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Autore: Doineann    15/06/2016    4 recensioni
Porto Rico, inizi del diciassettesimo secolo.
San Juan è una città portuale, teatro della vita di soldati, marinai e pirati. Tra le tante meraviglie che la città vanta, vi racconterò della nascita della leggenda del fantasma di Borikén e del suo amore per il mare.
BRITTANA, non escludo accenni ad altre coppie.
Pirate!Santana; Mermaid!Brittany
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1. CAPRICHO ARABE

Il sole timido del mattino aveva appena cominciato a dare colore all’infinita distesa d’acqua, solo apparentemente innocua, che circondava l’isola. Una ragazza dalla folta chioma scura costretta in un mugno alto sul capo si sistemava, come consuetudine, all’interno di una barchetta fatiscente, con reti e remi al seguito. Seppur non fosse una grossa imbarcazione, né tantomeno una barca desiderabile, la mora aveva dotato quella catapecchia galleggiante di un nome, Bailarina, e la considerava il suo più grande bene. Non che possedesse molte altre cose all’infuori di quella, in realtà. 

 

Aveva sì una casa, che tuttavia non riconosceva più tale da quando gli Inglesi, durante la guerra di San Juan, attaccarono la città per conquistarne la fortezza. Buona parte delle abitazioni del posto vennero rase al suolo dai cannoni affamati di macerie della marina Britannica e quelle che miracolosamente scamparono i colpi di cannone vennero bruciate e depredate dai soldati sbarcati sulla terra ferma. Dopo un anno e mezzo dall’accaduto la capitale contava ancora la metà delle abitazioni presenti prima dell’attacco. Allo stesso modo, erano venute meno le forze fisiche dell’isoletta: molti uomini persero la vita nell’episodio sanguinolento, altri rimasero mutilati ed altri ancora vennero presi e fatti prigionieri sui velieri della corona inglese. 

A peggiorare la situazione, dopo una quarantina di giorni dalla conquista di San Juan, complici le pessime condizioni igieniche e la mancata sepoltura di un numero elevato di cadaveri, si aggiunse una pestilenza che si diffuse nella città a ritmi spaventosi. Più o meno fortunatamente, ciò costrinse gli invasori a lasciare l’isola, battendo in una ritirata a scoppio ritardato. 

La giovane ragazza dalla chioma scura era sopravvissuta a quella serie di catastrofi proprio grazie all’imbarcazione. 

Quando tornata a casa dopo una giornata di pesca con l’unico uomo che l’aveva accolta a bordo – una ragazza nella “ciurma” era pur sempre di pessimo auspicio – e l’aveva trovata tra le fiamme, fu colta dal panico. Non curante della guerra e dei soldati che avrebbero potuto prenderla e abusarne, gridò a gran voce i nomi dei suoi genitori, ma dall’interno dell’abitazione si sentiva solo un gran scoppiettio di legna. Con la pelle ancora bagnata d’acqua ed arsa dalla salsedine, provò ad addentrarsi tra le mura tanto familiari, ma la strada le fu tagliata dal crollo del soffitto, che portò con sé anche una buona quantità di polvere. La ragazza fu svelta nel sottrarsi al fato che era stato preparato per i suoi genitori. La consapevolezza di non poter fare nulla per loro la travolse come un’onda anomala a ciel sereno. 

La prima bracciata verso la superficie la diede quando, con un velo a copertura del capo, fece uso dei vicoletti della città di mare per raggiungere la casa dell’unico volto amico che conosceva sull’isola, il pescatore. I suoi polmoni si ritrovarono nuovamente privi d’aria alla vista delle macerie della casa di Don Comacho. Lo trovò accasciato a terra, appoggiato malamente alla fontanella prima bianca ed ora strisciata di rosso vivo, del suo giardino. La ragazza si offrì di aiutarlo a raggiungere il mare, il grande amore del pescatore brizzolato, per permettergli di dire addio a questo mondo cullato dalle onde e accarezzato dalla brezza marina. Lui scosse appena il capo e con le poche forze rimaste le chiese invece di prendere il largo da sola, per allontanarsi almeno momentaneamente dall’inferno che San Juan era diventata. Le disse che avrebbe potuto tenere la barca con la promessa di prendersene cura come di un figlio. Infine, aggiunse  Lei l’avrebbe aiutata. La ragazza non insistette nel chiedere chiarimenti per quella strana frase, ritenendola null’altro che un ultimo delirio di un uomo solo da vent’anni, spesso appellato come bicho raro

Così fece: aspettò nella foresta l’arrivo della notte e quando l’oscurità calò sulla città, ne approfittò per avvicinarsi al porto. Non c’era il canto delle cicale ad allietare quella serata, in cui anche il cielo si era tinto di sangue, solo il triste pianto delle vedove. 

