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Autore: Elsa Maria    14/06/2016    2 recensioni
“È una richiesta particolare la tua…”
“Non te la senti?”
“Affatto, anzi sono onorato per la fiducia.”
[...]
Cosa doveva emergere? Quale pensiero? Il cuore. Le arterie, pulsanti, che come rami di un albero nascevano e si espandevano su ogni centimetro di pelle. Con forza questi rami si reggevano al corpo, alle ossa, alla loro fonte d'energia. Tony era energia, era il centro, era il reattore che prima gli brillava in petto. Lo era sempre stato, incosciente di esserlo.
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Oneshot Stony, scritta senza pretese.
Buona lettura!
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riflesso nello specchio


Non gli piaceva il suo riflesso. Vedersi nello specchio era una specie di tortura, non si sentiva lui, era un altro, una sorta di ritratto di Dorian Grey.
 
“È una richiesta particolare la tua…”
“Non te la senti?”
“Affatto, anzi sono onorato per la fiducia.”
 
Voleva piacersi per una volta, guardare quella cicatrice come un vanto, la prova dell’esistenza del suo cuore e del fatto che fosse uscito vincitore da molte avversità avendo salvato la maggior parte delle persone a lui vicino. Avvicinò il viso a quello dello sconosciuto oltre il vetro, entrambi girarono la testa a destra e si accarezzarono la barba poco curata che copriva la mascella; doveva proprio sistemarla. Sperava vivamente che quella sorta di esperimento funzionasse. L’idea gli era venuta riverniciando lo scudo del suo compagno che in battaglia si erano graffiato, e con l’idea aveva trovato anche la persona a cui farla attuare. 
“Se continuerai a guardarti a quel modo finirai per consumarti.” Colui a cui stava pensando si palesò accanto lo stipite della porta. Raramente sentiva del sarcasmo uscire dalle sue labbra e ogni volta gli strappava un sorriso.
“Nell’attesa mi intrattenevo con una persona molto affascinante.” E fece l’occhialino a quello nello specchio con il suo stesso viso.
“Dovresti spogliarti.” Lo avvertì l’altro, mentre posava sul letto la busta di carta con dentro il necessario per l’esperimento.
“Dillo in maniera più seducente, Steve, ti prego.” Ma la risposta alla supplica non fu che un’occhiata sconsolata che lo incitava a non fare i capricci e procedere.
Dispiaciuto dal rifiuto si strinse fra le spalle, iniziando a lanciare i vestiti (canotta e pantaloni) per la stanza. Passò i pollici fra gli elastici dei boxer tornando a guardarsi allo specchio. “Così?”
“Va bene.” Annuì l’amico avvicinandosi a lui con in mano un barattolo piatto e un pennello.
“Rosso?”
“Mi sembrava più idoneo su di te, anche se ho preso anche il nero e l’azzurro.” Ammise. “Ma inizierei da questo.”
“Sono nelle tue abili mani, Cap.” Si voltò verso di lui. Osservò il suo sguardo abbassarsi, le mani girare sul tappo e scoprire il colore.
“Mettiti qui.” Gli indicò un punto e si spostò su quello. 
Sul comodino Steve aveva poggiato un bicchiere che aveva riempito d’acqua, lasciò che il pennello sintetico si impregnasse di questa prima di passarlo sul colore, macchiando la punta dello strumento. Sapeva già come decorare la sua pelle, in che modo muoversi su questa per creare un’armonia sotto forma di segni e rendere opera d’arte ciò che già era arte –perché quel corpo, che per la prima volta vedeva privo d’ogni difesa, era arte.
Quando Tony gli aveva proposto di offrirgli se stesso come tela aveva reagito apparentemente male: aveva strabuzzato gli occhi e spalancato appena la bocca, ma avrebbe sfidato chiunque a non rimanere stupito difronte ad una richiesta come quella. Quale strana ragione spingeva Tony, l’Anthony Edward Stark delle Stark Industries, Iron man, e, per alcuni, uno degli uomini più pericolosi al mondo, a porsi come modello per body painting? Inoltre lui era più un cultore della matita e del foglio ruvido che di pittura, era certo che la proposta ricevuta non fosse un semplice capriccio alla Stark. E se non era un capriccio allora anche quello che avrebbe disegnato sul suo corpo non doveva esserlo, anzi voleva fosse un messaggio per lui, il suo messaggio per lui.
