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Autore: Stateira    15/04/2009    20 recensioni
Kanda voleva assolutamente andare al Festival di Primavera.
Lavi voleva assolutamente andare con lui.
Prima classificata al concorso "è in arrivo la primavera" di Hikaru Zani
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA

PREMESSA

 

 

Questa fic si è classificata prima al concorso “è in arrivo la Primavera” di Hikaru Zani. Ringrazio di cuore la giuria, soprattutto per il bannerino adorabile *ç*

 

Il prompt era “festival”, e devo dire che, avendo scelto D.Gray-man come fandom, sul momento mi è venuto da piangere. Ho passato un pomeriggio intero a cercare di rimuovere dalla mia testa l’immagine di Lavi che distribuisce patatine e aranciata con qualche cappello calcato sui suoi poveri capelli. Sul serio, è stato tremendo.

 

Nota a margine: non so se Kjomi leggerà mai questa cosa qui. Ma se lo facesse, le riconosco tutti i credits possibili ed immaginabili sul mangiare come se non esistesse un domani.

 

 

 

 

 

 

Flying Cho

 

 

 

 

Era stato uno scontro di intenti, quello avvenuto di buon mattino nel refettorio del Quartier Generale, davanti ad un nutrito gruppo di intrepidi Finder ed uno decisamente meno nutrito di Esorcisti, che avevano meglio fiutato il pericolo.

 

Kanda voleva assolutamente andare al Festival di Primavera.

Lavi voleva assolutamente andare con lui.

 

Ora, entrambi sapevano essere dei bei testardi, e questo era noto. Benché Allen si fosse messo a fare il tifo per Lavi, senza altro motivo che non fosse la sua conclamata antipatia verso Kanda, Lenalee e Krowley avevano pronosticato fin da subito che la partita si sarebbe chiusa in parità.

Kanda aveva sbattuto con forza i palmi sul tavolo, facendo rimbalzare le sue fide bacchette. Aveva tuonato per l’ennesima volta che non avrebbe tollerato di avere Lavi fra i piedi nemmeno se si fosse trovato senza la sua Mugen. Ed era un giuramento pesante, quello, dati i risvolti del rapporto praticamente feticista che aveva con la sua spada. Lavi aveva fatto un sorrisone per niente impressionato che, se possibile, lo aveva fatto alterare ancora di più.

Le moine di Lavi e gli improperi di Kanda si erano protratti finché Komui non aveva mandato a chiamare quest’ultimo, per dargli finalmente una risposta.

 

Ed in effetti, le previsioni di Krowley e di Lenalee si erano rivelate fondate: Yuu aveva avuto il permesso di assentarsi alcuni giorni per andare al suo prezioso festival, ma Lavi gli era stato messo alle costole, ufficialmente per motivi di sicurezza.

Se non altro, avrebbero avuto occasione di distrarsi un po’, e di lasciarsi accarezzare la pelle dall’incipiente primavera che per un motivo e per l’altro, si teneva a debita distanza dall’Home. Inoltre, Bookman sembrava sinceramente contento di levarsi dai piedi il suo allievo per qualche giorno.

 

Così, i due Esorcisti erano giunti nella terra natale di Kanda, e avevano trovato alloggio nel modesto alberghetto che Komui aveva prenotato per loro – una stanza sola, s’intende, l’Ordine non ha soldi da buttare –.

 

- Accidenti, e così questo sarebbe un futon? È meno scomodo di quanto sembri! –

- Un futon, sì. Adesso potresti smetterla di fare l’idiota e prepararti ad uscire? –

- D’accordo, d’accordo. –

Lavi si accartocciò sul suo giaciglio, osservando Kanda tutto intento a spazzolarsi nervosamente la lunga coda.

- Dimmi, Yuu, c’è qualcosa di particolare che si deve indossare, a questo festival? Oppure, non lo so, qualcosa da fare? –

- Tzk. Gli stranieri che visitano il Festival di Primavera non sono tenuti a fare niente. Sono dei semplici turisti. –

- E tu, invece? –

- Io indosserò un kimono. È un vestito tradizionale, su cui tu non sei chiamato ad esprimerti. –

Lavi alzò le mani in segno di resa, e Kanda considerò conclusa lì la conversazione. Lavi lo vide trafficare con qualcosa che aveva accuratamente piegato nella valigia, e sparire dietro ad un imponente paravento che isolava un angolo della loro camera, creando una specie di stanza nella stanza.

