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Autore: starsfallinglikerain    14/06/2016    2 recensioni
Ciò che inizia come un rapporto di ospitalità e aiuto fra l'ateniese Alexander e lo spartano Magnus nell'estate del 429 a.C. rapidamente deraglia in un sentimento molto più impetuoso, nonostante entrambi riconoscano la pericolosità del cedere all'attrazione reciproca, soprattutto in un'epoca in cui le due grandi poleis sono impegnate nella Guerra del Peloponneso.
Red rain è la storia di un amore che cresce rapidamente, giorno per giorno, sfidando le insidie della guerra e l'aggressività delle circostanze infauste.
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 4 - Pharmacon1



15 giorni dopo, verso Atene
 

Il cammino durava da giorni, ormai. Erano stremati e il caldo era torrido, le gocce di sudore imperlavano la loro pelle, scendevano e bruciavano gli occhi, le loro gole erano arse. Non doveva mancare poi molto ad Atene, si consolavano, dal momento che ogni giorno camminavano ininterrottamente dalle prime luci dell'alba fino al tramonto, si fermavano di tanto in tanto solo per bere un po' d'acqua da una fonte o per sostare all'ombra di qualche albero, giusto il tempo di riprendere fiato.         
Cercavano di stare attenti a possibili sentinelle o a qualche gruppo di soldati che vagassero in quei territori, per questo generalmente prediligevano le vie secondarie, nonostante fossero più impervie.                 
Isabelle stava decisamente meglio rispetto ai giorni di prigionia, i lividi che aveva sul corpo, a causa delle percosse subite, si erano quasi del tutto riassorbiti, grazie anche alle cure di Magnus; oltre che a un eccellente rapsodo, nonché sacerdote di Dioniso, Alec aveva potuto constatare come il giovane spartano fosse anche un ottimo speziale.      
«Siete pieno di risorse» gli aveva detto infatti un giorno, mentre la sorella si rinfrescava con l'acqua di un ruscello poco distante dalla loro posizione.
Magnus aveva sorriso e col suo fare teatrale aveva tentato di sminuire tale affermazione, senza però che Alec glielo permettesse, «Credete troppo in me, Alexander».
«Vi devo la vita».      
Era quasi giunta l'ora del tramonto e Isabelle sentiva le gambe pesanti ma non osava dirlo: non voleva che decidessero di fermarsi a causa sua, essendo ormai così vicini a casa, né tantomeno voleva che il fratello o Magnus decidessero di portarla in braccio. Non che la imbarazzasse, ma preferiva farcela con le sue forze. Quasi come se avesse udito i suoi pensieri, il sacerdote disse: «C'è una radura, là. Potremmo accamparci per la notte», ottenendo subito il consenso di tutti.                
Anche Alec era stanco, stremato, i suoi nervi erano a pezzi: dopo tutti quei giorni in costante tensione, si sentiva mentalmente e fisicamente esausto; tuttavia doveva resistere, Atene era solo a qualche giorno di cammino e non poteva mollare proprio ora.   
Si sedette con la schiena contro a un tronco abbattuto, le gambe distese di fronte a sé, anche Isabelle si posizionò poco distante e Magnus si allontanò di qualche passo, alla ricerca di legna per accendere il fuoco per la sera.   
La corteccia ruvida punzecchiava la schiena di Alec attraverso la stoffa, i sottili fili d'erba solleticavano le sue dita che circondavano l'impugnatura del suo arco, mentre la faretra era abbandonata lì accanto. Chiuse gli occhi e automaticamente il volto di Magnus apparve sotto le sue palpebre abbassate: era da un po' ormai che accadeva, Alec non sapeva spiegarselo - o forse non voleva ammetterlo -, ma tuttavia non faceva nulla per scacciare quelle immagini. Rimaneva semplicemente lì a contemplarle, ad ammirare le innumerevoli sfumature degli occhi felini, della pelle olivastra, dei capelli scuri del rapsodo. E ogni volta il suo cuore perdeva un battito. La voce allarmata di sua sorella proruppe a ghiacciare i suoi pensieri: «Alec, attento!».     
Alec riaprì immediatamente gli occhi, terrorizzato, pensando che ci fossero dei soldati, ma Isabelle stava fissando un punto sulla sua spalla sinistra: voltò appena il capo e trovò subito la fonte di tanta agitazione. Uno scorpione era incredibilmente vicino al suo collo - per un attimo, sentì il sangue gelarsi nelle vene e un brivido percorrere la sua spina dorsale. Con un movimento rapido tentò di spostarsi, ma l'animale, sentendosi minacciato, sferrò il suo attacco prima che egli potesse anche solo pensare: un dolore acuto lo colpì alla base del collo, Alec si spostò portandosi una mano nel punto dolente, mentre la bestia scompariva nell'erba, dopo essere caduta a terra. Isabelle urlò ancora e si precipitò dal fratello per controllare le sue condizioni; la pelle era notevolmente arrossata e bollente al tatto, sennonché solo una piccola goccia di sangue mostrava la ferita.
