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Autore: Nymeria90    13/06/2016    1 recensioni
La mia storia è una sorta di autobiografia di Hawke con qualche appunto di Varric.
L'intenzione è di ripercorrere tutta la sua vita: dal suo primo ricordo fino agli eventi di DA Inquisition.
" [...] Hawke tiene a te tanto quanto tu tieni a lei. Non ti ha dimenticato. Ma so che le parole non ti convinceranno, non le mie, almeno. Credo sia arrivato il momento che tu riceva la tua eredità.
Hawke me l’affidò prima che partisse per la fortezza dei Custodi Grigi, nel lontano Nord.[...] Mi ha affidato quest’oggetto perché io te lo consegnassi, cito testualmente “al momento opportuno”. Quel momento, secondo la mia modesta opinione, è arrivato. [...] L'eredità di cui parlo è il suo diario."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hawke, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Hawke
 
Sto divagando. O meglio: sto prendendo tempo.
Quando ho iniziato questo diario pensavo di poter omettere o addirittura cancellare certi eventi della mia vita. Mi ero convinta che sarebbe bastato non scriverli per renderli inesistenti.
Purtroppo non basta desiderare che qualcosa non sia mai accaduto per farlo scomparire. Mi sono ripromessa di essere onesta in questo mio resoconto e pensavo di esserlo mentre imbrattavo d’inchiostro queste pagine, parlando di magia del sangue, invidie e dispetti. Chiunque stia leggendo, arrivato a questo punto, dirà: il peggio è passato, cosa può aver fatto ancora? La tentazione di rispondere “niente” è tanto forte che persino io, che mi reputo immune alle lusinghe, rischio di capitolare.
Sarebbe ironico, non credete, cedere proprio ora?
Mi sono sempre vantata di essere, a mio modo, incorruttibile. Non mi sono mai fatta comprare, né dall’oro né dalle promesse.
È la parte migliore di me, forse l’unica rimasta. Mentire adesso significherebbe sacrificare anche quello: l’ultimo angolo incontaminato della mia anima.
Un sacrificio che non ho intenzione di compiere.
Ora che ho preso la mia decisione sono impaziente di riprendere il mio racconto, consapevole che quando sarà finito io non sarò più la stessa, né ai miei occhi né a quelli di chi mi sta leggendo.
 