Non fu semplice far passare inosservata quella barchetta solitaria, l’unica rimasta a sfidare i grandi velieri inglesi attraccati in porto. La mora si fece il segno della croce dopo essere saltata a bordo del peschereccio malandato, fu allora che con il cuore in gola sussurrò al legno «Va bene, possiamo farlo. Dobbiamo solo guizzare silenziosamente tra questi colossi. So che possiamo farlo, non mi abbandonare.» 

Le sue mani tremavano mentre slegava la corda che teneva la barca attraccata al molo, sapeva che il continuo tagliare il mare dei remi causava dei distinti ciak che avrebbero potuto portarla alla fine dei suoi giorni. Ma cos’altro poteva fare? 

«Graziosa come una ballerina, incisiva come un barracuda.» Ripeté per scaramanzia le parole che Don Caracho era solito mormorare alla sua amata barchetta prima di partire per il mare sconfinato; non fece in tempo ad afferrare i remi con le mani che già questa aveva cominciato a prendere il largo. Pensò che, forse, la fortuna era dalla sua parte per una volta. Decise allora di cavalcare l’onda ed approfittare della corrente finché possibile: prese la coperta, unico oggetto che era riuscita a trovare a casa del pescatore, e  la usò per nascondersi nella concavità dell’imbarcazione. Si sdraiò prona, in modo da poter controllare con lo sguardo la rotta della barca. 

Agli occhi dei soldati della marina Inglese, quella piccola barchetta sembrò stregata: serpeggiava tra i corsari come se qualcuno la stesse pilotando da sotto, come se i pesci stessi la stessero portando con grande cura al riparo dagli orribili avvenimenti della città. Un marinaio la segnalò al capitano, che svelto imbracciò il fucile per fare fuoco: nessuno, fantasma o uomo che fosse, aveva il permesso di lasciare l’isola. Prese la mira alla cieca e quando ebbe il dito sul grilletto un’improvvisa ondata di vento scosse il veliero, facendo cadere l’uomo sul proprio fondoschiena. Quando riuscì a rimettersi in piedi, Bailarina era sparita. 

Forse fu la stanchezza, forse lo stress accumulato nelle ultime ore, di fatto gli occhi della latina rimasero chiusi per ore. Fu il sole caldo del giorno dopo a farla svegliare e come prima cosa, Santana notò che il caro cullare delle onde era cessato. Si levò la coperta di dosso e si ritrovò in una baia sconosciuta. 

Passò più di un mese nella terra ospitale, nutrendosi di pesci e frutti della foresta. Tutte le volte che, prendendo il largo per pescare, si allontanava eccessivamente dalla riva alla volta di San Juan, il mare calmo s’increspava fino a creare onde scoraggianti che portavano Santana a pensare che, forse, il suo ritorno avrebbe tardato di un altro giorno. 

Quando finalmente il tempo fu dalla sua parte, remò per giorni prima di intravedere il profilo familiare della città natale: il porto era sgombero dalle navi della corona inglese e la vivacità della città di mare sembrava aver riacquistato parte della sua energia. 

Tornata sulla terra ferma, ebbe una strana sorpresa rimettendo piede tra ciò che era rimasto di casa sua. Innanzitutto, quella che aveva lasciato come catapecchia era stata ricostruita, sebbene alla spartana, ed in secondo luogo, non era vuota come si aspettava che fosse. Un garzone, dall’acconciatura improbabile e dalla faccia da cernia dormiva rumorosamente su quella che era stata la branda dei suoi genitori. Santana sguainò silenziosamente la spada arrugginita di Don Caracho e mettendo su l’espressione più minacciosa del repertorio si avvicinò al colosso dormiente. Posizionò la punta della spada a pochi centimetri dal pomo di Adamo del ragazzo e gridò a gran voce «Chi vi ha dato il permesso di entrare nella mia casa!» 

