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Autore: Daleko    18/06/2016    0 recensioni
È innegabile che l’uomo sia alla costante ricerca del rischio. Il pericolo attrae, affascina come una donna troppo sensuale che ti fa segno di seguirla; e l’uomo non può fare a meno di obbedire.
Genere: Angst, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Capitolo III
 
Fui svegliato dal suono insistente del campanello alle sette e un quarto del mattino, orario insolito per una visita a domicilio. Mi alzai borbottando; non avevo idea di chi potesse bussare con così tanta veemenza alla porta, e per un momento temetti di aver lasciato qualche rubinetto aperto a distruggere il condomino al piano di sotto.
–Chi è?– domandai con voce rauca. Avevo ancora gli occhi gonfi e i capelli intrattabili da primo mattino; speravo di poter tornare a dormire a breve, in fondo era sabato mattina e non avrei avuto comunque intenzione di alzarmi prima di un altro paio d'ore di dolce riposo.
–Polizia. Apra, signor Evans– mi intimò una voce poco gentile dall'altro lato della porta. Lo stupore si unì alla preoccupazione: cosa poteva essere successo? Diedi una rapida occhiata attraverso lo spioncino, dove vidi due uomini in divisa. Non sembrava una visita di cortesia e indossavo solo un paio di boxer. –Un attimo, prendo...– provai ad allontanarmi per afferrare un paio di pantaloni al volo, ma un pugno batté un paio di volte sulla porta. –Apra, signor Evans– ripeté minaccioso il poliziotto. Sospirai, poi afferrai le chiavi sul tavolino all'ingresso e mi affrettai ad aprire agli uomini in divisa.
–Signor Benjamin Evans?– domandò uno dei due, quello con l'espressione meno annoiata. L'altro mi squadrava da capo a piedi. –Sì. È successo qualcosa?– domandai con apprensione mentre cercavo di resistere alla tentazione di coprirmi sul davanti con una mano; l'attenzione dell'altro poliziotto mi procurava non poco disagio. –Dovrebbe seguirci in centrale– m'invitò enigmatico il mio interlocutore. Non capivo cosa stesse accadendo e senza rendermene conto cominciai a balbettare. –Oh... Sicuro. Prendo... Prendo dei vestiti e arrivo– mi congedai frettolosamente; i due uomini si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi entrarono rimanendo accanto alla porta d'ingresso mentre io mi dirigevo verso la camera da letto.
Afferrai, quasi al volo, gli abiti del giorno precedente: non volevo che degli estranei rimanessero in casa mia tanto quanto loro non volevano perdermi d'occhio per più tempo del necessario. Passai una mano fra i capelli, diedi un'occhiata all'orologio e afferrai dal comò il portafogli prima di uscire dalla camera. –Ha un documento?– mi domandò il solito poliziotto mentre io tentavo di stirare le pieghe della t-shirt sgualcita. –Certo– confermai mentre ritiravo le chiavi dalla serratura e uscivo dall'appartamento. Uno dei due chiuse la porta dietro di sé e scendemmo le scale tutti e tre, io al centro come un ipotetico arresto informale. Mi chiesi se non avessi fatto male a uscire senza chiamare prima un avvocato.


