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Autore: xkissmeyafool    14/06/2016    1 recensioni
“Ascolta” disse poi. “Non sono qui per chiederti scusa. Le scuse non servono a nulla, sono soltanto degli stratagemmi che le persone pensano di poter utilizzare per far sì che le cose tornino come prima o vengano cancellate dalla memoria di tutti. Sono venuto per vederti, dirti che mi dispiace, che non immagini lontanamente quanto tu sia perfetto* e quanto mi manchi. Ti ho fatto soffrire, ti ho fatto a pezzi e non te lo meritavi, non te lo meriteresti mai. Sono stato il primo a prometterti che ti avrei protetto da tutto e da tutti e il primo a farti del male. E vorrei che sapessi che non sono qui per riaverti indietro, perché so che è impossibile ora come ora, so che ci vorrà del tempo prima che noi due riusciremo ad avere anche solo un semplice rapporto di amicizia, ed è giusto così. Ma ci tenevo a dirti che mi dispiace. Per te, per me, per noi, per ciò che eravamo e ciò che avremmo dovuto essere. Mi dispiace. E ti amo."
Basata sulla canzone Six Degrees of Separation dei The Script.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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First, you think the worst is a broken heart;

Distrutto. Harry non avrebbe potuto trovare un aggettivo più calzante per descrivere i suoi sentimenti in quel momento. Era una cosa piuttosto oggettiva, considerando che persino i suoi colleghi di lavoro, nonostante lo vedessero soltanto per qualche ora al giorno, avevano notato che, a dispetto di ciò che lui voleva far credere, l'Harry scherzoso, carismatico e sorridente di sempre, si era trasformato in una persona totalmente e inesorabilmente diversa, poco loquace e senza voglia di vivere. Perché, effettivamente, lui di voglia di vivere non ne aveva quasi più. Non ne aveva più da circa due settimane, perché dire che Louis non gli mancava sarebbe stato da ipocriti. Per una volta, il ragazzo era riuscito a mettere da parte il suo solito orgoglio, lo stesso che aveva tragicamente concluso tutte, o almeno la maggior parte delle sue storie d'amore e delle sue amicizie, per realizzare ed ammettere che mai in vita sua si era sentito più solo e abbandonato.
Era una sua strana abitudine, quella di lasciare che le persone entrassero nella sua vita esattamente come meteore; lo facevano quasi teatralmente, per poi scomparire poco tempo dopo. Il riccio si era abituato a quella triste routine, e, onestamente parlando, pensava sarebbe stato così anche per il ragazzo dagli occhi blu. Ma evidentemente si sbagliava. Louis era stata la meteora più scintillante e stupefacente che egli avesse mai visto, e probabilmente avrebbe voluto che durasse più a lungo. Avrebbe desiderato che quello spettacolo meraviglioso si fosse protratto per tanto e tanto tempo ancora. 
Ma, a quanto pareva, l'Universo aveva altri piani. È curioso come, quando ti sembra che vada tutto a gonfie vele e che nulla possa andare storto, il destino ti sbatte in faccia la cruda realtà distruggendo tutto ciò in cui credevi.
Ed Harry, onestamente, non avrebbe mai voluto sapere cosa lo attendeva, non avrebbe mai voluto commettere quell'irrimediabile errore che gli era costato una delle persone più importanti della sua vita. 
“In fin dei conti è stato solo malsano sesso da ubriachi!”
Questo, ciò che si ripeteva ogni giorno, cercando di convincersi che, in fondo -molto in fondo-, non avesse fatto nulla di male.
Ma chi voleva prendere in giro?
Il senso di colpa lo corrodeva come la pioggia corrode la roccia, senza una via di ritorno. Lui però, contrariamente, la via di ritorno l’aveva e, fortunatamente o meno, aveva un nome ed un cognome.
E non sapeva perché, ma in un certo senso era anche piuttosto irritato dal comportamento di Louis. Il castano non gli aveva neanche lasciato il tempo di spiegare, aveva iniziato ad urlare e poi se n'era andato, uscendo da casa sua e dalla sua vita temporaneamente o, ipotesi più plausibile, per sempre. Harry avrebbe voluto spiegargli che era ubriaco, che non intendeva fare ciò che aveva fatto, che non avrebbe voluto farlo soffrire, né allora, né mai; avrebbe voluto dirgli che non si era reso conto della cazzata che stava facendo fino al mattino successivo, che Bradley non occupava neanche l'ultima posizione della sua 'classifica affettiva', ma il ragazzo sembrava aver spento, o meglio, gettato via il suo cellulare, perché risultava sempre occupato, e l'idea di irrompere in casa sua sembrava assolutamente improponibile, considerando che il castano avrebbe seriamente potuto chiamare la polizia. Non voleva credere che Louis, il suo Louis lo avesse lasciato, così, su due piedi, ma non lo biasimava. Come avrebbe potuto? 
Ma semplicemente non riusciva a figurarsi una vita senza di lui, una vita senza gli innumerevoli dispetti che si facevano a vicenda, senza le coccole che riceveva ogni qualvolta ne aveva bisogno, una vita senza il castano che si presentava alla sua porta, alle otto e trenta del mattino, con una padella e tutto l’occorrente per preparare i pancake, urlando: “spostati Riccio, lo chef deve lavorare!”
Non riusciva a figurarsi una vita senza l’amore che gli offriva incondizionatamente. Non ci riusciva, era più forte di lui. E ogni sera, prima di andare a letto, si ripeteva che il suo Louis sarebbe tornato da lui un giorno, che avrebbero ripreso la loro routine e che si sarebbero lasciati tutto alle spalle. Ciò che ignorava però, era la minuscola parte di lui che gli ripeteva che ciò non sarebbe mai accaduto. E inconsapevolmente, era una una possibilità a cui si stava pericolosamente avvicinando. 

