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Autore: Pendincibacco    16/06/2016    2 recensioni
"[...] il momento della rivelazione di Obito, per il copia-ninja, era stato di certo quello più tremendo, spaventoso e annichilente; un momento così terribile che avrebbe dovuto, a rigor di logica, occupare ogni singolo angolo della sua mente.
Tuttavia, anche in quell'attimo come per tutta la durata del conflitto, la sua mente era stata lacerata, trascinata in due diverse direzioni.
Da un lato, il fiume di sentimenti scatenato in lui dal rivedere l’amico da lungo tempo perduto, una marea soverchiante di stupore, disperazione e rabbia; dall'altro, un’ansia più sottile ma non meno tremenda, una paura strisciante che portava con sé da giorni e che l’avrebbe accompagnato fino al termine della guerra, un pensiero sordo e costante agli angoli della sua mente."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Konoha, dopo la tempesta.'
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Note dell'Autrice: Buonsalve! Eccomi qui con il secondo capitolo, che è ... ebbene sì, un altro antefatto. Vi chiedo scusa, ma detesto iniziare le storie poggiandole sul nulla, mi piace chiarire i trascorsi e le caratteristiche dei personaggi prima di entrare nel vivo della narrazione. Quindi mi spiace ma vi beccate un'altra introduzione, sorry. Prima di iniziare è necessario che io chiarisca una cosa importante, altrimenti rischierei di prendermi dei meriti che non sono miei, e non mi sembrerebbe giusto.
I fatti narrati in questo capitolo sono ripresi in buona parte da una saga filler presente nella serie anime "Naruto Shippuden", ci sono delle aggiunte mie ma molti dei fatti vengono da lì. Qualcuno di voi potrebbe averla vista, chi ha seguito solo il manga sicuramente no, si intitola "Saga dell'ANBU Kakashi: il ninja che vive nell'oscurità" e getta uno sguardo su quella che è stata la vita di Kakashi a partire dalla morte di Nohara Rin fino al momento in cui decide di allenare il Team 7; quindi si concentra su un periodo di tempo nel quale di Kakashi, dal manga, non si sa assolutamente nulla. Non so se gli sceneggiatori abbiano inventato tutto di sana pianta o se si siano rifatti a qualche spunto fornitogli da Kishimoto, fatto sta che quella è l'unica serie filler che mi sia mai piaciuta ed ero insoddisfatta dalla mancanza di info su di lui nel manga, dunque ho deciso di rifarmici per delineare anche il passato del "mio" Kakashi.
Questo per spiegare a chi non ha visto la serie che quello che ho scritto non proviene tutto dalla mia fantasia, ho solo ricamato sopra a qualcosa che era già stato inventato da qualcuno, la farina del mio sacco arriverà davvero solo dal prossimo capitolo in poi. Portate pazienza se qualche evento non vi sembrerà chiarissimo, ho dovuto barcamenarmi tra la necessità di raccontare gli eventi a chi non ne sapeva nulla e quella di non fare una copia sputata della serie, rendendo il capitolo noioso per chi l'ha guardata. Detto questo vi auguro buona lettura!



 

Oh the times, they are a changin'


Capitolo 2
Seems you're the only one who knows, what it's like to be me
 
 
“La vera solitudine è non avere un passato da ricordare,
vivendo soltanto nel presente.”
Naruto Shippuden Opening 14 – Size of the moon
 

 
Durante la guerra Kakashi si era ritrovato a pensare fin troppe volte al tempo passato con lui, agli eventi che li avevano uniti e a come si erano conosciuti. Ricordava ancora con precisione il giorno in cui l’aveva incontrato per la prima volta e questa, pensava spesso, era già di per sé una cosa incredibile dato che in quel periodo, in cui ancora faceva parte del corpo scelto ANBU, sembrava non importargli più di un accidenti di nulla. La morte del maestro Minato pareva avergli portato via l’ultimo barlume di speranza, l’ultima parvenza di senso nella sua patetica esistenza; e il trascorrere delle giornate non era diventato altro che un lento consumarsi, la disperata attesa di un oblio che spesso nemmeno il sonno riusciva a regalargli. Aveva appena quattordici anni eppure si aggirava per il villaggio con un’aria cinica, spenta e rassegnata che avrebbe dovuto essere molto più tipica di un anziano che di un adolescente.
Era vuoto, tanto vuoto che nel pozzo della sua anima non avvertiva altro che un eco sbiadito e lontano della propria vita, una vita che era andata distrutta quando i suoi unici affetti gli erano stati strappati via nel giro di due anni scarsi. Era accaduto così, di colpo, quasi uno di seguito all’altro senza alcuna vera tregua, in un tempo troppo breve perché potesse riadattarsi ad un’esistenza diversa, così come si fa sempre dopo un lutto. A Kakashi l’atto di rialzarsi e ricostruirsi era sembrato impossibile: il suo cuore era irrimediabilmente spezzato, i cocci troppo aguzzi per poter essere maneggiati e troppo piccoli per essere rimessi insieme a ricreare ciò che era stato prima.
 