Gli anni della mia adolescenza trascorsero in relativa tranquillità. Lothering era una cittadina accogliente e tranquilla: ci integrammo così bene in quel piccolo villaggio di contadini che pensammo davvero di aver trovato una casa dalla quale non saremmo più dovuti fuggire.
Per la prima volta da quando ho memoria ci sentivamo “normali”.
Bethany e Carver continuarono a frequentare la scuola del villaggio e io, di tanto in tanto, li accompagnavo; ogni volta mi sorprendevo nel constatare quanto ben integrati fossero. Avevano amici e le persone per strada rivolgevano loro cenni di amichevole saluto. Erano popolari, anche se per i motivi opposti: erano i gemelli della foresta ed erano simpatici a tutti. Con me era diverso: ero una tizia strana, scontrosa e sarcastica, che ogni tanto compariva nelle strade del villaggio. Nessuno mi era ostile ma, di certo, nessuno mi era amico.
La cosa non mi turbava. Non ho mai desiderato essere al centro dell’attenzione … essere il Campione di una città non era certo il mio sogno, anche se alla fine è andata così. L’unica cosa che desideravo era essere lasciata in pace. Non ho mai temuto la solitudine, anzi per me è la cosa che più assomiglia alla normalità. Quell’epoca è stata probabilmente la più “normale della mia vita”: eravamo persone normali che vivevano una vita normale.
Mia madre, lentamente, tornò alla vita: cominciò ad avere delle amiche e a trascorrere il tempo fuori casa. Con questo non voglio dire che la vita di Lothering fosse mondana o intellettualmente stimolante: non aveva nulla a che vedere con il mondo che si era lasciata alle spalle, a Kirkwall. A Lothering non c’erano ricevimenti, balli in maschera o circoli letterari, ma rispetto all’isolamento angoscioso cui era stata costretta fino ad allora anche le poche, banali, chiacchiere con la vicina erano un ritorno alla vita.
Giorno dopo giorno cominciammo a diventare parte della comunità.
Papà era benvoluto nel villaggio per le sue doti di guaritore; non esercitava la magia, non era così folle, ma la sua conoscenza della piante, dell’erboristeria e dell’anatomia umana lo rendevano la persona più preparata della zona in fatto a questioni mediche.
In un mondo popolato di ciarlatani una persona abile e affidabile era una vera benedizioni per i rozzi contadini di un piccolo villaggio sperduto nel nulla.
Certi giorni c’era la fila davanti alla porta di casa e papà non negava il suo aiuto a nessuno: preparava impacchi per la febbre e fasciava le ferite, assisteva le partorienti e confortava gli anziani intimoriti dalla morte.
La nostra esistenza procedeva senza troppi scossoni: conducevamo una vita tranquilla all’interno della quale io, Beth e papà, ritagliavamo qualche momento da dedicare alla magia, nella solitaria sicurezza della foresta.
Poi, un giorno, il destino bussò alla nostra porta scegliendo come portavoce un templare.
Ero sola in casa quel pomeriggio: papà era andato a caccia con Carver mentre la mamma e Beth erano in visita da una vicina. Non ricordo più il motivo per cui non le avevo accompagnate. Probabilmente non avevo voglia di trascorrere il mio pomeriggio ad ascoltare discorsi noiosi e banali.
Non era raro, in quegli ultimi anni, che ricevessimo visite inaspettate. Da quando papà era guaritore capitava spesso che la gente piombasse a casa nostra negli orari più insoliti. Ci eravamo abituati, motivo per cui non tenevamo in casa oggetti o libri che potessero svelare il nostro segreto. Avevamo imparato ad essere cauti invece che spaventati.
Così il frenetico bussare alla porta che interruppe la mia lettura di un romanzo rivaninao particolarmente intrigante non m’impensierì più di tanto. Andai alla porta più scocciata che preoccupata e l’aprii con malcelata irritazione: fu con sommo stupore che, invece dell’ipocondriaco del villaggio, mi ritrovai davanti due templari in armatura completa. Lo sbalordimento fu tale che m’impedì di farmi prendere dal panico. E questo fu la mia salvezza.
- Avete bisogno di aiuto?- domandai meccanicamente. Con la mente completamente annebbiata le mie labbra si mossero automaticamente, sfoderando la domanda che rivolgevo a chiunque si presentasse davanti alla nostra casa.
Se fossi stata più lucida probabilmente li avrei attaccati e sarei morta.
I due guerrieri di fronte a me non avevano nulla di umano: erano spaventosi esseri di metallo che mi fissavano dall’oscurità della feritoia nell’elmo. Poi uno dei due parlò e la voce di donna che uscì da quell’ammasso di metallo ebbe il potere di rassicurarmi: c’era un essere umano, dunque, sotto quell’armatura.
- Il mio compagno è ferito.- esordì la donna di metallo – Potete fare qualcosa per aiutarlo?-
Solo in quel momento mi accorsi che il secondo templare si reggeva a fatica e sarebbe crollato a terra se la sua compagna non l’avesse tenuto saldamente per la cintola. L’armatura era visibilmente ammaccata e infossata sul petto, immaginai che soffrisse terribilmente, ma non si lamentava.
Il buon senso mi diceva di lasciar stare: mio padre era lontano e io non potevo aiutarli. Mi sarei dispiaciuta e poi avrei detto loro di cercare aiuto da qualche altra parte perché io non ero una guaritrice.
Aprii la bocca, per dire quelle esatte parole, invece dalle mie labbra uscì qualcosa di completamente diverso – Entrate.- mormorai, facendomi da parte – Mio padre non è in casa, ma sarà qui presto, nel frattempo posso darci un’occhiata io.-
Fu così che due templari entrarono nella casa di tre eretici in fuga dalla chiesa.
Il ferito camminava a fatica, appoggiandosi alla compagna e, quando indicai il pagliericcio dove mio padre visitava i malati, vi si accasciò sopra con un gemito di dolore.
Guardando quei due guerrieri di Andraste troneggiare nelle stesse stanze dove io, di tanto in tanto, mi dilettavo a sollevare oggetti con la mente mi fece provare un fremito. Era paura, certo, ma non solo. Ero confusa e preoccupata ma, più di ogni altra cosa, ero elettrizzata. L’idea che due templari si fossero affidati a me senza sapere chi o cosa fossi mi fece sentire … potente. I miei più grandi nemici, gli orchi della mia infanzia, erano lì davanti ai miei occhi, vulnerabili e inermi … sarebbe bastato il guizzo di un pensiero e li avrei sopraffatti: sapevo di poterlo fare.
E, forse, era mio dovere farlo.
Se li avessi uccisi sarebbero stati due templari in meno a darci la caccia.