What’s gonna kill you is the second part;

Harry aveva perso tutto. Tutto. E ciò che lo uccideva era il non poter far nulla per cambiare la situazione. Tutto ciò che gli era concesso di fare era rimanere steso sul divano e piangersi addosso. Ciò che faceva da circa un mese e mezzo oramai. La vocina nella sua testa che per tutto quel tempo lo aveva rassicurato, che gli aveva promesso che il suo Louis sarebbe tornato da lui, si era spenta, aveva cessato di parlargli o semplicemente di esistere, ed era stata rimpiazzata da un’altra voce. Una voce dai tratti vagamente femminili, una voce delicata, mansueta, calma. La sua voce. La sua voce, che gli ripeteva quanto lo amasse e quali e quante follie avrebbe fatto solo per vederlo sorridere. La sua voce, che lo rassicurava e che gli prometteva che sarebbe andato tutto bene, che alla fine ne sarebbero usciti insieme. Che sarebbero stati finalmente felici, senza nessun ostacolo a dividerli. Ma poi, sempre la stessa voce, urlava di lasciarlo in pace, che non avrebbe mai più voluto vederlo in tutta la sua vita, che gli aveva fatto tanto di quel male da non riuscire neanche a spiegarlo, e che la loro storia era finita, gettata nel dimenticatoio. 
E in quei momenti Harry doveva sedersi, prendere un respiro profondo e realizzare, o per meglio dire, accettare il fatto che da quel momento in poi avrebbe dovuto imparare a cavarsela da solo, imparare ad amare quella solitudine di cui era succube. E quanto difficile era? Bè, lo aveva imparato solo recentemente. E avrebbe voluto non doverlo mai sapere. Lui si era sempre lamentato della monotonia, della tranquillità, della razionalità. Ma in quel momento, in quella situazione così devastante per lui, avrebbe venduto l’anima al diavolo per avere indietro quella quotidianità. Avrebbe dato di tutto per svegliarsi di nuovo accanto al suo Lou, fare colazione insieme e poi salutarsi per andare a lavoro; ritrovarsi a casa del riccio dopo i rispettivi turni e rimanere sul divano di pelle tutta la serata, mangiando pizza a domicilio e coccolandosi fino a quando il sonno non prendeva il sopravvento su entrambi. 
Gli mancava persino la leggera punta di insicurezza che percepiva nella voce di Louis ogni qualvolta si ritrovavano a parlare della loro relazione. Si ricordava ancora di quella sera…

Avevano deciso di trascorrere quella serata così. Sul divano di Louis, accoccolati, guardando distrattamente un film rigorosamente scelto dal castano, perché, fosse stato per Harry, avrebbero potuto tranquillamente passare due o tre ore a guardarsi negli occhi, perché lui non aveva mai, mai in vita sua, visto uno spettacolo migliore degli occhi del ragazzo. Ma sapeva che Louis non era così. Conosceva la sua riservatezza e il suo imbarazzo, e li accettava. Era in grado di accettare qualunque cosa lo riguardasse.
“Harry?”
Il riccio si spostò di poco dal corpo del ragazzo, per poterlo guardare negli occhi. “Dimmi.” gli sorrise. Da quando stava con lui sorrideva molto più spesso, chiunque lo frequentasse avrebbe potuto constatarlo.
“Io… cioè, noi…”, iniziò, pronunciando parole sconnesse e arrossendo violentemente. Il ragazzo lo guardò stranito, spostandogli una ciocca di capelli color miele dalla fronte. Dopo qualche minuto di silenzio, Louis sembrava aver deciso che ciò che stava dicendo, non era poi così importante, poichè si era riappoggiato alla spalla del suo fidanzato, continuando a fissare il susseguirsi di immagini sul televisore.
“Lou”, sospirò. “Sai che puoi dirmi tutto, vero?” 
Sentì il ragazzo annuire sotto di sé, e sospirò nuovamente. 
“Io… tu mi ami, vero?” domandò, torturandosi il labbro. Il riccio rimase totalmente spiazzato da quella domanda. Davvero aveva di questi dubbi?
“Stai scherzando? Probabilmente non te ne rendi conto, o forse è la tua insicurezza a parlare, ma io ti amo come non ho mai amato nessuno in vita mia. Non dovresti nemmeno fartele queste domande”, rispose, lo sguardo che mano a mano lasciava spazio ad un’espressione di dolcezza, quel genere di dolcezza che era riservata solo a lui.
“Lo so… hai ragione. Sono un bambino, e tu ti stancherai di fare il babysitter prima o poi” mormorò. “Hey”, il minore gli alzò il mento, incastrando i suoi occhi con quelli del ragazzo. 
“Ascoltami. Io non mi stancherò mai di te. Anche tra dieci, venti, trent’anni, io sarò qui. E se ti senti un bambino, bè, ti crescerò io. Non ho problemi a farlo, anzi. Sarebbe un onore.” Sussurrò, senza mai interrompere il contatto. “Devi avere più fiducia in te stesso e in ciò che proviamo l’uno per l’altro. Io sono qui per te, per renderti felice, per essere sicuro che non ti dimentichi mai quanto vali e quanto sei importante. Devi promettermi che te ne ricorderai sempre. Me lo prometti?”
Il castano annuì, non riuscendo ad evitare che una lacrima sfuggisse al suo controllo, probabilmente perché, per una volta in vita sua, qualcuno dimostrava di tenere a lui e a tutto ciò che lo riguardava. Dopo tutto ciò che aveva passato, Harry era stato ciò che lo aveva realmente riportato a vivere.