Perciò, in effetti, era quasi incredibile il fatto che ricordasse che, in quella particolare giornata di molti anni prima, il cielo era terso e uno spettacolare tramonto dipingeva il cielo mentre si introduceva nel quartier generale della Radice. Quel posto non era mai piaciuto a Kakashi: buio, sotterraneo e infido, gli sembrava che ogni ombra si stagliasse su pareti e pavimenti all’esatto scopo di nascondere qualcosa. Eppure aveva sentito di dover andare: se ciò che Danzo aveva insinuato era vero, se il Terzo era davvero implicato nella morte del suo maestro, allora ciò che stava facendo non solo non era sbagliato ma era terribilmente giusto. L’idea di allearsi con Danzo non lo entusiasmava, anzi lo inquietava; tuttavia la delusione e lo sconforto l’avevano portato fino a quel punto, a portargli di nascosto il piano per la prossima missione che avrebbe visto l’Hokage in prima linea. Il ninja non era certo di cosa l’uomo intendesse fare con quelle informazioni; più che altro aveva tentato di non pensarci affatto. La rabbia aveva preso il sopravvento sia sulla sua intelligenza che sulla sua coscienza.
Era stato proprio in quel momento, mentre cercava di trovare Danzo all’interno di quel labirinto di corridoi, che un ragazzino gli si era lanciato addosso pensando che fosse un qualunque ANBU intenzionato a spiare l’organizzazione. E l’aveva fatto attaccandolo con niente di meno dell’arte del legno. Era giovane, impressione acuita dalla sua voce acuta e sottile, magro e affilato, tutto gomiti e ginocchia come tipico di quell’età, eppure tonico ed evidentemente allenato al combattimento. Pallido, persino più di lui, con capelli castani che gli arrivavano poco sotto alle orecchie e una maschera da gatto di quelle tipiche della Radice che gli copriva il volto.
Kakashi ne era rimasto scioccato per più di un motivo, in primis il fatto che quella particolare arte ninja che il suo avversario sembrava utilizzare con tanta leggerezza avrebbe dovuto essere scomparsa da tempo. In secondo luogo, la sua età: ad occhio e croce non poteva avere più di dieci anni. Nel mondo dei ninja, specialmente in quel periodo, era normale cominciare molto presto ad affinare le proprie abilità e le arti magiche ed illusorie in vista della battaglia; Kakashi stesso non aveva fatto eccezione. Tuttavia quel bambino era davvero troppo giovane per essere già un così abile combattente e lo shinobi si era ritrovato a pensare, con una punta di ironica amarezza, che anche la sua infanzia doveva essere stata a suo modo difficile.
 
A quel primo, scioccante incontro ne erano seguiti alcuni altri nei mesi successivi.
 
Nel momento in cui, resosi conto della propria superficiale cecità, aveva sventato il prevedibile attacco della Radice al Terzo Hokage, un attacco a cui aveva involontariamente contribuito, non era stato sorpreso di trovarsi di fronte il bimbo prodigio dell’organizzazione di Danzo. Di una cosa si era invece stupito oltre modo: sé stesso, nel momento in cui l’aveva lasciato andare nonostante fosse riuscito a metterlo al tappeto con facilità. Si era ripetuto più volte che l’aveva fatto per il bene del villaggio; del resto, l’arte del legno era l’unica cosa, oltre allo sharingan completamente sviluppato, in grado di tenere a bada la potenza dei Cercoteri. Si era detto che, con una Forza Portante a Konoha, quel ragazzino avrebbe potuto rivelarsi assolutamente necessario e che quindi, risparmiandolo, non aveva fatto altro che il bene della Foglia. Eppure, nonostante queste elucubrazioni, il ninja sapeva che in realtà il motivo principale era in effetti un altro: era incuriosito da lui.
La sua padronanza dell’arte del primo Hokage era un fitto mistero, ma il punto non era solamente quello. Kakashi aveva scorto nei suoi occhi, solo parzialmente nascosto dallo sguardo di fredda indifferenza così tipico della sua sezione, un barlume di malinconia e bruciante disperazione che conosceva fin troppo bene.
 
