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Autore: Strekon    15/06/2016    0 recensioni
[Ravenloft]
Esiste un mondo in cui il male regna. I tiranni comandano e vengono premiati da forze sovranaturali che vedono in loro la radice stessa della malvagità. In questo mondo l'unica cosa che si può fare è sopravvivere, e tentare di non impazzire...
Genere: Fantasy, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“La danza è una delle attività sociali maggiormente seguite a
Port-à-Lucine. La nobiltà organizza sontuosi quanto pacchiani gala dove mademoiselle conciate come bomboniere in vetrina incontrano damerini impettiti con stravaganti e polverose parrucche in testa. Insieme danzano particolari coreografie che ben poco hanno dei balli popolari che ho visto nei quartieri più poveri della città. Sembra di vedere dei manichini da sartoria girare in un carillon”
 
da Gazetteer Volume III, Report One: Dementlieu
 
 
CAPITOLO 3
Mannequin
 
Non pensava che potesse esistere un odore come quello. Era dolce, come il latte di mandorla, ma anche amaro come la carne essiccata con le castagne che sua madre metteva in cantina d’inverno.
“E' per i periodi di magra, Kaspar” diceva sua mamma.
“Ma è così amara...” gli rispondeva lamentandosi. La mamma di Kaspar sorrideva sempre. Aveva un bellissimo sorriso e a Kaspar sembrava di vederlo davanti a se in quel momento.
“E' vero, ma così se ne mangia meno, e dura un po' di più. Ma non dirlo a nessuno, acqua in bocca”
Acqua. Come quella che sentiva sul suo volto. Non erano piccole gocce, erano dei rivoli che risalivano dal mento fin verso la fronte. Volavano sulla testa di Kaspar cadendo verso il cielo, all'infinito.
Impossibile, pensò Kaspar, mentre il sorriso di sua madre scompariva in una nube gialla. Le linee si persero in quel fumo fino a diventare un volto diverso. Il volto di un ragazzino con i capelli sudati schiacciati sulla fronte. Aveva gli occhi ribaltati all'indietro e la schiuma alla bocca.
Kaspar sputò un grumo denso di saliva a terra e si alzò di scatto. Il gas, il veleno, la trappola a orologeria. Ora ricordava tutto.
Strappò una manica della camicia e la inzuppò nella pozza d'acqua che si era formata sotto la sua testa. Quella perdita dal soffitto lo aveva tenuto in vita abbastanza a lungo da riprendersi. Mise la manica bagnata davanti alla bocca e prese il ragazzino per le spalle.
“Sveglia! Christophe! Sei Christophe, giusto?”
Kaspar gli ficcò due dita in gola e premette lo stomaco appena sentì il conato risalire. Christophe vomitò per due volte e cominciò a tossire
“Stai bene? Ehi, stai bene, ti ricordi dove siamo?” chiese Kaspar.
“...cantina...” biascicò il ragazzino, e a Kaspar bastò.
“Prendi gli altri due, falli vomitare se sono vivi, se no lasciali lì. E copriti la bocca e il naso, come me”
Non era abituato a dare ordini, ma l'istinto di sopravvivenza aveva preso il sopravvento sul suo carattere. Risalì le scale della cantina fino alla porta rinforzata.
“La sicurezza di madame, eh?” disse fra se Kaspar e intanto sentì qualcuno vomitare al piano di sotto. Bene, almeno erano in tre.
Rovistò fra i suoi arnesi e prese una sottile barra di metallo. Normalmente non sarebbe servita a nulla davanti a una porta di quel genere, ma Kaspar non era uno stupido.
Prima di scendere con gli altri in cantina aveva incastrato una placchetta sulla serratura della porta. Non aveva trovato altro di più adatto sul momento e ora sperava che quella sottile intercapedine che aveva lasciato fosse abbastanza per farla scattare.
Kaspar infilò la barra metallica e sentì toccare qualcosa in fondo.
“Dai, avanti. Dai...” sussurrò per darsi coraggio, finché non sentì un suono sordo e metallico. La porta si aprì fra le sue mani.
