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Autore: hikachu    19/06/2016    1 recensioni
Perché mai era così nervoso, si trattava forse di gelosia, o invidia, dopotutto Char era l'immagine stessa del leader in un modo che Garma non avrebbe mai eguagliato.
Da Origin III: Garma si trasferisce nella stanza di Char.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando l'ultimo scatolone fu svuotato, i contenuti spostati e sistemati con cura secondo le sue indicazioni (era giusto che altri cadetti – compagni di classe, non amici, poteva ammetterlo con se stesso ora – lo facessero per lui; era naturale ed un diritto di nascita aspettarsi quel tanto, da convalescente e come erede degli Zabi, rispettivamente; era anche, in altre parole, qualcosa che doveva esigere per ricordare a se stesso e agli altri chi fosse esattamente Garma Zabi) e tutti ebbero lasciato la stanza, Char annunciò, sorridendo quel suo sorriso condiscendente, spero certo che mi perdonerai se schiaccio un sonnellino prima che si faccia ora di andare a cena, i tuoi tirapiedi si sono accalcati qui dentro come formiche e mi hanno procurato un bel mal di testa—e, diamine, se non hanno lavorato sodo!, proprio come formiche, rise Char. Garma aveva sentito il viso che s'imporporava, allora, dinnanzi alla canzonatura implicita: certo che li hai fatti lavorare sodo, signorino!, eppure non gli riusciva più di infuriarsi con Char perché le punzecchiature, gli pareva adesso, erano parte essenziale del loro rapporto: qualcosa che avrebbe dovuto aspettarsi ed accettare e persino anelare in quanto segno della sincerità di Char. Un segno che erano parigrado, e che a qualcuno importava di lui in maniera genuina.

Ebbene?, disse Char dopo poco, forse aspettandosi – o forse auspicando – un battibecco, e quando Garma lo fissò senza profferire parola, lui rise di nuovo, più forte, piegando la testa indietro, e in quel momento Garma vide lo spostarsi di muscoli e tendini lungo il suo collo, il movimento del pomo di Adamo di Char sotto la pelle, con una chiarezza nuova e sconvolgente.

La vista, per qualche ragione, gli chiuse la gola come se qualcuno l'avesse riempita a forza di cotone.

Char disse qualcos'altro che Garma non riuscì a capire, poiché aveva le orecchie piene del ruggito del proprio sangue. Aveva la punta delle dita fredde come ghiaccio ed era come se il suo cranio fosse sul punto di implodere. Annuì con un'espressione da sciocco, e Char salì sul letto, tirando la tendina dietro di sé. A dopo, disse dall'altra parte, la voce ovattata eppure chiara (la voce di Char era sempre chiara; lui parlava sempre come qualcuno che non ha nulla da temere in tutto il mondo); a dopo, rispose Garma, esalando un respiro che non si era accorto di aver trattenuto.

Devo avere qualcosa che non va, pensò. Perché mai era così nervoso, si trattava forse di gelosia, o invidia, dopotutto Char era l'immagine stessa del leader in un modo che Garma non avrebbe mai eguagliato, con i suoi capelli dorati, la linea forte ed affilata della mascella, e, sì, il suo collo, robusto quanto bastava per dare un'idea di forza e resilienza, perfettamente proporzionato alle spalle larghe ed al resto del suo corpo. Senza dubbio, Char era il tipo di persona che i suoi fratelli avrebbero considerato loro pari o, perlomeno, qualcuno che non andava sottovalutato né protetto.

Il petto di Garma doleva: si sentiva come se il suo cuore stesse cercando di sfondare la cassa toracica, di squarciargli il petto e saltare fuori. Era veramente questo, ciò che si provava quando si era gelosi? Forse, non sarebbe stato inesatto dire che desiderava per sé tutte quelle cose che rendevano Char speciale, ma c'era qualcos'altro, in quel desiderio, che non era in grado di articolare a parole o quantomeno comprendere. Il rumore nelle sue orecchie si fece più forte, come onde che s'infrangono sotto un cielo di tempesta. Tutte le persone vivevano dunque serbando nel proprio cuore sentimenti così dolorosi, giorno dopo giorno, come se nulla fosse? Era un'ipotesi straordinaria quanto deprimente. Garma provò vergogna. Cosa diceva di lui, il fatto che provasse queste cose verso l'unico uomo che considerava un vero amico, cosa avrebbe pensato di lui Char, se l'avesse saputo.

Non c'era che una soluzione—Quello che Garma era solito fare quando si rendeva conto che ciò che aveva – chi era – non era sufficiente per il nome che portava, per l'uomo che sarebbe dovuto essere: lavorare sodo senza lamentarsi.

Si volse al proprio scrittoio, dove lo attendeva il resto dei compiti del giorno, e continuò a studiare fino a quando fu il momento di andare a mensa.

Sei andato a correre, chiese allora Char, tirandosi a sedere sul letto. Aveva i capelli in disordine, alzati laddove erano stati schiacciati contro il cuscino. Garma deglutì. Char rise, hai tutta la faccia rossa. I suoi occhi erano di un blu trasparente, come ghiaccio.

Le mani di Garma ebbero un fremito. Avrebbe voluto usarle per coprirsi il viso. Non prendermi in giro, disse aspro, invece. Di nuovo, il petto gli doleva in quella maniera misteriosa.

Char indossò gli occhiali con un ghigno. Non mi permetterei mai, disse, le mani sollevate. Per favore, smetti di fulminarmi con lo sguardo.

Garma distolse lo sguardo. Andiamo, è tardi.

A quelle parole, Char – quel Char così forte e brillante – lo seguì obbediente, senza una parola, come un'ombra, e quel semplice fatto gonfiò d'orgoglio il petto di Garma come se fosse stato appena lodato da uno degli istruttori davanti agli altri cadetti. Sospirò. Le sue guance erano calde, però sentiva finalmente che il battito del suo cuore andava rallentando. Va tutto bene, pensò, tutto è come dovrebbe essere, dopotutto.

Eppure, quella notte, sognò occhi di un blu profondo che lo osservavano nell'oscurità.
   
 
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