Il pennello si posò sulla base del collo, incurvandosi verso il trapezio tracciando la prima linea.
Sul viso dell’eroe d’acciaio si formò un sogghigno appena accennato: essere riuscito a convincere il capitano a partecipare a quell’esperimento era stata come una sfida vinta. Ora era curioso di vedere cosa la sua mente aveva pensato per il suo corpo, quale strana immagine di sé si era impressa nella mente dell’amico. Aveva varie teorie e nessuna di queste positive, erano tutte molto simili al suo riflesso. Anche lui –il riflesso- aveva il suo stesso ghigno in quel momento, non lo vedeva, ma lo sapeva, ed era certo che non facesse un bel effetto, quello dell’altro se stesso procurava persino a lui brividi gelidi di disgusto. La verità era che si spaventava sempre nel vedersi, nell’essere consapevole che quella fosse la reale figura di sé percepita dagli altri, ma non poteva esserne certo e ne voleva la prova. Il ruolo che Capitan America aveva preso in quel momento andava oltre la semplice richiesta, passata per capriccio, a lui aveva affidato la voce degli altri, l’immagine che Tony Stark dava al mondo.
“Non mi sento affatto a disagio.” Gli disse nel momento in cui il pennello aveva chiuso la linea all’altezza delle prime vertebre della colonna.
“L’ho notato da come ti sei spogliato.”
“Ah, ma quella è la parte più facile.”
Steve rise, prima di tornare sul suo corpo.
“Anche se non ti conosco ancora bene, questo lo sapevo.” Dal punto in cui si era fermato fece partire un’altra linea che scese sullo stesso lato fino al muscolo del dorso.
Per un momento la sua mente sfuggì alle barriere della concentrazione, seguendo il movimento del pennello. Si chiese cosa si provasse, la sensazione che il pennello procurasse sulla pelle: piacevole? Fastidiosa?  Chissà se si poteva paragonare alla mano delicata e morbida di una donna che con erotica eleganza andava a stuzzicare le parti più sensibili del corpo.
Socchiuse appena le palpebre, assottigliando lo sguardo sul tratto. Il pensiero andò alla pelle, all’osso sporgente della scapola appena sfiorata e a Tony. Il suo nome rievocava in lui ricordi lontani, ormai offuscati e nascosti dai nuovi, il ricordo di un’immagine, di un volto di un amico che sempre più finiva per fondersi con quello del suo erede, della sua trasposizione nel futuro. Si pentiva di non conoscere Tony tanto bene quanto invece aveva potuto conoscere Howard, dentro di sé si rimproverava per aver iniziato con il piede sbagliato e di non aver chiesto scusa dopo averlo accusato di far finta di essere un eroe, ricevendo poi, pagando con il terrore, la conferma di quanto si sbagliasse. Dopo la nascita degli Avengers aveva deciso di osservarlo e di informarsi su di lui, di iniziare a quel modo per provare a conoscerlo meglio, essendo, per la maggior parte delle volte, difficile parlargli, e aveva notato, seppur non ne era certo e parlava per impressioni, che Tony odiasse se stesso. Certo, nessuno l’avrebbe preso sul serio dato il soggetto a cui si riferiva, eppure ci avrebbe giurato. Il suo essere tanto precipitoso, rimettendoci sempre per primo, che fosse la sua figura nella società oppure la sua vita, era prova non solo di un bisogno quasi patologico di redenzione delle sue colpe, ma anche di un disprezzo verso se stesso. Come rendere utile qualcosa prossimo al riciclaggio? Usandolo per risolvere situazioni limite. Pensarlo era tanto triste quanto lo sguardo severo che per un momento Tony aveva mandato al suo riflesso.
“Se non ti dovesse piacere quel che sto disegnando, cosa farai?”
“Mi strapperò la pelle e te la cederò come eterno simbolo dei tuoi sbagli.” Scherzò.
“Qualcosa di meno violento?”
“Pensavo ad una doccia, magari mi faccio lavare proprio da te come punizione.” Gli lanciò un’occhiata, non tanto per guardalo, ma per non guardarsi.
“Non sbirciare.” 
“Agli ordini capitano.” Esordì il committente con un sospiro.
Le linee curve aumentavano, tante ramificazioni che nascevano da Tony e salivano sulla superficie della pelle. Il pennello scivolava, precedendo la mano di Steve che seguiva dei solchi già tracciati dalla sua mente…  Tratteneva il respiro prima di iniziare un tratto, poi la pressione della punta seguiva l’aria che entrava ed usciva dai suoi polmoni.