Harry sorrise malinconicamente. Chissà se Louis ripensava mai a tutti i momenti che avevano trascorso insieme, chissà se anche a lui venivano le lacrime agli occhi al solo pensiero di tutto ciò che avevano perso. Tante domande, nessuna risposta.

And the third, is when your world splits up the middle;

“Harry, aiutami a mettere la stella sulla punta! Non ci arrivo!” urlò il castano, ridendo della sua stessa goffaggine. “Pf, non è mica colpa mia se sei un nanetto!” lo punzecchiò il minore, da dietro la videocamera.

Harry sorrise continuando a guardare il filmino sul pc. Quella giornata era stata entusiasmante, per quanto possa esserlo mettere su un albero di Natale con un ragazzo dalla statura di un bambino che urla: “non ci arrivo lassù, vieni ad aiutarmi!” ogni venti secondi. Ma con Louis, aveva avuto modo di constatare Harry, tutto diventava più interessante.

“Attento a quello che dici, Styles, altrimenti passerai il Natale da solo quest’anno.” lo mise in guardia il castano. Il minore si zittì immediatamente e Louis rise, scendendo dalla sedia. “Sai che non farei mai in modo che succeda”, ridacchiò, lasciando un bacio casto sulle labbra del fidanzato. “Dimmi una cosa” enunciò il maggiore, puntando un dito verso la telecamera. “Perché mi stai riprendendo mentre addobbo l’albero?” domandò, confuso. “Perché voglio dei ricordi”, spiegò il riccio. “Se potessi riprenderei ogni singolo secondo della giornata. È bello avere dei ricordi, così, quando hai nostalgia di qualcosa, basta aprire questa telecamera e rivivere tutto come se fosse la prima volta.”
“Wow… quando ti ho conosciuto non eri così profondo”, constatò Louis, provocando una fragorosa risata da parte di Harry. “Sei un idiota”, rise, lanciandogli un cuscino. “Bè, possiamo dire che io ti rendo una persona migliore, allora.” Sorrise il castano, con fare fintamente altezzoso. “Non ho mai avuto dubbi su questo”, rispose sinceramente il ragazzo. E questa volta, Louis si aprì in uno dei sorrisi più belli che Harry gli avesse mai visto sul viso, uno spettacolo a dir poco mozzafiato, che lo fece sorridere di rimando come fosse sotto effetto di una qualche sostanza stupefacente. “Sei disgustosamente adorabile” lo prese in giro, rigirandosi tra le dita un riccio arruffato del ragazzo. 

Poi la telecamera si spense.