Nelle settimane successive il suo pensiero quasi non gli aveva dato pace, ma questo era stato in un certo senso positivo dato che lambiccarsi sull’identità del piccolo shinobi lo distraeva almeno in parte dai sensi di colpa e dalla disperata solitudine. Si era quindi messo all’opera, spulciando gli archivi del villaggio ogni qualvolta ne aveva il tempo alla ricerca di informazioni sull’arte del legno perfezionata da Hashirama Senju. Purtroppo, a quanto pareva, non ne risultava alcuna traccia negli incartamenti successivi alla sua morte, avvenuta ormai quasi mezzo secolo prima.
Era stato necessario l’intervento dell’Hokage perché Kakashi potesse finalmente trovare, almeno in parte, le risposte che cercava; tuttavia queste non fecero altro che acuire la sua inquietudine. Sarutobi gli spiegò come, dopo la scomparsa del Primo, in molti avessero tentato di replicare le sue peculiari capacità, indugiando in esperimenti di dubbia morale su un nutrito campione di soggetti che aveva trovato la morte in modo atroce ed orrendo. Il Secondo Hokage aveva dunque proibito tassativamente pratiche di quel genere, ritenendo che il possibile risultato non giustificasse il prezzo da pagare per ottenerlo. Tuttavia, in quell’ultima decina d’anni molti shinobi erano misteriosamente scomparsi nel nulla, così come almeno una sessantina di bambini provenienti dai villaggi vicini. Il sospetto dell’anziano era che qualcuno avesse ripreso a sperimentare in segreto l’impianto delle cellule di Hashirama e che il ragazzino incontrato da Kakashi non fosse altro che il primo tentativo riuscito.
Il ninja aveva riflettuto a lungo sulle implicazioni di quanto ascoltato. Quel bambino era stato probabilmente strappato alla propria famiglia e sottoposto a chissà quali pratiche terribili per chissà quanto tempo. Questo pensiero, in un certo senso, rendeva quasi positivo il suo misterioso ingresso nella Radice: in qualche modo doveva essere riuscito a fuggire alle grinfie del crudele rapitore, o qualcuno l’aveva aiutato a farlo. Alla luce di tutto ciò l’ombra di disperata solitudine che aveva colto nei suoi occhi non lo stupiva più, semmai lo rendeva malinconico. Se passare da una vita di dolorosa reclusione ad una di spietato e indifferente omicidio su commissione poteva essere considerato un miglioramento, rifletteva, allora probabilmente quel piccoletto aveva vissuto davvero un’esistenza più disperata della sua.
 
Poco tempo dopo, come se il destino intendesse aiutarlo nella sua spasmodica ricerca di informazioni, se l’era ritrovato nuovamente davanti durante l’inseguimento del fuggiasco Orochimaru, ricercato per essere stato colto con le mani nel sacco: era stato proprio quel Ninja Leggendario, conosciuto per essere uno scienziato senza scrupoli, a condurre gli abominevoli esperimenti di cui Sarutobi gli aveva parlato.
In quell’occasione aveva visto il giovane ninja per la prima volta a volto scoperto e ne era rimasto ancora più colpito: i suoi occhi erano grandi, quasi sproporzionati rispetto al suo sottile volto di bambino, catturavano l’attenzione in modo magnetico. Aveva un’espressione dura, determinata, eppure Kakashi continuava a vedervi celata una sotterranea fragilità e una solitudine con cui non poteva far altro che empatizzare, seppur suo malgrado. Il suo nome, come aveva scoperto, era Kinoe; ma il ragazzo sapeva che doveva essere un appellativo fittizio assegnatogli al suo ingresso nella Radice. D’altro canto, l’aveva mai avuto un nome suo? Il ninja non lo sapeva, però secondo l’Hokage Orochimaru aveva rapito le sue cavie ancora neonate. Forse, Kinoe era stato il primo modo in cui fosse mai stato chiamato in vita sua.
Kakashi ricordava come, al termine della missione, l’avesse nuovamente lasciato andare, promettendo addirittura di non fare nomi nel rapporto e fingere quindi che nulla di quanto era successo in quell’occasione fosse mai accaduto. In parte l’aveva fatto per proteggere l’identità dei civili che erano rimasti coinvolti nell’azione, in parte non voleva che quel ragazzino venisse implicato in una possibile accusa di tradimento. Aveva pensato all’ironia perversa di Danzo, involontaria o forse non tanto, che aveva fatto sì che al giovanissimo ninja fosse affidato il compito di proteggere quello che era stato, a tutti gli effetti, il suo aguzzino: il copia-ninja era infatti troppo intelligente per non aver capito fin da subito che Kinoe era stato mandato in missione con il preciso intento di ostacolarlo, permettendo al traditore di fuggire. Non aveva idea del perché il leader della Radice avrebbe dovuto volere una cosa del genere, tuttavia il suo istinto gli diceva che non si sbagliava, ma anche che proteggere il piccoletto era la cosa giusta da fare.
 
