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Autore: alessandras03    19/06/2016    8 recensioni
SEQUEL BISBETICA VIZIATA.
Dal Capitolo 1...
"In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti. "
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1.

 

Chi l’avrebbe mai detto? Finalmente diplomata. Finalmente fuori dal liceo.
Se mi avessero detto, tempo fa, che io sarei riuscita a compiere questo passo... giuro non ci avrei creduto. Insomma, ero troppo buffona e disinteressata per pensare alla scuola, allo studio, all’università. Invece ora mi sento diversa.
In questi mesi qualcosa è cambiata.
Per prima cosa, ho deciso di cercare un lavoretto estivo, nonostante i miei genitori siano disposti a mandarmi in qualunque università io decida di frequentare. Ho bisogno però di sentirmi autonoma e responsabile per la prima volta in vita mia, quindi impiegherò i mesi prima del college raccogliendo un gruzzoletto di soldi per gestirli al meglio.

La mia vita, insomma, prosegue a gonfie vele, affianco alla migliore mentore che possa aver mai desiderato. La mia guida, la mia consigliera, la mia luce: Beth Murphy.
Bhé, in fondo non è cambiato poi così tanto. Ho accorciato i capelli, adesso arrivano poco più sotto delle spalle, credo di esser dimagrita qualche chiletto e suppongo di aver assunto un tocco di femminilità che, qualche mese prima, non sapevo neanche cosa fosse.
In ogni caso Grace Elizabeth Stewart è la solita arrogante, presuntuosa, spocchiosa, egoista e permalosa di sempre. Sì, non è cambiato molto nel mio carattere. Figuriamoci.


Trascorro questa giornata afosa di luglio in compagnia della mia limonata ghiacciata, sul dondolo fuori casa, con i miei occhiali da sole Persol, un cerchietto a fascia che mi spinge i capelli all’indietro e quel venticello che tarda sempre ad arrivare.
Beth è appena scesa dall’auto con il suo mini-vestitino e le sue converse, i capelli portati da un lato con una treccia sfatta e gli occhiali da sole Prada.
Sbuffa appena si siede al mio fianco, sembra sfinita.

«Questo caldo mi sta uccidendo» sventola una mano di fronte al viso. Poi alza gli occhiali sul capo e mi fissa, «oggi sarà un’altra giornata morta come quella di ieri?» Domanda.
Ghigno. «Non lo so, Candi mi ha mandato un messaggio… mi ha chiesto di andare in piscina a casa sua» dico schiarendomi la voce.
«Lo ammetto, non la tollero ancora» sbuffa.
«Vabbè, in questi ultimi mesi ha fatto di tutto per farsi piacere da noi» scrollo le spalle e porto la testa all’indietro.
Beth sta un secondo in silenzio. «Quindi tu dici di andare?»
«Potremmo, come potremmo dire no» mormoro.
«E no, però un’altra giornata a cazzo… no» sbotta furibonda.
Scoppio a ridere ed annuisco. Acchiappo il telefono dal davanzale della finestra dietro di me e chiamo Candi.
Attendo qualche istante prima che risponda.
«Ehi… sì, io e Beth veniamo» guardo la mia amica che rotea gli occhi, «va bene, a più tardi» sospiro e riattacco.
«Dobbiamo passare da casa, devo mettere il costume» sbadiglia Beth, per poi mettersi in piedi.
Si stira le braccia e scrocchia il collo. Ieri notte abbiamo fatto le ore piccole in una festa a casa di un tizio. Al solito, la mattina è sempre un trauma post-sbornia. Fortunatamente ci siamo date una calmata, adesso abbiamo un limite. Riusciamo a capire quando è tempo di smetterla di bere, anche se raggiungiamo quasi sempre la soglia.