“E' aperta! Usciamo da qui, presto!” urlò Kaspar, senza paura che qualcuno lo sentisse. Christophe e Alexander spuntarono dalla scala tenendo per le braccia Nathan ancora privo di sensi.
Si buttarono in mezzo alla sala dove pochi minuti prima si erano fermati con madame Touvache e Graves
“Fatelo vomitare” ordinò Kaspar.
“Non vomita. Non fa nulla” disse Christophe, senza fiato.
“Mi sa che è morto” disse Alexander guardandosi attorno per sicurezza. Quella sala ora sembrava più cupa di poco fa. Era forse calato il sole? Eppure doveva essere ancora primo pomeriggio.
“Fatti da parte. Scoprigli il petto” disse Kaspar prendendo una siringa di vetro dal borsello che aveva in cintura.
“Cosa fai?” chiese Christophe mentre apriva la camicia. Kaspar succhiò tutto il liquido di una fiala verde e cercò con la mano libera il punto preciso sul petto di Nathan.
“Gli salvo la vita” e gli piantò la siringa nello sterno, come un pugnale. Nathan espirò rumorosamente e si trascinò in piedi, o almeno ci provò. Scivolò per due volte e si appoggiò contro il muro, a terra, col fiatone. La siringa era ancora nel suo petto e quando la vide la strappò e la ruppe sul pavimento.
“Ma che cazzo...era...?” disse Nathan.
“Era la mia siringa. Mi devi una siringa” gli disse Kaspar asciugandosi il sudore dalla fronte.
“Ne parleremo se riusciremo a uscire di qui, che ne dite?” disse Alexander che ancora stava controllando la stanza.
Spoglia, senza uscite se non la sola porta da cui erano entrati loro. Inferiate alle finestre chiuse da vetri sporchi e talmente macchiati da non far passare quasi la luce.
Alexander sfonderò la pistola a colpo singolo e controllò che la polvere da sparo non si fosse inumidita in cantina. Sembrava tutto in ordine. Christophe spalanco la bocca come un pesce e emise un lamento.
“Sono certo ci sia una spiegazione se…”
“Io credo, invece, che sia soltanto una pazza e fuori di testa” lo zittì subito Kaspar. Christophe si ammutolì e cercò nella sua cintura il coltello che gli aveva affidato Luis. Lo estrasse e raggiunse Alexander che stava armeggiando vicino alla porta.
“Mastro Alexander, credete davvero che volessero…”
“Ucciderci?” Alexander terminò per lui la domanda mentre il grimaldello faceva scattare la serratura con un lieve click sordo.
“Forse sì. I nobili sono strani. Non preoccuparti Christophe, non sei solo”
Christophe annuì senza sorridere. Nathan si era ripreso e ancora si tastava il petto.
“Che roba era?” chiese a Kaspar.
“Roba forte. Risvegli i morti” sorrise a Nathan e impugnò un coltello dalla lama larga e seghettata. Nathan lo fissò stupito. Non era certo un arma comune, non da quelle parti. Era simile a un coltello da caccia o uno di quelli che si usano per scuoiare le bestie. Kaspar se ne accorse e fece spallucce.
“Cimelio di famiglia. Mio padre era un cacciatore”
“Anche io lo sono” disse Nathan sfilandosi l’arco da tracolla “E’ un coltello notevole per un tipo come te”
“Da dove vengo io ci sono pericoli ovunque”
“Bè anche a Port-à-Lucine, a quanto pare” rise Nathan facendo sorridere anche Kaspar.
“Se avete finito di farvi le trecce vediamo di cercare una via di fuga” disse Alexander. Imboccò la porta spianando la pistola davanti a se. Nessuno.
Nathan tese l’arco e controllò la parte destra della stanza. Niente nemmeno lì. La pelle di serpente era appesa alla parete come un lugubre cencio di una battaglia persa. Nathan la osservò meglio e gli sembrò diversa, come se fosse putrefatta, e non conservata.
“Tutto bene?” chiese Christophe interrompendo i suoi pensieri.
