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Autore: Raja_    15/06/2016    2 recensioni
FinalHaikyuuQuest!AU
«Pagherai per ciò che hai fatto.»
La sua voce risuonò innaturale, estranea persino a lui stesso. Era il giovane consigliere del Re Nekomata del regno di Nekoma a parlare e, non più Kenma Kozume, lo stesso ragazzo che aveva sperato fino all'ultimo momento di poter salvare tutti quanti.
Di lui non c'era più traccia, era perita sotto il peso di una realtà troppo assurda e troppo crudele da sopportare.
Adesso importava solo ciò che Nekoma chiedeva. E Nekoma – ironicamente, quasi – chiedeva giustizia.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Ti amo, Kenma. Ho cercato di trattenermi dal dirlo, ma non voglio lasciarti.»
«Non farlo mai, Kuro.»
«Dici davvero? Vorresti avermi qui con te, vivere insieme, qualunque cosa succeda?»
«Ti voglio al mio fianco, Kuro. Fino al giorno della nostra morte.»

~

L'aria che gli sferzava il viso era gelida e tagliente, come un rasoio. Il freddo era palpabile e opprimente, ma il giovane mago bianco quasi non lo sentiva. Era come se, insieme al cielo, anche la sua pelle nivea fosse diventata di ghiaccio e, come per il palazzo reale, anche dentro di lui qualcosa fosse andato in frantumi.

Kuroo non lo guardava. Gli dava le spalle, tenendo lo sguardo puntato sul terreno dinanzi a sé.
Kenma, invece, lo fissava ma non lo vedeva realmente. Non riusciva ancora a realizzare ciò che era accaduto, né ad accettare che ne fosse stato lui l'artefice.
“Come ho potuto?” si chiedeva. “Come ho potuto non accorgermi del suo comportamento, negli ultimi tempi?”
Pensava a tutta quella gente. Anime innocenti, massacrate senza un perché, dall'uomo che fino a poche ore prima aveva chiamato amore.
«Il mondo necessitava di questo, Kenma. Solo così i maghi saranno liberi e non verranno più rilegati in stupide torri nella speranza che qualcuno abbia bisogno di loro.» il mago, ormai corrotto dall'oscurità, continuava a parlare, a spiegare, a cercare giustificazioni ma Kenma non lo ascoltava, non voleva farlo.
Trovava del veleno in ogni sua parola e una pugnalata, in ogni sua scusa.
Sentiva una rabbia cieca dentro di sé, la voglia spietata di distruggere tutto e di gridare – nel vano tentativo di chiedere al mondo perché fosse successa una cosa simile – ma era come se la lingua gli si fosse attaccata al palato.
Non riusciva più neanche a muoversi.

Si disse che era stata colpa sua, s'incolpò di non aver realizzato subito ciò che stava per accadere e impedirlo. Si diede dello stupido e si odiò con tutto se stesso per essere stato tanto cieco, offuscato dall'idea di uomo perfetto che si era fatto di lui e, per la prima volta, desiderò non averlo mai conosciuto.
“Come ha potuto farlo? Come ha potuto farmi questo, dopo tutto ciò che avevamo fatto per aiutare il popolo di Nekoma?” Kuroo gli aveva mentito. L'aveva usato per arrivare al suo scopo. “Perché, Kuro? Perché hai voluto rovinare tutto?”
Si sentì girare la testa.
Ripensò a tutto quel sangue, a quella gente; la stessa gente che Tetsurou – il suo amico d'infanzia e l'uomo di cui si era innamorato – avrebbe aiutato fino a poco tempo prima.
Guardò la torre dei maghi, ormai rasa al suolo e si ricordò il giorno in cui si erano conosciuti, in quello stesso luogo in cui si erano baciati e si erano uniti così tante volte. Si sentì annodare lo stomaco. “Erano state bugie anche quelle, quindi? E' stata tutta un'enorme, e crudele bugia?”

«Dimmi che è stato quel demone a costringerti a farlo!» Kenma tentò di mantenere un tono sicuro mentre parlava, ma la sua voce tremava. Si maledisse e cercò di cacciare in fretta e furia le lacrime che gli erano apparse agli angoli degli occhi. Non avrebbe pianto. Non questa volta. «Dimmelo, Kuro. Dimmi che l'uomo di cui mi sono innamorato è ancora lì dentro, da qualche parte, in balia di una forza più grande di lui. Dimmi che il mago che ho conosciuto non è perito sotto il peso di quel maledetto demone. Ti prego, Kuro...ti prego.»
Kenma non poteva vedere il volto del mago, ma udì comunque un grosso sospiro lasciare le sue labbra e capì quale sarebbe stata la sua risposta prima ancora di udirla.
«Da quando il Re Demone mi ha dato questi poteri e l'oscurità si è fusa con me, siamo una cosa sola. Non posso più ignorare le ingiustizie che i maghi subiscono. No, Kenma. Non è stato lui, sono stato io.»