Ripensandoci a distanza di oltre un decennio, Kakashi non avrebbe saputo dire con esattezza quanti anni fossero passati tra quel momento e il loro successivo fatidico incontro; forse tre, o quattro, non ne era sicuro. Sapeva però che per poco non gli era preso un colpo quando Kinoe gli era comparso accanto all’improvviso, offrendosi di ispezionare insieme a lui uno dei covi abbandonati di Orochimaru per poterne riferire a Danzo il contenuto. Era cresciuto, anche se era comunque più basso di lui, ed era ancora pallido e magro anche se decisamente più muscoloso dell’ultima volta. Portava i capelli lunghi fino alla base delle scapole, lisci e scuri a coprirgli il collo e le spalle. Se l’ultima volta era poco più che un bambino in quel momento aveva ormai superato le soglie dell’adolescenza, mentre Kakashi stava appena cominciando ad uscirne.
Per un attimo il ninja aveva quasi perso la sua compostezza, ma era così stupito di vederlo dopo tutto quel tempo! In quegli anni passati senza altri contatti aveva cominciato a pensare che forse non si sarebbero più incrociati, che Kinoe sarebbe rimasto sepolto nei meandri della Radice per sempre.
 
Quando ripensavano a quella giornata, negli anni successivi, a Kakashi veniva sempre da ridere, mentre “Kinoe” tentava di sbattergli la testa ritmicamente contro il muro per aver tirato fuori l’argomento. Non andava molto fiero delle proprie azioni passate e il copia-ninja, in effetti, non se la sentiva di biasimarlo.
Una decina di minuti dopo aver varcato le porte del covo, infatti, lo shinobi della Radice l’aveva attaccato senza pietà allo scopo di portare a termine la propria vera missione: ucciderlo in assenza di testimoni, in modo da poter consegnare il suo sharingan a Danzo.
Kakashi, è evidente, non era mai stato un tipo molto fiducioso. In effetti, generalmente concedeva più volentieri uno sguardo truce che la fiducia; dunque nonostante la sua curiosità e i sentimenti di empatia nei confronti del ragazzo non aveva mai abbassato la guardia, cosa che gli permise di sopravvivere allo scontro e di uscirne vincitore. Tuttavia, non aveva potuto fare a meno di provare una fitta al cuore nel vedere l’altro rivoltarsi contro di lui.
Trovava assurdo dover combattere contro un altro membro del villaggio della Foglia, soprattutto contro qualcuno con cui avvertiva quella particolare “connessione”, una sorta di condivisione di sentimenti che gli sembrava si verificasse ad ogni loro incontro. In alcuni momenti aveva avuto persino la sensazione che anche il ragazzino scorgesse la disperazione nei suoi occhi, esattamente come lui l’aveva percepita in Kinoe fin dal principio.
- Se ti hanno ordinato di uccidere un amico, allora chi ti ha dato quell’ordine ha sbagliato! – aveva urlato durante lo scontro, per tentare di farlo ragionare. Era stato in quel momento che il ninja gli aveva rivolto quelle che Kakashi riteneva ancora, a distanza di anni, le parole più dolorose che l’altro gli avesse mai sputato contro.
- Parli proprio tu, tu che hai ucciso un’amica! Perché hai ucciso Nohara Rin? Perché era la tua missione!
 