Quando il capitano disegnava, Tony lo sapeva bene, la figura del supersoldato si sgretolava, mostrando un tenero ragazzino, gracile, nell’età della giovinezza, pieno di speranze, che raccontava ad un foglio di carta la sua storia. Gli occhi azzurri si riempivano di un sentimento che lui non aveva mai toccato, era tanto bello che avrebbe desiderato saper disegnare per poterlo ritrarre. Ma lui aveva a che fare con le macchine, cosa poteva saperne di sentimenti umani e dalla bellezza che questi potevano sprigionare?
“Secondo te le macchine hanno dei sentimenti?”
Steve non gli rispose subito, respirò affondo, staccando un’altra volta il pennello prima di rivolgergli tutta la sua attenzione.
“Le tue sì.”
“Che intendi con le mie?”
“Con tutta la passione che metti nel crearle mi stupirei del contrario, basta pensare a JARVIS.”
“Rimane una voce registrata.”
“È un qualcosa che fa parte della squadra, e anche di te.”
A quelle parole Tony trattenne la propria risposta per qualche secondo, riflettendo, ma non riuscì a poi a controbattere che venne interrotto.
“Grazie signor Rogers.”
Tony alzò lo sguardo, ridendo: “Non ti fai mai gli affari tuoi, eh JARVIS.”
“Mi ha pur sempre progettato lei, signore.”
“Touché.”
Un’altra cosa che Steve sapeva era che la voce di JARVIS era impostata in modo che assomigliasse il più possibile al vecchio maggiordomo di Tony che si era preso cura di lui molto più di quanto Howard non avesse fatto. Sapendo questo la risposta alla domanda di Tony veniva da sé. 
“Tony.”
“Uhm?”
Steve tornò con la schiena retta per poterlo guardare dritto negli occhi.
“Se qualcosa ti preoccupa io sono sempre pronto ad ascoltarti.”
Ci fu un momento di stallo, sembrava che qualcuno avesse appena messo pausa e si godeva quel momento inaspettato, ridendo sotto i baffi, magari era stato proprio il suo riflesso, il quale, come lui, si era accorto di aver perduto, per un istante, il battito.
“Grazie.” Disse ancora disorientato. 
In risposta ricevette un sorriso. 
“Adesso rilassati.” Gli sussurrò Steve all'orecchio, le sue labbra che sfioravano la cartilagine e la presa delle sue mani salda sulle spalle. 
Steve voleva infondergli sicurezza, voleva poter rappresentare un appoggio per lui. Tony non riusciva a fidarsi fino in fondo di nessuno perché per primo non si fidava di se stesso, e lui doveva assolutamente cambiare quella condizione, l'avrebbe fatto attraverso la pittura, il linguaggio umano più diretto ai sentimenti delle persone. 
Luci spente ed un solo riflettore: la star dello show era la punta tonda del pennello, il respiro del pittore era la musica, direttore d'orchestra la mano che avrebbe rilasciato quell'armonica sinfonia fatta di segni. Cosa doveva emergere? Quale pensiero? Il cuore. Le arterie, pulsanti, che come rami di un albero nascevano e si espandevano su ogni centimetro di pelle. Con forza questi rami si reggevano al corpo, alle ossa, alla loro fonte d'energia. Tony era energia, era il centro, era il reattore che prima gli brillava in petto. Lo era sempre stato, incosciente di esserlo. 
Il pennello scivolò lungo la colonna vertebrale che si incurvò, ad ogni punto toccato dal pennello, vertebra per vertebra. Il respiro trattenuto di Tony rappresentava i flauti, il pennello i violini; la mano di Steve si alzò tornando ad abbassarsi come la verga del direttore che dava ordini precisi per armonizzare i vari strumenti. 
Non sapeva cosa fosse stato, forse quella frase, forse il respiro di Steve, o semplicemente la sua mente che per un momento si era fermata dal suo frenetico scappare, ma qualunque fosse stata la causa sentiva il suo corpo più rilassato come l'artista aveva ordinato, la mente svuotata da inutili pensieri e i sentimenti finalmente acchetati; tutto sotto la guida di Steve era scivolato via, come dell'acqua gelida su del ghiaccio che da questa veniva sciolto. 
