abel si erano dati
appuntamento alle porte dell’infinito e un giorno, chissà quando,
sarebbero
tornati a vivere insieme. Per sempre.