«Magnus!» chiamò, sperando che il sacerdote accorresse e continuando a controllare Alec, che nel frattempo aveva iniziato a respirare più affannosamente, «Magnus!».           
«Alexander! Alexander! Cos'è successo?!» disse lo spartano, lasciando cadere la legna che aveva raccolto non appena vide la scena. In un attimo fu al suo fianco e pose una mano sulla fronte sudata del ragazzo.        
«Uno scorpione l'ha punto, i-io... Non so cosa fare! Starà bene? Non può... Lui non può...» farfugliò Isabelle, nervosa, ma il sacerdote tentò di tranquillizzarla, per quanto possibile in una tale situazione.           
Pensa, Magnus, pensa, si intimò Magnus, come se una simile considerazione potesse risolvere il problema. I suoi occhi felini vagavano irrequieti, scorrendo dall'erba, a Isabelle, ad Alexander. Doveva trovare una soluzione e in fretta, a giudicare dal respiro ansante dell'ateniese e dalla carnagione pallida - non poteva preparare un infuso con delle erbe, non aveva l'occorrente, né tantomeno il tempo. Che fare, che fare? Un'idea balenò rapida nella la sua testa. Avrebbe potuto funzionare? Del resto, non che avesse molta scelta. «Forse posso fare qualcosa».   
«Fatela, Magnus, qualunque essa sia!» lo incitò la ragazza, continuando a sostenere la testa del fratello. «Bene. Sorreggetegli il capo, devo agire in fretta» comandò Magnus, inginocchiandosi accanto al corpo del giovane. Si chinò e presto le sue labbra raggiunsero la pelle di Alec e iniziarono a succhiare, tentando di estrarre il veleno dalla ferita.            
Nonostante Magnus fosse chiaramente attratto dall'ateniese in un modo che non gli era mai capitato prima d'ora con nessun altro, in quel momento non pensò affatto alla situazione in cui si trovava, alla vicinanza, al sapore della pelle di Alec, no: l'unico suo pensiero era salvarlo. Non sarebbe riuscito a perdonarsi che Alexander fosse morto a pochi giorni da casa per una dannatissima puntura di scorpione.  
Quando gli sembrò di aver estratto il veleno, sputò tutto sull'erba, facendo delle smorfie a causa del sapore amarognolo e spiacevole nella sua bocca. Guardò Alexander, che sembrava respirare meno affannosamente, e poi osservò il punto in cui aveva appoggiato le sue labbra: era violaceo.  
«Starà bene?» chiese Isabelle, ancora visibilmente preoccupata.      
«Deve. Alexander deve guarire» disse piano Magnus. Guardò ancora il ragazzo disteso e poi si alzò, dicendo di dover occuparsi del fuoco per la notte.       
Quando calò l'oscurità,  Alec ancora non aveva ripreso conoscenza. Magnus ed Isabelle avevano consumato il loro pasto in silenzio, lanciandogli costantemente occhiate, nella speranza che si svegliasse o desse un qualunque segno di miglioramento. Decisero che avrebbero dormito a turno, così da vegliarlo costantemente, e Isabelle volle stare sveglia per prima.       
Magnus acconsentì e si sdraiò accanto al fuoco, ma non riuscì a dormire. Si limitò a chiudere gli occhi e ad ascoltare il crepitio delle fiamme e della legna che bruciava. Non sarebbe riuscito a dormire, non col cuore pesante di preoccupazione.         
Qualche ora più tardi, Isabelle lo destò, chiedendogli di darle il cambio. Magnus si alzò e prese il posto della giovane, accanto ad Alexander. Quando fu sicuro che Isabelle si fosse addormentata, prese una mano di Alec fra le sue e la accarezzò, semplicemente. Guardò il suo volto pallido e le ombre che la luce del focolare creavano sulla sua pelle, accarezzò con lo sguardo i capelli scuri, fra i quali avrebbe tanto voluto passare una mano, poi le ciglia lunghe e infine le labbra carnose.       
Magnus sospirò, tracciando delle linee a caso con il pollice sulla mano affusolata di Alec - improvvisamente, una piccola stretta gli fece balzare il cuore in gola. Alexander si era mosso. Un movimento minimo, certo, ma era sicuro di non esserselo semplicemente immaginato. Alec gli aveva stretto la mano, seppur con un gesto febbrile. Oh, Alexander.           
Magnus sentì il cuore alleggerirsi e riempirsi di sollievo, strinse a sua volta un po' di più la mano dell'ateniese e considerò che forse ce l'aveva fatta, forse l'avrebbe salvato. Sarebbe stato la sua cura.


