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Autore: __Scratches__    19/06/2016    0 recensioni
Forse Emily era solo una farfalla stanca di volare, o forse ci stava provando, ma per quanto si sforzasse, le sue ali erano troppo deboli. (Dal capitolo 2)
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"Morire è facile, quando non hai più nulla da perdere" (Dal capitolo 3)
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"Aveva smesso di piovere, ma il dolore rimaneva" (Dal capitolo 4)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

In quel giorno di metà novembre, la pioggia bagnava le sue guance rivolte verso il cielo grigiastro, intente nello scorgere un raggio di sole. I suoi capelli volteggiavano leggeri nell'aria, sollevati da quel fresco venticello che la avvolgeva, e la sua gonna color talpa si riempiva di piccole macchie a causa delle goccioline d'acqua che cadevano su di essa dal cielo di Baton Rouge, città affianco al Mississippi, in Louisiana. Al suono della campanella si diresse verso l'entrata della scuola, salutò Bernadette e salì le scale. Entrò in classe e si sedette al penultimo banco, vicino alla finestra, unico tramite per permetterle di continuare ad osservare le nuvole. Lui la guardava dal basso, fuori dall'edificio, appoggiato ad un albero, lei invece fissava concentrata le gocce d'acqua che scendevano dal vetro della finestra, quasi facessero una gara. Dopo qualche secondo, distratta dal rumore provocato dalla sedia di Lizzy, alzò lo sguardo.

Sapeva che la stava fissando, non era certo una novità per lei essere fissata. Non perché fosse straordinariamente bella o intelligente, solo aveva comportamenti inusuali per una ragazza della sua età. Abbassò nuovamente lo sguardo, questa volta su una farfalla postatasi sul davanzale della finestra, poi di scatto si alzò, guardando avanti. Sussurrò un “Buongiorno”; la professoressa entrò e si sedette alla cattedra, invitando gli alunni a stare comodi. La donna, laureata in lettere nel 1989, aprì il registro e fece l'appello:

-Bucket?- chiese, scrutando la classe con sguardo severo.

-Immagino abbia deciso di stare a casa anche oggi dal momento in cui doveva recuperare la materia-, disse dopo aver notato l'assenza di David Bucket, il peggiore della classe.

Ad ogni nome pronunciato dalla professoressa Curly, il diretto interessato rispondeva con un “presente” a voce alta ma non troppo, come era stato richiesto dalla donna all'inizio del quadrimestre.

Sophia aspettava di sentir pronunciare da quelle labbra carnose il suo cognome, era la tredicesima. Il suo nome le ricordava il soffio di vento che aveva spazzato via la sua collezione di piume bianche il giorno del suo dodicesimo compleanno. Teneva molto a quelle piume, ma vederle volare e volteggiare nell'aria le diede una sensazione di leggerezza che la fece stare bene. Dopo le stancanti ore di lezione , al suono della terza campanella del sabato, uscì dalla classe e si diresse all'esterno, per non mancare al suo solito appuntamento con Emily, sulla panchina sotto ad un grande salice piangente. Discutendo e chiacchierando venne fuori il discorso di quel ragazzo che la fissava tutti i giorni e, a parlarne, le guance di Sophia divennero rosse come il papavero che si era trasformato nel segnalibro dell'opera di Shakespeare che teneva in mano. I suoi occhi azzurri fissavano le labbra dell'amica, mentre le sue accennavano un piccolo sorriso, mettendo in evidenza le fossette sulle sue guance.

-Ma ti pare che ogni volta che dico il suo nome, devi arrossire?- la accusò scherzosamente Emily, per poi pulirsi gli occhiali.

-Non sto arrossendo!- si difese Sophia.

-Oh si che lo stai facendo!-

-No!- disse con una smorfia -Comunque non so cosa fare, mi fissa spesso e non riesco a capire il motivo per cui non frequenti mai le lezioni. Rischierà di essere bocciato...-

-O magari non va a scuola Soph, non tutti sono colti quanto te-.

