Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: FiammaBlu    14/06/2016    10 recensioni
Maya ha vinto la sfida con Ayumi Himekawa, aggiudicandosi la Dea Scarlatta e i diritti dell'opera. Ma proprio come accade nel dramma originale, un fuoco arde sotto le ceneri...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stage #11. Akoya e Isshin



Rei rigirava la cioccolata, ormai fredda, da dieci minuti buoni, lo sguardo fisso e vuoto davanti a sé, cercando di metabolizzare ciò che le aveva appena raccontato Maya. Sebbene in parte avesse confermato i sospetti che aveva sempre avuto, i segni sul volto e sul collo di ciò che era avvenuto due giorni prima erano una prova inconfutabile dell’aggressione della signora Hayami.

Il racconto era partito proprio da lì, da quando era rientrata nell’appartamento e aveva trovato Shiori Takamiya ad attenderla. Solo dopo Maya aveva rivelato il rapporto che la legava a Masumi Hayami. La sua mente stava incollando tutti i pezzi formando finalmente un puzzle con un senso. Quell’uomo doveva essere l’ammiratore delle rose scarlatte, non poteva essere nessun altro, sebbene neanche Maya conoscesse i motivi che l’avevano spinto ad agire in certi modi spaventosi. Lei aveva insistito che l’aveva fatto credendo di proteggerla, incluso sposare quella donna orribile.

L’amica non era scesa in particolari, ma il volto che le andava a fuoco era un chiaro segno di quanto il loro avvicinamento si fosse fatto intimo.

- Rei? - la interrogò Maya titubante, sapendo di averla sconvolta, dato che lo era lei stessa.

- Sì? Ci sono! - esclamò facendola ridacchiare - Quindi ora che farete? Vi sposerete e vivrete felici e contenti? - le chiese riscuotendosi dalle sue elucubrazioni.

Maya arrossì violentemente e scosse la testa.

- È sposato, Rei, non mi sono fatta illusioni sul futuro, ho ancora troppe cose a cui pensare, inoltre sono ancora incredula che tutto questo stia avvenendo proprio a me! - replicò ficcandosi le mani in grembo, imbarazzata.

- Chiederà il divorzio, nessuno potrebbe stare con una squilibrata come quella donna - borbottò Rei con espressione cattiva - E non dirmi che non vorresti sposarti! -

Maya la fissò con occhi spalancati, ancor più in soggezione.

- Ce-Certo che vorrei, ma… - abbassò lo sguardo e sospirò.

- Smettila di fare quella faccia, se ti ha promesso che sistemerà tutto, lo farà. Se c’è qualcosa che ho capito di quell’uomo, è che mantiene sempre le sue promesse - replicò Rei con convinzione.

Maya sussultò a quella frase, la stessa che lui gli aveva detto prima di “Lande dimenticate”. Già a quel tempo mi amava… venne per me, in quella tempesta, per vedermi recitare…

Rei fissò il foulard che le copriva i lividi sul collo. La Daito l’aveva dispensata dalle prove di “Madama Butterfly” per due settimane per darle il tempo di riprendersi. Masumi Hayami l’aveva ospitata nella sua villa per due giorni dopo l’incidente e quella sera sarebbe ritornata al suo appartamento. Non sembrava spaventata, quindi dedusse che in qualche modo aveva superato il trauma psicologico, sebbene quello fisico richiedesse più tempo.

- Hai detto qualcosa alla signora Tsukikage? - le chiese dopo qualche minuto di silenzio. Maya sollevò la testa di scatto e negò con vigore.

- No! Perché avrei dovuto? La signora non sta bene, si trova a Nara, le sarei solo d’impiccio se andassi a trovarla. Inoltre ho le prove per “Madama Butterfly” e subito dopo inizieranno quelle della “Dea Scarlatta”! - parlò rapidamente, infilando le scuse una dietro l’altra e arrossendo.

Rei ridacchiò realizzando che Maya era ancora terrorizzata dalla signora Tsukikage e magari voleva cominciare a risolvere da sola i propri problemi.

- Va bene, come vuoi tu - annuì con condiscendenza.

Era proprio curiosa di vedere cosa avrebbe fatto Masumi Hayami per risolvere quell’intricata situazione.



Il grigiore che gli aveva offuscato la mente per un tempo indefinito sembrò sollevare il suo sudario cupo lasciando filtrare qualche raggio di luce. Il primo rumore che sentì era un “bip” costante e fastidioso che gli perforava i timpani. Quando provò ad aprire gli occhi venne investito da una variegata gamma di dolori che andavano dal prurito ad una opprimente sensazione di schiacciamento al petto che gli impediva di respirare. Si rese conto di avere un tubo che gli scendeva in gola, la muscolatura sembrava ingessata e non rispondeva ai suoi comandi, e le palpebre si rifiutavano di separarsi per permettergli di vedere. Frenò un conato di vomito a causa del tubo che gli ostruiva la gola e si bloccò.

La sensazione di essere sepolto vivo lo congelò, togliendogli quel poco respiro che riusciva ad incamerare. Iniziò ad agitarsi, spaventato e confuso, gli occhi si aprirono e vide alla sua sinistra una donna addormentata, la testa appoggiata sulle proprie braccia ripiegate sul bordo del letto.