Avverto mia madre che andremo da Candi. Lei sembra entusiasta, è felice che abbia ripreso un mezzo rapporto. In realtà non è così. Non ci sarà mai qualcosa di vero e concreto come quello che lega me e Beth. L’amicizia con Candi è finita da tempo. In realtà non ci legava assolutamente nulla. Siamo sempre state due universi a parte, sia per il modo di agire che di pensare. Con Beth è tutt’altra storia. Basta uno sguardo per capirci, un cenno, una parola anche senza significato. Siamo collegate con un filo invisibile e dissolubile. Lei pensa qualcosa ed io automaticamente faccio lo stesso. Ormai non possiamo nasconderci in niente. Quando metto il broncio lei se ne accorge subito e se capita di litigare non riusciamo a non parlarci neanche per cinque minuti. E’ meraviglioso.


Montiamo sulla sua nuova auto e partiamo. Lei fa la prima fermata a casa. Io l’attendo in macchina. Mi guardo intorno ed osservo la vetrata della camera di Dylan. So che non c’è, ma ogni volta è inevitabile. L’occhio cade sempre lì.
E’ in viaggio con i suoi compagni di squadra. Dopo la fine del campionato e la loro vincita, hanno deciso di trascorrere l’estate a Los Angeles.
Non mi rivolge più la parola, ha cancellato già da un po’ ogni traccia di me. A volte mi passa per la mente l’idea che potrebbe già frequentare qualche altra e non nego che ogni qualvolta una fitta allo stomaco mi impedisce persino di respirare. E’ terribile.

«Eccomi» Beth ritorna ansimando. Mette in moto e ripartiamo.
Accendo la radio ed inizia la canzone Angel di Shaggy. Entrambe cantiamo a squarcia gola.
«Girl, you’re my angel, you’re my darling angel» diciamo in coro. Lei sorride, ticchetta le dita sullo sterzo, mentre io muovo il corpo a ritmo di musica, ondeggiando a destra e sinistra. Il vento ci scompiglia i capelli e le nostre bocche che formano dei meravigliosi sorrisi, fanno passare tutto il negativo che potrebbe esserci nelle nostre vite.
Subito dopo parte Come di Jain. Beth mi lancia un’occhiata e sorride maliziosa. Poi torna a fissare la strada.
Arriviamo a destinazione e Candi ci fa strada verso il garage. Beth posteggia l’auto mentre borbotta e sbuffa. Non le andrà mai a genio, ma in fondo non deve per forza starle simpatica.

«Avete sete? Ho preparato la limonata e dei biscotti.» Sorride incamminandosi verso la piscina.
Noi la seguiamo, ma nel frattempo i miei occhi sono attirati da Beth che continua a farle smorfie da dietro. Ma perché ho un’amica così? Non riesco proprio a smorzare una risata, e così Candi si volta corrucciata. Ci fissa e Beth le sorride.
«A me sì, grazie» dice con voce carina, so già che dentro vorrebbe apparire indemoniata.
Io annuisco con suono gutturale e poggio la mia borsa sulla sdraio. Beth fa lo stesso e si guarda intorno, mentre Candi torna dentro a prendere da mangiare e da bere.
«Che culo, che casa» dice la mia amica con le mani sui fianchi.
Mi spoglio degli shorts di jeans e della canotta, posizionandomi sdraiata al sole. Indosso gli occhiali da sole e socchiudo le palpebre.
«Questo costume è bellissimo» dice lei.
«Me l’ha comprato mia sorella» rispondo. E’ a due pezzi, il di sopra a triangolo nero con le frange e il di sotto a brasiliana dello stesso colore. Insomma non è particolare per niente.
«Non so mi piace, perché è semplice» aggiunge sedendosi ai bordi della piscina.
Candi ritorna subito dopo già in costume. E’ intero, rosso fuoco.
«Ecco» posa una ciotola con dei biscotti e una brocca con la limonata su di un tavolo e poi si tuffa in acqua. Nuota fino ad una ciambella e ci si aggrappa. «L’altro giorno ti ho sentita parlare di lavoro» sospira fissandomi. «Per caso ho trovato un volantino ieri e ti ho pensata… cercano personale in un campo estivo per bambini a Los Angeles.» Spiega. «Tu sei anche di lì… magari potresti andare» sorride.
Abbasso gli occhiali e guardo Beth. Lei mi capisce subito. Scapperemo di qui di corsa.
«Accettiamo!» Esclamiamo all’unisono.
Candi esce dall’acqua e corre dentro. Ritorna poco dopo con il volantino fra le mani. Me lo porge e leggo a bassa voce il numero di telefono.
Sono eccitata all’idea di andare via da New York per l’intera estate. Mia madre, però, non so quanto ne sia entusiasta. Credo che farà storie.
«E’ perfetto» annuisce Beth.
Detto ciò nascondo il foglio nella borsa e mi tuffo anche io in acqua. Nuoto avanti e indietro, per poi sdraiarmi su di un materassino gonfiabile.
Trascorriamo l’intera mattina lì. Praticamente la mia pelle scotta a causa del sole. Beth, invece, si è abbronzata per bene a differenza mia.
Non riesco neanche a sfiorarmi.

