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Autore: Diana Abigail    15/04/2009    2 recensioni
Diana si deve sposare, ma la mattina del matrimonio è assalita dai dubbi, perciò si reca in chiesa, ma alla vista dei fiori le torna in mente un ricordo lontano... Fatemi sapere cosa pensate! Prima fan fiction dopo un periodo no!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fiori d'arancio



Il fatidico giorno era arrivato: mi stavo per sposare!
Tremavo dalla testa ai piedi, avevo paura di non fare la cosa giusta, di deludere qualcuno o di deludere proprio me stessa.
Fin da ragazza mi ero considerata una persona forte, una persona determinata e pronta a difendere tutto ciò che aveva a cuore, ma soprattutto una persona che non rinunciava a ciò che amava.
E così era sempre stato, ma quel giorno ero assalita dai dubbi. Era veramente così?
Mi alzai dal letto e guardai la sveglia: le dieci meno un quarto.
Con molta calma andai in bagno e poi in cucina, dove preparai un gustosissimo cappuccino, con tanto di cacao amaro sopra: quel giorno mi volevo viziare, perchè quello era il mio giorno.
Era più importante del primo giorno di scuola, della prima comunione, del primo amore e perfino della mia laurea.
Sono d'accordo nel dire che un primo giorno di scuola e un primo amore non possono tornare, ma questo è piuttosto discutibile se si considera tutti i primi giorni di scuola e di tutte le emozioni nuove che si provano con una persona diversa, in ogni caso non avevo intenzione di prendere sotto gamba questa cosa, per me il matrimonio era importante.
Nè la fede nè la morale erano le vere cause, ciò che mi spingeva ad essere così legata al matrimonio era proprio la separazione dei miei genitori; i figli devono imparare dagli errori dei genitori, altrimenti non si progredirebbe, secondo il mio personalissimo parere.
Non avevo dubbi su Nicholas, no lui andava bene, lui mi trattava da principessa, non pretendeva nulla e non lasciava nulla al caso, si prendeva cura di me e non mi avrebbe mai abbandonata, ma sta di fatto che il matrimonio sarebbe stato un vincolo nei suoi confronti, avevo profondamente la convinzione che la convivenza con Nicholas non significasse essere legati per tutta la vita, ma il matrimonio lo sarebbe diventato e il dubbio che mi stava logorando era proprio questo: ero pronta ad essere legata a lui per tutta la vita?
Mi vestii, misi una semplice camicetta bianca sopra ad un paio di pantaloni neri con delle scarpe decolté nere a punta, presi anche la giacca, le chiavi e gli occhiali da sole e uscii da casa mia.
Avevo bisogno di schiarirmi le idee, era tutto pronto, perciò decisi di fare una scappatina in chiesa, dove, speravo, avrei trovato un conforto e, magari, anche una risposta o un segno.
Quando entrai la chiesa era illuminata secondo gli standard di una chiesa comune, l'altare era addobbato proprio come volevo io: con rose e fiori di arancio.
Mi avvicinai e rincominciai a tremare, i mille dubbi sparirono nel momento in cui presi uno dei fiori in mano.
La mia mente decise di viaggiare oltre, di tornare indietro, di farmi tornare ad essere ragazzina, di tornare sedicenne.

"Diana! Diana!" Christian mi chiamava da sotto il mio balcone.
Io andai alla finestra e mi affacciai.
"Che c'è Chris?" gli chiesi stupita, in genere saliva tranquillamente in camera mia.
"Dai, vestiti! Ti porto in un posto!" era eccitato, voleva farmi una sorpresa, lo sentivo.
"Christian ma smettila! Dai, non sono dell'umore, lo sai" dissi io, un po' ferita. Era il mio migliore amico, sapeva benissimo cosa stavo passando in quel periodo.
"Appunto! Dai, non fare la primadonna e scendi!" stava saltando.
Mi venne da ridere e sghignazzai tra me e me, mentre lui continuava a dire "Dai, dai, dai..."
"Perfavoreee! Fallo per me!" mi diceva.
"Va bene, aspettami lì sotto" gli dissi io alla fine.
Lo sentii gridare dalla gioia. Mi disorientò quel comportamento. Era un ragazzo piuttosto espansivo, questo era vero, ma non così tanto, di solito.
Misi una maglietta a maniche corte, faceva caldo era giugno inoltrato, con una gonna bianca e le ballerine rosa, in modo da abbinarle con la maglietta.
Presi la borsetta e scesi le scale dando un bacio a mia madre, risposi alle sue domande dicendole che andavo a fare un giro con Christian e che sarei tornata per cena.
Salii sulla macchina e lo guardai di storto.
"Sei perfido" gli dissi sibilando e incrociando le braccia al petto.
Lui in risposta mi abbracciò e mi disse che ero la migliore amica del mondo.
"Chris me lo dicevi anche quando avevi dieci anni! Allora poteva essere una frase carina, ma ora non mi sembra proprio il caso!" dissi io blaterando.
Lui rise di gusto e mi disse che avevo ragione e che era vero, poteva sforzarsi un po' di più dati i suoi diciotto anni.
Mentre guidava cercai di rilassarmi e di scacciare i miei pensieri, Christian era bravo soprattutto in questo, a farmi stare bene in ogni situazione.
Guardavo fuori dal finestrino che tenevo aperto mentre i miei lunghi capelli castani svolazzavano, in un quel semplice momento il mio cuore si riempì di inaspettata felicità e iniziai a ridere e ad urlare.
Christian mi guardava sorridente mentre guidava, sapevo che era felice di vedermi felice e per questo lo adoravo. Mi aveva veramente a cuore ed ero sicura che avrei potuto contare su di lui per sempre.