Sophia fece spallucce, aprì la zip dello zaino e tirò fuori una scatola con della mela tagliata a fette, poi cominciò a rosicchiare. Emily si alzò, la salutò con un bacio sulla guancia e andò incontro ad Adam, il suo ragazzo da ormai otto mesi. Sophia non pensava molto ai ragazzi, preferiva vivere nel suo mondo di musica e poesie che la faceva sentire meglio di quanto potesse farla sentire qualunque essere di sesso maschile. Al suono della fine dell'intervallo, tornò in classe con sguardo perso nel vuoto, quasi fosse triste per il fatto che avesse smesso di piovere. Si chiedeva dove si nascondesse quel ragazzo quando lei scendeva le scale e si posizionava sotto l'abete a cui lui era sempre appoggiato. Si sedette, pronta per altre due ore e mezza di lezione prima di poter uscire di nuovo e andare a casa. Entrò il professor Wetz, insegnante di arte. Sophia, per quanto potesse sembrare strano dato il suo amore per la cultura, si annoiava nelle lezioni di Wetz e odiava la sua materia. Quindi dopo l'entrata del professore si accovacciò sul banco, incrociando le braccia e poggiandoci delicatamente la testa sopra, sempre rivolta verso l'esterno. Dopo venti minuti di lezione, Lizzy le passò un foglietto di carta tutto stropicciato, sul quale era scritta una frase. Sophia ci mise un po' a decifrare l'orribile calligrafia della sua compagna di banco, ma arrivò comunque alla conclusione e riuscì a leggere le parole dell'amica: “Quel tipo continua a fissarti”.

Come se non lo sapesse già. Il fatto è che non sapeva come reagire, di solito la gente la fissava per breve tempo, solo per ridere delle sue buffe espressioni quando si concentrava su qualcosa...

Quel tipo non stava affatto ridendo, però. Il suo sguardo era costantemente fisso su di lei e Sophia si sentiva in imbarazzo ogni ora passata a scuola. Di scatto chiuse la tenda, decise di sentirsi inosservata, almeno per un po'.

Dopo le lezioni, al suono dell'ultima campanella, tutti uscirono e Sophia con loro. Aveva ricominciato a piovere e, come al solito, la ragazza dalla gonna color talpa non aveva l'ombrello.

Le strade della Louisiana non erano molto sicure ed ogni volta che pioveva gli autobus erano in ritardo di almeno un quarto d'ora. Sophia si sedette sulla panchina riparata dal tetto della scuola, ricambiò il saluto a tutti coloro che la salutarono e, quando non ci fu più nessuno nelle vicinanze si alzò e sollevò la testa per sentire il freddo sul suo viso, che le ghiacciava il naso e le screpolava le labbra, mai ricoperte di rossetto. I suoi capelli castani non volavano più, la sua gonna nemmeno. Il vento era sparito, solo la pioggia entrava in contatto con il corpo di quella ragazza, e lui era lì, la guardava, e pensava che forse il mondo era meno osceno di quanto immaginasse. All'arrivo dell'autobus, Sophia iniziò a correre e arrivò appena in tempo. Si sedette al primo posto libero trovato e dopo dieci minuti arrivò a destinazione. Scese dal mezzo e camminò velocemente verso casa, prese le chiavi da sotto lo zerbino ed entrò. Si stese sul divano e chiuse gli occhi per un attimo, mentre pensava a quegli occhi azzurri che la fissavano per tutto il giorno. Quando iniziò a brontolarle lo stomaco, si diresse in cucina e si preparò un panino enorme, con mozzarella, pomodori, insalata, tonno e prosciutto crudo, il tutto ricoperto da uno strato di salsa tonnata. Sophia mangiava un sacco, eppure, per chissà quale fortuna o dono divino, restava sempre magra, senza ingrassare mai. Sbriciolando dappertutto salì le scale e aprì la porta di camera sua, illuminata fievolmente dalla luce del sole che penetrava dal vetro dell'enorme finestra. Si stese sul letto e iniziò a scrivere sul suo “Quaderno dei pensieri improvvisati”.

Ci sono momenti in cui vorresti scappare dal mondo,

momenti in cui ti ritrovi lontana da tutto e da tutti,

e non importa se sei circondata da persone che ti vogliono bene,

non importa quanti amici tu abbia,

ti senti sola, perché ti manca quella persona che è tutta

la tua compagnia.”


 

Il cellulare all'improvviso vibrò, era arrivato un messaggio da Emily:

“Io, tu e Sarah stasera andiamo a mangiare fuori. Ci vediamo alla stazione alle otto”.

Carine queste amiche che decidono tutto da sole, ma oramai Sophia ci aveva fatto l'abitudine e adorava Emily anche per questo.

Diede una risposta affermativa al messaggio e poi si cimentò nuovamente nella scrittura.