Il viaggio in auto fu più breve del previsto; le strade erano quasi vuote a quell'ora del mattino e mi ritrovai alla centrale di polizia in meno di venti minuti. Ero estremamente a disagio e mi sentivo osservato da tutti, anche se non posso dire se quell'impressione fosse vera o solo frutto della mia immaginazione. Mi sembrò di camminare verso il patibolo per tutto il tragitto snodato in tre corridoi, e invece eravamo solo diretti verso la stanza degli interrogatori. Era molto semplice: al centro vi erano un tavolo di legno con tre sedie, due su di un lato e un'altra a quello opposto. Al soffitto erano fissate due lampade al neon e alla parete sinistra c'era uno specchio unidirezionale; ebbi la bizzarra sensazione di essere finito in una puntata di CSI.
–Signor Evans, salve– mi si avvicinò una donna dai capelli biondi e corti che subito mi tese una mano. L'afferrai, stringendola e aspettando una sua presentazione. –Detective Bennet– dichiarò infatti, facendo segno agli altri agenti di uscire. Quando la porta si richiuse dietro di loro cominciai a sentirmi pervadere da una profonda ansia. –Prego, si sieda– mi invitò con gentilezza; notai che sul tavolo di legno era presente quello che aveva tutta l'aria di essere un fascicolo. Probabilmente mi vide titubante, perché dopo essersi diretta al tavolo mi lanciò un'occhiata interrogativa per spingermi a raggiungerla. Feci qualche passo, prendendo posto davanti a lei. Mentre la donna era impegnata a esaminare l'interno del fascicolo io cominciai a guardarmi intorno con titubanza. –Forse... Ho bisogno di un avvocato?– chiesi riluttante nel prendere parola in modo così sospetto; inaspettatamente, la detective rise. –No, non ancora. È solo una chiacchierata informale– tentò di tranquillizzarmi prima di rialzare lo sguardo su di me. Intrecciò le dita, poggiando il taglio delle mani sul bordo del tavolo e fissandomi negli occhi. –Che tipo di relazione aveva con la signorina Lisa Price?– mi chiese d'un tratto con sguardo tremendamente serio. Mi sentii nuovamente confuso. –Non conosco nessuno con quel nome– risposi in un balbettio e ottenendo in risposta un sospiro. La donna prese una foto dal fascicolo, poggiandola sul tavolo in mia direzione e spingendola verso di me con due dita. Osservai la foto per qualche momento prima di rendermi conto di chi fosse. –Lisa...– mormorai sorpreso prima di rialzare lo sguardo sulla detective. –Sì, Price, è una mia collega. Insomma, lavoriamo per la stessa azienda ma non la conosco bene– specificai in attesa di spiegazioni. In effetti non c'era alcun motivo per cui dovessi conoscerla: capelli rossi sempre legati in una coda fatta male, lentiggini su ogni tratto di pelle visibile, occhi acquosi e denti grossi. So che detto così può sembrare una crudeltà, ma non aveva un aspetto gradevole e a quanto mi dicevano gli altri colleghi era anche estremamente noiosa. Mentre continuavo a pensare a che tipo di collegamento potessero aver fatto tra me e la donna ritratta nella foto, quella davanti a me mi riportò alla realtà con un sorriso alquanto meccanico. –D'accordo. Dov'era ieri notte?– mi chiese ancora mentre ritirava la fotografia dalle mie dita. –A casa mia, ero a casa. Ho guardato un po' di tivù e poi sono andato a letto, lavoro fino alle diciotto e...– Ero sempre più confuso. –Ma cos'è successo?– chiesi ancora alla detective che si lasciò andare a un altro sospiro. –È stata uccisa questa notte, tra mezzanotte e le due– m'informò mentre estraeva un'altra fotografia dal fascicolo. Ero dispiaciuto per Lisa ma ero più dispiaciuto per il mio coinvolgimento in una situazione che ancora non capivo; evidentemente il detective Bennet comprese i miei interrogativi, perché la seconda fotografia compì lo stesso tragitto della prima. Abbassai lo sguardo e mi alzai di scatto, sgomento. –Perché c'era questa scritta sulla scena del crimine, signor Evans– commentò la donna con espressione impassibile.
Mi servì una fortissima forza di volontà per tornare con lo sguardo su quella foto, e soprattutto per distoglierlo dal corpo di Lisa per portarlo al sangue sul muro sovrastante il corpo. Mi sentii svenire; sulla parete c'era scritto, senza alcun dubbio: "PER IL MIO GRANDE AMICO / BEN EVANS".

   
 
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