A quel punto era stato troppo e il jounin aveva perso la testa, attaccando l’altro con ferocia e velocità accecante, distrutto dal dolore dei ricordi e dalla consapevolezza che, ancora una volta, si ritrovava costretto a volgere le proprie armi contro un compagno.
- Non parlare di Rin! Ero in missione per il bene del villaggio, mi sono trovato contro due ninja traditori. Non importa se mi chiamano “assassino di amici”, non importa quello che pensi! Io … non volevo uccidere Rin! –
Kakashi aveva urlato, schiacciato ancora una volta dalla mole di dolore che si portava appresso da troppo tempo, riversando fuori tutto ciò che in quegli anni aveva tentato di rimuovere, impegnandosi negli allenamenti, cercando di essere un ANBU eccellente, concentrandosi sulla storia di Kinoe …
Aveva atterrato l’avversario, puntandogli il suo Chidori contro pronto a colpire. Ma di colpo, nella sua testa, erano risuonate le parole di Obito, quelle che più l’avevano segnato: “Nel mondo dei ninja coloro che infrangono le regole vengono considerati feccia, ma chi non si occupa dei propri compagni è feccia della peggior specie”.
Voleva davvero essere come Kinoe, pronto ad uccidere un alleato per il bene della missione senza alcun tentennamento? Voleva finire con il convincersi di aver davvero ucciso Rin solo per il bene della missione? No, non l’aveva fatto per quello … e non l’avrebbe fatto nemmeno in quel momento.
L’altro se ne stava lì, sotto la maschera lo sguardo vacuo di chi si è rassegnato allo scoccare della propria ora, apparendo ancora più miserabile e pietoso di quanto non gli fosse mai sembrato.
Non l’avrebbe ucciso, non poteva farlo. Si sarebbe occupato di lui, perché chiunque meritava una vita migliore di quella che loro avevano avuto, di quella che stavano ancora vivendo. Doveva farlo. Voleva farlo.
 
L’avrebbe riportato a Konoha perché diventasse un ANBU sotto il diretto controllo dell’Hokage, allontanandolo da quell’ambiente così tossico e malsano che la Radice era evidentemente diventata. Forse in quel modo Kinoe sarebbe riuscito a liberarsi di quell’indottrinamento assurdo e si sarebbe ricostruito una vita. Kakashi non si illudeva che sarebbe stato facile, sapeva bene cosa significa portare con sé delle cicatrici difficili da cancellare, però era certo che ce l’avrebbe fatta. Il ragazzino era tosto, decisamente tosto, e lui l’avrebbe aiutato. Magari, così facendo, anche lui sarebbe riuscito ad esorcizzare i suoi demoni.
Non credeva che questo gli avrebbe tolto di dosso i sensi di colpa per la morte di Rin, il copia-ninja non era tipo da farsi illusioni; tuttavia pensava che, in un certo senso, recuperando quella vita si sarebbe a suo modo riscattato. Semplicemente, sentiva che Kinoe aveva bisogno di lui, di una persona che gli fosse simile in grado di sostenerlo nella sua risalita dalle tenebre. Sperava che, aiutandolo nella sua scalata, anche lui sarebbe riuscito ad uscire dal pozzo di desolazione in cui era precipitato. Finalmente voleva stare meglio, lo desiderava ardentemente, con una determinazione e una sicurezza che non provava più fin dalla scomparsa di Obito.
In quel frangente aveva quasi sorriso, perplesso, domandandosi come fosse possibile che un ragazzino che nemmeno conosceva davvero fosse riuscito a smuoverlo in quel modo, a dargli la spinta necessaria per ritrovare uno scopo. Non poteva sapere che la risposta a quei dubbi gli sarebbe giunta solo una quindicina di anni dopo, grazie ad una illuminante conversazione con una ragazza che avrebbe avuto quasi la metà dei suoi anni.
 
Quello che era successo in seguito Kakashi non era mai riuscito a ricordarlo con precisione. Sapeva, dai racconti di “Kinoe”, che l’aveva ammanettato per tutelarsi durante la strada di ritorno; ma anche che subito dopo erano stati attaccati da una delle creature serpentine di Orochimaru. L’aveva sconfitta, tuttavia era stato investito in pieno dal veleno fuoriuscito dalla carcassa e il giovane ninja aveva dovuto trascinarlo fuori e somministrargli dell’antidoto per salvargli la vita.
Quando il jounin aveva ripreso i sensi l’altro era scomparso, lasciando un messaggio per lui affisso al muro con un kunai.
Nel leggerlo un velo di sudore freddo gli aveva ricoperto la fronte e la schiena, una reazione alla paura che l’aveva attanagliato di colpo.
“Kakashi, sono un po’ confuso su questa missione che mi imponeva di uccidere un amico, per cui la abbandonerò e dirò a Danzo che ho fallito. Per favore, fai attenzione. Kinoe.”
 
