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Autore: Miss_Weasley94    17/06/2016    4 recensioni
Kagome è sparita oltre il pozzo da molto, troppo tempo. E ha lasciato dietro di se quella vecchia bocca in legno, che non fa che sorridere di scherno, nonostante sia stanca e singhiozzante, e stare immobile, marziale. Sembra spesso rivolgersi ad Inuyasha:"talvolta sembrava lo guardasse. Si, proprio così, lo guardava con lo scherno amaro dei vecchi, con la cattiveria contundente di chi non teme la sconfitta..."
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era in piedi da una vita, quel maledetto pozzo, sempre lì.

E, talvolta sembrava lo guardasse. Si, proprio così, lo guardava con lo scherno amaro dei vecchi, con la cattiveria contundente di chi non teme la sconfitta. Lo guardava e di quando in quando sorrideva, con  i denti ingialliti ed i polmoni mangiati da una brutta malattia. Sorrideva con addosso l’odore della vecchiaia e il respiro esitante e rumoroso, ma puntuale.

 Nonostante le tavole di legno fossero ormai vecchie e marce e tremassero sommessamente ai sussurri del vento che pungeva ogni fibra di quel materiale apparentemente così fragile, così precario. Eppure era rimasto immobile, sotto le percosse delle stagioni, esposto alle intemperie: battuto dalla pioggia, tremante e nudo al maestrale. Agonizzava, immobile, in piccoli singhiozzi strozzati, sotto le coltellate della foresta circostante che lo impiccava nella subdola stretta dell’edera o che, melliflua, vi accostava una radice, per poi strappargli via parte della sua stabilità. Eppure lui aveva resistito, quel pozzo maleodorante ed inutilizzato era disperatamente aggrappato alla sua esistenza.

Era proprio lì, anche quella notte, quando successe quella cosa strana. Quando quel mezzodemone, che sempre schermiva, vi si accostò disarmato, riversandovisi con una disperazione di fondo, residua, quasi non possedesse nemmeno la facoltà di soffrire, che lo distingueva da quel pozzo.  Al quale adagiò le spalle, larghe eppure orribilmente frustate dai singhiozzi e dagli spasmi. Adagiò la schiena tormentata al legno, che gemette appena, in un dolore a metà. Il mezzodemone sembrò udirlo e con gli occhi semi-chiusi sotto il peso del dolore, gli rivolse tutto il suo astio. Un urlo stacciò il silenzio della notte, con l’irruente crudeltà dello strazio. Fendette l’aria pungente delle sere di dicembre, spezzò gli alberi, piegò le montagne, sotto lo sguardo immobile del pozzo, rimasto immune a quel lampo nero che, d’un tratto, aveva violentato la calma accorta con cui danza l’erba e aveva trafitto il cuore della foresta, che a sua volta di era unita in quell’urlo scarlatto, carne viva, per poi tacere, lasciando cadere un velo di mesto silenzio reverenziale.

Il pozzo era ancora lì: stava piccolo e repellente, eppure fiero e sempre fermo, incurante.

 Un tonfo sordo, un singhiozzo strozzato e un respiro. Il pozzo, allora, sembrò tossire e sputare, forse sanguinare. Eppure la furia nel demone non si chetò, ancora affamata. Il giovane, i cui occhi tradivano però la vecchiezza scavata e grigiastra del dolore, prese a sbattere convulsamente il proprio corpo contro la parete di legno, come impazzito. Ad ogni tonfo, ecco che coincideva una dolorosa fitta all’addome, eppure l’uomo continuava a dimenarsi. Si torceva. Si dimenava. Batteva. E gemeva.

Batteva ancora. Gemeva ancora.

Ed il pozzo rimaneva immobile, ormai quasi afono.

Il respiro affannato dell’uomo inspessiva le nubi, dietro le quali la luna aveva calato il capo, per non vedere. Per non vedere il suo diletto struggersi e distruggersi.

Niente di più: solo silenzio e una luna che si rifiuta di guardare, un uomo solo di fronte a quell’esercito di spilli che era il suo dolore e, poi, certo, un pozzo invincibile. Che non cadeva e non reagiva, per quanto potessero essere forti le percosse. L’uomo proseguì a lungo e qualche folletto della notte deve aver pensato a come fosse strano quel ragazzo con le orecchie da cane, che aveva l’intento unico di provocare dolore, eppure piangeva.

E quando fu mattina, il mezzo demone, si levò con il sole, mentre la luna piangeva, finalmente nascosta, e riprese a camminare, dolorante, fra i cocci della sua umanità. 

Mentre il pozzo svettava nella  valle, fino a penetrare il cielo, immutato. Imponente.

Certo, per quanto si affannino, un uomo ed il suo dolore non possono nulla, contro il fermo dogma del tempo, si disse forse, quello stesso folletto della notte, mentre si appiattiva, flemme ed elastico, in un ultimo spiraglio di ombra.

 

 

 

 

L’ ANGOLO POLVEROSO:

Si, c’ho la fissa, degli attimi parecchio emotivi e privi, quasi completamente, di una trama.

Allora, vi invito a leggere, recensire e, soprattutto, aggirare questi miei deliri: non so ancora se siano cose contagiose, quindi, io non mi avvicinerei poi tanto a ‘sta roba: non vorrei che questa florida sezione collassasse in cose tipo questa… PER CARITA’!

Ringrazio davvero chi ha sopportato le mie poche parole e, si, mi rendo conto che potrebbe risultare, oltre che mortalmente noioso, anche poco credibile il mio scritto, ma cosa volete farci: l’ incoerenza  è il mio mestiere, ormai una deformazione personale, che era una clausola del contratto che mia madre ha stipulato alla mia nascita, mi impedisce di essere credibile! Cosa non si fa per venire al mondo, eh?

Ma “si nasce alla vita in molti modi”, come diceva Luigino, uno di questi è matto. Si nasce matti. Quella volta toccò a me, la prossima chissà…

No, sembra strano, ma avevo cominciato un discorso serio e ho tutta l’intenzione di finirlo. So che a primo impatto da una forte idea di incoerenza, ma io ci vedo un senso nella mia testaccia. Guarda che carina, eh? Non solo faccio finta di scrivere, ma sono pure convinta, che tesorino! Il punto è che, a mio avviso, Inuyasha, così come l’ho “dipinto” (o meglio “scarabocchiato”)  è una possibile evoluzione, o involuzione a voi l’ardua sentenza, dell’originale. Voglio dire, analizziamo il contesto: di notte, lontano da occhi indiscreti, un Inuyasha, impulsivo e profondamente ferito, come lo conosciamo, oramai consapevole dei propri sentimenti e di cosa sembrava aver raggiunto, cosa che ora ha perso e, soprattutto, consapevole di essere, forse come mai prima, completamente impotente.

No, eh? E’ comunque assurdo? Si, avete ragione, tanto vale che mi seppellisca adesso, nella mia idiozia, tanto, prima o poi, qualche povero malcapitato mi avrebbe dovuto scavare la fossa…

Vi annuncio qualcosa che il mondo avrebbe preferito tenessi per me, ma tanto, anche se esistesse un dio della letteratura, mi ha già maledetto da tempo, quindi, di cosa avere paura?

Sto pensando di scriverne parecchi di questi momenti… magari li racchiudo in una serie, che ne dite?

Fatemi sapere se riuscireste a sopportare l’ennesimo supplizio… e intanto, se ci scappa, lasciatemi due righe di recensione, va!

 

 
   
 
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