Il poveraccio si svegliò di soprassalto e quasi non si infilzò da solo quando, dallo spavento, si tirò su alla svelta. Essendo disarmato, pur avendo un grande vantaggio fisico, il malcapitato sgranò gli occhi e deglutì sonoramente prima di domandare intimorito «E voi chi siete?! ».  Santana aprì bocca per rispondergli, ma fu preceduta dal vocione dell’uomo, che aveva nel mentre messo in moto il cervello. «Questa era la casa dei Lopez - », « Corpo di mille balene, so bene di chi era questa casa! Ci vivo! »

«-Non è possibile! Mastro Yanes mi ha spergiurato che i Lopez sono morti nell’assedio. Cristóbal, Luzia e.. »

«Santana!»

«Santana! Esatto! La conoscevate, per caso? Vi hanno lasciato in eredità la dimora? Maledetto Yanes, questa volta lo appendo all’asta della fortezza.»

«Sono io!» Esasperata dal grado di stupidità del giovane, la ragazza si portò le mani ai capelli, che sciolse, e battendosi più volte la mano sul petto ripeté: «Sono io Santana Lopez! E voi, non so chi siete -»

«Noah Puckerman, Señorita, - »  « - ma giuro che siete nel posto sbagliato. Avete cinque secondi per levare le tende! Uno!»

Con la spada puntata verso il petto del ragazzo ora in piedi, usò la mano libera per tenere il conto dei secondi a sua disposizione.

«Due!» 

Lui guardò prima lei poi la spada ed infine alzò gli occhi per incontrare quelli scuri della mora. Quello che le rivolse fu uno sguardo a dir poco divertito.

«Tre!» 

«Mi dispiace insistere, ma ormai questa è casa mia. Inoltre - »

«Quattro!»

«- Con questa ferraglia non penetrereste neanche una vela sgualcita.»

«Adesso basta, fuori da qui!»

«Ha saltato il cinque, zuccherino. Dovrebbe ricominciare da capo.»

Fu così, più per forzatura del destino che per vero caso, che Santana divenne amica di Puckerman, noto in tutta la città per le sue conquiste marcate a nome “Puck”. Per quanto lei non volesse ammetterlo, fu una vera manna dal cielo. 

Grazie a lui scoprì anche il soprannome che le persone del posto le avevano assegnato. Quella scoperta sì che fu un caso.

Noah aveva insistito tanto perché la ragazza lo portasse con sé a pescare, perché gli insegnasse il mestiere e perché, sulla terra ferma, non sapeva cosa fare. Come vide il peschereccio, il suo volto si fece pallido.

Riconobbe immediatamente l’imbarcazione soggetto delle più fantasiose leggende udibili nei peggiori bar di San Juan grazie all’inconfondibile colore della barca. La vernice vecchia, gialla e rossa a righe verticali anziché orizzontali. «Il fantasma di Borikén!»  Cominciò a urlare, come un bambino che riceve il suo primo fioretto, «Non ci posso credere! Sei il fantasma di Borikén e non mi hai detto niente!?» Santana era dell’umore adatto a gettarlo in mare senza alcuna esitazione, ma l’ebreo glielo impedì inconsapevolmente stringendole le spalle con quelle sue manone. 

Quella mattinata fu impossibile pescare un singolo pesce poiché Noah, troppo eccitato per la scoperta, non riuscì a tenere la bocca chiusa neppure per un secondo. L’aveva deliziata con tutte le storie che aveva sentito su di lei. 

