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Autore: emme30    13/06/2016    8 recensioni
Tony è un papà single che ha bisogno di un baby-sitter, Steve ha bisogno di un lavoro e Peter vuole solo che qualcuno lo porti al museo di Storia Naturale.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a quelle stronze delle mie amiche
che hanno pensato che farmi finire nel vortice Stony
fosse una cosa bella.

Vi odio.





Tony si lasciò cadere sul divano, sfinito dalla giornata appena terminata. Si massaggiò la fronte con una mano, cercando di non pensare alla sfuriata di Natasha, a quella di Pepper e al tono molto accondiscendente di Jarvis. E se persino il computer riusciva a farlo sentire in colpa, la cosa era davvero grave.
Diede una rapida occhiata alla cucina annerita da fumo; l’ultimo disastro del suo adorato pargolo di sette anni, il quale era riuscito a far dare le dimissioni alla bellezza di cinque babysitter. E questo solo nell’ultimo mese. Era sicuro di aver battuto un record di qualche tipo; forse avrebbe potuto addirittura entrare nel Guinness dei primati.
Si mise a sedere pigramente, afferrando una serie di fascicoli impilati sul tavolino del salotto. Staccò il post-it giallo che Pepper gli aveva lasciato sopra e lo lesse controvoglia.
Ho fatto io i colloqui per le nuove baby-sitter, ho lasciato delle annotazioni per ogni candidato. Domani chiamane uno. Non ammetto repliche.
Tony lo appallottolò e aprì il primo fascicolo: raffigurava una signora con un’aria un po’ austera, occhiali squadrati sul naso e occhi scuri.
Ottime referenze, ma Peter la odierà. E tu pure,” aveva scritto Pepper su un altro post-it giallo; Tony si ritrovò a riguardare la foto ed essere d’accordo con lei.
Il secondo fascicolo raffigurava una ragazza giovane e con un bel sorriso, ma lo richiuse non appena lesse la valutazione di Pepper. “Non durerà neanche una settimana”.
Le cose non andarono meglio con la candidata successiva, per la quale Pepper aveva scritto: “Non durerà neanche un giorno.”
Tony sospirò, sull’orlo della rassegnazione, prima di aprire l’ultimo file, il quale lo lasciò alquanto incuriosito. Il candidato era un ragazzo giovane, con il viso squadrato e i capelli biondi, e l’unica annotazione che aveva lasciato Pepper era stata: “Perché no? Tanto, peggio di così.” Tony lesse distrattamente il curriculum infinito allegato, stupito dalla lista di lavori passati e referenze.
Prima che potesse prendere una decisione, un dolce suono arrivò alle sue orecchie.
“Papaàààààààààà!”
Tony sospirò, richiudendo tutti i fascicoli e deciso a pensarci su più tardi, sicuro che avrebbe delegato anche quella decisione a Pepper, e si alzò svogliato.
“Papààààààààà, vieniiiii!”
Avrebbe voluto urlare che non c’era bisogno di chiamarlo cento volte, che lo aveva sentito benissimo la prima volta, ma proprio non aveva la forza. Non quella sera.
Entrò nella stanza disseminata di giocattoli del figlio con un sospiro, incrociando le braccia al petto.
“Che c’è?” chiese, cercando di sembrare ancora arrabbiato.
“Niente,” rispose il bambino, sdraiato di pancia sul letto e intento a fissare lo schermo del cellulare.
Tony sentì la rabbia ritornare, esattamente come qualche ora prima. “Cosa c’è?” ripeté, scandendo bene le parole.
Peter non alzò neppure lo sguardo dallo schermo. “Nulla. Non riuscivo a usare il Wi-fi, ma adesso funziona… chissà perché c’era un firewall con una password che non riuscivo a bypassare, ma ora ce l’ho fatta.”
Certo, il firewall che aveva messo qualche ora prima come punizione: una stringa di 12 numeri e lettere casuali che cambiava ogni cinque minuti. Una stringa che, ovviamente, Peter era riuscito a decifrare. Cielo, si pentiva di averlo cresciuto a pane e informatica.
Si avvicinò al letto e gli porse la mano. “Sei in punizione. Dammi il cellulare e fila a letto.”
Peter roteò gli occhi e gli consegnò il telefono, ma Tony non ritirò la mano.
“Anche l’altro,” disse insistente.
Dopo un sonoro sbuffo, il bambino tirò fuori un altro apparecchio dalla fodera del cuscino e glielo diede, ma ancora Tony non spostò le dita stese. “Tutti,” esclamò deciso.
“Uffa, papà, ma che rompiscatole che sei!” sbraitò Peter, non prima di infilarsi sotto il letto e recuperare l’ennesimo cellulare. Tony se lo rigirò tra le mani per un attimo e alzò un sopracciglio.
“E’ il telefono di Nat?”
“Era impegnata a spegnere il fuoco in cucina.”
Certo, perché, oltre ad essere un potenziale hacker, il suo pargoletto era persino in grado a sottrare a una ex spia russa il proprio telefonino. Bene, ma non benissimo.
Lo mise a letto e gli rimboccò le coperte, per poi sedersi accanto a lui e squadrarlo seriamente.
“Perché hai dato fuoco alla cucina, oggi?”
Peter scrollò le spalle. “Mi annoiavo.”
“Quando le persone si annoiano vedono un film o leggono un libro, non danno fuoco a una cucina da diecimila dollari e fanno evacuare l’intero piano di un edificio.”
Peter alzò di nuovo le spalle e si mise a fissare il soffitto, e Tony non riuscì a non pensare alle parole che gli aveva urlato contro Pepper quello stesso pomeriggio.
“Fa tutti questi danni per attirare l’attenzione, la tua attenzione! Non ci sei mai, non puoi pensare che questo bambino non voglia passare del tempo con te: sei suo padre, sei l’unica cosa che ha! Vuoi davvero diventare come Howard? E’ questo il tuo obiettivo?”
No, non era quello il suo obiettivo, ma non riusciva a non pensare che, da un certo punto di vista, la cosa fosse inevitabile.
“Senti… facciamo che questo weekend andiamo a farci un giro da qualche parte? Dove vorresti andare?”
Peter continuò a fare l’indifferente, ma Tony non mollò.
“Potremo andare a fare un giro al Museo di Storia Naturale, che ne dici? Possiamo anche andare a vedere tutto ciò che non fanno vedere a tutti, i dietro le quinte.”
“Lo dici sempre e poi lo cancelli il giorno prima perché hai un sacco di impegni,” fu la risposta del bambino.
Tony avrebbe voluto contraddirlo, ma, purtroppo, suo figlio aveva ragione, e, in quel momento, si sentì davvero piccolo piccolo. “Ti prometto che questo weekend ci andremo. Va bene? Ora dormi, che è tardi.”
Peter annuì e si voltò su un fianco. “Mi dispiace aver dato fuoco alla cucina. Anche se è stato divertente vedere Tasha con l’estintore… e poi c’era schiuma ovunque.”
Tony abbozzò un sorriso e gli scompigliò i capelli, prima di farsi strada tra il casino della cameretta e spegnere la luce, sperando di non dover infrangere di nuovo una propria promessa.