Harry ricordava perfettamente cosa era accaduto dopo. Non che fosse qualcosa di particolarmente interessante, ma per lui era stato un momento importante. Ogni singolo secondo trascorso con lui lo era stato.
Sorrise, agguantando l’ennesima bottiglia di birra e portandosela alla bocca. Non riusciva a credere alle condizioni in cui si era ridotto. Non gli sembrava neanche di essere nel suo corpo, ai suoi occhi quella situazione appariva quasi sovrannaturale, come se il fatto che un ragazzo come lui, di sani principi e con la testa a posto, si stesse letteralmente lasciando andare fosse una cosa impossibile, un sogno dal quale svegliarsi. Ciò di cui era all’oscuro era che il padrone di quel sogno era solo ed unicamente lui. Lui era l’unico che avrebbe potuto mettere fine a quell’incubo, l’unica persona in grado di ristabilire l’ordine. E allora perché non lo faceva? Perché non si alzava da quel fottuto divano e non andava sotto casa di Louis, a urlargli che lo amava e che non lo avrebbe lasciato andare così facilmente? Non lo sapeva neanche lui. Ogni volta che ci provava, ogni singola volta che il suo cuore gli diceva: “vai, e fai ciò che sai essere giusto.”, il suo cervello rispondeva che sarebbe stata solo una perdita di tempo, che non sarebbero bastate un paio di parole e una faccia compassionevole a fare in modo che Louis si rigettasse tra le sue braccia come se nulla fosse mai accaduto. Inoltre, se fosse uscito in quelle condizioni, avrebbe finito per essere coinvolto in un incidente stradale o, peggio ancora, avrebbe potuto imbattersi in qualcuno di poco piacevole. E l’ultima cosa di cui aveva bisogno era qualcuno che gli facesse la ramanzina. 
Ma si sa, il fato è imprevedibile e, alle volte, un vero e proprio bastardo perché, come se qualcuno fosse stato lì ad ascoltare i suoi pensieri, il campanello suonò, e Harry maledisse chiunque potesse celarsi dietro quella dannatissima porta. Si alzò svogliatamente, passandosi una mano sul viso e cercando di ritrovare quel poco di lucidità che gli era rimasta, dopodiché spalancò la porta del suo appartamento pronto ad uccidere chiunque avesse pensato di interrompere i suoi pensieri deprimenti. 
“Ciao, Har.” 
“Niall! Che ci fai qui?” Harry era sinceramente sorpreso. Di tutte le persone che si sarebbe aspettato dietro quel portone, Niall era di certo l’ultima.
“Io, ecco, volevo solo controllare se stavi bene e- cos’è questa puzza?” esclamò il biondo con un’espressione di disgusto sul viso.
Il minore ignorò la domanda, evidentemente troppo a disagio e probabilmente anche un po’ troppo brillo per essere in grado di formulare una risposta che a) non lo mettesse nei guai e b) non lo facesse passare per un completo idiota.
“Non credo che tu sia venuto per sapere come sto dopo due mesi in cui non mi hai rivolto la parola e non ti sei preoccupato minimamente di come stavo” pronunciò invece. Non voleva sembrare minaccioso, tantomeno accusatorio; voleva solo sapere il motivo della sua visita. Voleva sapere se, per l’ennesima volta, qualcuno era venuto a portargli cattive notizie o a farlo sentire peggio di quanto già non fosse.
Niall sospirò, prendendo posto su una sedia intorno al tavolo della cucina. “Ascolta” iniziò. “So di essermi comportato da stronzo e di non averti sostenuto in questo periodo così… particolare per te. Mi dispiace di non esserti stato accant-” 
“No, non è vero.” Harry lo interruppe, sorridendo amaramente.
“Certo che lo è. Non dico mai certe cose giusto per il gusto di farlo, e lo sai. Ma cerca di metterti nei miei panni, non è facile per me d-”
“Credi che per me lo sia?” fece il riccio, con tono involontariamente accusatorio. “Niall, ti sei mai chiesto una singola volta come stessi veramente? Perché non provi tu a metterti nei miei panni? Io mi sento una schifo, e ogni giorno che passa questa sensazione peggiora. Ho fatto soffrire la persona più importante della mia vita, l’ho fatta piangere, le ho fatto perdere tutta la fiducia e la speranza che nutriva nei miei confronti. E, credimi, era l’ultima cosa che avrei voluto fare. Tutte le cose che ho fatto, che ho detto, che ho promesso sono svanite come se non fossero neanche mai esistite. E sai cosa mi fa incazzare di più? Il fatto che pretenda che Louis perdoni tutte le mie cazzate quando io sono il primo a non riuscirci. Pretendo che la gente si comporti come se nulla fosse mai accaduto mentre io stesso non riesco ad accettarmi”. In quel momento stava definitivamente piangendo, e neanche le parole confortanti di Niall riuscivano a placare le sue lacrime. Era semplicemente incazzato. Incazzato, e forse anche un po’ triste, ma in quel momento era un dettaglio trascurabile. Era incazzato con tutto e con tutti, sé stesso compreso. Avrebbe volentieri preso a pugni una parete se le braccia del biondo avvolte attorno al suo corpo non glielo avessero impedito. 
“É tutto okay, Harry” provò a confortarlo. Invano. “No, non è vero”, mugolò infatti l’altro, non riuscendo ad impedire che le lacrime gli rigassero le guance. Era strano per lui ritrovarsi a singhiozzare tra le braccia di qualcuno. Non era un tipo molto aperto, stava sempre attento a non mostrare troppo le sue emozioni, e in quel momento, mentre piangeva implacabilmente sulla spalla confortante di Niall, gli sembrò di aver appena subito una sconfitta e allo stesso tempo di aver acquisito una vittoria. Si sentiva come se i suoi muri fossero improvvisamente crollati, e questo lo faceva soffrire, perché mai in vita sua avrebbe voluto che qualcosa confermasse il sospetto che da tempo aveva di sé stesso: la sua debolezza. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma per quanto si sforzasse di apparire come un duro, non lo era, e lo sapeva bene. La sua era solo una patetica copertura, e neanche lui sapeva quando e perché avesse deciso di usarla; quello che sapeva, però, era che, in quel momento, si stava sgretolando fino a diventare un cumulo infinito di macerie sotto il quale sarebbe probabilmente rimasto intrappolato. Contemporaneamente, però, sentiva che il suo essersi aperto sarebbe potuto essere un nuovo inizio, una svolta che avrebbe potuto cambiare la sua vita significativamente. 

E lo fu.

“Devo parlare con Louis”, annunciò a nessuno in particolare, scacciando le lacrime dalle sue guance. “Devo parlargli, adesso, e non mi importa se non mi perdonerà, se mi urlerà contro, se dirà di non volermi più vedere. Io devo parlare con lui”. 
Niall sorrise comprensivo, facendogli un cenno verso la porta. Il castano non se lo fece ripetere due volte: si catapultò verso l’ingresso, arraffando cappotto e sciarpa. Era ormai fuori di casa quando “Grazie, Nì”, mormorò, sperando che il biondo lo avesse sentito. 
“Non devi ringraziarmi”, ribatté il ragazzo, sospirando. “Adesso vai e metti fine a questa storia.”