“Sì, tutto bene. Usciamo da questa stanza. Mi dà la nausea”
Alexander si avvicinò alla porta da cui erano passati prima e che portava alla sala d’ingresso della villa. Ancora due porte e sarebbero stati liberi.
Infilò la pistola nella fondina e prese il grimaldello per scassinare la serratura, ma si fermò subito: la porta era soltanto accostata.
“Tutto bene?” chiese Kaspar. Alexander mise un dito sulle sue labbra e fece cenno a tutti di smettere di parlare. Era strano, molto strano. Forse stava esagerando, ma dopo una trappola a orologeria così elaborata non si sarebbe aspettato di trovare un porta aperta.
Kaspar affiancò la porta e fece un cenno con la testa ad Alexander. Contò fino a tre a bassa voce e poi la aprì di scatto.
Nathan e Alexander attraversarono subito la soglia e puntarono la pistola e l’arco in giro per la stanza.
Il polveroso lampadario brillò debolmente per la scarsa luce e la rampa che portava al piano di sopra era vuota e sbeccata.
“Che cosa significa…?” sussurrò Alexander fra se, mentre Nathan mollava la corda tesa dell’arco.
“Più facile del previsto, insomma” disse Nathan. Con la manica pulì un pezzetto della finestra che dava sul cortile, fra una sbarra e l’altra dell’inferriata, e sorrise.
“C’è ancora la carrozza nera. Quindi è in casa”
“Andiamocene” disse Kaspar prendendo la maniglia della porta di ingresso. Chiusa, ovviamente.
“Puoi aprirla questa? O la sfondiamo a calci?”
Alexander si avvicinò e gli diede un’occhiata.
“La serratura non è facile, ma è anche molto vecchia. Dovrei farcela in qualche minuto”
“E male che vada la buttiamo giù a calci” ridacchiò Nathan, ma nessuno apprezzò la sua battuta.
Christophe era ancora al centro della stanza. Guardava gli altri tre indaffarati vicino alla porta e poi la scala coperta da un tappeto di feltro scuro.
“Ce ne andiamo?” chiese tutto d’un fiato. Gli altri tre alzarono lo sguardo. Alexander lo squadrò dall’alto in basso.
“Certo che ce ne andiamo. Non ho intenzione di farmi uccidere da nessuna pachidermica psicopatica dementliese”
“Potrebbe essere ancora in casa” insistette Christophe. Alexander fece spallucce e tornò a lavorare alla serratura.
“Per questo noi ce ne andiamo da questa casa, chiaro ragazzino?” Kaspar sillabò le parole come se le volesse piantare nella testa di Christophe.
Eppure Christophe non era convinto. Quando piazzava le trappole per lepri assieme a Luis non lo facevano mai senza cognizione.
Una trappola ben fatta non è un trappola che cattura la preda. Una trappola ben fatta la cattura, e poi la lascia andare, dandogli quel tanto di libertà per farla sentire in salvo. E poi…
“E poi, quando si sente al sicuro gli si dà il colpo di grazia” sussurrò Nathan che, come Christophe, prese a guardarsi attorno.
“Cosa hai visto ragazzo?” chiese Nathan. Christophe si guardò attorno e poi vide un riflesso alla parete. Era come una spirale di luce che si muoveva dal soffitto alla parete, dondolando.
“Quello! Cos’è quello?” gridò puntando il dito per aria. Nathan tese l’arco e scoccò una freccia. La punta sbriciolò un pezzo di intonaco dal vecchio muro.
Si sentì un ronzio e dall’alto piombarono cinque uomini coperti da mantelli cerati. Avevano le spade in pugno e cominciarono subito ad attaccare.
Kaspar si buttò di lato mentre uno di quelli affondò la sciabola su di lui. Alexander lasciò cadere gli attrezzi di scasso e schivò il colpo appena in tempo. Colpì col gomito la faccia del suo aggressore e lo scaraventò di lato, Quello ciondolò poggiando il piede in maniera innaturale e con uno scatto repentino lo attaccò di nuovo. La lama tagliò la spalla di Alexander che cadde a terra con un tonfo.
Con un balzo veloce in avanti l’uomo fu su Alexander pronto a trafiggerlo.