L’apparizione fu così improvvisa e incoerente con il suo stato che lo costrinse a calmarsi. Anche la macchina, che aveva aumentato i suoni sembrò placarsi. La fissò con occhi spalancati, domandandosi chi fosse e ricordando di averla già sognata. È la stessa donna che ho visto… i capelli lunghi e neri, il volto ovale e cesellato, la pelle bianca come alabastro… Si guardò intorno spaesato, riconoscendo l’arredamento sebbene non la stanza. Poi tornò immediatamente sulla bellissima sconosciuta. Sono a casa di Masumi… ma non ricordo…

Come se quel pensiero fosse stato una chiave nella toppa, la sua mente riversò una marea di immagini e ricordi, fino alla lama che gli entrava nel petto. Rimase a lungo, con gli occhi spalancati verso il soffitto, ricordando il corpo esanime di Maya fra le braccia di Masumi, la sua espressione vuota, quella folle di Shiori Takamiya e per ultimi quegli occhi scuri sconosciuti chini su di lui che credeva fossero un sogno.

Voltò lentamente la testa e fissò lo sguardo sulla donna. Deve essere sfinita per non aver sentito questa maledetta macchina che suona…

Spostò piano la mano più vicina a lei e le sfiorò il dorso. L’impatto con la pelle tiepida e liscia fece perdere un colpo al suo cuore e la macchina infernale prese a suonare come fosse posseduta. La donna spalancò gli occhi e si mise seduta di scatto interrompendo il tenue contatto che Karato aveva stabilito.

- Si è svegliato! - esclamò lei con espressione stupefatta e subito attenta, come se non si fosse svegliata in quell’istante. Si alzò e uscì dalla stanza quando lui avrebbe voluto fermarla e chiederle almeno il nome.

Pochi istanti dopo entrò una donna con un camice bianco, seguita da lei che si fermò poco prima del separé verde, rimanendo in disparte. L’infermiera controllò i parametri della macchina alla sua sinistra e tolse il tubo facendolo quasi vomitare, tutto con un ampio sorriso disegnato sulla faccia. Controllò la flebo e la farfalla che gli bucava il dorso della mano destra, poi preparò una siringa con un liquido trasparente. Tolse l’ago e la infilò in un’apertura circolare del connettore della flebo.

- Questo la aiuterà con il dolore - sussurrò e dall’espressione che fece, Karato dedusse che ne avrebbe provato molto.

- Si ricorda quello che le è accaduto? - chiese l’infermiera facendosi vicina.

Lui provò a parlare, ma non ci riuscì, così annuì.

- Non si spaventi, la voce uscirà fra qualche minuto - lo rassicurò con un sorriso - La lama è stata deviata da una costola e non ha perforato il polmone, ma si è fatta spazio fra muscoli e carne. Abbiamo suturato tutti gli strati perforati ed è stato necessario farle tre trasfusioni di sangue - lo informò parlando lentamente.

Karato probabilmente fece un’espressione interrogativa perché l’infermiera si affrettò ad aggiungere: - È stato il signor Masumi a fornirci il suo gruppo sanguigno -

Lui chiuse gli occhi e sorrise. I suoi dubbi non avevano senso. Era naturale che tutto quello fosse opera sua. E ora, oltre che in debito con Eisuke Hayami per aver aiutato suo padre, lo sarebbe stato con il figlio…

- Grazie - gracchiò con enorme sforzo.

- Lei è un uomo forte, si conceda il tempo per riprendersi - gli consigliò stringendo appena la sua mano. Fece un lieve inchino e uscì, sorridendo alla donna dai capelli lunghi.

Mizuki aveva osservato la scena con apprensione, rasserenandosi sempre più ad ogni movimento sicuro dell’infermiera. Gli aveva tolto il tubo che lo faceva respirare e iniettato qualcosa nella flebo, probabilmente un antidolorifico. Il volto dell’uomo disteso di cui conosceva solo il nome era terreo e la mano sinistra, le cui dita l’avevano toccata poco prima che riprendesse completamente conoscenza, era serrata a pugno. Si passò la mano sopra il dorso dove aveva ricevuto una piccola scossa, forse dovuta al tessuto lanoso che lo copriva.

Rimase immobile ancora qualche istante, finché lui si voltò verso di lei con sguardo interrogativo. Si avvicinò e si inchinò rispettosamente, poi si sedette sulla sedia dove era stata negli ultimi due giorni. Il signor Masumi l’aveva dispensata dai sui compiti di segretaria, senza permetterle alcuna rimostranza. Le aveva detto che alla Daito non ci sarebbe stato bisogno di lei in quei giorni e che preferiva essere lasciato da solo per ciò che aveva da fare. L’aveva mollata lì con quelle parole sibilline e se ne era andato.

- Buongiorno, io sono Mizuki Saeko, la segretaria del signor Masumi - si presentò, dato che probabilmente lui non aveva idea di chi fosse.

Hijiri la fissò a lungo e lei abbassò lo sguardo sotto quell’esame minuzioso e intenso.

- Grazie - disse e quella seconda volta gli uscì meglio. Quando si schiarì la gola, lei versò dell’acqua e gli porse il bicchiere.

- Io non ho fatto niente - riferì Saeko ricordando la garza premuta sul suo petto insanguinato.

- È stata qui - gracchiò Karato bevendo piano.

Lei annuì e arrossì appena. Quel tocco di colore la rese ancora più bella e la ringiovanì dandole l’aria di una ragazzina, sebbene dovesse avere sicuramente qualche anno più di lui.