 

*



Tony si appoggiò allo schiena della sedia e accostò la cornetta all’orecchio. Dopo un paio di squilli, finalmente rispose il destinatario della chiamata.
“Pronto?”
“Salve, parlo con Steve Rogers?”
“Sì, sono io. Chi parla?”
“Sono Tony Stark, ha parlato ieri con la mia assistente per il ruolo di baby-sitter… si ricorda la signorina Potts? Alta, bionda, ma non quel tipo di bionda?”
Dall’altro capo del telefono arrivò una risata sorpresa. “Certo, sì, è un piacere conoscerla signor Stark.”
“Senz’altro, anche per me! Senti, quando hai detto che potresti cominciare?” chiese Tony, grattandosi distrattamente la barba.
“Quando c’è bisogno.”
“Anche da questo pomeriggio?” chiese speranzoso Tony.
“Certamente.”
“Benissimo! Perché mio figlio esce da scuola tra esattamente un’ora e io sono bloccato in ufficio per le prossime tre. Ti faccio chiamare tra poco dalla mia assistente per i dettagli, ma ti devo avvertire che mio figlio è un po’…” Tony fece una pausa, cercando di trovare le parole giuste per non spaventarlo troppo.
“Esuberante?” lo precedette la voce di Steve.
Tony sorrise. “Più o meno.”
“Sì, la signorina Potts potrebbe avermi avvertito del fatto che ha fatto scappare a gambe levate un po’ di baby-sitter.”
“Ma non mi dire. E sei ancora interessato?”
“Sono bravo con i bambini, anche quelli che danno fuoco a mezza casa.”
Tony stava per rispondere, quando la notifica di una chiamata in arrivo lo distrasse. “Perfetto! Ora devo scappare. Portalo a casa dopo scuola, e, se non ti dispiace, aspetta che io rientri… dovrei essere a casa per le sei, dovessi tardare ti faccio avvisare -
“Dalla sua assistente. Non si preoccupi.”
Tony ringraziò il fatto che il tipo fosse così sveglio e chiuse la conversazione, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro.


 

*



Le sei diventarono le sette, le sette le otto, e Tony riuscì a mettere piede in casa solo alle nove e mezza, completamente a pezzi.
Non appena entrò, si accorse dall’estremo silenzio e tranquillità che Peter doveva essere già a dormire, ma la conferma arrivò quando un ragazzo altissimo gli andò incontro con un sorriso.
“Signor Stark, salve! Sono Steve Rogers,” mormorò, tendendogli la mano. “Peter è già a letto che dorme.”
“Sì, mi sembrava ci fosse un po’ troppo silenzio,” rispose Tony, stringendogli la mano e guardandolo curioso. “Non hai evidenti cicatrici in faccia. Mi sembra davvero un ottimo inizio.”
Steve stese le labbra divertito. “Davvero un giovane vivace, ma ci vuole ben altro per spaventarmi.”
“Sembra proprio di sì,” commentò Tony, squadrandolo dalla testa ai piedi e stupendosi della sua postura composta e della corporatura robusta. Aveva un nonsoché di militare, quasi.
Si avviò in cucina con il ragazzo alle calcagna, ricordandosi che doveva dire a Pepper di fargli montare un nuovo piano cottura; a prova di piccolo delinquente, magari.
“Ci sono degli avanzi in frigo, se non ha ancora cenato. Peter ha fatto tutti i compiti per domani e abbiamo anche dato una pulita in camera,” sussurrò Steve, rimanendo sull’uscio e cercando di attirare l’attenzione di Tony. Lui però aveva per la testa solo la cucina annerita, quindi gli rispose distrattamente con un cenno della testa.
“Se non le dispiace allora, io andrei.”
“Sì, vai pure e grazie per essere rimasto del tempo in più. Per lo stipendio e gli orari della scuola di Peter puoi accordarti con Pepper domani in mattinata. Se dovesse esserci dell’altro, ti farò sapere,” borbottò Tony, prendendo una birra dal frigo senza neanche guardarlo.
“Sicuramente. Buonanotte, signor Stark,” fu il saluto gentile dell’altro, al quale Tony rispose con un lieve movimento del capo mentre cercava l’apribottiglie nel cassetto.
Fu dopo aver sentito la porta che si chiudeva che si rese conto davvero di quello che gli aveva appena detto Steve. Riaprì il frigo e si stupì di trovare gli avanzi di un polpettone che sembrava essere composto maggiormente da verdure, le nemiche mortali di suo figlio. Ne assaggiò un pezzo e, nonostante fosse freddo, lo trovò davvero squisito.
Non contento, si diresse verso camera di Peter, per constatare personalmente che non c’era neanche un giocattolo sul pavimento. Forse erano anni che non vedeva una scena del genere.
Tony si accomodò sul divano con l’avanzo di polpettone e la sua birra, accendendo la tv a caso e pensando che, forse forse, quel tipo poteva davvero avere una chance.


 

*



Come aveva previsto Peter, Tony non riuscì davvero a mantenere la promessa del museo di storia naturale, dovendo cancellare il giorno prima per via di un impegno improvviso che lo avrebbe tenuto occupato quel weekend dall’altra parte del Paese.
Tony un po’ si sentì morire quando il piccolo mugugnò “Lo sapevo”, prima di chiudersi in camera sua senza dire altro e senza neanche degnarlo di uno sguardo.
Tony si sedette al tavolo della cucina e cominciò a massaggiarsi le tempie, sperando di scrollarsi di dosso quella brutta sensazione. Era venerdì sera e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter passare il weekend in tranquillità, magari rispettando la sua promessa.
“Se vuole, posso portarlo io al museo.”
Tony sollevò lo sguardo dal tavolo e lo posò su Steve, in piedi davanti al lavello ad asciugare i piatti. Nonostante avessero una lavastoviglie ultimo modello, il ragazzo era all’antica e ci teneva a lavare e asciugare lui stesso le stoviglie che usava per preparare la cena a Peter. Chissà perché, poi.
“Non mi dispiacerebbe farlo. Senza parlare del fatto che potrebbe essere un’esperienza educativa per lui.”
Tony lo squadrò per un attimo. “Non mi dire che ti intendi anche di musei e arte.”
Steve alzò le spalle. “Ne so qualcosa.”
“Ti avrei comunque chiesto di fermarti qui questo fine settimana, se sei disponibile. Puoi dormire nella stanza degli ospiti, dato che Pepper l’ha fatta sistemare. Se hai voglia di venire trascinato per il museo, fai pure.”
Steve annuì e sembrava volesse dire qualcosa, ma tornò ad asciugare i bicchieri e metterli a posto.
Tony sbuffò, un po’ infastidito. “Andiamo, dimmi anche tu che padre terribile io sia; oggi non me l’ha ancora detto nessuno.” E solo perché aveva evitato Pepper per tutta la giornata, non per altro.
“Non mi permetterei mai, signor Stark. Non sono affari miei,” rispose Steve, garbato come suo solito.
“Già… meglio non far incazzare il capo, vero?” rispose stizzito Tony, senza neanche sapere perché di quel tono.
Steve non rispose e continuò ad asciugare i bicchieri in silenzio, fino a quando non fece un piccolo sospiro.
“Mi dispiace che pensi questo di se stesso, signor Stark. Ma Peter non lo ritiene un cattivo padre, glielo garantisco.”
“E di quello che pensa il resto del mondo… che mi dici?”
“Importa davvero cosa pensa il resto del mondo?”
Tony rimase interdetto da quella frase e continuò a osservare il ragazzo, intento a sistemare la cucina. Solo quando ebbe finito, tornò a guardare l’altro negli occhi. “So che la mia opinione vale poco e niente, ma io non credo che lei sia un cattivo genitore… e non solo perché è il mio capo. Passo tanto tempo con suo figlio e so cosa dice di lei e, se mi permette, la sua è l’unica opinione che dovrebbe ascoltare.”
Tony lo squadrò incuriosito. “E cosa direbbe mio figlio di me?”
A quella domanda, Steve sorrise. “Dovrebbe chiederlo a lui, non a me. Se non ha più bisogno, io andrei. Passo domani mattina per le otto.”
Tony annuì, prima di passarsi una mano tra i capelli.
“Lo sai che puoi chiamarmi Tony, vero? Non c’è poi così tanta differenza d’età tra noi due, mi fai sentire vecchio.”
Steve ridacchiò e si infilò la giacca. “Certo che lo so, signor Stark. Buonanotte.”
Tony non riuscì a replicare, ma quella sera le parole di Steve rimasero a lungo impresse nella sua mente.


