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Autore: Elianne    12/06/2016    6 recensioni
Come si saluta qualcuno per l’ultima volta? Con quali parole, con quali gesti accompagnare quello che sarà un addio?
Ultime pagine del manga. Georgie va a trovare Abel in prigione e gli dichiara i suoi sentimenti finché i due finiscono per fare l'amore. Il racconto più nitido, ma non volgare, di un addio che il manga ha lasciato volutamente evanescente. Perché l'amore è anche lacrime, carne e sangue.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo sei lunghi anni di assenza da EFP e dal mondo delle fanfiction, dopo anni di doveri e di stress universitari a cui ho sacrificato ogni sogno e ispirazione, ritorno con questa fantasticheria in forma di racconto.  Si tratta di un focus sulla scena del manga in cui Georgie va a trovare Abel in prigione dopo la sua condanna a morte e i due si  dicono addio "al 100 %". Ho riportato fedelmente alcune battute e azioni del manga, ampliando e descrivendo poi i momenti lasciati all'immaginazione del lettore, cercando di non essere troppo esplicita.

Dedico questo racconto alla mia carissima Australia (alias Liliana) e a tutti coloro che non hanno mai smesso di rimuginare e sognare su quest'opera fantastica che è "Lady Georgie".



Alle porte dell'infinito


Come si saluta qualcuno per l’ultima volta? Con quali parole, con quali gesti accompagnare quello che sarà un addio? Georgie si pose queste domande mentre avanzava verso la prigione che teneva in ostaggio il suo Abel e con lui le certezze di una vita.

 L’odore acre di sporcizia e di umidità e quello penetrante del sangue dei prigionieri invasero i suoi sensi al punto da farle cedere le gambe.

«Fatti forza» le sussurrò Maria, stringendole la mano, mentre le camminava davanti.

Arrivate di fronte alla porta che avrebbe condotto alle scale per la cella di Abel, la ragazza le mise dolcemente una mano sulla spalla:  «Georgie, io ho fatto tutto ciò che potevo …»

«Grazie, Maria … Grazie di cuore» sentì rispondere la propria voce tremante.

«Io ti aspetto qui … Va da lui adesso, presto!»

Erano giorni che desiderava quell’incontro, aveva lottato con tutta se stessa per rivedere Abel, eppure adesso si sentiva codarda e quasi desiderava scappare. Scappare per non sentirsi inutile, unica responsabile di quel dolore. Scappare per non dovergli dire addio. Non c’erano speranze! Se solo Abel avesse tentato di evadere, lo avrebbero freddato sul posto: non ne sarebbe uscito vivo in nessun caso! Non sarebbe più tornato in Australia, gli occhi che lei aveva tanto amato si sarebbero spenti per sempre!

Soffocò un singhiozzo mentre scendeva le scale e finalmente arrivò davanti alla cella. Non era il momento di essere deboli. Abel aveva bisogno di lei e lei ne aveva di lui, terribilmente.

Lo vide. Il capo chino, i polsi soffocati dalle manette, bloccati ad una lastra sopra la sua testa. Il petto, il suo porto sicuro, la sua casa, era lacerato da graffi e ferite. Il suo cuore si infranse e qualsiasi pensiero svanì di fronte al bisogno disperato di stringerlo a sé: «Abel!».

Quando Abel vide quella massa di capelli dorati pensò di essere morto senza essersene accorto e di essere già nell’aldilà. Magari in paradiso gli ultimi desideri di un moribondo venivano esauditi! Magari tutto ciò che non era stato possibile avere in vita lo si poteva vivere da morti! Ma quando udì i suoi passi cristallini risuonare sul pavimento, quando vide i suoi occhi colmi di lacrime e le sue braccia protese verso di lui, capì di essere vivo. Si ricordò di avere un cuore, un cuore che tornò a pompare vita e desiderio. Si ricordò di avere dei polmoni ancora forti e tornò a respirare, a respirare davvero come non faceva più da tempo. Ma perché lei era lì? Perché non era salpata per l’Australia, mettendosi in salvo con Arthur? La gioia venne contaminata dall’apprensione: «Ma che cosa ci fai qui? Dovresti essere in viaggio per l’Australia! Geor…»

Inizialmente non capì cosa stesse accadendo. Fu tutto un battito di farfalla.