Emise un sospiro impercettibile, e si disse che, oramai, non gli restava che giocarsi tutto.

 

Certo che la primavera, in Giappone, aveva dei profumi e dei colori diversissimi da quelli a cui Lavi era abituato. Ovunque, si accendeva il rosa freschissimo dei ciliegi, ed un’infinità varietà di legni di case e ponti, che si fondevano fra loro come acquerelli, illuminati dai primi, fragili calori del sole.

Era tutto molto… Molto fragile, ecco, sì. Fragile era la parola giusta. Come se potesse bastare anche solo una parola a mandare in frantumi quel tenerissimo incanto. Come se i ciliegi, incuranti del fatto che i loro fiori fossero destinati ad essere spazzati via, si ostinassero ogni anno, primavera dopo primavera, a rifiorire, a verdeggiare e a dare i loro frutti, correndo dietro al tempo che credevano di non avere.

Lavi sorrise fra sé: ora capiva qualcosa in più, di Yuu.

Erano giunti a mezzodì, e Kanda si era subito diretto in un curioso locale a chiedere della soba – della soba fatta come si deve – in porzioni doppie. Lavi era andato in visibilio, nel guardarlo azzannare la soba come se non esistesse un domani. Anche perché era sicuro che Jerry gliela cucinasse più che bene, a casa.

 

Oramai, che l’ora del tramonto era passata da un po’, Kanda aveva deciso finalmente di andare, perciò eccolo lì, Lavi, che aspettava di vederlo ricomparire dal suo improvvisato nascondiglio.

Se l’avesse saputo, lo avrebbe come minimo odiato. Se l’avesse saputo, lo avrebbe preso a calci fino al Quartier Generale, anzi di più, avrebbe alternato insulti in ogni lingua alle letali falciate di Mugen, e sarebbe stato già tanto se di lui fosse sopravvissuto un mignolo. 

Se avesse saputo, già. Che assillava Bookman da secoli, per sapere come mai Yuu, ogni anno e sempre nello stesso periodo, se ne andasse via per qualche giorno, e tornasse ogni volta con un’espressione umana e nostalgica che proprio non era da lui, e che perdurava sul suo viso bello per giorni, fino alle prime vampate di sole.

E poi, sapeva di buono. Sapeva di buono da morire, tutta la sua pelle, e i suoi capelli, come neanche nel giorno di Natale.

Il vecchio Komui sapeva essere un amico.

 

- Dai, andiamo. – lo sentì borbottare.

E, stupidamente, nella sua testa il paravento scuro che aveva celato Yuu fino a quel momento divenne un bozzolo da cui era appena uscita una farfalla imbronciata, dalle lunghe ali blu e bianche. 

- Yuu, hai sciolto i capelli. – quasi gemette.

- Tzk. E allora? –

E allora, già. E allora nulla.

- A-accidenti. – balbettò, ridacchiando in modo un po’ patetico. – Lo so che hai detto che me ne devo stare zitto e buono, ma tu non combinarmi certi scherzi. –

- Idiota. Dai, muoviamoci. –

La farfalla sbattè le ali screziate tutta stizzita, puntando con risolutezza verso la porta. Lavi fece un sorrisetto che era una commistione ingarbugliata di sensazioni e rimpianti, e gli si mise alle costole, mani in tasca.

 

La strada principale della cittadina era già gremita di gente, quasi tutti locali, quindi quasi tutti abbigliati in modo tradizionale, che sfilavano e si fermavano a guardare banchetti e bancarelle di ogni genere. E c’erano tante luci colorate che balenavano ora da una parte, ora dall’altra; Lavi non capiva da dove venissero, o se fossero frutto di una suggestione.

Ma anche così, Yuu spiccava su tutti. Era la farfalla in un mare di farfalle, e Lavi se la rideva sotto i baffi notando che, di tanto in tanto, qualche ragazzo restava lì impalato a guardarlo, poi lo osservava bene, impallidiva e precipitava lo sguardo da tutt’altra parte, probabilmente domandandosi come diamine avesse fatto a fare certi pensieri su un altro maschio.

Che buffi che erano.

Lui, Lavi, quella domanda aveva smesso di farsela da tempo. Da quando, forse, la consapevolezza che Yuu per lui fosse la cosa più bella di questo mondo lo aveva soverchiato, graziandolo della pace dello sconfitto.