Non appena faccio ritorno a casa, mi siedo al tavolo con i miei genitori e gli mostro il volantino. Mia madre lo legge attentamente, lo scruta e poi mi fissa.
«Los Angeles?» Sgrana gli occhi.
Mio padre sbircia e legge sottovoce, «è escluso» dichiara severo.
Sbuffo e roteo gli occhi. «Sono con Beth, andremo a lavorare… e dopo l’estate andrò al college.» Li supplico.
«Mi dispiace Grace, Los Angeles è troppo lontana» mia madre scuote il capo contraria.
Stringo i pugni. «Santo Dio dovrò andarmene ugualmente, che cambia prima o dopo?» Aumento il tono di voce.
I due si guardano apprensivi. Mia madre sospira, mio padre socchiude le palpebre.
«So che non volete restare soli e questa cosa vi fa tremendamente paura… ma mamma… papà io devo prendere la mia strada» non avrei mai pensato di parlare così. Persino loro sono sbigottiti. La piccola Elizabeth è cresciuta.
Mia madre abbassa gli occhi e le vedo scendere una lacrima. Mi si stringe il cuore.
«Nathan ed Emily sono adulti e sono andati via di qui già da tempo… ora è il mio turno, il turno della piccola, ribelle, bisbetica Grace.» Mormoro con voce rauca.
Mio padre abbozza un mezzo sorriso. «Stiamo diventando vecchi Charlotte» accenna una smorfia.
Rido, mi metto in piedi e mi avvicino. Passo le braccia intorno ai loro colli, per abbracciarli.
«I miei vecchietti» scherzo.
«Ehi… io sono giovane ancora, potremmo anche fare un quarto figlio se volessimo» ridacchia mia madre.
Scuoto il capo, «bhè… per me non c’è alcun problema» sospiro.
Mio padre si avvicina per baciarmi il capo. «Al ritorno di questa vacanza avrai una sorpresa» sorride.
Non chiedo cosa e ringrazio entrambi. Poi corro in camera per chiamare Beth.

«Si va!» Esclama lei dall’altro lato. «Ho chiamato per informarmi e ho detto che siamo due ragazze appena uscite dal liceo… per loro va bene, dobbiamo partire per Los Angeles immediatamente» sbraita per telefono. Mi stordisce un orecchio.
Ghigno. «Faccio la valigia» dico.
«Partiremo domattina, c’è un volo alle otto.»
Accetto e riattacco. Preparo la valigia intrufolando dentro tutto il necessario. Avverto i miei genitori della partenza repentina e non la prendono poi così bene. Mia madre sbianca, mentre mio padre si prende un attimo per riprendersi del tutto.
 
Questo è il mio turno, il mio tempo, il cielo giusto per sbagliare e fare delle cazzate assurde.
Da domani non ci sarà nessuno a lavarmi i vestiti, prepararmi colazione, pranzo e cena, nessuno a pulirmi la stanza, nessuno che mi ricordi di andare a dormire o di alzarmi. Sarò sola, con la mia indipendenza. E’ strano da pensare. E’ strano crescere.