 Il suo odore gli si fece improvvisamente più vicino, così vicino da farsi respiro, lacrime, carne. Le labbra umide di Georgie cercarono le sue smaniosamente, come se temessero che lui potesse smaterializzarsi da un momento all’altro. Un bacio al sapore di lacrime e sorpresa, un bacio madre che chiudeva il cerchio della perfezione, il senso di tutta un’esistenza. Georgie, forse, ricambiava i suoi sentimenti? Stentava a crederci. Come avrebbe voluto abbracciarla, stringersela forte al petto, farla sua! Ma con le manette e le catene che gli bloccavano le braccia verso l’alto poteva solo ricambiare i suoi baci, farci l’amore con lo sguardo.

Georgie si staccò a pochi centimetri dal suo volto e i suoi occhi meravigliosi gli frugarono nell’anima. Gli appoggiò le mani al petto, la sua roccia, bisognosa di quel contatto, percependo il battito del suo cuore sotto il palmo, e vibrò per la piacevole e rassicurante sensazione che il calore del suo corpo sapeva sempre trasmetterle: «Avevo tanta voglia di vederti. Mi mancavi così tanto … Non ce l’ho fatta ad aspettare che ti liberassero … »

Abel la guardava in silenzio, ancora stordito dall’emozione di averla con sé. I suoi occhi blu, abissi magnetici, la scrutavano attenti, mentre lei lo liberava inserendo le chiavi nella serratura delle manette.

«Papà e gli altri entreranno presto in possesso delle prove per smascherare il traffico di droga di Dangering … Vedrai, ce la faranno prima del giorno dell’esecuzione, perciò…» disse lei, rompendo il silenzio mentre Abel si sgranchiva, tornando a prendere padronanza del suo corpo intorpidito da giorni di cattività.

Lui non rispose e la ferì con lo sguardo.

«Abel …»

«Perché ti sei messa in pericolo venendo qui?! Perché non siete salpati Se ti trovassi verresti uccisa!».

Georgie abbassò lo sguardo. Cosa le importava oramai di vivere se vivere significava respirare senza di lui?

«E Arthur?»

La ragazza ancorò ulteriormente lo sguardo al suolo. Mentirgli era penoso, ma sapeva di farlo a fin di bene. La verità sulla morte del fratello lo avrebbe distrutto e avrebbe vanificato la sua stessa condanna a morte: «Si sta riprendendo bene … »

«Allora andatevene in Australia al più presto! Se non vuoi che muoia per niente, allora salpate in fretta!» rispose Abel, serio, come se morire fosse la cosa più ovvia del mondo.

In Georgie si ruppe ogni ultima resistenza, gli argini che contenevano la sua diga di dolore. La morte, la fine di tutto, la fine di quella voce, di quel corpo di cui amava ogni fibra, non era un’ipotesi lontanamente razionalizzabile.

«Abel! Non devi nemmeno pensare a una cosa del genere! Se ti perdessi non potrei più vivere!»

Le parole fluirono più veloci delle sue lacrime: «Se non posso vivere insieme a te allora preferisco morire anch’io! Se morissi qui, ora, non mi importerebbe!»

Si aggrappò al suo petto, disperatamente. Se solo il tempo si fosse fermato in quel momento, congelandoli in quell’abbraccio! Se solo fosse stato possibile vivere un finale alternativo!

Abel in quel momento desiderò morire. Non davanti ad un plotone di esecuzione, non davanti ad una folla curiosa e avida di sangue, no. Se doveva morire allora che accadesse pure in quell’istante, con Georgie tra le sue braccia.

Georgie, Georgie, Georgie. Sarebbe morto con quel nome sulle labbra, più sacro di qualsiasi preghiera. E lo ripeté, la chiamò ancora una volta, per avere l’ulteriore conferma che non fosse un sogno.

«Georgie … »

«Non voglio separarmi da te, Abel! É per questo che sono qui!».

La baciò d’impeto, tra le lacrime. Il corpo, il viso, l’anima intera anelanti a lei. Georgie lo amava! Lo amava! E lui l’aveva scoperto proprio quando si era rassegnato all’idea di non incontrarla mai più, di morire senza rivedere il suo volto!

Sentì il corpo incendiarsi ad ogni bacio, ad ogni sospiro, ad ogni carezza. Le mani tremanti di Georgie che gli scivolavano sul viso, sulle spalle, sulla schiena lo sconvolgevano. La sua bellezza lo accecava e sapere che era finalmente sua, corpo e anima, lo faceva impazzire. Non sarebbe riuscito a controllarsi a lungo, non in quel momento, non in quell’addio.

Ogni sua cellula era affamata di lei, niente sarebbe più bastato a contenere la passione tenuta a freno da una vita. La sua lingua cercò la sua, le sue dita si tuffarono nei suoi capelli soffici. La strinse, avvicinandola ancora di più a sé, perché attraverso quel bacio potesse finalmente dirle tutte le cose che in quegli anni era stato costretto a tacerle.