- Come sta Maya? - le domandò tremando in attesa della risposta. Non aveva avuto il coraggio di chiedere se era morta, sperava con tutto se stesso che fosse viva.

- Sta bene - lo rassicurò la segretaria con un sorriso e lui sentì un peso enorme sollevarsi dal suo petto.

- Quanto tempo…? - mormorò appoggiando la testa sul cuscino per avere una migliore visuale della sua figura.

- Due giorni - rispose prontamente Mizuki tornando a guardarlo. Rimasero a fissarsi alcuni istanti e quando quello scambio divenne troppo evidente, lei lo distolse. Hijiri sorrise, felice di non esserle indifferente.

- Sono morto? - le domandò con un filo di voce e quando lei sollevò gli occhi dilatati seppe la verità.

- Sì, per qualche minuto - annuì Saeko ricordando quegli attimi concitati - Il signor Masumi è riuscito a far venire qui un gruppo di medici, non ha voluto che lei fosse portato in ospedale - gli riferì senza riuscire a celare una nota inquieta nella voce.

Hijiri mosse la testa due volte in segno affermativo e chiuse gli occhi. Ha fatto anche questo per me…

- Mi dispiace che sia stata trascinata in questa vicenda… - mormorò stancamente, interrompendosi quando la voce gli venne meno.

- Non deve preoccuparsi di questo - lo rassicurò Mizuki - Mi ha fatto piacere aiutare l’amico del signor Masumi - ammise arrossendo al ricordo del momento in cui aveva aiutato i paramedici a spogliarlo dopo la rianimazione.

Karato si domandò per quale motivo fosse così imbarazzata, poi venne folgorato dal ricordo in cui mani gentili gli toglievano i vestiti imbrattati di sangue.

- È stata lei a… - le chiese fissandola sconcertato.

- Sì, le chiedo scusa - confermò Mizuki abbassando lo sguardo e avvampando. I capelli le ricaddero in avanti come un velo, celando il suo volto agli occhi attenti di lui.

Hijiri arrossì e spostò lo sguardo sul soffitto.

- Suppongo che in questi casi sia inevitabile - mormorò minimizzando la situazione.

Mizuki rimase in silenzio, imbarazzata e tesa.

- Grazie per essersi presa cura di me - ripeté sperando di vedere ancora una volta il suo sorriso e lei lo accontentò. Saeko lo guardò e distese le labbra in un delicato sorriso, gentile e dolce.

- Sono qui per aiutarla, non esiti a dirmi ciò di cui ha bisogno - si propose seriamente la segretaria posando le dita affusolate sulle sue. Fece per alzarsi, ma lui la trattenne.

- La prego, non se ne vada, resti qui con me - sussurrò con espressione malinconica. Essere un uomo ombra, ignoto alla società civile, poteva avere i suoi vantaggi, ma ti obbligava ad un’assoluta solitudine.

Mizuki si bloccò, tremando a quel contatto così serrato, persa in quegli occhi grigi, densi di una pacata tristezza.

Si sedette nuovamente, annuendo alla sua richiesta, senza rendersi conto che le loro mani erano rimaste una allacciata all’altra.



Quei due giorni erano stati talmente pieni da non consentirgli addirittura di mangiare. Si era reso conto che parte del problema era l’assenza di Mizuki, ma per niente al mondo l’avrebbe cacciata dal capezzale di Hijiri. Se c’era qualcuno capace di ritirarlo in piedi, era lei.

Non riusciva a credere di aver posto le basi di tutte quelle azioni che gli avrebbero permesso di stare con lei. Era talmente elettrizzato dalla faccia che avrebbe fatto suo padre, che non vedeva l’ora di spiattellargli in faccia la decisione che aveva preso e messo in movimento. Sarebbe occorso del tempo, mesi, ma non era più disposto a soccombere agli eventi né a permettere che qualcun altro potesse fare del male a Maya.

L’avrebbe rassicurata e le avrebbe detto tutto il necessario perché potesse affrontare in serenità “Madama Butterfly” e, subito dopo, il nuovo allestimento della “Dea Scarlatta” che stava progettando con Kuronuma.

Parcheggiò nel box della casa di suo padre e, anche se era certo che non avrebbe trovato Maya come nei due giorni precedenti, non lasciò che la malinconia offuscasse i traguardi che aveva raggiunto. Nonostante fossero mesi che non abitava più lì, si trovò a rifare gli stessi gesti che avevano accompagnato ogni sera il suo rientro a casa. Lasciò il soprabito nel comodo guardaroba, indossò le ciabatte morbide, appoggiò le chiavi nello svuota tasche e portò la valigetta con sé nello studio.

Quando entrò si bloccò sulla porta. Eisuke Hayami era in piedi davanti alla porta finestra, appoggiato al bastone. La sua sedia a rotelle si trovava poco distante, pronta all’occorrenza.

- Padre - lo salutò chiudendo l’anta. Per tutto il viaggio di ritorno aveva riflettuto su come si sarebbe svolto il loro confronto l’indomani, ma il destino aveva accorciato i tempi.

- Dov’è la ragazzina? - lo interrogò senza voltarsi. Masumi s’immobilizzò, posando lentamente la valigetta sopra la scrivania.

- Intendi Maya Kitajima? L’attrice più proficua sotto contratto alla Daito che è stata quasi strangolata dalla donna che mi hai fatto sposare? - sibilò senza nascondere la sua rabbia.

Eisuke si voltò all’udire quel tono sarcastico.