Una freccia colpì il braccio dell’uomo, trapassandola. Poi un’altra gli spuntò dal petto. L’uomo non disse nulla, il braccio divenne molle e si accasciò accanto a Alexander. Nathan arrivò di corsa e lo aiutò ad alzarsi.
“Stai bene? Ehi, stai bene?”
Alexander annuì e si strinse la spalla. Estrasse la pistola e vide Kaspar impegnato con due di loro. Attaccava una volta su due e poi scappava rotolando da un lato all’altro della stanza.
Un altro uomo era a terra, trafitto da tre frecce e Christophe, invece, cercava di difendersi da l’ultimo uomo che lo assaltava rapidamente, chiudendolo in un angolo.
“Non riesce a attaccare, aiutalo. Io vado da Kaspar” ordinò Nathan che incoccò un’altra freccia e puntò il nemico più distante. 
Alexander camminò rapido, alzò l’arma e prese un respiro. Cercò di rilassarsi, non pensando al dolore.
“Ehi, prenditela con me!” gridò.
L’uomo voltò il cappuccio nella sua direzione e un secondo dopo Alexander esplose il colpo, diretto in pieno volto. L’uomo si ribaltò all’indietro con una capriola sgraziata e sbatté contro la parete come un straccio.
“Grazie…” annaspò Christophe. Aveva un paio di graffi, ma nulla di grave.
Il grido di Kaspar fece voltare entrambi. Uno degli uomini gli aveva trapassato la gamba con la spada e stava alzando di nuovo l’arma per finirlo.
Nathan arrivò fulmineo e gli afferrò il braccio, bloccando l’affondo su Kaspar. Con rapidità gli passò la lama del coltello sulla gola. L’uomo tremò e poi cadde a terra di faccia.
Nathan si chinò su Kaspar. Prese un laccio fra quelli che aveva avvolti al braccio e lo strinse attorno alla gamba di Kaspar.
Sranje…fai piano!” si lamentò Kaspar. Nathan non lo ascoltò e strinse di più. Kaspar gridò e batté i pugni a terra.
“Se vuoi sopravvivere dovrà farti un po’ male. Ragazzino, stringi qui e non mollare per nessun motivo”
Christophe corse a aiutare Nathan e anche se aveva paura non disse nulla. Alexander stava ricaricando l’arma e cercava di capire come avessero fatto a scendere dal soffitto senza che se ne accorgessero.
Il lampadario ancora si muoveva da un lato, e poi dall’altro, impazzito, e ad ogni movimento i cristalli tintinnavano e spargevano giochi di luce per tutto il salone.
Poi il lampadario si fermò di colpo, immobile, proprio sotto gli occhi di Alexander.
“Ma cosa…”
Cominciò a girare su se stesso, come una trottola e più girava più Alexander sentiva di nuovo quel ronzio. I cinque uomini a terra si sollevarono come risucchiati dal lampadario, volteggiarono per aria e si schierarono di nuovo di fronte a Alexander. Avevano ancora le ferite e le frecce che li trapassavano, eppure erano in piedi, barcollanti.  
“Ragazzi, abbiamo un problema”
Gli uomini alzarono le spade e in maniera confusa avanzarono verso Alexander che alzò la pistola e sparò. Il colpo fece saltare la spalla dell’uomo più vicino e il braccio si staccò dal corpo. Senza sangue, senza grida. Il braccio prese a volare e a dondolare come un pendolo e Alexander finalmente la vide. Una sottile corda, un filo, invisibile in quella penombra, che dal lampadario raggiungeva il braccio dell’uomo.
Non uno, decine di fili che si allacciavano agli arti e si perdevano fra i cristalli del lampadario.
Nathan balzò in avanti e diede un calcio a quello più vicino. L’uomo volteggiò per aria all’indietro, per poi tornare in avanti, all’attacco con la spada dritta davanti a se.
Nathan schivò buttandosi a terra e Christophe vide l'uomo ciondolare di nuovo all'indietro.
