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Autore: kai_fangirl_jackson    15/06/2016    1 recensioni
Nella guerra non esistono buoni o cattivi, esistono solo uomini. Gli uomini creano e distruggono. Gli uomini hanno debolezze e spesso muoiono per queste. Gli uomini hanno bisogno di corazze per difendersi dalle paure e di maschere per sotterrare la tristezza. Perché in fondo gli uomini sono mortali con un’anima immortale.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Mi chiamarono presto quel mattino, prima del solito. Si era parlato da tempo di assediare Brindisi ma non ci avevano ancora detto con precisione, in fondo, a noi soldati, veniva detto tutto una volta determinato con precisione. Raggiunsi i mei compagni e ci mettemmo in silenzio in riga, come ogni giorno. “Mi sa proprio che si andrà in guerra.” aveva detto Admir. E infatti, poco dopo, il comandante ci comunicò la notizia: avremmo conquistato Brindisi e tutti i paesini che si trovavano su quella via, il primo era Otranto. A quella notizia corsi a casa in preda a un panico esagerato. Non fraintendetemi, non ero spaventato per il fatto che avrei dovuto combattere e, forse, che sarei anche morto: ero stato allevato alla guerra io, anche se avevo solamente trent’anni. È solo che… forse non sarei mai riuscito ad uccidere un innocente. L’avevo vissuta io la guerra, da innocente.

Era appena cominciata la primavera quando loro arrivarono. Li chiamavamo pagani e non avremmo mai creduto che sarebbe successo tutto quello che successe di seguito. Io stavo con mio padre sul mare, mi stava insegnando quella che chiamava ‘l’arte del commercio’. La strada che avrei seguito quando sarei cresciuto sarebbe stata quella: il commercio nei mari. Ero solo un bambino all’epoca, avevo poco più dei tre anni ed ero terrorizzato dal mare. Mio padre mi biasimava sempre per questo, mi diceva in continuazione che me la sarei dovuta far passare quella paura, per questo quel giorno, quando tutto cominciò, mi portò con sé. Eravamo salpati all’alba, insieme ad altre navi. Dopo alcune ore di navigazione vedemmo all’orizzonte navi che non si erano mai viste da quelle parti. Io non sapevo cosa sarebbe accaduto, ero troppo piccolo per riconoscere quelle navi, ma vidi il volto di mio padre e dei marinai, velati di una paura immane. Poi successe il finimondo, quelle navi curve si avvicinavano sempre di più, e sempre di più notavo la loro stranezza: erano navi da guerra. Rischiai la morte quel giorno. Un colpo e la nostra nave iniziò a riempirsi di acqua. Ricordo che tutti erano in preda dell’agitazione, alcuni recitavano il rosario, altri cercavano di salvarsi buttandosi in mare e poi c’ero io, io non provavo assolutamente niente. Ero lì, in piedi, su quella nave che stava cadendo in rovina, ignaro di tutto quello che stava accadendo, come se io non fossi realmente lì, come se stessi guardando tutta quella scena dall’esterno. Sentì delle braccia afferrarmi e mi sentì sollevato alla vista di mio padre. Quelle navi continuarono la loro rotta, lasciandoci lì ad affondare, nell’acqua gelida del mare. La sorte volle che una piccola barchetta da pesca passava di lì in quel momento, si affiancò a ciò che rimaneva della nostra, ormai solo pezzi di legno e botti dove io e mio padre ci aggrappavamo, e ci tirò in salvo. Mi fu raccontato che quelle navi appartenevano all’impero ottomano ma che non c’era da preoccuparsi più di tanto, in fondo, la nostra città era una delle maggiori potenze europee: Costantinopoli. Tornammo in patria e vidi la guerra sotto i miei occhi, vidi persone innocenti uccise e la nostra città rovinata lentamente. Li uccisero tutti, gli uomini difensori sulle mura. Presero noi giovani e ci portarono nella loro patria. Ho ancora impresse quelle strade che percorrevo tutti i giorni, devastate e piene di cadaveri. Ho ancora impresse le urla di mia madre quando mi strapparono dalle sue braccia, a lei non era rimasto nient’altro che me e la vidi svuotarsi della sua forza vitale quando perse anche me, suo ultimo tesoro.