Ogni centimetro di distanza era un dolore, abbracciarsi, stringersi non era mai abbastanza. Se solo avessero potuto sciogliersi e rapprendersi in un’unica forma per sempre! Non più due singoli corpi, ma un’unica anima. In eterno.

E se fosse stato possibile recuperare tutti gli anni di inconsapevolezza sprecati così! Se solo Georgie avesse saputo prima che le mani di Abel su di sé le avrebbero fatto dimenticare il mondo intorno a lei, le mani di Abel che non le facevano paura, ma che la accompagnavano a casa, verso di sé, verso un mondo di percezioni di cui non aveva mai creduto capace il proprio corpo.

Sentiva la pelle in fiamme. Lui le cingeva saldamente la vita per poi risalire lungo la schiena e fermarsi appena sotto il suo petto. E continuò così, in una danza estenuante, in attesa di qualcosa che non sapeva spiegarsi, finché Abel non si impadronì del suo seno da sopra la stoffa e lei perse il respiro.

I loro baci erano sempre più irrequieti, i loro corpi un grumo di desiderio.

«Georgie, amore mio…» le sussurrava Abel, svestendola lentamente senza smettere di baciarla.

E Georgie sentì il bisogno a sua volta di liberarlo dagli indumenti che erano ormai poveri stracci a brandelli. Desiderava carezzare la sua pelle, averla a contatto, averla ovunque e dimenticarsi di esistere.

La vergogna, il pudore che un tempo avrebbe provato nuda di fronte ad un uomo, che aveva provato poi con Lowell, erano un ricordo lontano con Abel. Non si sentiva nuda. Si sentiva semplicemente se stessa nel gioco più naturale del mondo. Abel, il suo Abel. Era questo il suo unico pensiero adesso. Non più l’imbarazzo, non più l’indugio, ma solo l’insostenibile emozione di vederlo senza veli, bellissimo come il sole d’Australia, davanti a lei, per lei.

Sbarazzatisi degli ultimi odiosi strati di stoffa, abbracciarsi nuovamente fu la perfezione. Georgie gli strinse le braccia intorno al collo e Abel la prese in braccio e la adagió delicatamente su una panca, distendendosi su di lei, nell’unico giaciglio che potesse ospitarli in quel luogo squallido. E improvvisamente le immagini del passato si sovrapposero al presente. Vide la bambina che correva scalza per i prati, vide la ragazzina innocente e ignara del suo amore e vide la donna tra le sue braccia. Una vita intera, l'aveva amata, la vita intera che avevano vissuto insieme.

«L’unica cosa che ha sempre riempito i miei pensieri sei tu … L’unica visione che ha sempre riempito i miei occhi sei tu... » le sussurrò a fior di labbra, inspirando la sua essenza, perdendosi nell’immagine del suo corpo bellissimo.Quante notti l’aveva desiderata, quante! E ora era lì, fremente sotto di lui!

 La assaporò ovunque per imprimersi nei sensi ogni parte di lei. Il suo collo, i suoi piccoli seni, il suo ventre, lo scrigno del suo piacere.

Georgie tirò la testa indietro gemendo, il suo corpo tremante si stupiva di ogni singola percezione, mentre le sue mani impazzite cercavano il contatto con i muscoli guizzanti di Abel. Lui tornò su di lei, impadronendosi delle sue labbra, stringendola più forte, le sue dita deliranti afferravano ogni parte del suo corpo, ogni incavatura, ogni sporgenza. Affanno dopo affanno.

Lei si aggrappò alle sue spalle ampie come vallate, poi scese con le mani sui glutei, avvicinandolo ancora di più al suo piacere, per sentire il suo desiderio svettante contro di sé.

«Abel … io non … io» boccheggiò, supplicante.

Non sapeva più come saziare quella fame insopportabile e dolcissima. Non sapeva cosa chiedergli.

Lui le sorrise dolcemente, carezzandole la guancia. Poi le baciò le palpebre. Non disse niente, semplicemente acconsentì a quella richiesta che già il suo cuore implorava.

Fu il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli. Fu la luna che si alza nel cielo, tra le chiome degli alberi, in un bosco senza luce. Luce, fu luce del sole sulla pelle. Fu l’ossigeno dopo l’apnea di un’intera vita. Fu la vita, la vita vera. La verità in poche spinte. E il dolore non aveva importanza. Il dolore era la vita stessa, inevitabile, necessario.