E poi, che buon profumo, che buon profumo proveniva dall’aria della sera, dalle fronde ridestate degli alberi, dai banchetti che offrivano cibo squisito, da tutto quanto. Yuu assorbiva ogni sfumatura di quegli odori che per lui significavano casa, li miscelava con sapienza e ne faceva una fragranza. Così come, Lavi ne era certo, a quel punto, doveva aver assorbito nelle ore di piena luce, sul suo viso, i colori magici dei ciliegi.

Si fermarono a comprare dei dolci di riso di cui Lavi non aveva capito il nome. Suo dovere di Bookman sarebbe stato quello di farselo cortesemente ripetere dal venditore, e registrarlo nella sua testa, ma Kanda lo stava già lasciando indietro, marciando sui suoi zoccoletti instabili con il suo solito cipiglio risoluto. Il nome del dolce poteva aspettare.

 

- Yuu, guarda! C’è la luna piena! – gridò ad un tratto, facendo sobbalzare tutte le persone attorno a lui, e addirittura facendo scivolare una ragazzetta che fino a quel momento aveva barcollato orgogliosamente sulle sue calzature, aggrappandosi ad ogni sostegno disponibile. Lavi accorse subito ad aiutarla con tante scuse, mentre Kanda lo inceneriva con un’occhiata persino più assassina del solito.

 

- Accidenti, mi è capitato pochissime volte di vederla così grande. Che spettacolo, eh? – tentò di salvarsi, indicandola con insistenza, come a cercare di distrarre una belva inferocita dalla sua giugulare.

- Tzk. Che cos’ha di speciale, è sempre la solita luna, no? –

- Ma Yuu… -

- Piuttosto. Riesci a vedere un posto tranquillo? Qui c’è troppa gente. –

- Sei stanco? Vuoi riposare un po’? –

- Tzk! –

 

Era stanco. Il cuore di Lavi rallentò un pochino la sua corsa, azzardandosi a sperare di essere al sicuro. Si incaricò di scovare un angolino tranquillo dove potersi fermare, dato che Yuu non ce la faceva più a fingere di non essere provato dal lungo viaggio. Il testone non aveva nemmeno voluto chiudere gli occhi durante il pomeriggio, tanta era stata la sua foga di rivedere casa.

Alla fine, scovò un umile spiazzetto ignorato da tutti, proprio sul retro di una bancarella di dolci che attutiva il chiasso del festival e coccolava i sensi con i suoi profumi. Kanda si mise seduto con i piedi raccolti sotto alle cosce, a modo suo, scrutando intensamente niente di particolare davanti a sé. Lavi pensò che fosse straordinario il modo in cui riuscisse ad apparire ai suoi occhi tenero e maestoso nello stesso tempo.

 

- Sai, Yuu? Questo vestito ti sta d’incanto. –

- Si chiama kimono. È un abito tradizionale del mio Paese. –

- Sì, sì me l’hai già detto. E mi hai anche detto di non fare commenti in proposito, vero? –

- Precisamente. –

- Ma io penso davvero che ti doni. E poi, scommetto che è molto prezioso. È tutto quanto in seta, anche i ricami. O mi sbaglio? –

- Che cosa vuoi, Lavi? Sarai anche uno stupido, ma ormai mi conosci. Non puoi davvero voler parlare di vestiti con me. –

Lavi dapprima fece un’espressione buffissima, con la faccia che gli si allungò a dismisura; poi scoppiò a ridere, un po’ nervosamente.

- Hai ragione, hai ragione. Sono un bello stupido, ma ti conosco eccome. –

Scivolò un po’ più vicino a Yuu, e lui non disse niente.

A Lavi piaceva tanto, quando non diceva niente. Visto che, di solito, era il suo orgoglio a parlare in vece sua, con tutte le conseguenze del caso.

Ad esempio, sapeva per certo che a Yuu non dava veramente fastidio che lo chiamasse per nome. Lo aveva capito col tempo, leggendo oltre i suoi gesti nervosi e sue sfuriate a tema. Si trattava non di un secondo, ma di un terzo livello: non che, semplicemente, Yuu amasse sentirgli pronunciare il suo nome, ma non volesse ammetterlo. Così sarebbe stato troppo facile, e lui non era mai stato facile, mai. Era una questione di privilegi, che a Lavi, e a lui soltanto, venivano concessi, perciò quello che davvero lo disturbava non era il suo nome pronunciato da Lavi, ma il suo nome pronunciato da Lavi in pubblico. Alle sue orecchie doveva risultare una dichiarazione, anzi di più, un proclama, di un qualche rapporto speciale fra loro, mentre le sole cose veramente speciali erano tutte quelle impercettibili confidenze che Yuu gli concedeva, regolate da una fitta serie di norme silenziose.