 

*



Tony avrebbe dovuto partire il sabato pomeriggio per Seattle, ma una fortissima tempesta sulla costa ovest dell’ultimo minuto lo costrinse a rimandare la partenza almeno al giorno successivo.
Tornò nel suo appartamento vuoto nel primo pomeriggio del sabato, ricordandosi proprio mentre metteva piede in casa che Peter non c’era e che avrebbe potuto svolgere un po’ di lavoro nella tranquillità di casa propria.
La dimora rimase silenziosa fino al tardo pomeriggio, quando sentì la porta aprirsi e il chiacchiericcio indistinto di Steve e Peter avvicinarsi. I due rimasero sorpresi quando lo videro sbucare dal suo studio con una tazza di caffè vuota tra le mani.
“E tu cosa ci fai qui?” chiese Peter indispettito, stringendo al petto il modellino di scheletro di dinosauro che Tony pensò Steve gli avesse comprato al museo.
“Ho bisogno di un motivo per stare in casa mia?” scherzò l’uomo, dirigendosi verso la cucina.
“Ma dovevi essere a Seattle! Non sei venuto con noi al museo perché eri via!” Peter sembrava davvero arrabbiato, ma Tony notò come si calmò non appena Steve gli mise una mano sulla spalla.
“Parto domani, hanno cancellato il volo oggi a causa del tempo lì. Come la vuoi la pizza stasera?”
“Ma come parti… pizza?”
Tony sapeva di aver pronunciato le parole magiche, quindi ridacchiò e osservò Steve divertito.
“Voglio quella con le patatine e i wurstel,” dichiarò solenne il bambino, prima di sedersi al tavolo della cucina. “Steve, tu come la vuoi la pizza?”
Steve sembrava sul punto di dire che non ce n’era bisogno, ma Tony lo interruppe. “Devo partire comunque domattina presto, rimani pure qui. Io tanto prima di cena devo lavorare ancora un po’.”
Steve annuì senza dire niente, dato che Peter lo interruppe subito. “Papà, vuoi sapere cosa abbiamo visto oggi al museo? E’ stato bellissimo! Steve conosce un sacco di cose! Ma tu lo sapevi che i dinosauri erano così grandi? Meno male che sono andato con lui… se ci andavo con te, tu un sacco di cose mica le sapevi.”
I due uomini si guardarono per un attimo, per poi farsi scappare una risata. Tony si sistemò al tavolo di fianco a Peter e si fece raccontare tutto quello che avevano fatto. Steve interveniva ogni volta che il bambino non si ricordava qualche dettaglio e Tony rimase particolarmente colpito da quanto i due avessero legato nel poco tempo in cui erano stati insieme.
Solo quando arrivò l’ora di cena Tony si accorse di non essere tornato a lavorare nel suo studio, troppo impegnato da quei racconti e da quei sorrisi.


 

*



Dopo la pizza, Peter insistette per guardare un film tutti insieme, nonostante le varie lamentele di Tony riguardo il fatto che dovesse lavorare e non potesse perdere tempo. Ma capì che non aveva assolutamente possibilità di disobbedire al volere del figlio quando notò il sorriso rassegnato sul volto di Steve. Aveva compreso anche lui che, quando Peter si metteva qualcosa in testa, era impossibile farlo desistere.
Si arrese definitivamente nel momento in cui Peter lo costrinse a sedersi sul divano e ordinò a Jarvis di far partire Star Wars, ringraziando mentalmente che suo figlio avesse almeno ottimi gusti in fatto di film.
Steve si sedette accanto a loro, con in mano le bottiglie di birra che non avevano terminato durante la cena e un sorriso divertito sul volto.
Peter non resistette neanche metà pellicola, distrutto dalla giornata in giro per il museo, e si addormentò sul grembo di Tony mentre i Jedi combattevano sullo schermo.
Tony gli accarezzò i capelli, attento a non svegliarlo, per poi voltarsi verso Steve.
“Si è divertito molto oggi, ti ringrazio.”
“E’ stato un piacere anche per me. Ha una mente davvero brillante,” commentò Steve, sorseggiando un po’ di birra. “Non pensavo si sarebbe ricordato così tante cose. Deve essere davvero fiero di lui.”
Tony abbassò lo sguardo e, tra sé e sé, pensò che Steve avesse realmente ragione.
Rimasero in silenzio fino alla fine del film, fino a quando Jarvis non spense la tv e il silenzio li avvolse.
“Vuoi un’altra birra? Vedere un altro film?” domandò Tony, terminando la sua con un ultimo sorso.
“No, grazie, credo andrò a dormire,” mormorò il ragazzo, alzandosi in piedi e stiracchiandosi. “Il museo non ha stancato solo lui,” mormorò con un ghigno, facendo sorridere anche Tony.
Dopo aver messo Peter a letto, si ritrovarono in cucina a mettere a posto: Steve a lavare quelle poche stoviglie che avevano usato e Tony a osservarlo stupito seduto al tavolo.
“Sono curioso, sai…” sussurrò a un certo punto, richiamando l’attenzione di Steve. “Come mai sei finito a fare il baby-sitter?”
Steve sorrise, quasi imbarazzato. “Beh… perché no? E’ un lavoro come un altro, è…” si fermò, quasi per raccogliere le parole. “E’ una prova per… capire certe cose.”
Tony lo guardò confuso, non capendo bene a cosa si riferisse. Steve chiuse l’acqua e cominciò ad asciugare le posate.
“Sto… cercando di capire quale sia il mio posto. Io… sono sempre stato una persona molto solitaria e non mi sono mai sentito davvero a casa,” disse pensieroso. “Ho sempre avuto problemi a identificarmi in un certo posto e con certe persone. E diciamo che sto cercando un modo per trovare me stesso. Il che implica provare qualsiasi cosa, in qualsiasi posto, con chiunque. Anche facendo il baby-sitter.”
Tony stava per rispondere, ma vide che il discorso di Steve non era finito, quindi rimase in silenzio.
“Ho viaggiato per il mondo alla ricerca di questa risposta, e lo sto ancora facendo, perché voglio anche io quello che hai tu qui con Peter, Tony. Una famiglia e un posto da chiamare casa, in cui… tutte le preoccupazioni non contano, tutto il resto del mondo non conta.”
Tony rimase stupito dal cambio di registro e la profondità di quel discorso; non avrebbe mai pensato che da una domanda così sciocca sarebbe potuta scaturire una risposta simile.
Annuì, convinto, quasi a disagio di come le cose fossero diventate personali e quasi intime, quindi fece quello che sapeva fare meglio: spezzare la tensione.
“Tony? E che fine ha fatto il signor Stark?”
Steve rise a quella battuta, mettendo a posto lo strofinaccio. “Prima stavo parlando con Tony, non con il signor Stark,” affermò, guardandolo negli occhi con sincerità. “Ma credo sia il momento che io vada a dormire. Buonanotte, signor Stark. A domattina.”
Tony gli fece un sorriso e un cenno, rimanendo a pensare su quello che Steve gli aveva appena detto finché non si trascinò a letto, ringraziando la tempesta che gli aveva cancellato i piani per il week end.