Quelli che avevo considerato dei mostri spietati e senza cuore si erano mostrati successivamente persone normalissime, forse con una cultura diversa e uno strano modo di vestire, ma certamente non senza cuore. Divenni parte di loro. Mi insegnarono a combattere e ben presto divenni un perfetto soldato, insieme ad altri giovani. Crebbi fra loro, divenni uno di loro, ma non scordai mai gli orrori della guerra. Non sarei mai riuscito ad uccidere un innocente, non dopo tutto quello che avevo visto. Sarei ora io dalla parte dei pagani.

Ma come si può facilmente immaginare dovetti partire anch’io. La paura del mare aperto mi era passata quel lontano giorno, ormai. Ero sopravvissuto allora, essendo un bambino, sarei sopravvissuto ancora; era come una corazza che mi ero costruito per affrontare questa paura, che mi faceva sentire invincibile, perché a ognuno serve una corazza per proteggersi dai colpi della vita, a ognuno serve sentirsi quel poco invincibile.

Arrivammo al mattino presto sulle coste di quella piccola cittadina di pescatori. Mandammo un araldo con un’interprete per dare scelta agli otrantini. C’erano due opzioni: o si sarebbero convertiti alla nostra cultura, oppure sarebbero morti combattendo. Mi sembrò di vedere l’esatta copia di ciò che era successo alla mia vecchia città, solo da una prospettiva differente e sarebbe stato assai interessante, se solo non si fosse trattato di guerra, ma di qualsiasi altra cosa. Quando l’araldo tornò comunicandoci la scelta di combattere degli otrantini, devo dire che ne rimasi abbastanza sorpreso, d’altro canto come tutti gli altri.
Però capivo perfettamente cosa significasse resistere e lottare per la propria patria, me lo fece capire perfettamente mio padre il giorno prima della sua morte. Mi disse: “Sai perché abbiamo scelto di resistere, Alessandro?” e io scuotevo la testa innocente. Mi rivolse un sorriso, non ne vedevo uno da tanto ormai, e quello fu l’ultimo che vidi: “Perché quando un uomo crede in qualcosa, lotta con i denti al fine di trattenerlo e di non perderlo, dando anche la vita, a volte.” Non capii subito quello che mi disse quella notte stellata, lo capii solamente quando trovai qualcosa in cui credere, qualcosa a cui afferrarmi, un’ancora.

Non partecipai alle prime battaglie, io facevo parte delle ‘riserve’, i più forti, quelli con più esperienza, che sarebbero scesi in battaglia in sostituzione di coloro che sarebbero morti. Ma dopo qualche mese mi chiamarono per combattere. Provai emozioni così differenti quando me lo dissero! Ero terrorizzato dal fatto di dover uccidere persone innocenti ma ero anche molto elettrizzato dal fatto che mi sarei mostrato in una vera battaglia. Certo, ne avevo combattute alcune di battaglie, ma mai di questo genere.
Presi il mio coltello ricurvo e marciai con gli altri verso le mura, ora bisognava solo arrampicarci, suvvia, non era un’impresa così complessa. Quando arrivai in cima dovetti subito gettarmi su un uomo otrantino, in guerra non c’è tempo da perdere! Non riuscivo a guardarlo nemmeno in faccia, nemmeno quando gli affondai il coltello tra le costole. E lui ora giaceva a terra, morto. Mi voltai dall’altra parte e ne uccisi un altro, e un altro ancora. Poi ne colpii uno alle spalle. Non mi giravo, non volevo vedere la scia di morti dietro di me. Dal coltello mi calò del sangue sulle mani, abbassai lo sguardo. Quel sangue non era mio, quel sangue era di persone innocenti, era tutto sbagliato. Un momento dopo sentì un dolore acuto al petto, una lama mi aveva trapassato. Tutto si fece buio e il mio ultimo pensiero fu “Me lo meritavo, è giusto così.”.

Perché nella guerra non esistono buoni o cattivi, esistono solo uomini. Gli uomini creano e distruggono. Gli uomini hanno debolezze e spesso muoiono per queste. Gli uomini hanno bisogno di corazze per difendersi dalle paure e di maschere per sotterrare la tristezza. Perché in fondo gli uomini sono mortali con un’anima immortale.

 

   
 
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