 
***

2 giorni dopo, Atene


Le palpebre di Alec erano dannatamente pesanti, tanto che cominciò a temere di avere gli occhi incollati. Faticò a svegliarsi del tutto, nonostante fosse cosciente da un po’ in uno stato di torpido dormiveglia, anche se non avrebbe saputo dire con certezza da quanto. Un punto alla base del collo continuava a pulsare e non appena se lo sfiorò una fitta lancinante lo attraversò, facendolo gemere di dolore.    
Un ricordo attraversò la sua mente come un fulmine: il grido di Isabelle, lo scorpione, la puntura… Magnus? Non era certo che ciò che ricordava dello stregone fosse davvero accaduto. Probabilmente si trattava solo di vaneggiamenti dovuti al veleno della bestia.
«Alexander?» disse una voce esitante, egli sbatté gli occhi un paio di volte e poi li socchiuse, non abituato alla luce ambrata e diffusa. Quando riuscì finalmente a vedere, due iridi feline e dei capelli corvini gli apparvero, facendogli sobbalzare il cuore nel petto: ancora non si era abituato all’effetto che Magnus aveva su di lui.     
«Alexander, siete sveglio?» ripeté quello, Alec stiracchiò le labbra in un sorriso e tentò di sollevarsi, ma una mano precipitosa e allo stesso tempo delicata si posò sul suo petto nudo a bloccare il movimento: «Non dovete sforzarvi» disse lo spartano, con un tono di ammonimento.      
Con un mugolio di protesta, Alec si lasciò ricadere fra quelli che si rese conto essere morbidi cuscini e lenzuola pulite, «Dove sono? Quanto tempo è passato da quanto…?» incominciò a chiedere, confuso, lasciando che i suoi occhi girovagassero per la stanza.   
«Siete a casa, Alexander. Io e vostra sorella vi abbiamo vegliato per tutta la notte e all’alba una squadra di soldati in ricognizione ci ha trovati» spiegò velocemente Magnus, incrociando le braccia sul petto.   
«Ma… I miei genitori, Isabelle e… Jace…» disse sconnessamente, ma l’altro lo rassicurò sulla sorte dei suoi familiari: «Sono salvi, non temete. La vostra abitazione è lontana dai quartieri messi in quarantena a causa della peste. La città, tuttavia, è nel caos: Pericle è morto2». Quella notizia lo lasciò interdetto, non osava immaginare quali sarebbero stati gli esiti della guerra se per qualsiasi ragione gli spartani avessero attaccato in quel momento disastroso.
«Comunque, dovete riposare. Vado ad avvertire i vostri genitori che vi siete svegliato e che state bene» disse Magnus, allontanandosi dal letto e dirigendosi verso la porta chiusa, lasciando Alec da solo coi suoi pensieri, senza che nemmeno potesse ringraziarlo per averlo salvato.


