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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    18/06/2016    2 recensioni
SPOILER HYPERVERSUM NEXT (chiedo mille volte scusa, avevo raccomandato a me stessa di scriverlo subito e l'ho dimenticato... )
« Come è facile nella mente di un uomo trasformare un indegno assassino in un martire. »
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La visita del re

 

 

 

Sigert de Morlhon non provò mai nessun tipo di rimorso.

Gli sceriffi che lo interrogarono cercarono invano quel sentimento sul suo volto, ma ciò che videro fu solamente un uomo dallo sguardo scuro e fermo, la bocca che rimaneva ostinatamente chiusa. Nemmeno in precedenza, quando l’idea di assassinare il re era ancora solamente un progetto, aveva mai guardato con vergogna ai suoi pensieri. Anche se questo gli sceriffi non potevano saperlo.

Dei passi iniziarono a risuonare nei corridoi delle prigioni nell’esatto istante in cui Morlhon appoggiava la schiena al muro, esausto. Quando il rumore fu abbastanza vicino a lui, poté sentire il suono di parole esitanti, che non riuscì a comprendere e che non lo turbarono.

Fu sorpreso però di sentire una voce che conosceva bene rispondere stizzita.

La voce del giovane re di Francia.

 

*

 

Luigi IX era andato alle prigioni spinto da un istinto impulsivo e irrazionale. La sua non era stata affatto una azione ponderata. Una volta terminato il combattimento, in un modo che, doveva ammetterlo, mai si sarebbe aspettato, non aveva staccato gli occhi da Morlhon fino a quando il cavaliere non era stato preso in custodia dai suoi ufficiali.  L’uomo non era rimasto a capo chino di fronte a lui, ma gli aveva riservato uno sguardo di puro odio.  

Luigi serrò forte i pugni, ogni muscolo rigido per la tensione. Un pensiero continuava ad affacciarsi alla sua mente e lui aveva tentato di ignorarlo, perché era il simbolo della sua ingenuità, di una verità che non poteva perdonarsi. Ignorarlo era però stato più difficile ad ogni passo. Perché non poteva impedirsi di pensare che non avrebbe mai creduto possibile che il conte di Morlhon lo volesse morto. Tra tutti, mai avrebbe pensato che proprio lui volesse attentare alla sua vita. Alla vita del re. Così rispettata e incerta.

La sua anima bruciava di rabbia. Il re faticò, per un momento, a mantenere il respiro regolare. La verità era che non si era mai sentito tradito prima d’allora, non sapeva cosa volesse dire. E dover provare quella rabbia verso Morlhon, dover ammettere di essersi fin da subito sbagliato, perché fin da subito si era fidato di quel cavaliere che avrebbe dovuto diventare suo parente, era insopportabile.

Quello che stava vivendo era un sentimento mai provato.

Si chiese se un re dovesse farci l’abitudine, così da non provare più, mai più, quell’amaro, insopprimibile misto di rabbia e delusione.

Per la prima volta, davvero aveva dubitato di se stesso, davvero non avrebbe saputo dire, solo qualche ora prima, da che parte stesse la verità. Poi era arrivato il Giudizio di Dio, e, inoltre, le prove tangibili che tutti gli uomini avrebbero potuto vedere su questa terra. Le prove della colpevolezza di Morlhon, del suo essere oramai dannato e imperdonabile.

Il re portava ancora la corona. La tolse dalla testa per stringerla tra le mani. Il simbolo del suo potere per la prima volta in pericolo.

Poi Morlhon era stato condotto in cella sotto il suo sguardo impietoso, ma anche cupo, che non riusciva a trasmettere nulla, neanche quanto una parte di lui fosse affranta. Cos’era che tanto lo aveva sconvolto? Il pensiero che non tutti i suoi sudditi lo amassero? Il pensiero che quello che credeva essere uno dei suoi protettori più fedeli lo aveva pugnalato alle spalle, lo aveva ingannato e tradito…

Luigi IX aveva potuto immaginare il suo scopo. Razionalmente poteva farlo, ma era come se qualcosa, in lui, ancora non capisse. Ma avrebbe dovuto accettarlo, prima o poi, che il re non era un uomo, era un’ istituzione, una pedina politica, potente ma umana. Potente se aveva dei seguaci fedeli. E per questo, forse ci sarebbe sempre stato qualcuno che lo avrebbe voluto morto. A prescindere da chi fosse l’uomo, il vecchio, o il ragazzo sotto la corona.  A prescindere dalla sua giustizia o dalla sua infamia.