Il pennello ora scorreva verso l'osso sacro. Steve si era chinato alla sua altezza per poter guidare da una differente prospettiva (dal basso all'alto) le linee. Non aveva mai osservato il corpo di Tony, non si era mai accorto dei lividi e delle cicatrici che lo ricoprivano, su una di queste passò le setole del pennello, celandola sotto del colore. Che fosse per quello? Per nascondere a sé e agli altri certi segni? Eppure queste erano la prova di cosa Tony facesse per la sua gente. Staccò lo strumento dalla tela e guardò il suo operato. 
“Meraviglioso.” Mormorò, respirando piano, con un sorriso a fior di pelle. 
La tela si girò per guardarlo, rimanendo ipnotizzato: aveva quello sguardo. 
“Soddisfatto?”
Steve alzò gli occhi su di lui. 
“Molto.”
Un altro di quei momenti congelati che sembravano durare minuti. Silenzio e sguardi. 
Steve sentiva le mani bruciargli.
Tony il cuore battergli. 
"Allora posso guarda-"
“No!” Steve lo afferrò per il polso. “Aspetta, non ho finito.” Sembrava stranamente allarmato, tanto da spaventarlo. Steve si alzò per prendergli entrambi i polsi, accarezzarli. “Ti prego prestami il tuo corpo per un altro po'.” L'innocenza di quelle parole, nelle quali Tony avrebbe con facilità trovato un doppio senso per imbastire le sue amate battute, lo fecero scoppiare in una fragorosa e genuina risata. 
“Tutto quello che vuoi, capsicle.”
Il capitano sbuffò, mormorando poi un: “Grazie.”
Quel sorriso, quello sguardo, quel tono di voce, da quando uno come Steve riusciva a farlo sentire tanto...
“...vivo.”
“Detto qualcosa?” Chiese l'amico che si era allontanato da lui per prendere gli altri colori, con cui si stava riavvicinando. 
“No, nulla.” Mormorò, scuotendo la testa, abbassandola. 
Steve prontamente gli poggiò l'indice sotto il mento, costringendo la testa a rialzarsi. 
“Devo chiederti ancora di fidarti.” 
“Lo faccio sempre.” 
Con le dita lo invitò a chiudere le palpebre. 
Regolò il proprio respiro, rallentandolo. Sentì il pennello con la punta umida poggiarsi sulla cicatrice... 
“Steve.” Disse ingoiando quel nome appena pronunciato, serrando le labbra; doveva fidarsi. Aveva sentito un brivido freddo scuoterlo dal profondo e ora respirava a fatica, il pennello era diventato una lama che stava riaprendo la sua ferita... Il sangue ne usciva fuori, scorreva seguendo il colore. 
“Tranquillo.” Quella voce arrivava come un eco lontano, dal fondo di un tunnel. 
Strinse i pugni. Dannazione era Tony Stark, non un pezzo di metallo arrugginito. 
“E chi si agita.” Scherzò con un sorriso sornione. 
Poté sentire la risata dell'altro contro la sua pelle, poi tornò il pennello. 
 
“Cosa ne pensi?” Domandò guardando la propria opera attraverso il riflesso dello specchio. L'opera stessa, che gli era vicino, sorrise, guardandosi con soddisfazione. 
“Mi viene voglia di impiantarmi nuovamente il reattore ARC.” Ammise, sfiorando con le dita il disegno. 
“È meglio così, hai un punto debole meno esposto.”
“Che fai Cap?, ti preoccupi?” Rise. 
“È normale.” Il tono pacato e serio spiazzò Tony, dal cui viso il sorriso sparì. “Tony sei un mio compagno, sei mio amico.” Gli poggiò la mano sulla cicatrice. “Questa, per quanto tu voglia nasconderla, c'è. Hai un cuore, dovresti iniziare ad accettarlo.” Finalmente sorrise, alleggerendo il peso delle sue parole. “Anche se ammetto che sei molto bravo a nasconderlo.”
Dall'espressione dell'interlocutore era chiaro quanto non avesse parole. Non gli era mai capitato di fare discorsi di quel tipo o di sentirsi dire frasi come quella, forse da Pepper, ma non ne aveva memoria. Inoltre, proprio Capitan America? Assurdo. 
“Quando fai questi discorsi, penso che il ghiaccio ti sia entrato nel cervello e ancora non si è sciolto.”
“E io capisco sempre di più che tipo sei.”
Tony lo guardò stupito, falsamente offeso. 