Mentirei se negassi di averci pensato; fu ben più di pensiero vagabondo: per alcuni secondi presi in seria considerazione la possibilità di far loro del male.
Poi mi vergognai di quel mio impulso assassino: erano solo due persone che mi avevano chiesto aiuto e io li ripagavo immaginando la loro morte.
Papà si sarebbe vergognato di me.
Allontanai la Maleficarum che era in me e mi chinai sul templare ferito chiedendo alla donna cos’era successo. Lei si tolse l’elmo, svelando un viso piatto sotto un ispido cespuglio di capelli biondi. Non era una donna attraente ma aveva un aspetto rassicurante, che ispirava fiducia.
- Eravamo sulle tracce di alcuni maghi fuggiaschi, nelle Selve. Doveva essere una semplice ricognizione, niente di pericoloso. La pista era ormai fredda e la nostra era più un’esercitazione che una caccia vera e propria.- m’irrigidii impercettibilmente, ma mascherai la mia tensione versando del distillato alcolico in una bacinella dove poi immersi le mani, per pulirle come, più volte, avevo visto fare da mio padre. La templare proseguì il suo racconto, ignara dell’effetto che faceva su di me – Ad un certo punto è sbucato un orso: una bestia enorme, apparsa dal nulla. Si è avventata su di noi con furia omicida: sono riuscita a respingerlo, ferendolo lievemente. Si è dileguato nella foresta ma ormai il danno era fatto.- sospirò, guardando il soldato adagiato sul pagliericcio. Non si muoveva più: probabilmente era svenuto – La bestia ha colpito Eric con una zampata, se non fosse stato per l’armatura l’avrebbe sventrato.-
Annuii, fingendo di seguire il suo discorso: in realtà stavo pensando alla mia misteriosa amica della foresta. Era una metamorfa, l’avevo visto con i miei occhi: sapeva trasformarsi in lupo e in un ragno gigante, per quel che ne sapevo poteva mutarsi anche in un orso. Non sarebbe stata la prima volta che aggrediva dei templari assumendo le sembianze di una belva …
Sperai che non fosse ferita gravemente.
- Bisogna togliergli l’armatura.- borbottai, cercando di dare alla mia voce un tono sicuro.
Mentre la donna armeggiava coi lacci della corazza io sfilai l’elmo dal volto del templare.
Mi ero aspettata di scorgere i lineamenti maturi e i capelli brizzolati di un uomo di mezza età, invece il viso che mi trovai davanti era quello di un ragazzo poco più vecchio di me.
Era un giovane grazioso, anche se non sono certa che questo aggettivo sia positivo nella descrizione di un uomo. Il templare che giaceva svenuto sul mio pagliericcio aveva la docile bellezza dei bambini: le guance rosee e lisce avevano ancora le rotondità dell’infanzia, i capelli castani gli scendevano in riccioli ribelli sulla fronte sudata e il naso era aggraziato come quello di una fanciulla.
Fu proprio quel suo aspetto delicato, innocente, che mi colpì. Mi ero sempre raffigurata i templari come uomini duri, dalla pelle rovinata, gli occhi sospettosi e i modi brutali: guerrieri pieni di cicatrici e cattive intenzioni. Trovarmi davanti questo ragazzino vestito da soldato mi spiazzò. Era questo il nemico che dovevo combattere? Era lui il guerriero da cui continuavo a fuggire?
Sotto quell’elmo mi ero imbattuta in un viso che ricordava il mio.
La nemesi della mia esistenza era solo un ragazzo col viso lungo e la fossetta sul mento.
- È grave?- la voce della donna mi strappò dai miei pensieri.
Con fatica distolsi lo sguardo dai lineamenti delicati del mio primo paziente e lo spostai sul torace che, spogliato dall’imponente armatura, appariva grottescamente smilzo. Mi chiesi come facesse a sopportare il peso di tutto quel metallo.
Constatai con sollievo che non c’era sangue sulla tunica di lino e l’alzai con delicatezza. Dalla cintola al petto la pelle del giovane templare era violacea, quasi nera e quando gli tastai il costato gemette riscuotendosi dal torpore dell’incoscienza. Avvicinai l’orecchio al suo petto e ascoltai attentamente il suo respiro.
- Morirò?-
Sobbalzai al suono di quella voce flebile e sconosciuta, mi raddrizzai con veemenza, sentendo le mie guance diventare di brace, incrociai lo sguardo confuso del mio paziente e mi sentii sprofondare: improvvisamente mi rendevo conto di essere inginocchiata accanto ad un ragazzo seminudo, con le mani appoggiate sul suo petto. Mai prima di allora mi ero trovata così vicina ad un uomo che non fosse mio padre o mio fratello. Presa dal mio ruolo di “medico” non ci avevo pensato e mi ero approcciata a lui come ad un oggetto inanimato, ma ora che l’oggetto in questione era sveglio e parlante mi rendevo conto che la sua carne era calda al tocco e il suo cuore palpitava frenetico sotto il mio palmo.
Ritrassi bruscamente le mani e mi alzai, cercando di darmi un tono professionale – Io non sono un’esperta: il guaritore è mio padre. Ma credo di potervi tranquillizzare: è solo una brutta botta, nulla di più. Hai alcune costole rotte e una brutta contusione sul torace, ma non hai problemi a respirare e non ci sono emorragie interne.- sorrisi cercando di rasserenare l’atmosfera – Tuttavia vi consiglio di aspettare mio padre per essere certi che non ci sia niente di grave.-
La guerriera bionda si alzò a sua volta, per la prima volta notai la spada che le tintinnava al fianco. Mi domandai quanti maghi avesse trapassato con la lama d’acciaio: fui attraversata da un’ondata d’odio così forte che mi si annebbiò la vista.
Quando tornai padrona dei miei sensi vidi che la donna mi stava parlando, apparentemente ignara del mio momentaneo raptus.
- Bene, se non è grave posso tornare in caserma: gli altri si staranno preoccupando.- stava dicendo mentre raccoglieva il suo elmo da templare – Eric rimarrà qui fino all’arrivo di vostro padre.- i toni gentili di poco prima erano scomparsi, per lasciare il posto alla rigida marzialità di una persona abituata a comandare.
La guardai negli occhi e seppi di non potermi tirare indietro: Eric sarebbe rimasto a casa nostra fino a nuovo ordine.
Un templare in una casa di maghi.
Sforzai le labbra in un sorriso – Naturalmente. Veglieremo su di lui.-
- Tornerò domani a vedere come sta.- e con queste parole si congedò.
Mentre la osservavo allontanarsi nel lungo crepuscolo di quella giornata d’estate non riuscii a reprimere un brivido di pura estasi: avevo ingannato il mio nemico.
Pensai al ragazzo sdraiato sul pagliericcio di casa mia e sorrisi, questa volta senza alcuno sforzo: lui era mio e ne avrei fatto ciò che volevo.
 