Lo sguardo d’odio che Morlhon gli aveva rivolto, l’aveva rivolto davvero a lui, o alla corona?

 Luigi IX lasciò la corona ad uno degli ufficiali che lo seguivano, che la prese con deferenza tra le mani, e fece cenno ad altri due di seguirlo, anche se controvoglia.

« Non intromettetevi in alcun modo. » ordinò, secco.

Con altri due passi raggiunse la sala in cui Morlhon era stato a lungo interrogato senza successo, una sala oppressiva, dalle pareti pesanti di pietra scura, illuminata dalla luce inquietante ed appena sufficiente di due torce. Il custode chinò il capo e aprì la porta massiccia, non senza qualche fatica.

Il re fece un passo e fu dentro, mordendosi per un attimo le labbra.

Sigert de Morlhon alzò su di lui uno sguardo feroce.

« Avete tolto la corona, mio signore. » esordì, con un gesto sarcastico prima di ripiombare nell’immobilità « Pesava?»

Luigi si sforzò di rimanere impassibile. Appena lo aveva visto, seduto su uno sgabello che la cella in cui sarebbe stato trasferito di lì a poco non avrebbe avuto, aveva sentito la rabbia ruggire ancora più potente di prima dentro il suo petto, travolgerlo come un’onda bruciante. Non gli rispose ma si avvicinò fino a poter distinguere distintamente i capelli neri scarmigliati, lunghi fino alle spalle e gli occhi scurissimi. Morlhon non abbassava lo sguardo, pieno di collera in un volto assurdamente freddo. Era evidente che Luigi IX non era più un re per lui.

Non lo era mai stato.

Mentre il battito del cuore accelerava, il re alzò il mento come aveva visto fare così tante volte a suo padre.

« Sigert de Morlhon, vi siete macchiato di tradimento. Il vostro silenzio è inutile. Sapete che ho prove concrete per accusarvi. Anche se il Giudizio di Dio basta a condannarvi. »

Morlhon ascoltava in silenzio. Nei suoi occhi si poteva leggere la stessa domanda che Luigi si pose subito dopo. Perché sei qui?

Tentò di ignorare il fatto di non sapersi dare una risposta, ma quando capì che il conte era pronto a parlare di nuovo sentì un brivido percorrergli la schiena.

« Il mio silenzio è utile a me. » rispose Morlhon, la voce calma e terribile, diversa da come il re l’aveva sempre sentita.

Qualcosa si ribellò dentro all’anima di Luigi IX, come una bestia rinchiusa che scuote la testa ostinata. Non poteva pensare di essersi fidato così tanto, di essere arrivato a conoscere bene ogni inflessione della voce di quell’uomo, di averlo ammirato.

« Sareste diventato mio parente. » disse, la voce che tremava di rabbia, lentamente, controllando a stento le sue emozioni. « Non era abbastanza? Cos’altro può volere un uomo? » continuò, a voce più alta.

I pensieri cominciarono a turbinare nella sua testa in un unico flusso incontrollabile.

Vi avrei coperto di onori, mi avreste seguito in ogni luogo, sareste stato parte della mia famiglia. Forse sareste stato l’uomo a me più vicino. 

Morlhon rimase impassibile per qualche secondo, gli occhi sempre fieri e rigidi. Poi sul suo viso si aprì un lieve sorriso.

« Ci sono tante cose che un uomo può desiderare. Io avevo una causa. E mi bastava »

Questa volta fu il re a sorridere in un modo terribile. Ma si sentiva come se non lo stesse facendo in prima persona, come se il suo corpo fosse abitato da qualcun altro e la sua anima da fuoco fosse diventata ghiaccio al suono delle parole di Morlhon. Per un attimo desiderò di aver fatto di tutto per farlo parlare, di non avergli risparmiato la tortura. E si sentì spietato almeno quanto lui.