“Sono appesi, tagliate i fili!” gridò Alexander. Christophe lanciò il coltello, d'istinto e tranciò i fili di quello davanti a se. L'uomo cadde a terra in posizione innaturale mentre i fili legati alle gambe continuavano a tirarlo vero l'alto per rimetterlo in piedi.
Nathan scivolò fra le gambe di altri due e tranciò i fili invisibili. I corpi si accasciarono al suolo e Alexander schivò l'attacco scomposto dei due rimasti. Con alcuni colpi precisi Christophe e Nathan tagliarono gli ultimi fili facendo piombare crollare anche gli ultimi due aggressori.
“Ma come diavolo è possibile?” disse Nathan guardando i fili appesi fra i cristalli del lampadario. Alexander puntò la pistola verso l'alto.
“La vecchia deve avere qualche passione per i meccanismi. La trappola in cantina, queste... marionette, o cosa diavolo sono”
Christophe spostò uno dei corpi a terra. Erano dei fantocci ben fatti, con il cappuccio calato sul volto e fissato da pesanti cuciture sulla testa, ora le notava. Il braccio tranciato dal colpo di pistola pendeva molle da uno dei fili che si perdeva nel soffitto. Christophe lo guardò da più vicino. L'imbottitura era morbida, forse lana, e al centro passava una sottile barra metallica.
“Sono meccanismi complessi, questi” disse Alexander aprendo le vesti di uno dei fantocci. Christophe tirò uno dei cappucci per scoprire la testa, e lanciò un grido.
“Che c'è?” Nathan corse verso di lui e si fermo di scatto, coltello in pugno.
“Ha la faccia. Questo ha la faccia!” urlo Christophe. Nathan scoprì il volto del manichino e riconobbe la pelle conciata. Aveva imbalsamato parecchie bestie in vita sua e riconosceva un mano abile. Cuciture pesanti su occhi e bocca. Il filo metallico sulle labbra formava un ghigno malefico.
“Questa è… pelle umana” disse Nathan non credendo alle sue parole. Christophe ebbe un rigurgito, ma il suo stomaco si era già svuotato prima.
“Sono uomini impagliati” sillabo Nathan “Tutti...tutti quanti!”
“Che razza di psicopatica perversa farebbe una cosa del genere?” finalmente Kaspar si era ripreso e con fatica si stava mettendo in piedi.
“Una psicopatica con molto tempo libero e poco da perdere” disse Alexander. E con molte risorse, pensò.
“Come ha fatto a uccidere questa gente?” chiese Christophe cercando di reagire.
“Non siamo gli unici a essere stati attirati in quella cantina, dopotutto” disse Nathan. Kaspar si avvicinò alla porta zoppicando.
“Chi se ne frega, usciamo da qui e scordiamoci di questo posto”
“Ci potrebbe essere qualcun altro in pericolo!” disse Christophe.
“Fatti loro, io ho già rischiato il mio”
“Dovremmo almeno controllare”
“Dovremmo? Si può sapere che vuoi ragazzino?”
“Mi chiamo Christophe”
“Io mi chiamo Kaspar, e nessuno ha mai deciso per me oltre che Kaspar”
“Sentite” Nathan alzò la voce “E' vero, dovremmo andarcene, ma questa madame Touvache ha cercato di ucciderci, anzi, ci ha cacciato, e questo non lo tollero. Teniamoci la strada aperta per andarcene, ma cerchiamo di capire dove si trova questa gran bastarda”
Alexander annuì. Una casa di una vecchia nobile da svuotare. Era questo, quello che pensava Alexander.
“Restiamo e diamo un’occhiata”
“Senti…coso, Alexander, non volevi uscire di qui fino a un attimo fa?”
“Sì, ma credo che Christophe abbia ragione. Potrebbe esserci qualcuno da aiutare” mentì Alexander e sorrise a Christophe. Il ragazzo sorrise lusingato e sfilò il fioretto dal fodero.
“Ho la gamba a pezzi e ora devo mettermi a fare l’eroe. Dovevo restare a Borca, lo sapevo!” Kaspar prese la sua spada e si massaggiò la gamba. Il sangue non usciva più ma gli faceva molto male.