 
***


A notte fonda, Alec stava guardando il paesaggio che si dispiegava fuori dalla finestra: le case, il Pireo, le mura, il riflesso della luna sul mare piatto. Se tendeva l’orecchio, poteva quasi sentire il rumore della risacca e le onde infrangersi sugli scogli.          
Si morse il labbro, ripensando agli sguardi sollevati dei loro genitori, i quali, nonostante gli fossero eternamente grati di aver riportato in patria Isabelle, non avevano potuto fare a meno di rimproverarlo aspramente di aver disobbedito agli ordini e di non aver lasciato che risolvessero la situazione attraverso accordi diplomatici. Folli. Aveva quindi abbassato lo sguardo, senza replicare, ripensando solo alle parole dell’oracolo.
Anche Jace era andato a trovarlo, assieme ad una ragazza, Clarissa, figlia di un’altra importante famiglia ateniese, da quel che aveva intuito. Quando era entrato assieme a lei, aveva provato sì un certo fastidio all’altezza dello stomaco, ma non l’onda di gelosia che di solito lo aveva travolto in situazioni simili.            
In realtà, aveva spesso pensato a Magnus e si era reso conto, non senza una certa sorpresa, che ogni qualvolta qualcuno si annunciava, sperava fosse lo spartano. Cosa che, invece, non era mai accaduta. Da quando, quella mattina, era andato ad avvisare i suoi genitori, Magnus era sparito.         
Alec si mise a sedere, massaggiandosi lievemente la base del collo, chiedendosi dove il rapsodo potesse essersi cacciato e, soprattutto, riflettendo che ancora non lo aveva ringraziato per avergli salvato la vita ancora una volta. Decise allora di tentare e di andare a cercarlo, non considerando il fatto che fosse notte inoltrata e che, con tutta probabilità, l’altro stesse dormendo.       
Lentamente scese dal letto, beandosi della sensazione del suolo sotto ai piedi nudi, poi afferrò i primi indumenti che vide e li infilò, dirigendosi verso la porta della sua stanza. Quando la aprì e uscì, tentando ancora di sistemarsi i vestiti, un corpo caldo entrò in collisione col suo. «Oh, per Zeus» imprecò, sollevando lo sguardo e incontrando le iridi feline di Magnus: il cuore gli si fermò nel petto, notando la loro vicinanza. Senza contare che non era affatto la prima volta che si ritrovavano in una tale situazione.       
«Alexander» si riprese disinvoltamente Magnus, cercando di smettere di fissare le labbra del giovane ateniese che aveva di fronte.          
«Magnus, i-io vi…» incominciò Alec.           
«Sì?» chiese Magnus, esitante.          
«Io vi stavo, ehm, vi stavo cercando» disse allora tutto d’un fiato. «Volevo ringraziarvi» aggiunse poi, sentendosi in dovere di giustificare la sua azione.   
«Per quale motivo?».
«Mi avete salvato la vita».     
«Non potevo lasciarvi morire, Alexander».   
Alec si morse il labbro inferiore, «In ogni caso, grazie. E voi? Per quale motivo vi dirigevate qui?» chiese dopo un po’. Magnus si strinse nelle spalle e Alec ebbe la fugace impressione che si sentisse in imbarazzo, ma non avrebbe potuto confermarlo, vista l’attitudine che generalmente lo spartano dimostrava.     
«Volevo controllare come vi sentivate» confessò il rapsodo.           
«Oh» mormorò sorpreso Alec e d’improvviso, non sapendo bene sulla base di quale impulso, si scostò: «Prego, venite dentro».          
Magnus inarcò le sopracciglia e, dopo un istante che parve durare secoli, decise di accettare l’invito e oltrepassò la soglia della stanza dell’ateniese.        
Quando la porta si fu richiusa dietro di loro, Alec sentì la testa girare al pensiero di essere da solo con Magnus: mai come prima d’allora aveva chiaramente avvertito quella particolare attrazione verso l’altro, forse per il pensiero di salvare Isabelle, forse perché la sua mente e il suo cuore erano stati ancora occupati in larga misura da Jace, forse per la paura che egli fosse una spia e che, alla prima occasione, lo avrebbe tradito. Ma ciò non era accaduto e, anzi, un legame indissolubile li teneva assieme e un destino complice li incastrava come due tessere di un mosaico.         
«Posso controllare la vostra ferita?» chiese Magnus, al che Alec si voltò e, sentendo un groppo in gola e l’adrenalina a mille, si limitò ad un cenno affermativo del capo. Si avvicinò al letto e si sedette sul bordo, appesa al muro una torcia illuminava l’ambiente. Ad ogni movimento di Magnus, il suo respiro cambiava: era terribilmente nervoso ed agitato, nonché consapevole della vicinanza sempre più ridotta fra i loro corpi. Inclinò appena il capo, per permettere a Magnus di osservare la ferita, avvertendo un brivido lungo la schiena quando la mano dello spartano si appoggiò gentilmente sulla sua pelle arrossata.        
«Oh, Alexander» si lasciò sfuggire Magnus, un sussurro appena accennato.           
Alec, sentendosi chiamare, si voltò a guardarlo: si osservarono in silenzio, fino a quando Magnus decise di annullare definitivamente la distanza fra le loro bocche. Si scontrarono, stupefatti e bramosi l’un dell’altro: Magnus, nonostante le sue varie avventure, mai si era sentito in quel modo, né tantomeno si era sentito così inesperto e disarmato come gli era successo di fronte all’innocente bellezza di Alexander.      
Le loro labbra si socchiusero e i baci divennero sempre più profondi e passionali – senza sapere come, Alexander si ritrovò immerso fra i cuscini e le lenzuola, il profumo di Magnus lo inebriava. Magnus lo baciava ovunque, su ogni lembo di pelle, lasciando dietro ogni contatto un formicolio piacevole e ovattato. Alexander credette di impazzire quando le labbra dello spartano gli baciarono il petto e risalirono sulla gola, in una vaga reminiscenza di ciò che era accaduto appena due giorni prima, seppur in circostanze totalmente differenti e infauste.  
Mormorarono i loro nomi, mentre la passione li travolgeva e i loro bacini si scontravano, erano totalmente immersi in quella successione di sensazioni soverchianti, strabilianti, stravolgenti: mentre i loro indumenti abbandonavano i loro corpi sempre più uniti, Alexander capì che ogni decisione, ogni azione, ogni pensiero che aveva compiuto da quando Isabelle era stata rapita lo aveva portato a quel momento, capì che tutto si incastrava alla perfezione e capì che ciò che stavano facendo – l’amore – non era solo in linea con i loro destini intrecciati, ma era anche totalmente, incondizionatamente giusto.  
E, poi, non ci fu più nulla da capire.