Fourth, you’re gonna think that you fixed yourself;

Corse a perdifiato, ignorando gli autobus che gli sfrecciavano accanto e che avrebbero potuto semplificargli il percorso. Inciampò un paio di volte e si beccò un rimprovero da un’anziana signora che aveva accidentalmente travolto, e per un attimo pensò persino di tornarsene a casa, di star facendo uno sforzo assolutamente inutile. Ma poi, trovandosi sotto l’appartamento di Louis, ogni dubbio svanì. Si avvicinò cautamente al citofono, premendo ripetutamente il pulsante con scritto ‘Tomlinson’. 
“Chi è?” rispose una voce chiaramente maschile, ma dai tratti vagamente femminili che Harry ricordava fin troppo bene. Dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non iniziare a piangere come una ragazzina, e raccogliendo tutto il coraggio che gli era rimasto, disse: “Sono Harry”. Per qualche minuto, da entrambi i lati della cornetta, non ci fu altro che silenzio. Il riccio sapeva che Louis era ancora in linea, perché riusciva a sentire il suo respiro irregolare e tremante, e il castano era consapevole che il più giovane non se ne fosse andato per lo stesso identico motivo. E proprio mentre quest’ultimo si stava ormai convincendo del fatto che il ragazzo non gli avrebbe mai aperto, sentì la serratura del cancello scattare e quello aprirsi lentamente a causa del vento. A quel punto si irrigidì, probabilmente più di quanto già non fosse, e per un istante pensò che forse sarebbe stato meglio che Louis non lo avesse lasciato entrare. Lo stai facendo per voi, lo stai facendo per voi, lo stai facendo per voi, si ripeteva per non perdere la calma. Lo stai facendo per voi. Entrò nel giardino. Lo stai facendo per voi. Camminò fino all’ingresso, dove la porta era già stata socchiusa. Lo stai facendo per voi. Aprì piano il portone di legno, sentendo un nodo alla gola e lo stomaco in subbuglio. Lo stai facendo per voi.
“Ciao, Harry”.
Ed Harry, a quel punto, pensò che le sue gambe fossero sul punto di cedere. 
“Ciao” mormorò, sull’orlo di un pianto isterico. Dannazione, si disse. Riprenditi.
Per un po’ stettero in piedi sull’uscio, Louis che lo fissava, indeciso se lasciarlo parlare o buttarlo fuori di casa alla prima sillaba, e il riccio che contemplava le sue scarpe da ginnastica, torturandosi le mani.
“Ascolta” disse poi. “Non sono qui per chiederti scusa. Le scuse non servono a nulla, sono soltanto degli stratagemmi che le persone pensano di poter utilizzare per far sì che le cose tornino come prima o vengano cancellate dalla memoria di tutti. Sono venuto per vederti, dirti che mi dispiace, che non immagini lontanamente quanto tu sia perfetto* e quanto mi manchi. Ti ho fatto soffrire, ti ho fatto a pezzi e non te lo meritavi, non te lo meriteresti mai. Sono stato il primo a prometterti che ti avrei protetto da tutto e da tutti e il primo a farti del male. E vorrei che sapessi che non sono qui per riaverti indietro, perché so che è impossibile ora come ora, so che ci vorrà del tempo prima che noi due riusciremo ad avere anche solo un semplice rapporto di amicizia, ed è giusto così. Ma ci tenevo a dirti che mi dispiace. Per te, per me, per noi, per ciò che eravamo e ciò che avremmo dovuto essere. Mi dispiace. E ti amo”, concluse. Sospirò, pensando che in tutta la sua vita non aveva mai detto così tante verità tutte assieme.
Louis non si mosse. L’espressione del suo viso era impassibile, ed Harry giurò di non essersi mai sentito tanto stupido. La tensione tra loro era palpabile, nessuno dei due osava parlare e gli occhi di entrambi erano velati di lacrime pronte a venir fuori nell’esatto momento in cui si fossero trovati soli.
Il riccio lo guardò negli occhi, un misto tra tristezza e pentimento, affogando in quegli stralci di cielo che, maledizione, gli erano mancati così tanto e poi si voltò, pronto ad andare via. Ma
“Harry” lo richiamò il più grande, la voce flebile e leggermente rauca. 
“Dispiace anche a me”.
E il ragazzo annuì, incapace di fare altro, prima di lasciare definitivamente quella casa e, probabilmente, la sua vita.
Cercò disperatamente di non esserne triste, anche se gli risultava a dir poco difficile.
Quello sarebbe stato un nuovo inizio.
Per tutti.



Fifth, you see them out with someone else;


Passarono altri due mesi. Harry era tornato alle sue solite occupazioni, dividendosi tra il lavoro al bar e gli esami dell’Università arretrati, tentando di riempire ogni singolo momento libero e di trascorrere più tempo possibile in compagnia. La solitudine non gli era mai piaciuta, e in quel periodo ne aveva meno bisogno che mai. Louis era tornato al suo lavoro e all’impiego di babysitter, che a dir la verità lo aiutava molto a superare i momenti difficili. I bambini lo mettevano di buon umore, lo avevano sempre fatto. Guardandoli, si rendeva conto di quanto meravigliosa fosse l’infanzia, di quanto la spensieratezza e la gioia dei bambini dovessero essere d’esempio per mettere da parte lo stress e godersi la vita con tutto ciò che di più buono aveva da offrire. E Louis sperava di poter tornare a vedere quel ‘buono’ che agognava tanto. 