Varric
 
 
Quante volte ho visto quel sorriso. Metteva i brividi. Era il sorriso di una persona disposta a qualunque crimine pur di raggiungere il suo obiettivo. Chi non la conosceva si lasciava ingannare dalla sua aria spensierata e cordiale. Le bastava sfoderare quel sorriso per convincere chiunque (pirati, schiavisti, templari o maleficarum) di aver trovato in lei la più grande alleata di sempre.
Li costringeva ad abbassare la guardia, li ingannava con tale raffinata dolcezza che anche noi, che conoscevamo la sua vera natura, di tanto in tanto tremavamo all’idea che avesse davvero cambiato schieramento. Poi, non appena il nemico di turno era completamente ammaliato da quella ragazza dai capelli di fuoco, si trasformava nel peggior incubo di qualunque essere umano. Mi sono sempre domandato che cosa l’abbia resa così indecifrabile.
Immagino che presto avrò la mia risposta.

 
 
 



N.A.

Non so se è rimasto qualcuno a seguire questa storia, è passato così tanto tempo dalla mia ultima pubblicazione che ormai non ha quasi più senso scusarsi, anche se è quello che intendo fare: chiedo perdono per aver abbandonato questa storia e, purtroppo, non posso garantire che la porterò a termine. Facendo ordine nel mio computer ho trovato il file della storia e, con mio enorme stupore, ho scoperto che avevo scritto alcune pagine mai pubblicate, perciò (mentre la mia mano indugiava sul tasto Elimina) ho deciso che, siccome il materiale non era poi così scadente come pensavo, era un peccato non postare anche questi capitoli. Se ce ne saranno altri oppure no rimane un mistero anche per me, vedremo come andrà! Nel frattempo ringrazio chi è arrivato a leggere fino a qui e mi scuso con tutti i lettori che ho abbandonato.
  
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