I miei occhi si riempirono di acqua salata e una lacrima solcò la mia guancia. Mi mancava veramente la mia adolescenza, mi mancava la possibilità di fare ed essere tutto ciò che volevo, potendo cambiare senza dare conto a niente e a nessuno. L'età in cui nessuno pretendeva più di tanto, in cui ero di fronte a molti bivii, ma ero sicura di avere tutto il tempo necessario per poter scegliere quale strada percorrere. Ora, invece, tutto era più complicato. Scuotendo la testa, tornai al pensiero di quel pomeriggio...

Arrivammo all'apice di una collina, dopo tre quarti d'ora eravamo arrivati alla periferia della città, quella che era ricca di luoghi verdeggianti e di colline in fiore.
Parcheggiò la macchina in uno spiazzo naturale e scendemmo.
La vista davanti a noi era mozzafiato: la collina era ricoperta da papaveri e margherite che si stendevano fino a valle e in lontananza si poteva vedere la città in tutta la sua bellezza.
Per qualche istante rimasi a fissare il panorama estasiata, non sapevo cosa dire o cosa fare, tutto ciò mi metteva una tranquillità innaturale, sembrava quasi di essere in un altro mondo, abituata al caos del centro città, quel silenzio rotto dal cantare degli uccellini mi pareva paradisiaco.
"Vieni" mi disse Christian prendendomi per mano.
Con cautela ci sedemmo sul prato, anche se temevo l'altezza della collina riuscii a sdraiarmi e il mio amico mi imitò.
Chiusi gli occhi e un filo di vento si stagliò contro il mio viso facendomi sorridere.
"E' meraviglioso, Chris" gli dissi.
"Vedi? Non mi vuoi mai ascoltare! Devi fidarti un po' di più di me" mi disse lui con un tono sapiente.
"Se se, tu parli parli, ma alla fine faccio sempre ciò che vuoi tu" dissi io.
"E' vero" mi diede ragione, stranamente.
Alzai la testa e mi appoggiai al petto di Christian che mi abbracciò.
"Ehy, lady, ma quante ne abbiamo passate io e te?" mi chiese lui guardandomi e sorridendomi.
"Troppe!" urlai io, ridendo.
"Sono esattamente dodici anni che ci conosciamo. Non saranno un po' troppi?" scherzo lui.
"Si, in effetti sono tanti... Ma che ci possiamo fare?" dissi io sorridendo.
"Ehy, lady, ma questa è la tua ultima estate da minorenne!" disse improvvisamente lui.
"Già, tra pochi mesi diventerò vecchia e responsabile come te" scherzai io.
Per qualche minuto rimanemmo immobili.
Lui sdraiato sul prato e io appoggiata al suo petto, ed entrambi fissavamo la città lontana.
In un lampo di spensierata immaturità mi alzai e lo baciai.
Lui rimase impietrito: ero riuscita a stupirlo.
"Grazie" gli dissi.
"Non c'è di che" mi disse lui imbambolato.
Mi alzai in piedi e iniziai a correre urlando, mentre lui da lontano mi guardava e sorrideva.

Uscii dalla chiesa con una rosa in mano.
I miei dubbi erano risolti: non era ancora il momento di sposarsi.
Corsi verso la macchina e presi il cellulare.
Composi un numero a me familiare e attesi impazientemente.
"Ehy, lady, che succede?" mi chiese il mio interlocutore.
"Scendi, ti devo portare in un posto" conclusi la chiamata e misi in moto.
   
 
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