Scoprì così che Bailarina, per il modo in cui era riuscita a fuggire dalla città in quella sera d’assedio, per il suo serpeggiare incantato, si era guadagnata il nomignolo. Si diceva che lo spirito stesso dell’isola quella sera fosse fuggito da San Juan, abbandonando i nativi alla loro sorte. Qualcuno aveva ingigantito la faccenda con dettagli surreali, tanto incredibili da parer sicuramente veri alle orecchie dei marinai stanchi e affamati che popolavano le osterie e le taverne. Hanno provato a bombardare la barca, ma lo spirito di Borikèn ha capovolto la galera inglese!, si dice fosse spinta dai pesci del mare. Quando videro la giovane latina fare ritorno all’isola su quell’imbarcazione, apriti cielo. Borikèn ha scelto la figlia del mare, l’ha salvata dagli abissi in cui s’era gettata quando vide Don y  Doña Lopez ardere vivi; alcuni azzardarono addirittura che la ragazza non fosse fatta di carne ma di solo spirito, che fosse insomma un fantasma a tutti gli effetti. Altri osarono che fosse semplicemente una maledetta, destinata ad una vita di sciagure perché donna di mare. Di fatto, nessuno sull’isola la guardava più nello stesso modo e, alla luce di quella scoperta, Santana cominciò a capire il perché.

 

Come ogni mattina, per guadagnarsi qualcosa e per avere di che mettere sotto ai denti, prese il largo prima che il sole potesse sorgere pienamente. La giornata si fece calda in poco tempo e Santana si accorse troppo tardi di aver dimenticato la fiasca di acqua che era solita portarsi dietro per idratarsi. Uno spreco, pensò, essere circondata dall’acqua e non poterne bere neanche un sorso. 

Guardò speranzosa la rete che aveva gettato, se il mare fosse stato gentile con lei forse avrebbe potuto fare ritorno al molo alla svelta con pesci a sufficienza da vendere e si sarebbe potuta dissetare. Ma la rete, leggera, sembrava essere vuota.

Sospirando, tornò a sdraiarsi a naso in sù. Non aveva neanche la speranza che qualche nuvoletta transitasse in corrispondenza del sole per darle una tregua dal caldo cocente, il cielo era terso, totalmente sgombero. 

Don Comacho le aveva sempre sconsigliato di gettarsi in mare anche se per un battito di ciglia durante la pesca, per una svariata serie di motivi. Innanzitutto, avrebbe spaventato i pesci, annullando quindi ogni sforzo compiuto fino a quel momento; secondariamente, le ricordava lui, il mare è pieno di insidie. Una corrente sbagliata, un imprevisto di qualsiasi natura e avrebbe perso barca, bottino e vita. Non che la mora avesse mai realmente pensato di tuffarsi: non era una gran nuotatrice. Per amor del vero, non era affatto una nuotatrice, ma la cosa aveva smesso di spaventarla.

A Santana non era mai parso verosimile che il mare potesse portarle via ciò che le aveva dato: la vita. Come poteva una cosa tanto bella e maestosa essere pericolosa se non addirittura mortale? Quale Dio lo aveva dotato di tanta grazia e sciagurato con un così grave peso? 

Scosse lievemente il capo per scrollarsi quei pensieri di dosso e, sempre tenendo gli occhi chiusi, rimase in ascolto del mare. Non passò molto perché senti in lontananza il rumore che fanno i delfini giocosi nell'acqua, fece appena in tempo a tirare su il busto che l'imbarcazione si inclinò bruscamente prima da un lato e poi dall'altro. Santana afferrò i bordi laterali del legno per non cadere in mare e rimase ancor più scioccata quando vide una persona appoggiata alla poppa. 

Una persona. Appoggiata. Alla poppa.

È il caldo, pensò, ho le allucinazioni. Sono disidratata, nel mezzo del nulla, e ho le allucinazioni. Al diavolo i pesci Bailarina, facciamo ritorno a San Juan immediatamente. Pensato ciò, con un’improvvisa goffaggine, armeggiò per prendere i remi che sembrava aver perduto in quello sputo di barca, desiderosa più che mai di tornare sulla terra ferma. 

La ragazza appena comparsa, come se potesse sentire i suoi pensieri o forse soltanto divertita dalla trepidazione della mora, si mise a ridere in un mondo tanto aggraziato che Santana ebbe il timore di non avere le traveggole: neanche la sua mente avrebbe potuto creare qualcosa di tanto perfetto. 