- Tutto quello che è successo è a causa della tua sconsideratezza! - replicò infuriato picchiando con la punta del bastone a terra.

Masumi fu sul punto di ribattere la prima cosa che gli era venuta in mente, ma per fortuna non aveva perduto tutto il suo buonsenso. Avrebbe avuto la sua più grossa rivincita fra qualche settimana, attaccare ora suo padre era solo una perdita di tempo. Inoltre ciò che gli aveva appena detto era vero: si sentiva responsabile e per quel motivo si era isolato per due giorni, cercando di sistemare le cose.

Eisuke lo vide combattuto, ma quando rilassò le spalle seppe che Masumi aveva ceduto ancora una volta di fronte all’evidenza. Gli era piombato in casa in piena notte con il figlio di Hijiri quasi morto e quella ragazza priva di conoscenza! Dopo essersi assicurato che lei fosse al sicuro, era andato in ufficio dove aveva preparato un comunicato stampa che era stato battuto l’indomani mattina. Era tornato quasi all’alba e si era chiuso in quella stanza con lei. Tecnicamente aveva gestito la situazione in modo impeccabile, ma aveva visto il suo sguardo quando era entrato in casa con quella ragazza in braccio: assorto e concentrato su quel volto cinereo.

- Maya Kitajima è tornata a casa - lo informò dandogli le spalle e svuotando la valigetta dai documenti.

- Perché? - lo interrogò freddamente Eisuke.

Masumi sollevò lo sguardo fermando le mani che frugavano fra i documenti e lo fissò perplesso. Era una strana domanda, ma decise di rispondergli sinceramente.

- È stato già arduo tenerla qui due giorni, sai meglio di me quanto siano maligni i giornalisti… -

- Avresti dovuto consultarmi! - replicò piccato - So bene come zittire i giornalisti! - aggiunse con sguardo ardente. Masumi sollevò un sopracciglio interdetto e appoggiò i documenti sulla scrivania.

- Consultarti? Ero convinto che allontanare lei fosse la cosa migliore che avessi fatto in questa situazione! - replicò ridacchiando sull’ironia della sorte. Padre… cosa stai architettando?

- Invece hai sbagliato! - ribatté l’anziano Presidente, girandosi verso il giardino.

Masumi rimase in silenzio senza sapere cosa aggiungere. Non riusciva a comprendere l’atteggiamento di suo padre né perché fosse così irritato. Allora forse non è il momento per rivelargli quanto ho fatto…

- Avresti dovuto avvisarmi… - sussurrò fra sé appoggiandosi al bastone ben puntato in mezzo ai piedi.

Il figlio, ancora più interdetto, lo raggiunse, affiancandosi a lui. L’anziano padre fissava il giardino buio all’esterno, il volto appariva rilassato, completamente diverso da come gli si era mostrato solo qualche attimo prima. Padre… a cosa stai pensando?

- L’avrei fatto se avessi saputo che ti interessava - mormorò con tono addolcito.

- Non mi interessa! - ringhiò duramente girandosi di scatto verso di lui. Masumi lo fissò immobile, incerto su come reagire di fronte ad un atteggiamento così volubile. Suo padre era sempre stato un uomo compassato e trattenuto, raramente l’aveva visto dare in escandescenze tanto meno fare discorsi sconclusionati come quello.

Eisuke tornò a guardare il suo giardino. Non aveva incontrato volutamente Maya Kitajima di persona quando se ne era andata, non voleva essere riconosciuto. Poteva solo immaginare cosa avrebbe detto se avesse scoperto chi era quel vecchietto che aveva incontrato diverse volte in passato. Ridacchiò fra sé e non vide l’espressione sconcertata di Masumi che lo fissava senza parole.

- Come sta? - domandò invece senza guardarlo.

- Non lo so - rispose Masumi aggrottando la fronte.

- Chiamala! - ribatté il padre secco.

- Chiamarla? Ma io non… - iniziò Masumi disorientato da quel comportamento anomalo.

- È impossibile che il Presidente di un’azienda di spettacolo non abbia il numero per contattare una delle sue attrici! - replicò Eisuke girandosi glaciale verso di lui.

Masumi sbuffò e prese il cellulare soppesandolo in mano un paio di volte, poi strisciò lo schermo e lo attivò. Maya non rispondeva praticamente mai, era come se non ce l’avesse il telefono, nonostante la Daito gliene avesse fornito uno appena avevano firmato il contratto e, se non ricordava male, anche un secondo, ma li aveva perduti entrambi. Forse col terzo sarebbe andata diversamente.

- Metti il viva voce - gli intimò il padre fissandolo con sguardo imperscrutabile.

Maya avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, la sua spontaneità era un’arma a doppio taglio. Masumi valutò l’idea di negargli quella richiesta, ma suo padre si stava comportando in modo strano e decise di fidarsi dell’eterno senso di inadeguatezza di Maya.

Lo squillo del telefono risuonò tre volte e proprio quando Masumi stava per chiudere la telefonata, lei rispose. Eisuke parve illuminarsi e lui si chiese cosa stesse accadendo.

- Sono Maya Kitajima - rispose la sua voce squillante, viziata da un tono roco sul finire, segno che la sua gola era ancora arrossata.

- Sono Masumi Hayami - disse lui sentendosi davvero strano nell’iniziare quella conversazione davanti a suo padre che ascoltava ogni cosa.