Parlo al telefono con mia sorella per circa due ore. E’ tristissima. Dice che le mancherò troppo, che non accetta tutto ciò, ma sa che prima o poi sarei volata via dal nido, con le mie ali. Poi mi saluta raccomandandomi di fare attenzione, di non bere, di non fumare troppo e di chiamarla ogni volta che ne sento l’esigenza. Senza Emily non saprò come fare. In certe occasioni, se non ci fosse il suo consiglio, la sua parolina magica, non sarei quella che sono adesso. Mi mancherà intrufolarmi in casa sua per raccontarle i miei pensieri più intimi e mi mancherà il suo sguardo da Satana, quello che mi fa comprendere immediatamente che sto sbagliando. Insomma, dovrò abituarmi all’idea di non vederla durante questi mesi, ma almeno mi aiuterà per quando sarò via, al college.


Tutta la notte rimango sveglia a guardare il soffitto. Non riesco a prendere sonno in nessuna maniera, probabilmente sarà anche colpa del caldo.
Il mattino seguente, sono in piedi già alle quattro. Attendo con i miei genitori l’arrivo di Beth. Mio padre ci accompagnerà in aeroporto.
Quando la vedo spuntare con una valigia ed un borsone le sorrido e le mi viene incontro quasi correndo. Sembriamo due bambine che andiamo alle giostre per la prima volta.
In realtà è la prima volta per entrambe che ci allontaniamo da casa. La prima volta che possiamo sul serio sentirci libere.

«Ragazze state attente, chiamate» ci raccomanda mia madre.
L’abbraccio e lei mi sussurra nuovamente di stare attenta. Poi con un cenno di mano, scompaio dentro l’auto. Mio padre mette in moto e parte, in direzione aeroporto.
Per tutto il tragitto canticchio le canzoni che passano alla radio e mi godo l’alba su New York.


Arrivate, mio padre decide di lasciarci libere e di non accompagnarci dentro. Lo saluto con un bacio in guancia e poi mi incammino dentro con Beth.
Mi stringe un braccio così forte, da farmi venire un livido. «Sono emozionata» sussurra.
Le sorrido e non fiato. Facciamo i biglietti di solo andata e ci imbarchiamo.
Solo in quell’istante mi rendo davvero conto di cosa stiamo facendo. Mi viene in mente Dylan, poi Brian. I due che hanno contribuito alla mia maturità. Entrambi, adesso, rimangono un ricordo sbiadito. Nonostante abbiano dichiarato di amarmi, io non ho fatto nulla per impedire ad uno dei due di andare via da me. Perché in un modo o nell’altro non ci riesco.

Per tutto il volo rimango con gli occhi sbarrati, godendomi il tragitto. Il cielo è limpido, non c’è alcuna nuvola. Il sole splende su L.A. Beth sonnecchia al mio fianco, ha le cuffie alle orecchie. La musica è talmente alta che riesco persino a sentirla io.
«Ti presento Los Angeles» ridacchio scuotendola.
Lei sbatte le ciglia più volte e si guarda attorno, ancora assonnata. Si sporge ed osserva fuori. Il suo viso si illumina alla vista.
«Wow!» Esclama.
«Si prega di allacciare le cinture. Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia. » L’hostess parla al microfono.