 
Note dell'Autrice: 

1. Pharmacon è un termine greco che significa sia "veleno", "droga", e sia "cura" o "antidoto". Ho scelto questo titolo in riferimento alla puntura dello scorpione e alle cure di Magnus nei confronti di Alec.
2. Pericle: Pericle fu un politico, oratore e militare ateniese attivo  nel periodo fra le Guerre Persiane e la Guerra del Peloponneso. Morì durante la peste di Atene; la sua morte segnò l'inizio del declino della grande polis. 

Hello everyone!
Da dove cominciare, se non dalle scuse più profonde? Sì, avevo detto che mi sarei occupata di più di questa storia. Sì, speravo di farlo. Sì, è quasi passato un mese e me ne vergogno tantissimo. Purtroppo, fra le millemila cose da studiare e da preparare per la maturità sempre più incombente (AIUTO) e la difficoltà che ho riscontrato nella stesura di questo capitolo, è passato tutto questo tempo. Davvero, finora è stato il capitolo più difficile da scrivere: il punto è che sapevo cosa volevo accadesse, ma puntualmente non mi piaceva il modo in cui l'avevo scritto. Vi succede mai? Però dopo varie riscritture, momenti di frustrazione e altri in cui avrei gettato il pc dalla finestra, finalmente sono riuscita a venirne a capo ed eccomi qui!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, come al solito, ci terrei ad un vostro parere sugli accadimenti e in particolare sulle osservazioni che possono migliorare la storia, sono sempre ben accette! E grazie a chi finora ha letto, commentato, messo fra le preferite/seguite/ricordate: siete tantissimi! Sono anche felice che il banner vi sia piaciuto, awh ^^
Detto ciò, anticipo a malincuore che siamo giunti al termine della storia e che il prossimo capitolo sarà l'ultimo - sono consapevole che non è molto lunga, ma quando l'ho pensata, l'ho immaginata esattamente così. Però non temete, ho già in mente dell'altro con cui tornerò all'attacco su questa sezione v.v Anticipo anche che molto probabilmente il prossimo capitolo lo pubblicherò una volta finiti gli esami, vista la mancanza di tempo ç__ç
Detto ciò, vi lascio e vi auguro una buona lettura! Baci,
Starsfallinglikerain.
   
 
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