- Signor Hayami! - esclamò la vocetta dall’altra parte e Masumi sperò che non dicesse qualcosa di inappropriato. Si ritrovò a sorridere ignorando lo sguardo penetrante di suo padre.

- Scusami per l’ora. Volevo sapere come stai? Sei tornata a casa? - si informò mantenendo un tono neutro.

- Sissignore, signor Presidente! - gridò facendoli sorridere - L’attrice Maya Kitajima è al sicuro di nuovo fra le quattro mura di casa! - alcuni colpi di tosse seguirono quell’ultima frase e Masumi vide suo padre corrugare la fronte.

- Hai tenuto il collo coperto e preso le medicine? - le chiese ancora lasciandosi trascinare dal suo entusiasmo senza rendersi conto che quella domanda poteva essere molto personale.

- Confermo, Presidente Hayami! - rispose ancora Maya come un soldato davanti al suo Generale - Nessuno ha visto i lividi e sto già molto meglio, invece di due settimane, lunedì potrei già essere pronta per “Madama Butterfly”! -

- Due settimane - ribadì glaciale Masumi dimenticandosi per un attimo la presenza del padre. Con Maya era un tira e molla costante. Aveva idee tutte sue su come dovessero andare le cose e non dava mai ascolto a nessuno.

Dall’altra parte ci fu silenzio, poi un tonfo e un borbottio irritato. Eisuke ridacchiò e Masumi lo guardò interdetto.

- Sc-Scusi, signor Hayami, mi è… mi è caduta una cosa - balbettò probabilmente imbarazzata - Sì, d’accordo, due settimane - acconsentì sebbene il tono non fosse quello di una persona che si era arresa.

- Riposati e non pensare allo spettacolo - le disse sapendo bene che il copione era già lì accanto a lei.

- Signor Hayami? - lo chiamò con urgenza, come se avesse timore che la telefonata si interrompesse.

- Sì? - Masumi avvertì un brivido freddo lungo la schiena, in attesa delle sue prossime parole.

- Grazie per essersi preso cura di me - la voce arrivò sommessa, pacata e piena di dolcezza. Masumi fissava il telefono e sentì un calore soffuso diffondersi sul suo volto.

- Sono felice di averti potuto aiutare - e lo era ancor di più che non fosse accaduto niente di irreparabile - Buonanotte - aggiunse sperando di chiudere la telefonata.

- E io sono felice che sia stato lei - sussurrò Maya - Buonanotte - e chiuse la comunicazione.

Masumi fissò il cellulare rendendosi conto che una sola frase aveva acceso il suo cuore e gli aveva fatto immaginare esattamente ogni sua espressione, come se fosse lì davanti a lui. Sorrise allo schermo, completamente dimentico di suo padre.

- Masumi, sei arrossito? - la domanda lo riscosse così all’improvviso da farlo sussultare ed Eisuke lo fissò compiaciuto.

- No - replicò seccamente - Ho solo caldo - aggiunse posando il cellulare sul tavolo e togliendosi la giacca. Suo padre non insisté su quella strada, probabilmente contento di ciò che aveva visto, e lui ebbe il tempo di versarsi da bere.

- Allora, sei soddisfatto ora? Maya Kitajima è a casa e sta bene - esordì dopo qualche minuto di silenzio. Non giunse risposta, così si girò e lo trovò assorto, con lo sguardo sempre verso l’esterno. Lo raggiunse e scrutò il suo volto in tralice, cercando di non farsi notare.

La quiete si prolungò, mentre Masumi finiva lentamente il suo liquore.

- Stai facendo tutto ciò che è in tuo potere per tenerla con te, vero Masumi? - disse Eisuke infrangendo il silenzio.

Il figlio lo fissò con gli occhi spalancati e il cuore che batteva all’impazzata. Sa ogni cosa o la sua è solo immaginazione?

- Se lei è la tua Dea Scarlatta, non commettere il mio stesso errore - proferì voltandosi e catturando il suo sguardo.

Masumi rimase scioccato da ciò che vide nei suoi occhi: rabbia, rassegnazione, sofferenza. Ogni fibra dell’uomo davanti a lui tremava e sembrava a stento trattenere i propri sentimenti. Non era certo che sarebbe stato in grado di affrontare suo padre in quel momento. Era sicuro di non conoscere quel lato del suo carattere né di averlo mai visto.

Non ebbe il coraggio di rispondergli, non sapeva a cosa si riferisse esattamente e se gli avesse confessato ogni cosa per scoprire che stava parlando dei diritti dell’opera, non se lo sarebbe mai perdonato.

- Fai bene a non esporti - concluse Eisuke raggiungendo la sedia a rotelle - Potresti accompagnarmi in camera, per favore? -

Masumi appoggiò il bicchiere vuoto sulla scrivania e, sconvolto da quell’ultima discussione, accompagnò suo padre.



Nei mesi seguenti all’aggressione, Maya fu totalmente fagocitata dal teatro. Lo spettacolo di “Madama Butterfly” riscosse talmente tanto successo da costringere la Daito ad affittare altri teatri dove eseguire le repliche, dato che nei loro erano già in cartello altre rappresentazioni. Il regista Ito era al settimo cielo e Kinji aveva guadagnato uno stuolo di ammiratrici.

Maya, oltre alle repliche di quello spettacolo, partecipò alle prove del nuovo allestimento della “Dea Scarlatta”. Nonostante gli impegni fossero notevoli, non si perse d’animo e mise il consueto entusiasmo in ogni incombenza.