Usciamo dall’aeroporto e quando in lontananza riconosco Dylan, il mio cuore cessa di battere.
«Gli ho detto di venirci a prendere» dice Beth, per poi corrergli incontro.
Dylan le sorride e l’abbraccia. Io a passo lento li raggiungo, sistemando lo zaino dietro le spalle. Lui mi rivolge un breve sguardo. E’ in compagnia di un amico. Ha i capelli neri, non molto lunghi, tirati all’indietro. Il suo corpo è molto simile a quello di Dylan, forse è leggermente più alto.
«Lui è Ethan» lo presenta alla sorella, che gentile gli stringe una mano.
Io accenno un sorriso finto, quando quest’ultimo mi porge lo sguardo.
Dopo aver raccolto le nostre valige, raggiungiamo l’auto e montiamo su. E’ una decappottabile. Non ci sono mai salita.
«Cosa siete venute a fare qui?» Chiede Ethan mentre mette in moto l’auto.
«Abbiamo trovato lavoro in un campus estivo per bambini» sorride Beth sporgendosi fuori dal finestrino.
Dylan si volta sbigottito. «No, non ci credo» mormora.
«Non me lo dire» ribatte Beth. «Ma tu non eri venuto in vacanza qui?» Sbuffa la sorella. «Non voglio sopportati anche a Los Angeles» conclude roteando gli occhi.
«Accompagno i bambini al mare e alle escursioni» spiega cauto.
Deglutisco rumorosamente ed abbasso gli occhi.
«E posso dirti che sono in vacanza ugualmente» aggiunge. «Ethan è il proprietario, insomma il figlio del proprietario del campus» osserva la sorella.
Dio, ma perché mi vuoi così male?
«Estate di lusso» commenta sarcastica la sorella.
Dylan torna a guardare avanti, mentre Beth rivolge gli occhi a me. Mi mima qualcosa del tipo “porca troia”, ma io le rispondo alzando le spalle. In fondo, ognuno ha le sue croci no?
Tutto il mio entusiasmo pre-partenza è stato interrotto.
«Non siamo soli al campus» Dylan parla di colpo. «Brian lavora lì.» Si schiarisce la voce.
«Lo conoscete?» Domanda Ethan. «E’ un bravo ragazzo» commenta serio.
Sgrano gli occhi e quasi mi affogo con la mia stessa saliva. Credo di collassare.
Beth trattiene una risata, io un pianto isterico. Il nodo che era rimasto nei miei capelli per tutto questo tempo, viene al pettine.
L’estate peggiore della mia vita ha inizio e che la pazienza, la calma e la tenacia mi accompagnino nel mio faticoso calvario. Okay, bando alle ciance, sono nella merda.
E’ tutto riassunto in una sola parola, breve, concisa: amen.
Credo che la mia sanità mentale sia andata a farsi benedire nel momento in cui ho notato Dylan in aeroporto, ma adesso è proprio volata in cielo, scomparsa tra le nuvole, il sole, la luna ed i pianeti, alla scoperta che anche Brian parteciperà all’ estate di merda di Grace Elizabeth Stewart, sicuramente contribuendo a renderla ancora peggio di quanto si possa immaginare.
E quindi al mio tre imprechiamo tutti in coro! Il mio subconscio non è sano, non lo è mai stato in realtà.