 

*



Non appena Tony spense la sveglia, si accorse dell’invitante profumo di caffè che proveniva dalla cucina. Ci si trascinò incuriosito, per poi vedere Steve dietro ai fornelli impegnato a fare quelli che sembravano pancakes.
Non appena si accorse della sua presenza, lo salutò con un sorriso. “Buongiorno, signor Stark! Ho preparato il caffè.”
Tony annuì, la bocca ancora troppo impastata per parlare, e andò subito a sedersi e a versarsene una tazza, maledicendo il fatto che fossero ancora le sei del mattino. Il grugno che però aveva in viso si tramutò non appena Steve gli mise davanti un piatto di pancakes con le gocce di cioccolato.
Tony alzò gli occhi dal piatto e lo guardò con un sogghigno. “Assumerti è stata la decisione migliore che potessi mai fare.”
Steve si limitò a sorridere, per poi sedersi accanto a lui con i suoi pancakes e il suo caffelatte.
Consumarono la colazione in un rilassato silenzio, New York ancora addormentata fuori dalle ampie finestre.
“Dovrei tornare questa sera tardi, per mezzanotte circa,” mormorò Tony, riemergendo dalla sua camera mentre si allacciava la cravatta. “Se volessi fermarti anche questa sera a dormire, mi faresti un grande favore.”
Steve annuì. “Nessun problema. Così posso portare io Peter a scuola lunedì, senza disturbare la signorina Potts.”
Tony lo guardò alzando un sopracciglio. “Sicuro di voler assistere alla vestizione mattutina? Non ti voglio così male.”
Steve ridacchiò, per poi alzarsi dalla sedia e andargli incontro. Tony stava per chiedergli cosa stesse facendo, ma le sue intenzioni divennero chiare non appena gli allontanò le mani dalla cravatta e cominciò a sistemargliela lui stesso. “Se è come suo padre, sono certo che ci sarà bisogno del mio aiuto,” commentò quando si ritenne soddisfatto del suo lavoro, lasciando Tony decisamente stupito da quel gesto.
“Qui qualcuno si sente molto sicuro di sé,” commentò Tony guardandolo negli occhi, ma non provando alcun tipo di imbarazzo nell’avere Steve così vicino. “Ne riparliamo lunedì sera, adesso sono in ritardo. Chiamami se ci sono problemi, a stasera!”
Tony passò tutto il volo fino a Seattle a sistemarsi la cravatta, senza neanche sapere il perché.

 


*



Era mercoledì pomeriggio, quasi due settimane dopo, e Tony era in laboratorio a lavorare su un prototipo che non aveva intenzione di funzionare come voleva lui. Controllò frustrato ancora un volta i dati di Jarvis, ma il macchinario continuava a non voler collaborare.
Fu proprio un secondo prima di mandare tutto al diavolo che sentì il cellulare squillare. Lo prese infastidito e rimase sorpreso quando vide il nome “Steve Rogers” lampeggiare sullo schermo. Il che era strano, perché Steve non lo chiamava mai sul cellulare quando era al lavoro; se doveva comunicargli qualcosa, telefonava a Pepper, non lo disturbava mai di persona.
Rispose con una strana sensazione in gola. “Pronto?”
“Signor Stark, sono mortificato nel doverla disturbare, ma è successa una cosa a Peter.”
Prima che Tony potesse rispondere, sentì il suono di un’ambulanza in sottofondo.
“In che ospedale siete?” domandò, avviandosi in fretta verso l’ascensore, il prototipo abbandonato al proprio destino.


 

*



“Papà, ma posso disegnarci davvero sopra? E anche i miei amici possono scriverci sopra? Steve, me lo fai tu il primo disegno? Voglio un dinosauro, uno di quelli che abbiamo visto al Museo di Storia Naturale! Il t-rex che se li mangiava tutti! Il più figo di tutti!”
Tony sorrise sconsolato e si chiuse la porta alle spalle, non riuscendo a credere al fatto che Peter non riuscisse a stare zitto neanche con un braccio ingessato e con due punti in testa.
Ma, in fondo, a quello ci era abituato. Suo figlio era in grado di rompersi qualcosa almeno una volta l’anno, per non contare la quantità di punti che avevano dovuto già mettergli. La cosa a cui non era abituato era lo sguardo di puro dispiacere sul volto di Steve, lo stesso sguardo che lo aveva accolto al pronto soccorso, insieme a una montagna di scuse.
“Certo che puoi disegnarci sopra… e Steve ti disegnerà il dinosauro più grande di tutti,” gli rispose, aiutandolo a togliersi la giacca e appendendola insieme alla sua.
“Che bello!” commentò il bambino, facendo scorrere le dita sul gesso bianco. “Ho voglia di gelato.”
Non appena Peter sparì in cucina, lo sguardo di Tony tornò a posarsi su Steve, ma, prima che potesse dire qualcosa, l’altro lo precedette.
“Sono terribilmente dispiaciuto per quello che è successo. Mi aveva detto che era in grado di andare su uno skateboard, non pensavo che fosse così spericolato. Le farò avere le mie dimissioni domani in giornata.”
“Dimissioni? Stai scherzando, spero.”
Steve alzò lo sguardo dal pavimento e lo fissò confuso. “Ma si è fatto male mentre era sotto la mia supervisione e…”
Tony non lo lasciò finire di parlare. “Mio figlio è così, facciamo una visita al pronto soccorso una volta ogni paio di mesi. L’anno scorso è riuscito a rompersi tre dita e a farsi dare quattro punti sul mento perché sosteneva di poter camminare sui muri come un ragno. Quello prima si è lanciato dalle altalene, ha perso ben tre denti e gli hanno dato vari punti sulla nuca. Non è stata colpa tua.”
Steve provò a ribattere, ma Tony gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.
“Steve, non è colpa tua. Non ti biasimo per quello che è successo, perché conosco Peter e so come è fatto: è un ottimo bugiardo e questa è solo la prima delle tante ossa rotte.”
Gli strinse la spalla e gli sorrise. “Sono stupito del fatto che abbia aspettato così tanto a farsi male, onestamente.”
La battuta riuscì a strappare un sorriso a Steve e Tony vide come i suoi lineamenti si fossero fatti più rilassati.
“Grazie, Tony.”
Tony stava proprio per rispondere, ma vennero interrotti dal vocino di Peter.
“Steve, ma sono due minuti che ti chiamo! Vieni a disegnarmi il dinosauro sul gesso?”