Non aveva più incontrato Shiori Takamiya e i giornali, dopo il comunicato stampa che il signor Hayami aveva rilasciato, sembravano non interessarsi più a lei o alla Daito Art. Quando aveva ascoltato quel comunicato, si era resa conto che doveva per forza averlo preparato la notte in cui era stata aggredita, eppure all’alba, quando aveva aperto gli occhi, lui era lì, sul letto, accanto a lei, che dormiva. Si era domandata spesso quale energia muovesse quell’uomo instancabile che riusciva, nonostante tutto, a vivere una doppia vita: una davanti ai riflettori, una davanti a lei.

Perché Masumi Hayami non aveva smesso di essere il suo ammiratore. Non c’erano state rose scarlatte, ma c’erano quelle che erano fiorite nei loro cuori. Maya non si era neanche accorta del passare del tempo, assorbita dalle sue interpretazioni, dalle conferenze stampa, dalla pubblicità che doveva registrare, dalle prove, ma da quel giorno nefasto erano trascorsi otto mesi.

Kuronuma non si era smentito e, stimolato anche dal signor Hayami stesso, era riuscito a mettere in scena una nuova “Dea Scarlatta”, rinnovandola proprio come aveva fatto con “Lande dimenticate”. All’inizio il cast era stato scettico, tutti tranne Maya, che invece aveva battuto le mani entusiasta, comprendendo immediatamente il disegno del geniale regista. La sua Akoya era apparsa subito più profonda e si era allineata senza problemi alla nuova impostazione del dramma. Erano occorsi mesi di prove estenuanti perché Kuronuma fosse soddisfatto e il nervosismo aveva spesso causato litigi e pianti disperati, ma alla fine gli incassi e il pubblico avevano dato ragione a lui e al signor Hayami, che non aveva esitato a scommettere sul regista eccentrico.

La signora Tsukikage aveva assistito alla visione della valle dei susini voluta da Kuronuma e ne era rimasta talmente colpita da restare seduta al suo posto per oltre un’ora. Poi aveva voluto parlare con Maya.

Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo della signora: era limpido, brillante e gridava “soddisfazione”. Aveva pianto a lungo sulle sue ginocchia mentre la sua mano, che in passato l’aveva schiaffeggiata, le lisciava i capelli come una madre fa con la propria figlia. La “Dea Scarlatta” del suo Ichiren era andata oltre la sua stessa immaginazione e tutto ciò era potuto avvenire grazie alla profonda introspezione effettuata dal regista e dalla prima attrice.

Maya non era riuscita a spiccicare parola sotto gli elogi della signora che l’aveva definita un’attrice a tutti gli effetti. Quelle parole, più di ogni altra, più di qualsiasi compenso o riconoscimento, le avevano riempito l’anima di orgoglio e commozione.

Avvolta da quei ricordi bellissimi, posò lo sguardo sull’elegante statuetta dorata del premio come “Migliore attrice protagonista” che aveva appena vinto.

- Beh… anche i premi fanno stare bene! - mormorò convinta, arrossendo e cacciando fuori la lingua.

La cucina era in ordine, il bagno pulito, la camera sistemata: poteva prepararsi e uscire con Rei per fare shopping come si erano promesse. Si tolse il grembiule, attraversò il corridoio e raggiunse la camera. Anche se era stata aggredita proprio lì, non aveva mai avuto incubi in quella casa, non aveva mai ricordato l’evento né aveva avuto brutte sensazioni passando in quel corridoio. Quando era rientrata dopo due giorni, aveva trovato tutto perfettamente in ordine, era stato appeso al muro perfino lo stesso specchio che era andato in frantumi. Ricordava solo l’alterco iniziale con Shiori Takamiya, poi le cose erano diventate confuse. Ormai era un evento lontano nel tempo, ma a volte le tornava alla memoria quel periodo oscuro.

Si lavò rapidamente, indossò l’accappatoio e pettinò i capelli bagnati. Prese l’asciugacapelli e diresse il getto caldo sulla testa, continuando a pettinarli e sperando di dargli una forma decente. Il campanello suonò e lo sentì solo per caso, perché aveva spento per un attimo il phon.

Si guardò allo specchio corrugando la fronte, ma decise di guardare dallo spioncino: avrebbe sempre potuto far finta di non essere in casa. Nonostante fosse sola, si mosse come se dovesse nascondersi nelle ombre, quatta quatta aderente al muro. Guardò dentro lo spioncino e raggelò. Santo cielo! Non può vedermi in queste condizioni! Con un’occhiata valutò di essere indecente, però se si era presentato lì e aveva suonato significava che era accaduto qualcosa.

Arrossendo dalla testa ai piedi, deglutì e si decise ad aprire. Rimase nascosta quasi completamente dietro la porta e sporse solo la testa arruffata.

- B-Buongiorno… - balbettò - Perché è… - ma non riuscì a finire la frase, che si trovò con la parete alle spalle e le labbra di lui sulle sue. Lo stupore e l’imbarazzo iniziale vennero sostituiti da un calore dilagante quando il suo bacio divenne esigente e profondo, tanto da farle tremare le gambe. La teneva stretta per le spalle e non aveva alcuna possibilità di muoversi, sebbene non fosse nelle sue immediate necessità.