Gli occhi di Georgie si velarono nuovamente di lacrime, ma non li chiuse, non li mosse. Non poteva perdere neanche un secondo dell’immagine del volto di Abel. Non poteva lasciarsi sfuggire nemmeno un’espressione, nemmeno un cambiamento impercettibile nella luce dei suoi occhi, fissi e brucianti su di lei.

«Ti amo … Ti amo da sempre» riuscì a dirgli, finalmente, durante quella danza. E la terra sembrò tremare. Se la fiamma della speranza poteva riaccendersi nel suo cuore, allora che il tempo si fermasse in quell'istante, sotto il calore di Abel, tra le sue braccia.

Abel trasalì e una lacrima gli corse sulla guancia. La mise a sedere su di sé, una mano sulla sua nuca, l’altra a guidare il suo bacino. La guardò dritto negli occhi, fronte contro fronte, respiro contro respiro e, ancora fisso, blu nel suo verde, le sussurrò a sua volta: «Ti amo!».

E dopo attimi interminabili il culmine invase la loro carne come un’onda più alta delle altre, mentre delle gocce di vita mettevano radice dentro di lei.

Ricaddero, stravolti, sulla panca ghiacciata, ma non sentirono freddo. Non esisteva più niente  e nessuno al di fuori di quell’abbraccio. Ancora ansimanti si disegnarono a vicenda con gli occhi, avvinghiati con le braccia e con le gambe. Sembrava loro di essere lontani, in una prateria sperduta della loro terra, sprofondati in un campo di mimose. Tutto intorno era religioso silenzio. Presto si sarebbero alzati e tenendosi per mano avrebbero ricominciato a vivere, sarebbero tornati a casa, alla fattoria, avrebbero dato inizio alla loro vita insieme. Tutto sarebbe stato perfetto.

Abel le accarezzò la guancia: «È successo davvero?»

Georgie annuì, rifugiandosi nel suo petto, aspirando l’odore buono della sua pelle. Il ragazzo poggiò il mento sulla sua testa e la strinse a sé, cullandola.

«Abel, non voglio andare via! Voglio rimanere qui con te per sempre!»  sospirò lei.

«Anche io, non sai quanto, ma devi andartene … Se ti scoprono è finita …»

«E allora?»

«E allora ti caccio io. Devi vivere Georgie! Vivi per me, promettilo!».

La ragazza annuì senza troppa convinzione. Lacrime silenziose tornarono a solcare il suo viso.

Rivestirsi fu la prima condanna a morte. Ritornare, indumento dopo indumento, alla realtà, alla vigilia della fine. Vedersi coprire progressivamente le parti dell’altro sapendo di non poterle vedere e toccare mai più.

«Io non ti lascio!» singhiozzò Georgie, abbracciandolo disperatamente «non ti lascio qui da solo!»

Abel tratteneva a stento le lacrime. Se avesse ceduto, le avrebbe reso il distacco ancora più doloroso e lei sarebbe rimasta ancora, col rischio di farsi scoprire.

«Devi andare, invece … Promettimi che sarai felice anche senza di me»

Subito lei si ritrasse, sconvolta: «Non voglio neanche parlare di questa eventualità! Riusciremo a salvarti, Abel!»

«Va bene, ma tu promettimelo!» le impose, carezzando e coprendo con la sua mano spaziosa la piccola guancia di lei.

«Non potrei mai essere felice senza te al mio fianco!».

Abel la strinse nuovamente a sé e le disse sulle labbra: «E chi ha detto che non sarò al tuo fianco? Io continuerò a vegliare su di te. Non ti libererai di me tanto facilmente».

Le sistemò il mantello sulle spalle, mentre lei era scossa dai pianti.

 «Georgie, non piangere. Tutte le volte che sentirai la mia mancanza ricorda questa splendida notte perché non avrò mai smesso di tenerti stretta a me da adesso fino ad allora. Intesi?»

«Intesi»

«Vattene adesso» ribadì, accompagnandola alla porta della cella.

I due si fermarono l'uno di fronte all'altra: «Per sempre!» le disse con la voce incrinata.

Georgie lo baciò per l’ultima volta e tra le lacrime sospirò: «Per sempre!»

E quella singola frase fu il sigillo del loro congedo, la clausola di un’amputazione.

Come si saluta una persona per l’ultima volta? Con quali parole, con quali gesti accompagnare quello che sarà un addio?

A Georgie non interessava più saperlo. Quello non era un addio.

Lei e Abel si erano dati appuntamento alle porte dell’infinito e un giorno, chissà quando, sarebbero tornati a vivere insieme. Per sempre.

                                                      




   
 
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