Da quelle labbra rosee era uscito un suono tanto dolce che avrebbe potuto ascoltarlo per ore senza accorgersi più dello scorrere del tempo né del logorio del sole sulla sua pelle. Lunghi capelli biondi le incorniciavano il viso, i suoi occhi erano azzurri come il mare dei Caraibi nelle belle giornate estive, quando l'acqua diventava di quel blu più blu che Santana aveva guardato incantata una marea di volte. 

«Sei buffa quando sgrani gli occhi in quel modo.» Disse la ragazza spuntata dall'acqua, con un gran sorriso stampato su quell'angelica faccia. 

Santana smise di cercare i suoi temi malandati e adottò la stessa espressione di chi era appena stato colpito da un fulmine. Si guardò attorno e realizzò realmente solo allora che la giovane era venuta fuori dal nulla: non c'erano barche attorno a lei e la riva era decisamente troppo lontana per essere raggiunta a nuoto. Che fosse stata vittima di un naufragio? Come aveva fatto a resistere così a lungo? Non c’erano segni di pezzi di legno galleggianti. Aprì bocca per domandarle se avesse bisogno di aiuto, ma la coda argentata che spuntò dalla distesa di azzurro le smorzò il fiato in gola. Non poteva essere..? 

«Come ti chiami?» La incalzò nuovamente la bionda. Ma Santana viaggiava su rotaie tutte sue, aveva smesso di ragionare e prestare attenzione ai rumori quando quella folle idea l'aveva colpita. Poteva essere tanto assurda da essere vera. Aveva sentito dei racconti a riguardo, ma li aveva sempre sentiti provenire da bocche corrotte dal rum. 

«Sei una sirena.» Disse allora, riprendendo la presa sui bordi della barca. 

Per tutta risposta, con un sorrisino malandrino sul viso, l'altra riportò sinuosamente in superficie la sua maestosa coda di pesce e la fece sparire con un sonoro ciak nell’acqua. 

«Io mi chiamo Brittany e tu dovresti essere Santana.» Continuò gongolante la creatura, alla quale sembrava importare poco che la mora fosse di poche parole. «Ti ho vista in difficoltà, ho pensato che questo potrebbe esserti utile.» 

Detto ciò, sparì sott'acqua, dove gli occhi di Santana non potevano seguirla, ma solo per far ritorno alla superficie esattamente nel punto in cui la latina era fermamente aggrappata alla barca. Santana fece come un lampo a mollare la presa per mettere della distanza tra lei e la sirena di cui, come le aveva raccontato Don Comacho, non poteva né doveva fidarsi.

Brittany non si fece comunque intimorire, ma anzi tirò fuori dall'acqua un cappello triangolare, bombato al centro, appartenuto ad un capitano che aveva sfidato il mare e aveva perso. 

«Ho visto che voi bipedi lo usate per ripararvi la testa anche se non capisco come facciate a sopportarlo. Potrebbe ripararti dal sole.» La bionda si sporse maggiormente verso l'interno della barca, per consegnare il cappello direttamente nel grembo della ragazza che non dava certo segno di volerla incontrare a metà strada per ringraziarla del pensiero gentile. 

Lo avrebbe voluto fare, in realtà, ma la vista del seno nudo della sirena le aveva congelato il sangue. Non che guardasse il seno alle ragazze, normalmente, ma Brittany glielo stava praticamente sventolando in faccia e Santana era una persona curiosa. Inoltre, era un'amante della bellezza e sapeva riconoscere una cosa bella quando le deliziava la vista: indubbiamente il seno più bello che avesse mai incontrato. D’improvviso, l’essere seduta le sembrò una gran benedizione: se fosse stata in piedi le sue gambe tremanti l’avrebbero certamente regalata al mare.

«Hai paura di me?» Tentò allora la bionda, nella speranza di sentire nuovamente, seppur per un secondo, la voce roca della mora. 

Santana si accigliò in fretta e fece un gran scuotere di capo, con le labbra sempre sigillate. 

«Non sembrerebbe.» Brittany incrociò le braccia sul bordo del peschereccio e posò il mento sull'avambraccio posto sopra l'altro. Sporse il labbro inferiore all’infuori e Santana ebbe qualche problema a trovare l’aria necessaria a farle funzionare il cervello.