“Bata che ci sbrighiamo, vorrei evitare di morire dissanguato”
Nathan raccolse il coltello di Christophe e glielo restituì.
“Grazie” disse il ragazzino, e lo rimise in cintura. Non voleva lasciare la casa senza avere notizie di Michelle. Madame Touvache gli aveva promesso un incontro e non poteva perdere un’occasione simile.
“Bene Alexander, fai strada” disse Kaspar. Alexander guardò la porta alla loro destra e la scala.
“Saliamo, così nulla ci piomberà addosso” disse, sperando in cuor suo che non ci fossero altri manichini meccanici da affrontare.
Salirono le scale in silenzio e con attenzione. La scarsa luce faceva vedere ombre sinistre ovunque e al primo piano un corridoio tagliava a metà tutta la casa.
“A sinistra?” chiese Nathan.
“Sempre” disse Alexander. Finì di caricare la pistola e avanzò in silenzio. La finestra in fondo al corridoio era sbarrata e sporca come tutte le altre. Le porte erano pesanti e verniciate di fresco. Rosse, come la tappezzeria consunta lungo le pareti.
“Un po’ un pugno nell’occhio eh?” ridacchiò Kaspar, ma Alexander lo zittì immediatamente.
“Lo sentite?”
“Sentite cosa?” chiese Kaspar.
“E’…musica?” chiese Christophe. Nathan annuì.
“Sì, sembra musica, ma è strana…è come se fosse…”
“E’ un orchestra meccanica” disse Alexander. Un altro ingranaggio meccanico. Il terzo, da quando erano lì. Quella casa era piena di sorprese.
“Cos’è un orchestra meccanica?” chiese Nathan.
“Una serie di strumenti suonati tramite ingranaggi. Come un carillon, ma più elaborato”
“Viene da quella porta” disse Kaspar, avvinandosi allo stipite con l’orecchio “Sembra proprio un carillon”
Alexander puntò la pistola sulla porta e fece un cenno a Kaspar che la aprì di scatto. Alexander entrò e Nathan gli coprì le spalle subito dietro.
Il salone da ballo era gigantesco. La volta, un tempo affrescata, ora era piena di crepe e di macchie di umidità. In alcuni punti mancava l’intonaco e i candelabri erano senza candele, tetri.
Erano su un terrazzo rialzato, senza scale per scendere ma con un ottima vista sul resto della sala. Al pian terreno nell’angolo più lontano da loro c’era, in effetti, una orchestrina di strumenti meccanici. Una viola, due violini un clavicembalo e uno xilofono, tutti suonati da bracci meccanici sostenuti da leve e pulegge che si perdevano un altrettante intercapedini del muro.
Al centro della pista da ballo c’erano dieci copie di ballerini vestiti da gran gala. Danzavano vorticosamente sfiorandosi appena. I corpi erano tutti impagliati, alcuni vestiti con abiti polverosi, altri con gli abiti a brandelli e con la pelle conciata. Tutti cadaveri impagliati. Tutti con lo stesso sorriso cucito con il filo di ferro in faccia.
“Per Ezra…” biascicò senza fiato Christophe.
“Non c’è Ezra qui, ragazzo” disse Kaspar, anche lui senza parole davanti al un tale macabro spettacolo.
“Ehi, ma quello…quello non è impagliato!” Nathan puntò fra le gonne delle dame vestite a festa e anche gli altri videro la livrea nera di Graves scappare fra i pupazzi di quel gigantesco carillon.
Nathan alzò l’arco e scagliò due frecce verso il maggiordomo che fuggiva affannosamente fra i manichini danzanti.
La prima fece esplodere la testa a uno dei pupazzi, mentre la seconda si piantò sulla porta che Graves stava per aprire. Li guardò, terrorizzato e rise isterico
“Morti! Dovreste essere morti!” gridò mentre apriva la porta per fuggire.
“Prendiamolo vivo!” grido Alexander, correndo verso le scale. Nathan non se lo fece ripetere due volte, Mise l’arco a tracola e si buttò giù dal terrazzo.
Lo avrebbero preso, era circondato.
   
 
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