Kakashi non si concesse nemmeno il tempo per sentirsi fiero del ragazzino per essersi reso infine conto di quanto la sua missione fosse sbagliata, né quello per rallegrarsi del fatto di essere ancora vivo proprio grazie a lui: conosceva abbastanza la Radice per sapere che Danzo non accettava i fallimenti come niente fosse. Giravano voci sinistre su ciò che accadeva a chi andava contro i suoi ordini specifici, la chiamavano rieducazione, una sorta di condizionamento mentale operato apparentemente tramite la tortura. Non era mai stata trovata alcuna prova che questa pratica venisse effettivamente messa in atto, tuttavia il ninja non se la sentiva di scommetterci l’incolumità del ragazzo: doveva aiutarlo e tirarlo fuori da quel posto prima che fosse troppo tardi.
Nemmeno il tempo di riprendersi davvero dall’avvelenamento ad era già schizzato fuori da quell’antro orrendo, alla volta del villaggio e dell’ufficio dell’Hokage, per fare rapporto e pregarlo di intercedere per Kinoe.
 
Arrivati a quel punto nel loro viaggio dei ricordi, generalmente era il turno di Kakashi di volersi sotterrare quando lui e l’amico ne riparlavano.
“Ti sei precipitato al nostro quartier generale come se avessi avuto il fuoco sotto ai piedi e ti sei addirittura infiltrato battendoti contro le guardie, senza aspettare e rispettare il piano dell’Hokage! Sbaglio o ti aveva dato una lettera per Danzo? Se non fosse arrivato Sarutobi a tirarci fuori dai guai fingendo di averti ordinato lui di invadere l’edificio per consegnare la missiva ad ogni costo chissà che fine avremmo fatto. Probabilmente Danzo ci avrebbe fatti entrambi a pezzi per poi murarci nelle pareti! Sei sempre stato troppo poco diplomatico Kakashi …”
Il copia ninja tentava sempre di nascondere l’imbarazzo che quel ricordo gli provocava, cercando di far valere le proprie opinioni.
“Sai benissimo che le guardie avevano mentito nel dire che Danzo era uscito, era evidentemente una palla! Se avessi aspettato chissà cosa sarebbe capitato, magari ti saresti ritrovato con il cervello sforacchiato, e allora addio alla tua fulgida carriera negli ANBU!”
I suoi tentativi ovviamente non venivano mai presi troppo in considerazione e l’altro scoppiava prontamente a ridere come un matto ogni santa volta, senza dargli scampo.
“Certo, tu eri preoccupato per la mia carriera, sicuro! Oh, mio prode cavalier Kakashi, la ringrazio infinitamente per essersi precipitato a trarmi in salvo con la spada sguainata e il vessillo al vento!”
A Kakashi non rimaneva altro che sbuffare e digrignare i denti, sconfitto. Nonostante apprezzasse il senso dell’umorismo che l’amico aveva sviluppato negli anni, non amava che gli venissero ricordati i suoi momenti di sentimentalismo; tuttavia in un certo senso non se la sentiva di arrabbiarsi troppo. Era indubbio che il giorno in cui Kinoe era rinato a nuova vita lui si fosse comportato un po’ come un cavalier servente, dunque forse poteva sopportare un po’ di scherno una volta ogni tanto.
 
Dopo il salvataggio all’ultimo secondo da parte dell’Hokage, Danzo era stato costretto a mollare la presa. Non poteva rischiare di inimicarsi Sarutobi pubblicamente, dunque Kinoe era stato libero di lasciare la Radice senza temere ripercussioni di sorta e di entrare a far parte del corpo scelto ANBU, sotto insistenza di Kakashi e dello stesso capo del villaggio.
Quando si era presentato negli spogliatoi della loro sede per indossare la divisa ed unirsi alla sua squadra, al copia-ninja era sembrata una situazione quasi surreale. Solo pochi anni prima quello non era che un ragazzino con le potenzialità per diventare pericoloso, una minaccia e una speranza al tempo stesso. Era stato, essenzialmente, un mistero da risolvere per tenersi la mente occupata per non pensare ai propri demoni… ed era invece diventato un compagno su cui fare affidamento, addirittura un amico che gli aveva salvato la vita e per il quale non aveva esitato a mettersi a rischio. Quel cambio di prospettiva l’aveva confuso, facendogli provare un senso di vulnerabilità che non provava da tempo. “Se quel piccoletto mi ha fatto affezionare a lui così facilmente vuol dire che mi sto rammollendo? Sto perdendo il mio smalto?” si domandava in continuazione, eppure non poteva farci nulla. Si sentiva legato al ragazzino e quella sensazione “protettiva” che provava sempre nei suoi confronti non si era affievolita, anzi la sentiva ancora di più ora che sarebbe stato il suo diretto responsabile. Kinoe sembrava così sperduto, gli occhi sgranati mentre osservava l’ambiente con circospezione, la nuova spada da combattimento assicurata malamente sulle spalle. Sarebbe stato in grado di aiutarlo a trovare il suo posto nel mondo? Lo avrebbe reso il guerriero formidabile che prometteva di essere o l’avrebbe fatto ammazzare in battaglia per un errore di calcolo? Era davvero pronto a farsi carico di una tale responsabilità?
Decise di esserlo nell’esatto momento in cui diede a Kinoe il suo nuovo nome.
Lo fece quasi spontaneamente, senza rifletterci davvero. Semplicemente, nel salutarlo gli uscì dalle labbra un nome diverso, un appellativo che gli era stato assegnato per errore anni prima da alcuni civili durante la loro prima missione fianco a fianco alla ricerca di Orochimaru.
- Hey Tenzo! –
E da allora Kinoe era stato Tenzo e Kakashi aveva saputo di volersi davvero assumere tutte le responsabilità del caso.
 