Spietato e ferito.

« Come è facile nella mente di un uomo trasformare un indegno assassino in un martire. »

Pronunciò questa frase mentre la sua testa veniva affollata di ricordi su ricordi, dei momenti trascorsi con il conte di Morlhon, e la sua attenzione si soffermava su ognuno di essi, anche se non avrebbe voluto farlo, fino ad arrivare ai più recenti. Il conte che gli sorrideva nel chiedergli in che fazione avrebbe voluto gareggiare durante il torneo, e risentiva la sua stessa voce rispondergli con un certo entusiasmo malcelato che avrebbe partecipato al suo fianco. Morlhon che affermava di doversi impegnare per non sfigurare di fronte a lui…

Luigi IX strinse i pugni, sentendosi percorrere le braccia, il petto, la gola, dal calore accecante dell’ira.

Morlhon notò la nuova ondata di collera più forte rispetto a quella che lo accompagnava sempre dal giorno prima, e alzò un sopracciglio, chiedendosi probabilmente, di nuovo, il motivo reale della sua visita. Un re non doveva visitare i traditori, così tanto inferiori a lui da non meritare la sua attenzione se non sul patibolo.

Allora perché era lì?

Era dannatamente difficile trovare le parole per continuare quel confronto. Perché Luigi non sapeva cosa voleva.

E gli occhi di Morlhon continuavano a fissarlo intensamente e a schernirlo, e parlavano da soli. Quegli occhi che erano stati spesso impenetrabili e illeggibili, ora sembravano parlargli, ironici.

Il re non sa cosa vuole, il re è indeciso…

Luigi chiuse gli occhi per un momento, per riprendere il controllo di se stesso.

« Siete stato molto scaltro, ve lo concedo. E solo ora mi è chiaro il vostro scopo. » disse il re, sprezzante « Avete torturato Marc de Ponthieau. Un ragazzo, un innocente. Ancora non capisco come abbiate potuto farlo. »

Morlhon si scostò una ciocca corvina dal volto, con un sorriso feroce che si rifletteva negli occhi profondi e senza vergogna.

Due occhi imperdonabili.

« Mi sarà grato. » affermò, con la voce che vibrava di una furia ironica. « Le sue gesta appaiono ora ancora più degne d’onore, non è vero? Sono sicuro che presto lo arruolerete nella mesnie del re. »

Luigi rimase immobile. Morlhon aveva indovinato quella sua mossa, perché effettivamente Marc era diventato il suo primo cavaliere. Ma non aveva intenzione di dare al traditore un motivo per vantarsi della sua intelligenza.

Invece alzò il mento, le viscere strette da una morsa gelida.

« A voi non interessa, l’onore…»

Non sapeva nemmeno lui se la sua era una domanda, di cui già avrebbe saputo l’innegabile verità, o una semplice constatazione, e non sapeva immaginarsi la risposta, e una parte di lui la desiderava, mentre l’altra non avrebbe voluto sentirla.

Il sorriso di Morlhon si spense, ma il suo volto non esprimeva nulla, ora, se non una altera serietà.

« è evidente. » disse solamente, confermando la frase del re.

« Questo non avrà più importanza. Il vostro piano è fallito, per quanto intelligente sia stato. La giustizia di Dio ha trionfato. Volevate assassinare un re, che governa per diritto divino. Non vi aspetta altro che l’Inferno. »

Luigi sentì di nuovo la corona pesare sulla sua testa e sorrise, terribile.

« Siete già morto, Morlhon. Mentre io sono vivo, e sposerò una donna il cui padre è nemico giurato della vostra terra. E lo potrei diventare anch’io. »

Il re non sentiva più il bisogno di riflettere. Sapeva bene cosa dire, ora, le parole uscivano lente e sicure dalle sue labbra e sentiva una nuova sicurezza alimentata da un odio lucido, controllato, che cercava senza sosta sofferenza nell’altro uomo.

E la trovava. Vedeva le sue parole penetrare nel corpo di Morlhon come un veleno. Il conte era sospeso tra il desiderio di sentirlo continuare a parlare e quello di poter cancellare gli ultimi suoni di quella sera che in quel momento pareva eterna.