Il cuore le schizzò fuori dal petto quando la sua mano discese a cercare il suo corpo, calda, avida, quasi disperata. Maya assecondò quel desiderio ardente e, anche se non ne comprendeva il motivo, si lasciò trascinare in quell’oblio, afferrando la camicia e tirandolo verso di sé. L’accappatoio si sciolse in quei movimenti ciechi e spasmodici e lei si ritrovò attaccata ai suoi abiti, con le sue mani che cercavano la sua pelle, toccavano ogni cosa, strisciavano, a volte rudi, a volte dolci.

Neanche per un istante Masumi lasciò la sua bocca, non ne aveva alcuna intenzione né in quel momento né per i prossimi. La pelle era liscia, calda e profumata, tutte caratteristiche che gli facevano perdere la testa. Non gli interessava più mantenere il controllo, non ce ne era più bisogno. Era sua, solo ed esclusivamente sua, e nessuno gliel’avrebbe mai più portata via. L’attirò a sé, schiacciandola contro il suo corpo e soffocando con la bocca la sua flebile lamentela.

Anche lei partecipava con lo stesso ardore, non era spaventata né aveva provato ad allontanarlo. Il desiderio bruciava in entrambi che da troppo tempo non condividevano un po’ di tempo insieme. Masumi lasciò scivolare le mani sulle natiche tonde e lei s’inarcò emettendo un lieve mugolio.

Maya si sentiva travolta da una tempesta bruciante, non si era mai presentato a casa sua in quel modo, aveva le chiavi dell’appartamento, lo sapeva, ma non le aveva mai usate. Riuscì in qualche modo a sbottonare la sua camicia e a strisciare le dita sul petto ampio e caldo rabbrividendo al contatto, la mente occupata e sommersa di baci e mani che la toccavano ovunque.

Quando le piccole dita esplorarono il suo torace, Masumi l’afferrò per la vita e la tirò su sorridendo al suo gridolino di sorpresa. In pochi passi veloci raggiunse la camera e incurante della confusione la distese sul letto riprendendo ciò che aveva interrotto.

Maya stava per dire qualcosa, ma trovò di nuovo le sue labbra. Aveva risvegliato ogni centimetro di pelle, ogni anfratto, ogni piega e tutti i suoi nervi erano ricettivi e tesi. Ogni sua carezza era un brivido profondo, il bacio con cui la teneva inchiodata sul cuscino le comunicava chi avrebbe dominato in quella partita. L’idea imbarazzante che fosse nuda, indifesa, spettinata, venne spazzata via dal desiderio crescente. Si aggrappò al suo collo, traendo una piacevole sicurezza dal peso sopra di sé, e affondò le mani nei suoi capelli.

Non aveva idea che l’unione potesse essere anche così travolgente, senza parole, senza sguardi, solo contatto fisico, ma la sua anima gridava di gioia che fosse proprio lui a farle provare quelle sensazioni estreme. Chissà se si rendeva di ciò che le provocava, se sapeva quanto le sue mani infiammassero i suoi sensi, quanto i suoi baci esigenti le facessero perdere la ragione, quanto il suo corpo la rendesse felice.

Lo sai… quanto sono felice quando ti tocco… Tu sei l’altra parte di me, io sono l’altra parte di te…

Le parole di Akoya irruppero ben chiare nella sua mente e seppe che Ichiren Ozaki aveva ragione. L’anima gemella era in grado di riformare quell’unico spirito da cui erano nati entrambi, riunendosi alla sua metà.

Masumi si teneva appoggiato ad una mano e con l’altra stava rischiando seriamente di farle perdere il contatto con la realtà. Scattò per fermarlo, togliendo quelle dita dal suo centro e sorrise quando lo sentì ridacchiare sulle sue labbra umide. Credeva che le avrebbe concesso un po’ di respiro, invece la cercò di nuovo, unendo ancora le labbra alle sue.

Maya spostò le mani sulla cintura di pelle dei suoi pantaloni e una parte molto lontana della sua mente le ricordò che avrebbe dovuto domandarsi perché stava accadendo tutto ciò, ma liquidò quel pensiero inutile appena le sue dita lo toccarono. Ci furono quattro secondi in cui il tempo parve fermarsi. Erano immobili, aprirono gli occhi allacciando immediatamente lo sguardo.

Masumi dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non impossessarsi immediatamente di lei. Aveva le guance squisitamente arrossate, le labbra umide e irritate dai suoi baci, il respiro affannato che usciva rapido e gli occhi languidi e brillanti. Maya vide la sua espressione rapita, quelle iridi blu come un mare in tempesta accese di desiderio e ci si tuffò dentro facendo esplodere il proprio cuore in mille frammenti.



Era avvolta completamente dal suo profumo. Si stirò sonnacchiosa e osservò l’uomo disteso accanto a lei, girato su un fianco. Teneva gli occhi chiusi, forse dormiva, ma non ne era sicura. Il petto, semi coperto dalla camicia che non aveva neanche fatto in tempo a togliersi, si alzava e abbassava a ritmo regolare. Un braccio era piegato sotto la testa e l’altro adagiato sulla vita e sull’addome. Il lenzuolo copriva il resto e si trovò ad arrossire ripensando al tempo che avevano passato insieme e al modo un po’ rude in cui era avvenuto. Un brivido la scosse da capo a piedi, chiuse gli occhi crogiolandosi nel ricordo eccitante e quando li riaprì si trovò ad affogare di nuovo nei suoi, stavolta più calmi e pacifici, azzurri come zaffiri.