Sophia era una ragazza strana, diversa dalle altre diciassettenni: parlava poco, odiava la musica alta, non sapeva ballare, amava leggere e scrivere, ma, soprattutto, il suo hobby preferito era quello di restare da sola sotto la pioggia. Le critiche erano molte nei suoi confronti, era reputata una bella ragazza che stava sprecando i migliori anni della sua vita, ma a Sophia non importava proprio.

Il cellulare vibrò un'altra volta, a lungo. Questo significava una chiamata e infatti, dopo aver letto il nome di Sarah sul display, rispose.

-Dimmi-

-Ciao Soph, come stai?-

-Arriva al dunque- disse, ridendo.

-Ecco, per stasera, io...-

-Simon?-

-Eh... lo avevo promesso a lui, solo che ad Emily ho già dato buca l'altra volta. Mi dispiace, solo che oggi festeggiamo i 9 mesi di fidanzamento!-

-Vai tranquilla, ti copro io, le dirò che sono venuta a trovarti e avevi qualche linea di febbre-

-Sei fantastica-

-Si, certo, vedi di non farti trovare nei dintorni del Chinese- rise, accompagnata della risata dell'amica, e si rese conto che entrambe avevano pensato alla stessa cosa, ovvero al giorno in cui era successo un fatto analogo e si erano ritrovate tutte e tre nel medesimo ristorante.

Si salutarono e Sophia attaccò il telefono. Provò subito a chiamare Emily per informarla ma, come al solito non rispose. Controllò l'ora, erano solo le tre e, non potendosi preparare, decise di prendere qualche vestito dall'armadio e precipitarsi a casa di Emily, così da passare del tempo assieme a lei, per poi andare a cena. La casa della sua migliore amica si trovava a poco più di un chilometro dalla sua, e Sophia decise di andare a piedi, senza sfoggiare la sua imbarazzante bicicletta. Emily aveva vent'anni e viveva da sola. I suoi genitori stavano a due chilometri da lei, in una casa enorme. Sophia si era sempre chiesta cosa la avesse portata ad andarsene di casa così presto, ma infondo sapeva che Emily era uno spirito libero e amava essere indipendente . Quando arrivò davanti alla casa dell'amica erano le 3:35. Notò che la macchina non era parcheggiata, ma non ci diede peso, infatti Emily prestava spesso l'auto ad Adam. Suonò al campanello di quella casa color pompelmo, attese qualche minuto, ma nessuno le aprì. Emily era certamente dai suoi genitori, forse per andare a portare qualche schifezza a suo fratello. Controvoglia, Sophia tornò indietro. La strada era più trafficata del solito, le auto si muovevano piano, anche se le nuvole avevano lasciato spazio a qualche pezzo sereno e aveva smesso di piovere. Appena arrivata a casa si tuffò sul divano ed accese la T. Stava cercando un canale adatto a lei, quando, ad un tratto:

“Ragazza di 20 anni investita da un autista cinquantaquattrenne a Baton Rouge. L'uomo alla guida è risultato negativo all'alcol test e ha dichiarato che la ragazza ha attraversato improvvisamente la strada principale in cui egli viaggiava rispettando il limite di 80 km/h. La ragazza, Emily Jessica Murphy è ora ricoverata all'ospedale della città, in condizioni gravi, forse in pericolo di vita.

Passiamo ora alla politic..”

Spense il televisore.

Provò ad alzarsi, ma le sue ginocchia si sciolsero e cadde a terra. I pungi erano serrati sul pavimento, strinse i denti per non piangere, per fare in fretta. Doveva vederla, doveva correre in quell'ospedale che distava un'ora e mezza da casa sua. Per quanto si sforzò, le lacrime rigarono il suo volto, lasciando scie nere per il mascara. Prese la borsa, dei soldi , il cellulare e chiamò taxi, quindi chiuse la porta a chiave e aspettò. Aspettava e non riusciva a reggersi in piedi, il cuore batteva, lo stomaco si lamentava, minacciava di cedere. La testa le girava, ma non poteva permettersi di svenire adesso. Doveva parlarle, doveva salvarla.

Salì sul taxi che nel frattempo era arrivato. L'autista era un uomo sulla sessantina, capelli grigi, pelle nera. Cercò di rassicurarla in qualche modo, visto che la notizia era giunta anche al suo orecchio e, vedendo quella ragazza così fragile, aveva capito il motivo del suo pianto.