 

*



Tony aveva passato la notte insonne, preoccupato dagli ultimi sviluppi del suo progetto che non stavano prendendo la piega che lui desiderava. Si svegliò molto prima del solito e si mise a sedere sul letto, con la testa tra le mani, intento a fare ordine ai pensieri in testa.
Stava per rimettersi a letto, quando sentì il suono della porta d’entrata che si apriva e si chiudeva.
Si alzò incuriosito, per poi trovare Steve nell’ingresso in tenuta da jogging che armeggiava con il suo iPod, il volume della musica che usciva dalle cuffiette a riempire il vano.
Steve quasi si spaventò quando lo intravide a pochi metri da lui.
“Signor Stark, non l’avevo vista,” commentò lui con un sorriso, arrotolando le cuffiette attorno all’iPod e slacciandosi la felpa.
“Torni a casa adesso?”
“Sì,” commentò Steve, sfilandosi poi la felpa e rimanendo in maglietta, tutto accaldato a causa della corsa. “Vado a correre tutte le mattine, prima che lei e Peter vi svegliate.”
“Ecco come riesci a mantenere quei muscoli…”
“Come dice?”
“Niente, niente, ignorami.”
Steve sorrise e gli andò incontro, diretto verso il bagno. Tony fece per spostarsi per lasciarlo passare, ma fraintese le intenzioni di Steve e gli si parò davanti. I due si guardarono imbarazzati e si mossero entrambi verso destra, Tony a bloccare ancora il passaggio a Steve. Fu dopo essersi spostati entrambi nello stesso momento a sinistra che Tony si appiattì al muro per farlo passare, cercando di contenere l’imbarazzo.
“Grazie, sembrava proprio una scena da film,” mormorò Steve con una risata, cercando di sdrammatizzare il momento.
“Già, ho una specie di dejà vu… che film era? C’era tipo… Ryan Reynolds che era tornato dalla corsa?”
Steve lo guardò, alzando le sopracciglia e passandosi una mano tra i capelli sudati. “Beh, ma se io sono Ryan Reynolds, allora lei è Sandra Bullock?”
Tony ci mise un attimo a capire di cosa Steve stesse parlando, ma non ebbe il tempo di rispondere perché con un ghigno sulle labbra l’altro si infilò in bagno e si chiuse la porta alle spalle.
Tony rimase imbambolato sul posto, incredulo.
Se l’era sognato o Steve aveva appena flirtato con lui?


 

*



Era un venerdì lento in laboratorio; Tony era piantato lì dalle nove di quella mattina e probabilmente avrebbe passato la serata a urlare irritato a Jarvis e Dummy. Si accasciò sulla sedia e tirò fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni, la sua attenzione catturata dalla notifica di un messaggio.
Il mittente era proprio Peter. Era evidentemente riuscito a trovare uno dei tanti cellulari che gli aveva nascosto, quel piccolo delinquente. Aprì l’immagine in allegato e non poté che sorridere, dato che raffigurava suo figlio e Steve intenti a infornare una teglia di lasagne.
“Papà, guarda cosa ti perdi!” recitava la didascalia, ma l’attenzione di Tony non venne catturata solo dal sorriso del suo Peter e dal suo gesso colorato. Si ritrovò infatti a spostare lo sguardo più e più volte sul volto allegro di Steve.
Rimase a lungo incantato sulla foto, ma, quando tornò alla realtà e si accorse che era ancora in quel laboratorio scuro e polveroso, decise che aveva voglia di lasagne in compagnia di suo figlio e, beh… Steve.


 

*



Tony entrò in casa facendo tintinnare le chiavi, speranzoso di attirare l’attenzione sia di Peter che di Steve. Il bambino gli andò incontro correndo, incredulo.
“E tu cosa ci fai qui?”
“Questa è sempre casa mia, possibile che te lo dimentichi sempre?” scherzò, arruffandogli i capelli.
In quel momento sbucò dalla cucina anche Steve, intendo ad asciugarsi le mani in uno strofinaccio. “Signor Stark? Non la aspettavamo, pensavo che…”
Tony non lo fece finire di parlare. “Credete davvero che io possa resistere a delle lasagne fatte in casa? Soprattutto dopo certe foto?”
Steve continuava a guardarlo sbalordito. “Ma pensavo che il suo progetto…”
“Ci penserò lunedì,” tagliò corto Tony, osservando un grandissimo sorriso comparire sul volto del figlio. “Andiamo a lavarci le mani?”


 

*



Tony ribattezzò le lasagne di Steve come la cosa più buona di sempre e, ovviamente, Peter gli diede ragione. Riuscirono perfino a farlo imbarazzare un sacco coi loro complimenti e Tony non poté che esserne compiaciuto.
Una volta terminata la cena, si misero tutti e tre sul divano a guardare un film. Il periodo di fissa di Peter per Star Wars era tristemente giunto al termine, lasciando il posto a quello dei dinosauri, conseguenza della visita al Museo di Storia Naturale qualche tempo prima.
Peter riuscì quasi a vedere tutto Jurassic Park: si addormentò giusto a una mezz’oretta dalla fine sul grembo di Steve, lasciando all’uomo il compito di portarlo a letto.
Ma, una volta messo a letto il bambino, nessuno dei due si accorse di avere sonno, così tornarono a sedersi sul divano a parlare di qualunque cosa passasse loro per la testa: di film, di libri, di avvenimenti vari, di esperienze passate. Steve raccontò delle sue avventure, Tony di come era arrivato ad essere uno degli scienziati più geniali del mondo. Parlarono e risero e finirono la bottiglia di vino che Tony aveva insistito ad aprire per cena, ignari del tempo che scorreva e della notte che calava sulla città.
Tony si rese conto che era davvero facile parlare con lui: gli veniva naturale raccontargli cose del suo passato che non aveva mai rivelato a nessuno ed era davvero interessato a tutto quello che aveva da dirgli Steve. Sembrava avesse vissuto quasi cento anni e, sebbene fosse giovane, aveva davvero tanto da narrare. Non si ricordava quando era stata l’ultima volta che si era sentito così nei confronti di un’altra persona.
Ma forse era Steve che rendeva le cose così semplici; il fatto che per tutta la sera lo avesse chiamato Tony, che avesse abbassato la guardia e avesse cominciato ad essere molto più rilassato in sua presenza, complice probabilmente il vino.
Tony si accorse che stava succedendo qualcosa nel momento in cui percepì il suo ginocchio sfiorare quello di Steve. A inizio serata non erano stati affatto seduti così vicini.
“Ridendo e scherzando, si sono fatte le… tre. Mi sa che domani mattina non vai a correre.”
Steve ridacchiò, bevendo l’ultimo sorso di vino dal suo bicchiere. “Mi sa proprio di no, si è fatto proprio tardi. Sarà ora di andare a dormire…”
Nessuno dei due si alzò.
“Tanto domani è sabato,” si giustificò Tony, cercando gli occhi di Steve per avere la sua approvazione e magari rimanere a parlare ancora un altro po’, ma si ritrovò spiazzato da come il ragazzo lo stesse guardando.
Lo vide avvicinarsi al suo viso, ma non fece nulla per spostarsi: continuò a guardarlo negli occhi, finché non sentì il suo sospiro sulle labbra. Rimase immobile, lasciando che Steve appoggiasse delicatamente le labbra sulle sue in un bacio che non si aspettava.
Il contatto durò poco perché Tony si tirò subito indietro, senza lasciare che Steve approfondisse il bacio.
“Aspetta…” disse piano, guardando Steve, ma vide il terrore nello sguardo del ragazzo, che si ritrasse e si alzò velocemente dal divano.
“Oh, Dio! Mi scusi, io… non so cosa mi è preso… non… mi…” farfugliò agitato qualcosa, ma Tony si rese conto della cazzata che aveva appena fatto.
Perché non voleva allontanarsi da lui, non per davvero. Tony lo voleva ancora.
Si alzò dal divano anche lui e gli andò incontro, ascoltando i suoi balbettii imbarazzati e gli mise le mani sulle spalle, zittendolo in un istante.
Lo guardò per un momento che sembrò infinito.
“Non ho detto di no,” sussurrò contro le sue labbra. “Ti ho solo detto di aspettare.”
Non gli lasciò il diritto di replica: premette le labbra contro le sue e si prese quello che voleva, quello che sapeva anche Steve desiderava.
Dischiuse le labbra e lasciò scivolare una mano dalla spalla ad accarezzargli il collo, intrecciando le dita con i capelli corti dietro la nuca, nel tentativo di sentirlo più vicino e di annullare lo spazio tra di loro. Percepì le mani di Steve scivolargli lungo la schiena, per poi fermarsi attorno alla sua vita.
La stanza si riempì di sospiri e il leggero suono di mani impazienti che stropicciavano vestiti.
Si separarono dopo un bacio lunghissimo, le labbra arrossate e il respiro corto.
“E adesso?” mormorò Steve, forse per cercare di dare un senso a quello che era appena successo.
Tony non rispose: si limitò a mordergli leggermente il labbro inferiore e ad allontanarsi quando Steve provò a baciarlo di nuovo.
Fece due passi indietro e, con un ghigno sul volto, si avviò verso la propria camera da letto. Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto, speranzoso di sentire i passi di Steve dietro di sé.
Entrò nella stanza e attese nel buio. Tornò a respirare non appena sentì il suono della porta che si chiudeva e la chiave girare nella toppa. Rimase fermo in mezzo alla camera, fino a che non sentì la presenza di Steve contro la sua schiena.
Chiuse gli occhi quando sentì il suo respiro contro un orecchio e si leccò le labbra quando sentì la sua bocca premuta sul suo collo.
Cominciò a sbottonarsi la camicia, ma le sue mani vennero subito sostituite da quelle di Steve, che non aveva ancora smesso di baciargli il collo.
“Sei sicuro?” gli sussurrò in un orecchio dopo aver slacciato l’ultimo bottone, le mani in attesa sulla cintura.
Tony si voltò e rispose con un bacio, trascinandolo con sé sul letto.