Lui sorrise e Maya trattenne il fiato per l’emozione. Avrebbe dovuto sorridermi più spesso, signor Hayami…

Allungò il braccio libero e l’attirò a sé con un unico movimento. Lei gli si accostò arrossendo e si trovò vicinissima al suo volto rilassato. C’era qualcosa di strano nei suoi occhi, una luce argentata e viva che aveva notato per un fugace momento anche quando l’aveva spinta contro il muro ed era entrato.

Masumi fissò quel volto che popolava i suoi sogni. Era arrossita di nuovo e avrebbe fatto in modo che si imbarazzasse così per il resto della loro vita. Quella mattina, l’ultimo tassello della trama che aveva ordito otto mesi prima, subito dopo l’aggressione di Shiori, aveva trovato la sua giusta e agognata conclusione. Si era ripromesso di dire ogni cosa a Maya infinite volte, ma qualcosa li aveva sempre interrotti: prove, registrazioni, conferenze stampa. Ogni volta che si erano incontrati aveva bramato di poterla stringere a sé ed era certo di aver visto anche in lei la stessa necessità, ma Maya sembrava serena e concentrata, e non se l’era sentita di farla preoccupare per niente. Nonostante avesse le chiavi del suo appartamento, non aveva mai ceduto alla tentazione di raggiungerla lì, ma quella mattina non era riuscito ad attendere.

Grazie alle prove raccolte da Hijiri prima di quella notte orribile, era riuscito ad affrontare suo padre e l’Imperatore Takamiya. Il gruppo Takatsu affondava in acque torbide e lui non aveva alcuna intenzione di essere trascinato in quel gorgo insieme alla Daito Art e alle sostanze di suo padre. Stranamente, Eisuke Hayami era rimasto in silenzio e non aveva difeso a spada tratta l’amico con il quale aveva un grande debito. Così aveva fatto la cosa che sapeva fare meglio: aveva smembrato la Takatsu, tenendo solo le parti solide e sane, e venduto o smantellato il resto, marcio e corrotto.

Alla fine, Takamiya l’aveva anche ringraziato e lui, per la prima volta, era stato ben felice di saldare il debito di suo padre con quell’uomo. Eisuke Hayami aveva rinunciato alla guida della Daito a suo favore ed essendone il nuovo proprietario aveva potuto apportare delle modifiche sostanziali sia al Consiglio di Amministrazione che al regolamento interno. Non era mai riuscito a capire come suo padre avesse potuto rinunciare ai diritti che tanto aveva bramato, ma era sicuro che in qualche modo c’entrasse Maya.

Erano occorsi più di quattro mesi per convincere tutti, ma alla fine ce l’aveva fatta. Il suo primo atto era stato stracciare il contratto con Maya e redigerne uno nuovo. I fogli immacolati giacevano nella sua valigetta in auto in attesa della firma di lei in calce in cui non venivano nominati i diritti della “Dea Scarlatta” e veniva indicato un periodo di cinque anni sotto la Daito Art Production. In quella data futura avrebbero discusso di un ulteriore prolungamento, ma i diritti sarebbero rimasti a lei per sempre.

Ora era sicuro che niente avrebbe potuto separarlo dalla sua anima gemella e si sarebbe personalmente occupato di chiunque avesse messo in dubbio l’onestà del loro rapporto professionale.

Maya sospirò, persa in quei magnetici occhi azzurri. C’era indubbiamente qualcosa di diverso in lui, una consapevolezza che era stata assente in quei mesi concitati, che avevano visto lei impegnata costantemente in teatro e lui con la Daito e i problemi con la moglie. Il suo cuore si strinse a quel pensiero, ma scacciò immediatamente i dubbi, cosciente che lui avrebbe fatto tutto il necessario.

In quel lungo scambio di sguardi silenziosi, l’atmosfera intorno a loro divenne soffice e ovattata, come fossero dentro una nuvola bianco latte. Maya vide la sua espressione cambiare e corrugò appena la fronte, sospettando che stesse per accadere qualcosa. Il cuore prese a batterle freneticamente senza un motivo valido.

Masumi si trovava ad punto cruciale della sua vita, una fase a cui per niente al mondo avrebbe rinunciato. Inspirò un po’ e la vide trasalire. Lui stesso sentiva un’elettricità inebriante solcargli la schiena, era una sensazione di grande potere, di attesa, di libertà.

- Maya, vuoi sposarmi? - le chiese concentrando in quell’unica frase tutti i suoi sentimenti e sentendo il sangue affluire alle guance. Quella mattina il tribunale aveva sciolto definitivamente il legame con Shiori Takamiya e finalmente avrebbe potuto proseguire per la sua strada.

Maya spalancò gradualmente gli occhi via via che quelle parole si facevano strada nella sua mente. Immediatamente dopo di esse, rievocò i momenti appena trascorsi, la sua dolce aggressione quando era entrato, l’assenza di parole nella loro unione in cui avevano dato completo spazio alle loro sensazioni, il finale senso di appagamento che aveva saziato il loro desiderio. Allora… significa che… che non è più sposato!

Il suo petto venne investito da un calore bruciante e non ci fu più spazio per i pensieri. Aveva raggiunto un’altra fase della sua vita, una di quelle che ti convince di quanto valga la pena di essere vissuta, qualunque siano gli ostacoli.

- Sì, Masumi - rispose con voce chiara e sicura, avvicinando le labbra alle sue.



FINE.


   
 
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