Quel lunedì il castano non fu svegliato dal trillare della sveglia, come di solito accadeva, ma dagli squilli incessanti del suo cellulare. Imprecò sottovoce, irritato da quel risveglio che lui avrebbe definito ‘catastrofico’.
“Pronto?” mugugnò con la voce impastata dal sonno.
“Hey, Louis” rispose la voce all’altro capo del telefono. “Hai impegni venerdì sera?” domandò senza dargli il tempo di replicare. “Signor Grimshaw” fece, chiaramente sorpreso. Da quando Nick Grimshaw, il suo datore di lavoro, lo chiamava alle sette del mattino per motivi che non riguardassero l’ambito lavorativo? “Io, ehm… non credo” rispose un tantino titubante. “Fantastico” disse l’uomo. “Prenoterò un tavolo allo Chafeau de Paseé. Ci vediamo alle 20:00” lo informò. Louis non era mai stato più confuso di così. “Ehm… d’accordo, ma… è successo qualcosa? Ho fatto qualcosa?” domandò, leggermente agitato. Perdere la sua occupazione era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. “No” si affrettò a dire Nick. “No. É una semplice cena tra amici. Suona così strano?” chiese, senza un minimo di imbarazzo nella voce. Amici? Da quando loro due erano amici? “Assolutamente no” rispose il castano, schiarendosi la gola. “Bene. Non vorrei mai mi prendessi per uno svitato” ridacchiò quello dall’altra parte del telefono. “A venerdì, allora”. E con quella frase abbassò la cornetta. 
Louis aggrottò le sopracciglia? 
Nicholas Grimshaw lo aveva appena invitato ad un appuntamento?


“Harry, sbrigati, siamo in ritardo!” urlò impaziente Gemma dal piano inferiore.
“Arrivo!” rispose il ragazzo, infilandosi una maglietta recuperata dalla scrivania. Quella era la prima volta che usciva per un motivo che non fosse andare a lavoro dopo oltre sei mesi e, anche se si trattava di un semplice spettacolo al cinema, si sentiva eccitato come un bambino al parco giochi. Volò giù per le scale per evitare di sentire ulteriori lamentele di sua sorella e afferrò le chiavi della macchina. 
“Guido io” stabilì con fare fintamente altezzoso.
“Fai un graffio alla mia macchina e sarai anche quello che pagherà la riparazione” rispose Gemma alzando gli occhi al cielo ma senza riuscire a trattenere un sorriso. Era bello sapere che il suo fratellino stava lentamente tornando ad essere quello che era una volta. La rabbia per ciò che aveva fatto non le era ancora passata e non lo avrebbe mai fatto, ma sapeva perfettamente quanto il ragazzo si sentisse in colpa e pensava che il rimorso che si sarebbe portato dietro a vita fosse una punizione abbastanza esemplare.

Scesero dall’auto e iniziarono a camminare verso il cinema, parlando di argomenti ai quali nessuno prestava davvero attenzione. Harry sorrideva come non faceva da mesi, la sua risata echeggiava per la strada facendo voltare alcuni passanti divertiti.
E fu proprio allora che il riccio si voltò, nel momento più sbagliato in cui avrebbe potuto farlo. 
Louis era lì, che chiacchierava amabilmente con - da ciò che ricordava - il suo datore di lavoro del quale non ricordava neanche il nome. Ricordava perfettamente tutte le innumerevoli volte in cui il suo nome era figurato nelle loro conversazioni, in passato. Ricordava la crescente gelosia che provava ogni qualvolta Louis lo nominava o si complimentava con lui. E ora vederlo lì con la persona con cui avrebbe voluto passare il resto della vita gli suscitava un dolore immenso, una sensazione che gli si irradiava nel petto e che non riusciva a classificare. 
E quando abbassò lo sguardo e notò le loro mani intrecciate, credette davvero di non poter sopportare null’altro.
“Gem, ti prego, andiamo a casa” sussurrò, senza staccare gli occhi dai due.
“Come sarebbe a dire? Il film inizia tra dieci minuti!” protestò sua sorella, prima di accorgersi dei due ragazzi dall’altro lato del marciapiede. 
“Oh… possiam-” 
“Torniamo a casa” la supplicò spostando lo sguardo su di lei in una delle espressioni più addolorate che la ragazza gli avesse mai visto sul volto. 
“Sì, andiamo” sussurrò poi.
E tutti i progressi che credeva di aver fatto in quei due mesi andarono in fumo, svanirono in una nube di tristezza e malinconia che non si sarebbe mai sbiadita.
Non più.


And the sixth is when you admit you may fucked up a little.