 

*



Tony si svegliò il mattino dopo con un’emicrania da paura e quelle che sapeva benissimo fossero le conseguenze del vino della sera prima.
Fu nel momento che si mise a sedere sul letto che si rese conto delle altre conseguenze di quello che era successo la sera prima. I vestiti stropicciati sul pavimento, il letto disfatto nel peggiore dei modi, gli involucri argentati dei preservativi sul comodino e il corpo completamente indolenzito.
Nonostante tutto, si ritrovò a sorridere, perché una notte così mai l’aveva passata.
Controllò l’orologio, ma si sentì morire quando vide che erano le undici passate. Il suo primo pensiero andò a Peter e al fatto che sicuramente fosse già sveglio. Si mise qualcosa in fretta e si avviò fuori dalla camera, per poi individuare suo figlio seduto sul divano a vedere i cartoni del sabato mattina con un’espressione beata e innocente in volto.
“Ciao papà! Steve ha fatto i french toast, ma me li sono mangiati tutti io.”
Tony lo ignorò e si diresse in cucina, per trovare Steve dietro ai fornelli intento ad armeggiare con pastella e french toast. Stava per dirgli qualcosa, ma venne interrotto.
“Buongiorno, signor Stark. Ha dormito bene?”
Tony corrugò le sopracciglia, chiedendosi a che gioco stesse giocando, ma alle sue spalle comparve subito Peter con un blocco di fogli e un astuccio pieno di pennarelli colorati. Si sistemò al tavolo della cucina e cominciò a disegnare, canticchiando la sigla del cartone animato che stava guardando poco prima.
“Sì, Steve, molto bene. Grazie,” rispose Tony, continuando quello strano gioco e avvicinandosi a lui dietro l’isola in mezzo alla cucina. “C’è un french toast anche per me o qualcuno se li è mangiati tutti?”
Peter alzò le spalle. “Se li volevi, ti svegliavi prima… come me.”
Tony ridacchiò, per poi spostare lo sguardo su Steve, i suoi capelli spettinati e lo sguardo un po’ addormentato.
“Deduco che tu non sia andato a correre stamattina, no?” continuò Tony, versandosi una tazza di caffè.
“No, non era il caso,” commentò lui lanciandogli uno sguardo molto eloquente che Tony interpretò come Non era il caso dopo tutto l’esercizio fisico di stanotte.
Tony si portò la tazza di caffè alle labbra e si mise accanto a lui. Aspettò che suo figlio fosse completamente concentrato dal suo disegno per infilare una mano sotto i pantaloni della tuta di Steve e stringergli il fondoschiena.
Lo sentì irrigidirsi di fianco a sé, ma Steve non si mosse neanche di un centimetro. Dato che non gli disse qualcosa, quindi si sentì autorizzato a continuare quello che stava facendo, anche se suo figlio era seduto di fronte a loro a colorare. Dio, gli sembrava di essere tornato sedicenne.
Tony capì che forse era il caso di smetterla non appena sentì la vocina squillante di Peter chiamarlo.
“Papà, ti ricordi che oggi ho la festa di compleanno di Marc? Il mio compagno di scuola?”
No, Tony non se lo ricordava assolutamente, ma, in quel momento, pensò davvero che quello fosse un segno del destino. “Ah, era oggi?” rispose con noncuranza. “A che ora devo portarti?”
Bevve un sorso di caffè, ma da sopra la tazza non poté che cercare gli occhi di Steve, sicuro che stessero pensando entrambi la stessa cosa.
“Alle tre! Stasera mangiamo anche la pizza a casa sua, quindi puoi venire a prendermi tardi.”
Tony ghignò, senza togliere lo sguardo dal viso di Steve, il quale, in tutta risposta si morse il labbro, forse per fargliela pagare per la mano sul sedere di poco prima.
“Bene,” commentò cercando di pensare a cose poco sexy nel tentativo di ricomporsi. “Molto bene.”
Le tre del pomeriggio non sarebbero arrivate abbastanza velocemente.


 

*



Steve cominciò a passare tutte le notti nella camera di Tony.
Si addormentava contro di lui la sera e si svegliava con un suo bacio la mattina, una nuova routine che era cominciata senza che neanche se ne accorgesse.
Ma erano tante le cose che stavano cambiando senza che Tony potesse dire qualcosa a riguardo ed era certo che il merito fosse tutto di Steve.
Adesso tornava a casa tutte le sere per cena, non aveva più il benché minimo desiderio di chiudersi in ufficio o in laboratorio quando a casa poteva baciare Steve sulle labbra e giocare con Peter ogni volta che glielo chiedeva.
I suoi weekend erano dedicati a Peter; tutti, dal primo all’ultimo. Steve li aveva portati entrambi al Museo di Storia Naturale e questa volta era stato Peter a fare loro da guida, usando il braccio ingessato con ombrellino da tenere alzato in aria per farsi notare nella folla. E mentre lui era andato a fare il percorso interattivo coi dinosauri, Steve e Tony si erano nascosti dietro a un pannello e ne erano usciti con le labbra umide e un sorriso soddisfatto sul volto.
Ma le loro gite fuori porta non terminarono lì. Ben presto Steve gli fece girare tutta New York, anche posti che Tony non pensava esistessero. Li portò a Brooklyn e fece vedere loro il quartiere dove era cresciuto, la Statua della Libertà e piccoli scorci segretissimi, molto caratteristici.
Fu dopo quasi un mese di quella nuova routine che Tony si rese conto di cosa gli aveva fatto Steve, cosa era riuscito a fargli fare. Era riuscito a farlo rallentare dal lavoro e dagli impegni, gli aveva mostrato quali erano le cose importanti. Esattamente quello che era da una vita che cercava di fare. E c’era voluto lui, una persona così ordinaria da essere considerata straordinaria.
E per quanto il sesso fosse così assolutamente strepitoso da non saziarlo mai, i momenti che preferiva erano quelli a tarda notte, quando erano sudati e provati, avvolti nelle lenzuola umidicce e troppo stanchi per alzarsi e andare a farsi una doccia; quelli tra il sonno e la veglia, in cui l’unico suono di quella casa silenziosa era il lento respiro di Steve contro il suo orecchio, che lo cullava fino a farlo addormentare.
Tony sospirò, sentendo il sudore che cominciava ad asciugarsi sulla pelle e subito percepì il sorriso di Steve contro l’orecchio.
“A cosa stai pensando?” domandò, aderendo ancora di più contro la sua schiena e abbracciandolo.
“A niente. Sono felice.”
“Anche io,” rispose Steve, lasciandogli un bacio dietro l’orecchio.
Tony sentì che si stava per cominciare ad addormentarsi, ma trovò il coraggio di dire quello che gli stava passando per la testa da un po’ ormai.
“Credi dovremmo dirlo a Peter?”
“Che cosa?”
“Questa cosa…”
“Ha un nome, sai?”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
Steve sospirò e gli lasciò un bacio sulla spalla. “Non sono io a doverlo decidere, sei tu suo padre. Io sono solo il baby-sitter.”
“Già…” commentò Tony, senza aggiungere altro.
Steve non disse niente; non commentò quella che Tony aveva preso come una battuta, ma si limitò al staccarsi da lui e girarsi sull’altro fianco. Tony avrebbe voluto chiedergli perché avesse fatto così, ma era troppo stanco e si addormentò di botto.