«Non mi guardi neanche. Non ti piaccio?»

Come una bambina colta a rubare le ciliegie, Santana si sentì arrossire. La carnagione scura non lo dava molto a vedere, ma le sue guance presero fuoco. Avrebbe voluto dire che la verità era tutt’altra, che Brittany pur avendo le sembianze di una donna risvegliava in lei un desiderio che non aveva mai provato prima. Si limitò invece a dire «So cosa fate ai marinai.»

«Ma tu non sei un marinaio e io non sono come le altre sirene.» Osservò la bionda, con gentilezza sovrumana.

«Cosa dovrebbe farmi credere che non stai mentendo? Un cappello?!» Santana alzò i toni e questo sembrò disturbare la sirena, che per la prima volta prese le distanze dalla ragazza. Con uno sbuffo d’aria di frustrazione, la latina gettò il copricapo ai propri piedi, come se nella stoffa dell’oggetto fosse insito un pericolo nascosto.

«Dovresti metterlo sulla testa, Santana..» Suggerì con un filo di voce la creatura, come intimorita da un rifiuto. 

Santana sgranò gli occhi e per la prima volta si voltò per sostenere lo sguardo cristallino dell’altra. «Come sai il mio nome? Mi hai spiata?» 

A quelle parole la bionda sembrò realmente ferita. In parte perché era vero, in parte perché la cosa sembrava disturbare la ragazza. «È vero che ti ho seguita, Santana, ti ho controllata, ma solo perché tu continui a tornare da me.» 

Santana aggrottò la fronte. Tornare da lei? Se non la conosceva neanche?!? 

«Basta!» Sbottò allora, al limite della pazienza e della sanità mentale. «Tutto questo non è reale!» Brontolò esasperata, portandosi le mani sugli occhi «Il sole mi ha dato alla testa. Tu non sei reale, il tuo cappello non è reale e nulla di tutto questo sta succedendo davvero!»

«Ma io sono r–»

«Lasciami in pace!» urlò la mora in risposta a pieni polmoni.  Nuovamente la barca dondolò prima da un lato e poi dall’altro.

Quando Santana riaprì gli occhi non c’era più ombra della bionda, né del suo dono. 

Lo aveva davvero soltanto immaginato o era accaduto quello che aveva appena pensato di aver vissuto?

Scossa dall’esperienza, diede ancora un’occhiata alla rete –vuota - e più decisa di prima, dopo averla raccolta, si mise a remare per tornare a San Juan. 

Dovette bagnarsi la fronte più volte, non era abituata a ripiegare al molo sotto al sole cocente di mezzogiorno. Solitamente aspettava che questo fosse già nell’arco discendente e non al suo picco, conosceva le storie di quanti, stremati dalla fatica, ci avevano rimesso le penne. Si tolse anche la camicia per porla a riparo della chioma scura scottante, che per via del colore attirava ancor più luce. Per mille diavoli, si disse, se quel cappello fosse stato vero mi avrebbe tolto una bella seccatura

Quando finalmente intravide il molo, libero dagli altri pescherecci probabilmente ancora intenti a guadagnarsi la pagnotta, con cui il mare era stato più clemente, notò come prima cosa che il suo amico Noah non era lì ad aspettarla. 

La seconda cosa che la colpì, forte come una pagaiata ricevuta in testa, fu un oggettivo nero dalla forma familiare. 

Il copricapo era posato sulla cima del piolo a cui Santana era solita legare Bailarina


 


L'idea mi frullava in testa da un po' e ho deciso di rendervi partecipi delle mie fantasie.
Ogni capitolo avrà il nome del componimento musicale che lo ha inspirato e che quindi immagino come colonna sonora della storia narrata. Non è fondamentale conoscere le varie melodie, anche se a mio parere danno una sfumatura in più alla vicenda. 
Ho un paio di capitoli pronti che conto di pubblicare a cadenza settimanale. La storia intera non conterà più di cinque- sei capitoli al massimo. Baciotti a chi è ancora in questo fandom in decadenza! /m
(Ancora una volta, tutti gli errori-orrori sono miei. :3 Accettateli come vostri fratelli.)

 

   
 
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