Silenzio. Qualcosa tra di loro, andò in mille pezzi e le parole gli morirono in gola.
Deglutì, stringendo i pugni così forte da far diventare bianche le nocche e, all'improvviso, smise di essere Kenma così come Kuroo aveva smesso di essere Kuroo, divenendo ai suoi occhi semplicemente un demone.
Realizzò che quello che aveva di fronte non era più l'uomo che aveva amato, ma solo un fantoccio privato di ogni giudizio e riempito di rabbia e desiderio di vendetta; non era più il mago che aveva aiutato i bisognosi a prescindere se fossero maghi, nobili o popolani. Non era più lo stesso uomo che la notte gli baciava la fronte e gli sussurrava parole dolci e rassicuranti, o quello che lasciava una ciotola di latte fuori dalla porta della torre per i gatti della città.
No, adesso era solo un demone. Di lui non era rimasta che una mera ombra evanescente, uno scintillio giallo in uno sguardo acceso di un rosso carminio. Nient'altro.

Assottigliò gli occhi dorati. «Pagherai per ciò che hai fatto.»
La sua voce risuonò innaturale, estranea persino a lui stesso. Era il giovane consigliere del Re Nekomata del regno di Nekoma a parlare e, non più Kenma Kozume, lo stesso ragazzo che aveva sperato fino all'ultimo momento di poter salvare tutti quanti.
Di lui non c'era più traccia, era perita sotto il peso di una realtà troppo assurda e troppo crudele da sopportare.
Adesso importava solo ciò che Nekoma chiedeva. E Nekoma – ironicamente, quasi – chiedeva giustizia.

Kuroo non gli rispose. Si irrigidì nelle spalle, immobile, e attese in silenzio. Kenma prese il pugnale che una delle guardie, ormai morte, teneva nel fodero della cintola; le sue dita erano ferme, decise. Non tremava.
Con la lama a pochi centimetri dal collo del mago, una voce lo raggiunse lontana come un eco.
Kuroo.
Il vero Kuroo.
«Per ciò che vale, Kenma.» esordì, la voce bassa. «Sono lieto che sia tu a farlo. E' stato bello essere felice, per un po'.»
E poi, con la stessa irruenza da cui ci si risveglia da un sogno, il ricordo di poche ore prima tornò alla mente di Kenma.
Si accorse che il pugnale gli era sfuggito di mano solo quando udì un clangore metallico cozzare contro il selciato. Le dita e le ginocchia presero a tremargli, tutto di lui divenne un brivido convulso.
Strinse i pugni così forte da graffiarsi i palmi delle mani, mordendosi forte l'interno della guancia in un impeto di rabbia.
Non poteva farlo. Non poteva, non riusciva a ucciderlo. Non lui. Non l'uomo che aveva amato per tutti quegli anni, con cui aveva vissuto fianco a fianco, alla quale aveva donato tutto se stesso... non poteva farlo.
Voltò il capo, la voce ridotta ad un gemito spezzato. «Vattene.»
Tetsurou si girò verso di lui, lo guardò con quei suoi occhi rossi cerchiati delle occhiaie.
“Come ho potuto non accorgermi di quanto fosse cambiato? Come ho potuto essere così cieco? Hanno dovuto perire centinaia di persone per farmi aprire gli occhi?”
Kenma poté leggere nel suo sguardo tutto il suo smarrimento: credeva che lo avrebbe ucciso. Non lo biasimava: anche lui lo aveva creduto. «Avevo un debito con te: la vita del mio Re, per la tua. Adesso il mio debito è saldato. Ciò che hai compiuto è imperdonabile, il sangue di quella gente macchierà le tue mani per tutta la vita, e da me non riceverai nient'altro che disprezzo; tuttavia, crollerà il cielo prima che io possa renderti il dannato martire della situazione. Vivrai, ma lontano da me. E da Nekoma. Vattene, Kuro o chiunque tu sia e non tornare. Mai più. La prossima volta che entrerai qui, non esiterò.»

Lui resse nel suo silenzio, gli occhi rossi fissi in quelli dorati di Kenma, e sulle sue labbra danzarono centinaia di risposte. Infine sospirò, la sua espressione divenne persino più grave di prima, lanciò un ultimo sguardo al giovane mago e si voltò.
Kenma non distolse lo sguardo dalla sua figura nemmeno per un momento, nemmeno quando i suoi occhi divennero così lucidi che distinguere le sagome attorno a lei divenne un'impresa titanica.
Kuroo fece per andarsene, ma prima di imboccare la via si fermò. «Mi dispiace, Kenma.» sussurrò piano, ma abbastanza forte da farsi udire da lui.
Kenma non rispose.
Lo vide correre via, lontano. Non appena svoltò l'angolo, il mago dagli occhi dorati tornò indietro a sua volta e – senza proferire parola – si diresse veloce verso la strada che conduceva al palazzo reale.
Una lacrima solitaria gli solcò una guancia ma lui la cancellò prima che qualcuno potesse vederla.
Strinse le labbra. «Anche a me.»
   
 
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