« Potrei generare un conflitto pari alla crociata Albigese, so che la ricordate molto bene. Potrei sterminare tutti i Tolosani e prendermi la terra che mi spetta di diritto. »

Morlhon abbassò il capo, ma solo per qualche istante. Poi rialzò gli occhi brucianti sul re ed emise una breve, disperata risata. Luigi non avrebbe mai pensato che un condannato a morte potesse ridere, né che si potesse ridere con così tanta, travolgente rabbia.

« Certo che potete. » si sentì rispondere, con un odio che sperava di non provare mai in prima persona. Poteva quasi immaginarsi la forma marcia e distrutta di un’anima logorata. « Siete un re. »

Il conte accennò al cielo con una risata blasfema e folle. Il re ne rimase sconvolto, si sentì chiudere la gola e fece un passo indietro. Ma poi il suo corpo si mosse prima della sua ragione e si girò, facendo turbinare il mantello pregiato sul traditore, con spregio, determinazione e ghiaccio puro, racchiuso nel petto. Luigi IX aveva uno sguardo d’acciaio nelle iridi chiare, il suo passo era controllato, anche se non sapeva come il gelo fosse piombato all’improvviso su di lui, come una bestia in attesa della preda. Incrociò gli sguardi preoccupati dei due ufficiali, rimasti in fondo alla piccola stanza, e li ignorò sdegnoso.

Non poté assistere alla collera del conte che usciva completamente allo scoperto, ma sentì il fruscio delle sue vesti, il rumore delle catene mentre l’uomo si inarcava in avanti. Quando sentì le sue urla rabbiose era già fuori dalla porta.

« Non sarete mai al sicuro! Il mondo è pieno di uomini come me! »

Luigi prese un respiro e gli tornò in mente il modo in cui Morlhon aveva accennato al cielo, con sufficienza. Come se il suo diritto divino di governare fosse una farsa. Si sentì tremare ma non fermò il suo passo. Morlhon non aveva creduto al Giudizio di Dio, non si era mai pentito di aver voluto la morte di un re. L’aveva considerata una morte come quella di ogni altro, e la sua vita era stata per lui solo una pedina politica di cui liberarsi. Senza conseguenze.

Ma si sbagliava. Forse un giorno ci sarebbero stati molti uomini come lui, disposti a tutto per ottenere ciò che vogliono. Ma il mondo non era ancora il posto adatto a loro.

Almeno fino a quando regnerò, non lo sarà, pensò Luigi IX, calcandosi la corona sul capo, di nuovo.

E mentre ad ogni suo passo il suo spirito sembrava svuotarsi di ogni emozione per lasciare il posto alla stanchezza, pensò di dovere a se stesso una risposta alla prima domanda che Morlhon gli aveva fatto, e che gli era rimasta in mente più di quanto lo stesso conte potesse sapere.

« Avete tolto la corona, mio signore. Pesava?»

Sì, pensò il re con un profondo sospiro, certo che pesa.

 

 

 

 

Ciao a tutti!

L’avevo detto che sarei tornata*risata malefica* …

Ormai avrete capito che non so dare dei titoli decenti alle mie storie. Se avete qualche suggerimento…

Questa fic nasce dalla mia infinita voglia di scrivere, che esiste, ve lo assicuro, nonostante la mia oramai ben nota lentezza.

Ad essere sincera per questa storia provo sentimenti contrastanti, da una parte ci sono affezionata, volevo scriverla da molto e l’idea mi piace, ma so che avrei potuto scriverla molto, molto meglio, ed ho avuto, e non me lo aspettavo, qualche difficoltà a mettermi nei panni di re Luigi IX. Proprio per questo mi sono divertita, ma vorrei sapere cosa ne pensate. J

Per inciso, ovviamente Morlhon mi sta simpatico. E ho cercato di non renderlo OOC, ma non so…

Figurati se la Randall poteva creare un cattivo che non trovassi interessante…

*Jerome sogghigna*

Ah no, aspetta, c’è anche Gant…

Vabbè, detto questo spero che vi sia piaciuta. Se no datemi dei consigli. Ne ho bisogno. J

Ciao!!!

 

  
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