“Io sarei tanto facile da capire?”
“Non ho mai detto che sei facile.”
“Mi sento oltraggiato.” Fece un gesto con la mano, alche Steve ne approfitto per prendergli il polso. 
“Non mi hai ancora chiesto cosa rappresenti per me quello che ti ho disegnato sul corpo.” Gli fece notare, non facendolo sfuggire dai suoi occhi azzurri. Tony sospirò, socchiudendo giusto un attimo le palpebre.
“Se non ti imbarazza dirmelo.” Ribatté, come se fosse stata omessa la risposta e non la domanda. 
“Tutto parte dal cuore, la tua passione, il tuo senso di giustizia, il tuo essere... Oppure dalla nuca, o dalle vertebre, oppure dal polso.” Toccò i vari punti con i polpastrelli, tanto delicatamente che gli sembrò di sentire il pennello e non le sue dita. “Non importa quale parte di te sia l’origine perché sei tu Tony, sei il punto vivo della squadra e di tutto quello che hai costruito che sia male o bene; dei tanti pregi e difetti che hai probabilmente sei uno dei pochi che conosco pronto a prendersi le sue responsabilità, più con le azioni che con le parole.” Gli accarezzò i fianchi. “La forma che prendono le arterie ricordano dei rami perché sei la parte più resistente del gruppo, la corteccia, senza di te gli Avengers non esisterebbero.” Era risalito sul collo. “Tony sei importante per noi.” Gli sussurrò. 
Steve ora lo stringeva a sé. Lo proteggeva con il suo corpo, tenendolo stretto al petto, riusciva persino a sentire sulle loro teste lo scudo in vibranio che li proteggeva, anche se non era materialmente lì. Il suo viso si poggiava sui suoi pettorali, riusciva a sentir il battito del cuore del capitano, il suo gran cuore. Se il suo reattore era stata la prova dell'esistenza del suo di cuore, allora per Capitan America lo era la stella della divisa. 
“Non ti facevo tanto romantico, Cap.” A quelle parole l'altro reagì staccandosi in fretta, accarezzandosi la nuca mentre nascondeva il rossore sulle gote. 
“Non è romanticheria.”
“Temo di chiederti cosa lo sia.” Rise, spostandosi per raccogliere i suoi vestiti. In quell'istante l'occhio gli cadde sul pennello che era stato lasciato nel bicchiere e, accanto, il barattolo con il blu... Prese il pennello, lo passò sul colore per tornare con un gesto veloce (assomigliava ad un affondo d'attacco) contro Steve. Gli alzò la maglietta come solo lui poteva dopo notti e notti d’allenamento e poggiò il pennello al centro degli addominali, iniziando a disegnare. 
"Tony che stai-”
“Sta un po' fermo!” Si lamentò chiudendo la stella fatta. Il colore un po' colò, rimanendo sbiadito: troppa acqua e poco colore. 
“Uhm...”
“E questo...?”
“Soddisfatto?”
“Non so se posso definirmi ... Soddisfatto.” 
“Oh, che peccato.” Storse le labbra, per poi stringersi fra le spalle. “Dovrò lavarti per rimediare, come punizione.”
“Tony!”
“Su, spogliati.”
“No, Ton- non toccarmi!” 
 



Angolo dell'autrice:
Mi sono accorta di amare la Stony più in momenti come questi che io chiamo "senza pretese" che in altri più erotici. Non ci sono baci o altro, amo prendere la parte debole di Tony (quella che secondo me è la sua parte umana) e relazionarla a Steve, che sinceramente mi risulta difficile gestire. Riconosco che possano sembrare OOC, per quanto io non mi senta di usare l'avvertimento, poiché secondo la mia ottica di grande fan di Tony lui è così, ma mi sembra giusto puntualizzzare che magari sono io che ho come dei paraocchi e non mi accorgo che invece è tutt'altro modo! 
La scelta del body painting è stata casuale, un'idea come un'altra... E pensare che pochi giorni dopo mi sono anche capitate delle fanart. 
Questa fan fiction è dedicata a Fidi, la mia grande sopportatrice a cui devo la maggior parte di queste cose che nascono dalla mia mente contorta, ma non odiatela, la colpa è mia! 

Detto ciò vi invito a lasciare una recensione se la storia vi è o meno piaciuta! Grazie mille anche a chi leggerà soltanto! 
Here we Go~
   
 
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