Arrivati al campus faccio un segno di croce. Non nego di aver timore. Volevo semplicemente rilassarmi, trascorrere un po’ di tempo in pace con me stessa e con il modo che mi circonda ed invece… la guerra.
«Quindi che dobbiamo fare? Qualche giorno di prova o cosa?» Beth si rivolge ad Ethan.
«Siete due belle ragazze, mio padre non ci penserà due volte a dire di sì…» gesticola mentre si incammina verso un luogo immerso nel verde degli alberi ed una sabbiolina fina, fastidiosa. «Avete mai avuto esperienze simili? Sapete fare surf?»
«Io sì» rispondo scattante, «sono nata qui, poi ci siamo trasferiti a New York… ma da piccola adoravo il surf. Non sono eccellente, ma qualcosa riesco a farla» accenno un risolino.
Lui rimane sorpreso. «Abbiamo una californiana allora, benissimo» mi lascia una pacca sulla spalla e sorride.
Dylan osserva la scena silenzioso, sembra persino infastidirsi, ma ciò che sento e vedo al mio arrivo supera di gran lunga le mie aspettative. Una ragazza mora, con i capelli ricci lunghi, ci viene incontro correndo. Gli salta al collo e gli stampa un bacio. Lui la stringe e la fa volteggiare, mentre i ricci le sventolano da una parte all’altra.
«Siete tornati» gli lascia un altro bacio.
Beth ha la bocca spalancata e le cade, persino, il borsone a terra.
Io mi limito a tenere la mia espressione più impassibile possibile. Abbasso gli occhi e non fiato. Tutto ciò è ridicolo, assurdo, insensato, ma cosa c’è di sensato in quello che fa un uomo?
«Mio Dio.» Sussurra Beth, scandendo ogni parola.
La ragazza avanza verso di noi, prima porge una mano a me. «Alexandra» mi guarda dritta negli occhi, ma è così serena che sono sicura non sappia nulla di me e Dylan.
Le stringo la mano educatamente, ma mi prendo la briga di fissare a lungo Dylan. Lui fa lo stesso senza alcun timore. Sfacciato.
Poi si presenta a Beth.
«Sono la sorella» tentenna lei.
«Dylan ma non mi hai detto niente!» Esclama lei.
Beth annuisce, assottiglia lo sguardo e fissa il fratello, portando una mano su di un fianco. «Dylan, ma non hai detto niente neanche a me» dice con lo stesso tono della ragazza, con occhi da furbetta.
Quest’ultimo si gratta il capo. «Beth lei è Alexandra… Alexandra lei è mia sorella» sospira.
Quanto è difficile per lui fare queste presentazioni davanti a me?


«Ehi ragazzi, quei mocciosi mi stanno facendo impazzire! Eric vuole per forza gett…» impossibile non riconoscere la sua voce, persino senza voltarmi.
Lui, però, si blocca. Credo mi abbia notata. Così alzo lo sguardo ed incrocio il suo.
Dio, è cambiato in questi mesi.
Ha i capelli più corti, indossa una polo bianca con lo stemma del campus e un paio di pantaloncini blu navy. E’ così abbronzato, da non riconoscersi neanche.
Si massaggia il capo e boccheggia per qualche istante. «Ciao» balbetta. «Dicevo che… ragazzi ho bisogno del vostro aiuto» la facilità con il quale si rivolge a Dylan mi lascia perplessa.
Aggrotto la fronte e sospiro. I due sembrano in buoni rapporti. Brian sembra cambiato. Non ha più quell’espressione accigliata, quel broncio, quell’aria da cattivo ragazzo. Il padre l’avrà messo in riga per bene. Mi ha lasciata senza parole.
«Adesso arrivo io. » Ride Dylan. «Eric le busca» aggiunge ironico.
Poi i due si incamminano fianco a fianco, li sento ridere e non posso fare a meno di spalancare la bocca. Li avevo lasciati così male. Dylan che odiava a morte Brian e viceversa. Invece ora sembra tutto così confuso. Mi sento io fuori posto.

«Dimmi che siamo dentro ad un incubo e che dobbiamo ancora atterrare a Los Angeles» quasi piagnucolo.
«Siamo dentro ad un film horror» commenta la mia amica, affiancandosi a me. «Credo che il mondo sia stato stravolto» aggiunge corrucciata.
«Voglio tornare a casa» nascondo il volto con entrambe le mani, respirando a pieno.
Beth accenna un risolino. «Spero che le sorprese siano finite» commenta.
Ethan ci raggiunge e ci indica la strada, mentre Alexandra scompare seguendo le orme di Brian e Dylan.