“Lou, sbrigati! Non vorrai fare tardi al tuo matrimonio! Ti conviene darti una mossa o lo sposo potrebbe ripensarci!” urlò Jay divertita, gettando un’occhiata al suo orologio da polso.
Louis fece la sua entrata in soggiorno sotto lo sguardo d’ammirazione dei presenti. 
“Allora? Come sto?” 
Lo smoking blu lo fasciava alla perfezione, mettendo in risalto i suoi occhi. I capelli erano tenuti su da una quantità indecifrabile di gel in un ciuffo superlativo. 
“Stai benissimo!” gridò Daisy, gli occhi che le brillavano mentre saltava giù dal divano seguita da sua sorella. 
“Io credo che trovandosi davanti ad una bomba sexy del genere sarà molto difficile che ci ripensi”.
“Lottie!” la riproverò sua madre, ma senza riuscire a trattenere un sorriso. “Non ha tutti i torti. Sei meraviglioso, tesoro” sussurrò sua madre, stampandogli un bacio sulla guancia.
Non poteva credere che il suo bambino, il suo primogenito e unico figlio maschio sarebbe salito all’altare tra meno di un’ora. Il pensiero che di lì a poco avrebbe avuto una famiglia tutta sua la emozionava al punto da non riuscire a pensarci per più di due secondi senza scoppiare a piangere.  
“Grazie, mamma” sorrise il castano, notando gli occhi lucidi della donna.
“Okay, basta con questi sentimentalismi, qualcuno qui deve sposarsi!” esclamò, attirando l’attenzione di tutti. “Andiamo” disse poi, mentre la sua famiglia al completo si dirigeva verso la porta.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio posto vicino all’ingresso prima di uscire.
“Sto per sposarmi” sussurrò incredulo. “Sto per sposarmi” ripeté. Sorrise al suo riflesso nello specchio, poi afferrò le chiavi della macchina e si chiuse il portone alle spalle.

“Niall!” 
Il castano irruppe in chiesa come un uragano, gettandosi addosso al ragazzo.
“Ti prego, ti supplico, dimmi che gli smoking dei testimoni non si sono scuciti” lo supplicò con gli occhi.
Il biondo revisionò la sua lista. Quando Louis gli aveva chiesto di occuparsi dell’allestimento e degli abiti dei testimoni, non credeva che avrebbe davvero preso sul serio il suo compito. 
“No, non mi risulta” disse infine. 
Il castano sospirò di sollievo. “Grazie a Dio.”
“Rilassati. É tutto sotto controllo” lo rassicurò dandogli una pacca sulla spalla.
“Lo so, è solo che… sono nervoso e ho paura che qualcosa possa andare storto” confessò torturandosi le dita.
“Lo capisco, ed è normale. L’importante è che il tuo nervosismo ti lasci libero di goderti il momento. Non ci sarà un giorno più importante di questo nella tua vita, non sprecarlo a crogiolarti su problemi inesistenti” gli sorrise il biondo. “Bene, ora vado a controllare per l’ennesima volta se il resto dei testimoni è pronto” sbuffò, guardando l’orologio. 
Ma proprio mentre faceva per allontanarsi “Niall” lo chiamò Louis. 
“Lui non-”
“No” fu l’unica risposta che quella domanda incompiuta ricevette. L’espressione di Louis mutò radicalmente. “Ne sei proprio sicuro?” chiese, la voce carica di insicurezza.
“Sì” mormorò il ragazzo abbassando lo sguardo. “Mi dispiace”.
Louis si corrucciò. Non credeva che dopo tutto quel tempo  Harry provasse ancora tutto quel rancore, o qualunque cosa fosse. Non si aspettava la sua benedizione, né che facesse salti di gioia. Avrebbe soltanto desiderato la sua presenza e il suo compiacimento nel vederlo felice. 
Perché tu sei felice, no, Lou?
“Ah, Lou” lo risvegliò il biondo. “Questa è tua” disse, porgendogli una busta.
Il castano se la rigirò tra le mani, confuso, fino a quando 
Per Louis Tomlinson, lesse sul retro.
E a quel punto gli parve di sprofondare nella più assoluta malinconia. Quella era la sua calligrafia. E guardare quei tratti delicati, così famigliari, gli provocava un vuoto allo stomaco e un senso di nostalgia mai provati prima. 
Con le mani tremanti iniziò ad aprirla, il battito del cuore che gli rimbombava in gola.
“Io non credo che sia una buona idea aprirla ades-”
Ma Louis non lo ascoltava più. 
I suoi occhi erano immersi in quelle righe d’inchiostro nero impresse sul foglio.

Si sedette su una delle panche in fondo alla chiesa, prendendo un respiro profondo.

“Caro Louis,
mi dispiace di non poter essere lì. Credimi, avrei voluto tanto, ma quando leggerai queste righe probabilmente io sarò già su un volo diretto dall’altra parte del pianeta. 

Non conosco bene la ragione per cui sto scrivendo questa lettera. Forse per farti sapere che sono felice per te. Lo sono davvero. Nick sembra un bravo ragazzo, spero possa rendere giustizia alla tua bellezza, esteriore ed interiore, perché meriti qualcuno che ti ami incondizionatamente.
Sì, questo potrebbe essere un valido motivo, ma sento che non si tratta solo di questo.

In tutto questo tempo, non ho mai smesso di pensare a noi.
A me, a tutti gli errori che ho commesso e che probabilmente avrei continuato a fare, perché lo sai, sono un fottuto disastro; a te, e a tutto l’amore che avrei potuto darti, perché ne hai bisogno, te lo leggevo negli occhi. Spero che le cose non siano cambiate, spero che tu sia rimasto l’inguaribile romantico che eri e che sia in grado di far sorridere tuo marito allo stesso modo in cui facevi sorridere me. 

