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Autore: nettie    16/06/2016    3 recensioni
Mi ricordo una notte in particolare, dove tu, ubriaca fradicia ti avvicinasti a me per poggiare le tue labbra sulle mie, giovane e bellissima come forse non lo eri mai stata. Ora come ora, sei segnata dal tempo trascorso in mia assenza. Ti vedo camminare sul bordo di un marciapiede, scostante e con lo sguardo totalmente vacuo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Sono fortemente convinto che dopo certi amori intensi, non si può più amare. Dopo certe promesse, non si può più credere a nient’altro. Dopo aver visto il proprio castello crollare davanti i propri occhi, raramente si ha la forza di costruire di nuovo anche solo una piccola capanna. Ci si ritrova così a combattere contro il proprio istinto, contro quei sé stessi che forse non avevamo mai conosciuto prima.

 

La prima volta che ti vidi eri bella come una stella, con le guance rosee ed i capelli bruni ad incorniciarti il viso. Gli occhi color nocciola erano illuminati dal sole e i suoi raggi che li rendevano d’un colore ambrato simile al miele. Mi guardasti, e io a mia volta ti rivolsi un timido sguardo. Eravamo solo due perfetti sconosciuti, due adulti ancora adolescenti alle prese con i primi problemi della vita, ma già sentivo l’anima spaccarsi in due per te. Ebbi la forza di parlarti solo qualche mese dopo di sguardi e silenzi, e silenziosi sguardi. Fu solo il caso; forse il destino o qualche dio, ma finimmo a sedere sulla stessa panca in quella grande mensa universitaria dal soffitto immensamente alto e le finestre opache.

 

Ora come ora, sei segnata dal tempo trascorso in mia assenza. Ti vedo camminare sul bordo di un marciapiede, scostante e con lo sguardo totalmente vacuo. La gioventù che prima t’avvolgeva ora sembra solo acqua passata e ripassata, i tratti del tuo viso si sono induriti e le labbra sono piegate in un’espressione seria. Il caldo primaverile non ti scalda il cuore: ti porti dentro un freddo che ormai ha fatto raggrinzire ogni emozione che tu abbia mai provato. Impassibile sembri venirmi incontro senza accorgerti di me, che vent’anni dopo ti ho ancora in testa come il più doloroso dei chiodi fissi. I tuoi passi sono svelti mentre ti tieni la borsa stretta al fianco, e mentre i capelli bruni sono legati in uno chignon disordinato alcune ciocche di fili argentei sfuggono alla presa e si nascondono dietro le tue orecchie. Nella tua figura non riconosco più niente di te e di ciò che eri. Tento di aggrapparmi alle apparenze, ma anche quelle sembrano svanite via.

 

Io ti ricordo, però. Il tuo viso giovane e privo di rughe è ben piazzato nella mia mente, davanti i miei occhi, ma non sotto la mia pelle. Io mi ricordo tutto il batticuore e tutte le parole, ricordo i tuoi occhi intenti ad osservar le stelle, ed i miei intenti ad osservare il profilo del tuo volto dalla pelle chiara. Ricordo le tue forme e i tuoi fianchi alti, le mani dalle dita affusolate e il collo candido. La mattina, in facoltà, il tuo sorriso scioglieva anche il clima più freddo e più teso. Mi ricordo una notte in particolare, dove tu, ubriaca fradicia ti avvicinasti a me per poggiare le tue labbra sulle mie, giovane e bellissima come forse non lo eri mai stata. Ricordo la tua bocca impastata e il tuo alito che puzzava di alcool, ricordo i miei movimenti esitanti: da una parte la voglia di respingerti perché non eri totalmente in te, ma dall’altra quella di fottermene di tutto e farti mia.

 

Già, farti mia. Ti guardo, ora, e mi rendo conto di quanto tu in realtà non sia mai stata mia. Dietro un angolo all’alba dei miei quarant’anni, soffro veramente e per la prima volta apro gli occhi ad un amore sofferto. In un solo secondo, parte della mia gioventù fa capolino nella mente e mi passa davanti gli occhi: la frenesia, i baci, tutte le promesse impossibili e desideri più grandi della nostra stessa figura. Mi passi finalmente davanti e ne ho la conferma: non mi conosci più, come io non conosco più te. Fa più male di quanto pensassi, la tua indifferenza mi colpisce dritto al petto e mi chiedo come tu abbia potuto cancellarmi dalla mente. Come, dopo tutte le cose dette, il nostro rapporto abbia avuto una fine grama e pietosa. Mi sfili davanti il muso, e per un lunghissimo secondo mi sento sconosciuto perfino a me stesso. Noi due, che insieme facevamo invidia al mondo, relegati al grado di sconosciuti. Ma conosci l’uomo che si trova pochi metri dopo di me, lo conosci tanto bene quanto ora il mio cuore conosce le mie sofferenze. Lo conosci e ti butti fra le sue braccia che non sono le mie, ma vorrei che lo fossero anche per un solo unico istante. Il magone in gola è insopportabile, mentre il passato mi batte nel petto e nella testa, sale su negli occhi insieme alle lacrime e attraversa la gola per uscire fuori con parole che in realtà non voglio scagionare. E’ lui che ti porta via con sé, non sono io. E’ lui quel lui che aspettavi da sempre, ma pensavo fossi io. E’ lui, ma alla sua vista non hai sorriso come quando ti accoglievo fra le mie braccia. E’ lui, ma non sembri felice. Rimango lì come una vittima, dietro l’angolo con la testa bassa e l’orgoglio ferito, mentre sparisci fra la folla all’orizzonte con un uomo che non sono io.


E’ un sapore amaro quello che mi porto in bocca, amaro forse come la morte o come la fine delle nostre parole, dei nostri sguardi e dei nostri sorrisi. E’ amaro come la caduta del nostro castello e di ogni mio sogno frantumato al suolo, amaro come il sorriso che ho rivolto a me stesso prima di sbucare fuori dall’angolino ed incamminarmi per strada senza una vera meta. Un sapore amaro come la ragione che non vuole entrarmi in testa, come quel desiderio che mi porta a volerti ancora con me.  
   
 
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