Yuu lo si poteva conquistare soltanto con il rispetto. E con piccoli, lenti movimenti. Perché era veramente una farfalla, che si lasciava spaventare da un niente, e per un niente volava via, andando ad appollaiarsi su un ramo un po’ più in alto, non si sa mai, prudenza. Le farfalle sono furbe, sì: non ci credono mai, che le vuoi solo tenere su un dito. Ma con calma, con pazienza, offrendo la propria mano sempre, in ogni momento, senza dimenticare mai di sorridere, anche quando la farfallina arrabbiata ti soffia contro la sua polvere velenosa.

 

- Yuu. –

 

La farfallina fece frullare le ali. Senza accorgersi che in quel modo non faceva altro che esporre i suoi magnifici colori alla luce della luna. -

 

- Yuu, ascoltami. –

 

Dopotutto, Yuu Kanda era voluto tornare a casa sua, a vedere i boccioli di ciliegio che cantavano la bella stagione. Lavi the Bookman Junior aveva voluto risolvere il mistero del kimono, e della primavera giapponese.

Era stato uno scontro di intenti, il loro, ma non così inconciliabili.

 

 

 

 

 

- Avete visto che meraviglia? –

- Invero, che meraviglia. –

- Bah. –

Allen sbuffò sonoramente, calciando via un ignaro sassolino che gli si era parato sulla strada. – Io ancora non capisco perché siamo venuti fin qui. – ebbe da ridire.

Lenalee fece un sorriso rassicurante, che le gonfiò un po’ le guance. – Mio fratello è stato gentile a lasciare anche a noi qualche giorno libero. Non credi? –

- Sì, ma perché siamo venuti anche noi fin qui? Non potevamo, che ne so, organizzare una gita in montagna? Aria fresca, tanto buon cibo… –

- Tu non sei curioso di vedere questo festival? Insomma, Kanda ne sembrava entusiasta, a modo suo. Pensaci, non si era mai visto Kanda entusiasta per qualcosa, prima d’ora. –

- Sono molto curioso anch’io, invero. – si mise in mezzo Crowley, che con aria estasiata adocchiava le bancarelle dislocate a grappoli lungo la via, soprattutto quelle che esponevano con orgoglio ricche composizioni di fiori.

Miranda, che guidava il quartetto proprio di fianco a lui, ridacchiò. – Su, vedrai che serberai un bel ricordo da portare con te quando torneremo a casa. –

- Capirai. Almeno fermiamoci a mangiare qualcosa, no? –

- E’ una buona idea. Chi vuole assaggiare qualche dolce tipico? –

 

Naturalmente, l’adesione fu unanime. Per qualche strano motivo, anche Crowley diede il suo entusiastico assenso. Puntarono una bancarella poco distante, che profumava in modo spudorato, ma, purtroppo per loro, il mondo è davvero piccolo.

 

- Hey. Ma non sono Lavi e Kanda, quelli laggiù? –

- Dici quelli là in fondo? E che ci fanno là? –

Allen fece per allungare il passo verso di loro, quando qualcosa di simile ad un uragano lo travolse, sbatacchiandolo e ribaltandolo su e giù.

Miranda cercò di dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Per fortuna, Crowley aveva dato prova di un’inattesa prontezza di riflessi, afferrando Allen e Lenalee per i capelli e strattonando il loro sguardo da tutt’altra parte.

 

- Invero, ragazzi, guardate che magnifica, magnifica luna! –

- Ahia, Crowley, mi fai male! –

- Accidenti, ma che ti è preso, molla l’osso! –

Miranda tirò un sospiro di sollievo, e si affrettò anch’ella a tornare sui suoi passi assieme agli altri. Di banchetti di dolci ce n’erano un’infinità, non era necessario andare proprio in quello.

- Davvero una splendida luna. – commentò, con un sorriso tenue.

Crowley la guardò stupito, ma lei si limitò a scrollare impercettibilmente le spalle.

Che c’era di male, era proprio così. Lo pensava davvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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