 

*



C’era qualcosa che non andava.
Tony lo aveva percepito, ma non sapeva esattamente cosa fosse.
Le cose con Steve erano cominciate ad andare… beh, male. E la cosa più strana era che non sapeva neanche perché. Non riusciva a comprendere perché l’uomo, che fino a un mese prima si addormentava tra le sue braccia tutte le notti, avesse deciso che preferiva dormire in un altro modo o perché le sue sveglie non fossero più caratterizzate da un bacio, ma dal fastidioso suono della sveglia.
Avrebbe voluto sapere di cosa si trattava, ma il suo progetto era alle fasi finali e non poteva permettersi ulteriori distrazioni; quindi, quando tornava a casa la sera, preferiva evitare i drammi e fare come se non fosse successo nulla. Inoltre, non voleva coinvolgere Peter nell’equazione, visto che non sapeva ancora se dirgli cosa c’era tra lui e Steve. Principalmente perché non sapeva definirlo neanche lui.
Quindi aveva optato per il silenzio, nella speranza che tutto passasse da solo.


 

*



Ovviamente le speranze di Tony andarono a quel paese nel momento esatto in cui arrivò giugno e, con esso, la recita di fine anno a scuola di Peter.
Quel lunedì sera il bambino arrivò a tavola con ben due buste che assomigliavano a degli inviti e ne diede una a Steve e una a Tony. I due lo guardarono divertiti, mentre lui solenne si schiarì la voce e cercò di grattarsi sotto il gesso.
“Alla fine del mese faccio la recita a scuola e siete entrambi i miei ospiti d’onore. Le maestre hanno detto di portare mamma e papà, ma, visto che io la mamma non ce l’ho, voglio che venga Steve, perché mi fa i disegni dei dinosauri più belli di tutti.”
Tony subito osservò il viso di Steve, estremamente commosso da quello che aveva detto Peter, ma in quegli occhi chiari non trovò l’emozione che si aspettava.
“Grazie Peter, è un gesto davvero bello, ma… io sono solo il tuo baby-sitter, non dovrei venire. Forse dovresti darlo alla signorina Potts, lei è di sicuro molto più amica di tuo padre di me.”
Tony sgranò gli occhi, incredulo a causa di quello che aveva appena sentito dire, e subito sentì la rabbia montargli dentro, perché aveva capito benissimo cosa stava facendo Steve. Ma a lui non andava bene, non ancora.
Steve non poteva obbligarlo a prendere su due piedi quella decisione.
Peter, d’altro canto, sembrò molto indignato. “Ma Steve, ma tu sei il mio migliore amico! Ci devi venire! Non sei solo il mio baby-sitter!”
Steve si morse il labbro e si voltò verso Tony, in attesa di una sua risposta, di una presa di posizione.
“Forse Steve ha ragione.”
Peter si alzò arrabbiato e sbatté il gesso contro il tavolo. “Voi due non capite niente! Siete due stupidi!” e se ne andò sbattendo la porta, lasciandoli soli in cucina.
Rimasero in silenzio a fissare il proprio piatto, finché Steve non fece un sospiro.
“Mi hanno offerto un lavoro al museo. Credo proprio che accetterò.”
Tony deglutì, senza riuscire a guardarlo in faccia. “Bene.”
“Bene.”
Silenzio. Teso e pesante. Ma Tony non riuscì a trovare niente da dire.
“Mi hanno chiesto se posso cominciare domani, quindi ho trovato un’amica che può prendere il mio posto per badare a Peter. Posso assicurarti che è bravissima e molto dedita al lavoro.”
Fu allora che Tony alzò lo sguardo dal piatto. “Da quanto ci stavi pensando?”
“Da un po’,” fu la risposta piatta di Steve.
Si fissarono per un po’ e Tony pensò a tutte le cose che voleva dirgli, ma dalle labbra gli uscì solo l’unica cosa che non avrebbe mai voluto dire.
“Parla pure con Pepper per la liquidazione e lascia le chiavi di casa sul tavolo quando te ne vai.”
Si alzò dal tavolo, uscendo dalla cucina senza guardarsi indietro.


 

*



Era passata una settimana dalla partenza di Steve ed era una settimana che Tony non dormiva. Trascorreva la nottata a fissare il soffitto, il numero di Steve sul suo cellulare e sulle labbra tutte le cose che avrebbe voluto dirgli.
Ma non era riuscito a chiamarlo, nemmeno una volta.
E Peter era nelle sue stesse condizioni. Devastato dalla mancanza di Steve, sebbene la nuova ragazza fosse molto capace e, come aveva detto Steve, una vera professionista.
Ma la cosa peggiore di tutte era che Tony si sentiva scivolare nelle sue vecchie abitudini, quelle che Steve gli aveva fatto abbandonare, quelle contro cui lottava da tutta una vita. Ed era quello il vero problema.
Sospirò e si stropicciò gli occhi, cercando di ricordare l’ultima volta in cui quel letto gli avesse portato gioia e non dolore.
Il suono della porta che si apriva lo fece mettere seduto, ma nel buio riconobbe subito il gesso bianco e i capelli spettinati di suo figlio.
“Ho fatto un incubo,” fu il sussurro vicino al pianto che gli uscì dalle labbra.
“Vieni qui, dai.”
Peter si arrampicò sul lettone accanto e lui e Tony lo cullò finché i singhiozzi non si fermarono.
“Papà…” mormorò dopo un po’ il piccolo. “Mi manca Steve.”
“Anche a me manca.”
“Puoi dirgli di tornare, per favore?”
Tony sospirò e gli lasciò un bacio sulla fronte. “Non è così semplice.”
“Guarda che…” il bambino tirò su con il naso. “Lo so che lui dorme qua con te, non sono mica scemo. E se è andato via perché pensava che non volessi, digli che non è così perché lui va bene. Lui è il migliore di tutti, papà.”
Tony si passò una mano a spettinarsi i capelli, chiedendosi come anche solo avesse fatto a pensare che quel genio di suo figlio non si fosse accorto di quello che c’era tra lui e Steve. “Lo so.”
“Ma davvero papà, a me non mi interessa, potete pure baciarvi che non mi importa! Io voglio che torna e ci porta al museo.”
Non riuscì a rispondere a quella cosa lì, non riuscì a dire niente, si limitò a stringere Peter tra le braccia per farlo addormentare.
“Sai perché Steve mi piace tantissimo, papà?”
“Perché?”
“Perché Steve fa diventare le cose complicate super semplici. Anche quando parliamo, lui non mi tratta da bambino. Mi tratta da adulto, è l’unico che lo fa… è l’unico che mi vuole così bene. Ti prego, papà, fallo tornare.”
“Non credo che voglia tornare, sai?”
“Nemmeno se glielo chiedo io?”
“Vedremo. Ora dormi però.”
“Va bene.”
Peter si accoccolò contro il suo petto, e, anche se il gesso era tremendamente scomodo, Tony non avrebbe voluto andasse da nessun altra parte.
“Papà, sai qual è un’altra cosa bella di Steve?”
“Sentiamo.”
“Che quando sei con lui, tu sorridi tanto. E le maestre dicono sempre che sorridere è importante. Se si sorride, si è felici. E da quando Steve è andato via, tu non sorridi più. Nemmeno se ti racconto le barzellette.”
Tony ridacchiò e gli diede un bacio sulla fronte.
“Ora dormi, ti prometto che domani provo a farlo tornare.”
“Promesso promesso?”
“Promesso.”
“Grazie papà, ti voglio bene.”