“Sai, il destino può essere duro a volte. Guarda noi, adesso siamo qui, è possibile che domani a me venga un infarto o che a te venga un tumore. La vita è bastarda, piccola, e capisco quanto tu adesso possa essere arrabbiata. Le persone se ne vanno, se ne vanno sempre. Sta a loro decidere come andarsene. Alcune se ne vanno da te, ti tradiscono, altre semplicemente muoiono. Io l'ho vista quella ragazza, piccola. L'ho vista e non può sopravvivere. Ho anni di esperienza in questo campo, ma se dovesse servirti aiuto non esitare a chiamarmi, il numero lo hai nella borsetta, su un fogliettino bianco e rosso. La tua amica morirà, piccola. Te lo dico per salvarti da tutte quelle stronzate che ti diranno i medici, i dottori, e tutti quegli uomini che non accettano che la vita non è per tutti. La tua amica morirà e ti lascerà un segno indelebile, che non potrai mai, mai e poi mai cancellare. Ora riposati, se vuoi torniamo indietro, o se vuoi ti porto avanti, sta a te decidere”.

Sophia era stupefatta. Non riusciva a credere a ciò che aveva sentito. Lo guardò fisso negli occhi, visto che per porle l'ultima domanda si era girato verso di lei.

“Tu sei forte, piccola, per questo ti porto avanti”.

Il viaggio fu silenzioso, talvolta l'autista canticchiava una canzoncina a bassa voce, e Sophia rifletteva sulle parole che le erano state dette, poi, d'improvviso, aprì la borsa e si ritrovò in mano un biglietto che corrispondeva a quello descritto dall'autista. Non diede peso al come ci fosse finito lì, perché il taxi frenò bruscamente e l'uomo alla guida annunciò l'arrivo. Sophia tirò fuori 50 dollari dal portafoglio blu a motivo floreale che teneva nella borsa e, prima ancora che potesse tendere il braccio, il taxi fece manovra e se ne andò. Si era fatto buio, ormai. Sophia amava i mesi freddi, perché vedeva il cielo oscurarsi alle 5 del pomeriggio e trovava il buio molto interessante. Come avrebbe fatto un leone in cerca di una gazzella, Sophia corse in ospedale cercando immediatamente la reception. Essa era accanto alla prima rampa di scale, oltre le quali, sicuramente, si trovava la sua amica. Un'infermiera bionda dal camice azzurro la accolse con un gran sorriso, di chi ama il proprio lavoro, e le chiese se avesse bisogno di aiuto.

“In realtà sì, cerco Emily Murphy, è stata portata qui circa 2 ore fa se non sbaglio, forse anche di più”.

“Sì, ne sono al corrente”.

“Può dirmi dove posso trovarla?”

“Non puoi trovarla”, disse l'infermiera con un tono freddo e severo.

“Co... cosa?”

“No, aspetta tesoro, hai capito male, non è morta. Non puoi vederla se non sei un parente, devi aspettare la tua amica qui, mi dispiace”.

“La prego, io devo vederla”, la supplicò Sophia.

Gli occhi di quella ragazza in pena per l'amica divennero sempre più luccicanti, era nervosa, triste, delusa. Si mordicchiava la parte destra del labbro inferiore e con le mani, entrambe sul bancone della reception, formava una specie di capanna.

L'infermiera allora chiese: “vuoi chiamare un taxi per poter tornare a casa?”

“Diavolo, io non voglio tornare a casa! Io voglio solo vedere la mia cazzo di amica, perché lo so che sarà l'ultima volta, e lo sa anche lei. Non mi illuda, non tornerà a vivere. La prego, mi faccia andare da lei”.

L'infermiera si guardò attorno, accertandosi che nessuno la vedesse, poi indicò le scale alla ragazza, dandole ogni informazione necessaria per trovare Emily. Sophia ringraziò e iniziò a correre per le scale. Nella mente ripeteva le parole di quella donna, fino allo sfinimento, vista la grandezza dell'ospedale di Baton Rouge. Arrivò alla stanza in cui avrebbe dovuto riposare Emily, ma non entrò subito. Squadrava la porta, con il cuore che batteva sempre più forte. Doveva muoversi, nessuno avrebbe dovuto vederla. Inspirò ed abbassò la maniglia, spinse la porta facendola scivolare delicatamente su quel pavimento bianco ed entrò.


HEY!
Ciao, spero che la lettura del primo capitolo vi abbia soddisfatte/i. In realtà esso era molto più lungo, ma ho deciso di tagliarlo perchè, non conoscendo bene EFP, non so quale lunghezza del testo vada presentata ai lettori, quindi se non va ancora bene vi prego di farmelo sapere.
Grazie per la lettura :)
 Alla prossima!

   
 
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