Mi dispiace che le cose siano andate in questo modo. 
Tutti i progetti, i piani per il futuro sono crollati sotto un infinito cumulo di tristezza e dolore. E vorrei che sapessi che non ti incolpo di nulla. Non ti incolpo di non avermi chiamato, di non esserti fatto vivo, di non sentire minimamente la mia mancanza; di non fidarti di me. Fai bene, sai? Neanche io mi fido più di me stesso.
Tutto ciò che ti avevo promesso e che non ho mantenuto, tutta la fiducia di cui ti avevo illuso sono ragioni più che buone per non fidarti più.
Ma voglio che tu sappia che tutto l’amore che ti ho giurato, quello non è mai andato via. Lo sento ogni volta che mi siedo sul divano nel quale abbiamo condiviso così tanti momenti, ogni notte prima di dormire, ogni giorno mentre pranzo sul tavolo in cui tu avevi inciso le nostre iniziali, proprio come due adolescenti alla prima cotta.
E forse è proprio questo che eravamo. 
Eravamo i primi.
I primi per entrambi.
Era questo a renderci così speciali. 
E spero che tu possa sentirti tale anche con lui. 
Perché lo sei.

Ti amo sopra ogni cosa,

Harry”


Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto fermare le lacrime che gli rigavano il viso.
Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto dire qualcosa che lo avrebbe fatto stare meglio.
Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto mettere fine al dolore che provava, un dolore che gli si irradiava nel petto e che gli rendeva difficile persino respirare.

“Louis”.
La voce bassa di Niall lo fece voltare.
“Nick è-”
“Non ce la faccio” lo interruppe. “Non ce la faccio”.
E forse fu ciò che gli lesse negli occhi, che fece annuire Niall senza proferire parole.
“Ci ho provato. Te lo giuro, Niall, ci ho provato con tutto me stesso” mormorò, l’immagine del ragazzo di fronte a sé sfuocata a causa delle lacrime che gli velavano gli occhi.
“Ma non ce l’ho fatta. Pensavo di averlo superato, di essermene fatto una ragione, ma non è così. E non c’è niente che possa fare, perché ho rovinato tutto e lui adesso sarà chissà dove, dall’altra parte del Paese o magari del mondo, e io non farò niente per impedirglielo perc-”
Louis intravide l’ombra di un sorriso sulle labbra del biondo e smise per un secondo di parlare. Non sapeva se sentirsi offeso o compatito da quella smorfia, ma il ragazzo sembrava avergli letto nel pensiero.
“É la prima volta che ti sento parlare così sinceramente” ammise.
E il castano scosse la testa, deluso, perché Niall aveva ragione.

Perché se lui avesse parlato chiaro fin dall’inizio, in quel momento ci sarebbe stato Harry ad aspettarlo sull’altare, invece di un uomo per il quale non era neanche sicuro di provare qualcosa.
Se quella sincerità fosse venuta prima alla luce, le cose sarebbero andate meglio.
Se lo spirito d’iniziativa di Louis fosse emerso prima, non si sarebbe ritrovato a correre fuori da una chiesa, con i presenti che lo guardavano esterrefatti e il fiato pesante.
Se si fosse reso conto di quanto il riccio gli mancasse, avrebbe fatto di tutto per fermarlo, per fermarsi, per riprendersi ciò che gli apparteneva.
Se lo avesse ammesso a sé stesso prima di quel momento, non avrebbe dovuto assistere al decollo di un aereo diretto a New York. 
Ma non tutte le cose sono destinate a concludersi bene.
Forse la loro storia era una di queste.
Forse erano talmente inseparabili da finire per rimanere inevitabilmente separati.
Forse l’amore non unisce sempre le persone.

Forse.

* “come up to meet you, tell you I’m sorry, you don’t know how lovely you are” - The Scientist, Coldplay.




So che mi state odiando in questo momento.
Non vi biasimo, giuro. Mi odio anch’io.
Innanzitutto, perché?
Perché tutto questo patimento?
Perché Harry è volato a Fanculandia e non ci ha dato spiegazioni?
Perché ‘sta grandissima t**** ha deciso di concludere così questa dannatissima storia?
Tante domande, nessuna risposta.
Come avrete notato questa one-shot… non è esattamente una one-shot. Il motivo per cui non ho suddiviso questa storia in più capitoli è che 1) sarebbero stati troppo corti e 2) sapevo che se avessi iniziato a dividerla avrei finito per postare un capitolo ogni due anni. E so quanto questa cosa sia snervante (tratto da esperienze personali).
Spero possiate perdonarmi per avervi fatto soffrire e avervi tenuti incollati al computer per una vita. 
Ora, se ci dovessero essere errori di grammatica e/o di battitura, incoerenza tra una parte e l’altra del racconto, o se ritenete che scriva come una bambina di quarta elementare, o se pensate “ma questa quand’è che va a coltivare patate” o qualunque altra cosa, potete farmelo presente in una recensione.
Spero che possiate avere apprezzato almeno un pochino (dai, fatemi contenta).

Val x
  
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