 

*



Erano due ore che Tony fissava il numero di Steve sullo schermo del cellulare. Lo fissava e non premeva il tasto verde per chiamarlo. Forse pensava si premesse da solo, o qualcosa di molto simile.
Sospirò e si maledisse per l’ennesima volta, quando lo schermo del cellulare si illuminò e vide che era la scuola di Peter a chiamare. Subito pensò al peggio e a un altro viaggio al pronto soccorso.
“Pronto?”
Salve signor Stark, sono Betty della segreteria della St. Julian. La chiamo per chiederle per quale motivo Peter non si sia presentato a scuola, stamattina. E’ malato?”
Tony si sentì pervaso da un puro brivido di terrore. “Peter sta benissimo, l’ho accompagnato io stesso a scuola stamattina.”
“Mi dispiace, ma i registri ci comunicano che non è mai entrato a scuola. E’ sicuro di-“
Tony riattaccò subito, il panico che gli annebbiava il cervello perché suo figlio non era dove avrebbe dovuto essere. Questa era la cosa più stupida avesse mai potuto fare.
Stava per chiamare Pepper per dirle di allertare polizia e quant’altro, quando il suo cellulare vibrò per un messaggio.
Lo aprì senza nemmeno leggere il mittente.
Peter è qui da me, sta bene.
Ricominciò a respirare quando vide che il mittente era Steve.


 

*



Tony suonò il campanello con mani sudate e il cuore in gola. Eccolo, di nuovo, il sedicenne che era in lui che tornava a galla.
La porta si aprì poco dopo e quegli occhi azzurri che bene conosceva gli fecero passare tutta l’ansia che sentiva addosso.
“Dov’è?” chiese, senza neanche aspettare di farsi invitare in casa.
“Ciao, papà, anche tu qui?” Peter era seduto sul divano intento a mangiare una fetta di pane e marmellata, un sorriso sulle labbra che erano giorni che Tony non vedeva.
Lo abbracciò immediatamente; la paura che potesse essergli successo qualcosa di grave che scivolava via silenziosa, lasciando spazio alla gioia e alla contentezza.
Sciolto l’abbraccio, però, l’espressione rilassata di Tony si tramutò in una arrabbiata. “Ma a cosa diavolo stavi pensando, perché sei venuto qui? Mi hai fatto spaventare tantissimo, piccolo idiota!”
Peter alzò le spalle e diede un morso alla fetta di pane. “Io ieri te l’ho detto che sarei venuto da Steve a chiedergli di tornare.”
Tony, a quel punto, alzò lo sguardo da suo figlio per incontrare gli occhi di Steve.
“Sono arrivato e l’ho trovato seduto davanti al portone che mi aspettava,” spiegò, incrociando le braccia al petto. “Ti ho scritto appena siamo entrati in casa.”
“Grazie, Steve.”
“Ecco, Steve, ora puoi tornare da noi,” affermò con ovvietà Peter, leccandosi le dita sporche di marmellata.
Prima che Tony potesse dire qualcosa, Steve lo precedette. “Non è così semplice…”
Il bambino cominciò a sbuffare. “Ma sì che lo è, su fate la pace, fatevi un bacino e si risolve tutto! Me lo dici sempre quando mi faccio male che con un bacino passa tutto.”
Entrambi gli adulti sorrisero per la semplicità di quelle parole, ma Tony capì che non bastava solo quello.
Gli fece un cenno con la testa a indicare quella che immaginava fosse la cucina, Steve annuì e lo precedette, lasciando Peter alla televisione e ai cartoni animati.
Si ritrovarono soli nel piccolo vano, senza riuscire a guardarsi in faccia o a dire qualcosa.
Tony prese coraggio e fece un bel respiro. “Mi dispiace.”
Steve rimase in silenzio.
“Mi dispiace non averti dato l’importanza che meritavi e di non aver trovato il coraggio di dirlo a Peter. Ovviamente lo ha sempre saputo, piccolo moccioso.”
Steve abbozzò un mezzo sorriso, ma apprezzò le sentite scuse che aveva appena ricevuto.
“Dispiace anche a me aver insistito, non avrei dovuto.”
“E mi dispiace aver implicato che eri solo il suo baby-sitter,” Tony fece un passo avanti. “Non lo sei mai stato, lo sai vero?”
Steve sorrise, un sorriso più grande questa volta. “Ah, no?”
Tony riconobbe il ghigno sulle sue labbra come il segno che i pezzi si stavano rimettendo a posto. “No, sei anche stato anche il cuoco, e quello che mi pulisce casa.”
Steve ridacchiò, ma si avvicinò a lui e lasciò che le braccia di Tony gli cingessero la vita. “Nient’altro?”
“Anche la più bella scopata della mia vita, ma questo non credo che Peter debba saperlo.”
“Che idiota,” fu il sussurro di Steve prima di premere le labbra contro le sue, in un bacio che era mancato a entrambi come l’aria e che in quel momento fu semplice come mai niente era stato in vita loro.
Tony sentì finalmente la gioia tornare a scorrergli nelle vene, e forse anche qualcos’altro, ma per quello era ancora troppo presto. Per il momento voleva godersi quel momento, quel bacio e il suo Steve.
Ovviamente, Tony avrebbe dovuto sapere che con un bambino di sette anni non avrebbe potuto godere di tale privilegio.
“Visto? Avete fatto la pace e adesso va tutto bene. Stiamo bene siamo felici. Steve, torni a casa con noi, vero?”
I due si staccarono con una risata, lieti della spensieratezza delle parole di Peter.
Tony guardò Steve negli occhi e ci vide qualcosa che quasi non aveva mai visto, un senso di completezza, o, forse, pura e semplice felicità.
“Va bene,” disse Steve. “Andiamo a casa.”
 
 


Grazie a Ilaria, la mia metà migliore, per l'infinito lavoro di betatura che ha fatto 
   
 
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