Nonostante tutto, però, lo shinobi non aveva mai davvero riflettuto a fondo su quanto dare un nome a qualcuno fosse qualcosa di incredibilmente intimo, un atto che crea un legame praticamente imprescindibile tra due persone, simile a quello di una madre con i propri figli.
Se ne rese conto per la prima volta in ospedale, al termine del conflitto, sgusciando tentando di non essere notato troppo nella stanza del “Capitano Yamato”, di recente recuperato dal covo nemico vivo per miracolo e ancora incosciente.
Il ninja faceva la spola tra la stanza dei suoi allievi e la sua, tenendogli una mano quando era certo che nessuno stesse per entrare. In quei momenti rubati, così intrisi di dolore e di cocciuta speranza, ripercorse ancora una volta con la mente il loro passato condiviso, soffermandosi proprio su quell’attimo in cui il nome dell’amico era cambiato per sempre.
Non importava che Tsunade gli avesse assegnato un nuovo nome fittizio, per Kakashi quell’uomo non sarebbe mai stato altro che Tenzo, il bambino sperduto che aveva incrociato la propria vita con la sua molto tempo prima.
Per dodici anni si erano allenati insieme, avevano combattuto schiena contro schiena, avevano persino aiutato insieme Naruto ad allenarsi. Era un compagno e gli era affezionato, ammise persino a sé stesso che gli voleva bene. Era il suo migliore amico, o meglio, lo era in un modo diverso rispetto a Gai, a Genma o a chiunque altro: più intimo, più intriso di ricordi e di dolore, ma anche di speranza e di rinascita.
Gli ci erano voluti anni per capirlo, tuttavia in quel momento non poté negarselo: senza Tenzo non avrebbe mai superato la morte del suo Team. Forse, senza il suo pensiero fisso, non avrebbe mai superato nemmeno la guerra e il dolore per il ritorno e la vera scomparsa di Obito.
Dandogli un nome Kakashi aveva modificato profondamente l’esistenza di Tenzo, ma grazie a quella presa di posizione, a quell’assunzione di un forte dovere nei confronti dell’amico, anche la vita di Kakashi stesso ne era uscita diversa … ricostruita. Sapeva, naturalmente, che tornare indietro non è possibile; la sua anima avrebbe portato con sé i segni della sua terribile infanzia per sempre. Eppure, aveva la sensazione che Tenzo si fosse gradualmente infilato nelle sue crepe e l’avesse rimesso in piedi senza che nessuno dei due se ne rendesse davvero conto veramente.
 
Ricordava che un giorno di qualche anno prima, durante uno di quei momenti in cui l’amico riportava a galla vecchi ricordi, aveva sbottato dicendo che avrebbe preferito non ricordare nulla del proprio passato, per non dover soffrire più e non sentire più la solitudine. Era accaduto in una delle sue giornate buie, una di quelle in cui, nonostante la presenza di Tenzo e la sua nuova vita come maestro del Team 7, non riusciva a non pensare agli orrori del passato.
L’altro l’aveva scrutato per qualche momento, pensieroso, dunque gli aveva posato una mano sulla spalla e aveva detto qualcosa che gli aveva dato molto su cui riflettere.
“La vera solitudine è non avere un passato da ricordare. E’ il tuo passato ad aver fatto di te ciò che sei ora, Kakashi, e io non vorrei nulla di diverso. Nessuno di quelli che ti sono affezionati lo vorrebbe. E poi, se tu fossi stato una persona diversa, forse tra noi sarebbe andata diversamente.” aveva affermato, sicuro.
“Forse io sarei ancora là.” aveva quindi concluso con lo sguardo perso mentre ritornava con la mente ai suoi anni da bambino passati nella Radice.
C’era voluto molto tempo e molta dolorosa introspezione, ma Kakashi aveva finito col pensare che Tenzo avesse perfettamente ragione: non poteva cambiare il passato, ma poteva trarne il meglio. Poteva essere la versione migliore di sé stesso, portando nel cuore le persone che aveva perduto e i loro insegnamenti. Non sarebbe stato chi era senza ciò che era accaduto, forse non avrebbe avuto i suoi allievi, i suoi amici, e nemmeno Tenzo.
Ci erano voluti anni, ma Kakashi era infine giunto alla conclusione che se non poteva dirsi felice del proprio destino poteva quantomeno dirsi soddisfatto della propria esistenza. Ed era certo che, senza lo shinobi del legno nella sua vita, non avrebbe mai raggiunto né quella consapevolezza né la serenità che tutti sembravano invidiargli.
 
 
***
 
 
Quando Sasuke dopo qualche giorno di incoscienza si svegliò, dimostrando di essere vivo, vegeto e non intenzionato ad andarsene, Naruto scoppiò in lacrime come non gli accadeva dai tempi della morte di Jiraija. Kakashi trovò la scena comica ma soprattutto tenera, e sorrise sotto alla maschera mentre i suoi allievi ricominciavano a bisticciare come avevano sempre fatto, provando un calore al petto che non avvertiva da tempo. Tuttavia, quando toccò a lui assistere al risveglio dell’amico non riuscì a versare nemmeno una lacrima, tanto era teso. Si limitò a stare seduto lì accanto, attendendo che l’altro si adattasse alla luce dell’ambiente e si schiarisse un po’ le idee. Yamato era pallido e smagrito, con occhiaie scure sotto agli occhi, evidentemente provato; eppure in quegli ultimi giorni aveva cominciato a riprendere un po’ di colore e in quel momento sembrava finalmente più vivo che morto. Sbattè le palpebre qualche volta, emise qualche suono strozzato per via della gola secca, dunque fissò lo sguardo appannato su di lui e stirò le labbra in un debole sorriso.
- Kakashi. –
Non era una domanda, solo un’affermazione, come a volersi rassicurare della sua presenza. Lui sorrise a sua volta, nonostante la maschera nascondesse il suo viso era certo che l’altro potesse capirlo.
- Ciao Tenzo. Farsi catturare dal nemico così, prima ancora della guerra vera … ci hai fatti preoccupare, scemo che non sei altro! –
Il ninja ridacchiò piano, posandosi stancamente una mano sugli occhi, dunque gli indirizzò una finta occhiata di rimprovero.
- Scemo a chi, scusa? Sarà più di un anno che ti ripeto di non chiamarmi Tenzo! –
- La guerra è finita e le missioni anche, quindi non vedo dove sia il problema. E poi come altro dovrei chiamarti? – domandò e, nonostante in genere fosse tante cose ma di certo non sentimentale, il suo cuore felice e sollevato gli concesse un gesto di tenerezza. Posò la mano sul capo dell’altro, scompigliandogli lievemente i capelli.
Non voleva pensare troppo al fiume di ricordi che l’aveva invaso o alle possibili implicazioni del suo legame con l’amico. In quel momento voleva solo essere felice del fatto che fosse tornato da lui, gioire perché non avrebbe dovuto piangere ancora una volta sulla lapide di una persona cara.
- Il tuo nome è Tenzo. -








Note finali: Il titolo del capitolo è un verso della canzone "I'll be there for you", sigla del celebre telefilm degli anni '90 "Friends".
Faccio una piccola precisazione: tendenzialmente preferisco usare le traduzioni italiane dei termini specificatamente giapponesi per il semplice fatto che non amo che il testo sia continuamente "interrotto" da termini stranieri, non la trovo una cosa naturale e mi sembra che spezzi in modo disarmonico la narrazione. Quindi non troverete Jinchuriki o Biju o usuratonkachi, ma Forze Portanti e Cercoteri e "testone", e via dicendo. Ci sono poche eccezioni a questa mia preferenza, una di queste è l'attacco "Chidori", semplicemente perchè credo che "Attacco Mille Falchi" non abbia nessun senso e suoni anche maledettamente male.
Come sempre ringrazio infinitamente chi mi farà sapere cosa ne pensa e chi mi segnalerà eventuali errori/imprecisioni/migliorie da apportare.
Alla prossima!

 
  
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