Raggiungiamo un bungalow e notiamo subito un uomo sulla cinquantina parlare animatamente al telefono. Ci osserva e poi riattacca.
«Le fanciulle che hanno chiamato ieri» ci punta un dito contro e sorride. «Molto piacere» ci stringe le mani. «Allora ragazze… questo è un campus estivo per bambini, sappiate che dovrete avere molta pazienza perché incontrerete delle pesti assurde e dei ragazzini in gamba» gesticola tranquillo. «Quello che ci serve è qualcuno che porti i bambini alle escursioni e che li controlli durante le attività come equitazione, canoa, surf, nuoto e tante altre cose» ci osserva attentamente, «credete di essere in grado?»
«Secondo lei ho fatto tutta questa strada per niente?» Rispondo acidamente. Mi rendo conto solo dopo del tono arrogante.
Lui sospira, «perfetto, allora adesso Ethan vi mostrerà i vostri dormitori e vi spiegherà come funziona qui» annuisce.
«Grazie» dice cordiale Beth.
Ci allontaniamo da lì ed uscendo una mandria di bambini corre dietro Dylan sghignazzando come matti. Lui gli sventola un fazzoletto e loro urlano. Si rifugiano in un bungalow, mentre noi avvertiamo la voce di Ethan che ci chiama da lontano.
«Venite qui!»
Così trasciniamo le valige fino a quel punto. Ed ecco il nostro dormitorio.
«La mattina c’è una sirena che sveglia tutti… ci troviamo alle sette in punto per la colazione, poi cominciano le varie attività che sono programmate su una lavagna.» Spiega. «Voi da domani vi occuperete delle attività che riguardano l’arte e la cucina…» Aggiunge.
Giusto ciò che odio. Benissimo.
«Ovviamente poi vi spingeremo oltre… e porterete i bambini fuori di qui a praticare altri sport» ride notando le nostre espressioni.
«Grazie, già stavo dando di matto» Beth si gratta il capo.
Lui le sorride e poi ci lascia finalmente da sole. Sistemiamo la nostra roba, poi Beth decide di riposarsi e mi dice addio cadendo in un sonno profondo. Così rimango seduta sul letto a fissare la finestra, sentendo le risate provenire da fuori. Sono davvero qui, con la mia migliore amica e con altri trecento casini. Sono qui ad affrontare una cosa nuova, ad osservare la felicità di Dylan e la serenità di Brian. Osservo le loro vite proseguire senza indugi, senza di me. Sono la spettatrice e non la protagonista.


La sera arriva velocemente. Dopo una doccia rilassante, raggiungiamo gli altri fuori. Sono tutti riuniti intorno a dei grandi falò. Mangiano marshmallow e si raccontano delle storie. Sembra strano questo clima. Solo Beth si intrufola in mezzo al fratello e la nuova ragazza. Io rimango fuori da tutto ciò. Non sono dell’umore adatto.
Mi rifugio distante. Mi siedo a terra, afferro un legnetto e disegno sulla sabbiolina delle figure senza senso. Scrivo il mio nome, poi lo cancello.
«Sei cambiata Liz» sussurra qualcuno alle mie spalle.
E’ Brian. Non ho bisogno di voltarmi. Così rimango immobile, mentre si siede al mio fianco. Lo osservo con la coda dell’occhio, sta fissando davanti a sé.
«Anche tu» noto.
Ghigna, «ho scoperto che qualcos’altro poteva rendermi una persona migliore» sospira.
Lo guardo interrogativa. Così fa cenno con la testa verso i bambini.
«Sono fenomenali… è una battaglia continua ogni giorno, mi fanno ammazzare la vita, ma sto bene» ridacchia.
Dov’è finito il Brian che ho conosciuto?
«Non pensavo di incontrarvi qui» ammetto sincera, mentre scrivo sulla sabbia nuovamente il mio nome.
Lui osserva. «Dylan è arrivato qui con un gruppo di amici, era in vacanza… ma quando ha scoperto questo posto è voluto entrare subito» esordisce, «inizialmente non parlavamo e non ci davamo retta, poi un giorno ci siamo trovati da soli a pulire un casino che i bambini avevano combinato» sospira abbozzando una smorfia. «Abbiamo parlato di noi, delle nostre vite, dei nostri sogni… e ci siamo fatti una promessa.» Alza gli occhi al cielo.
Deglutisco. «Che promessa?»
«Non la saprai mai» incrocia i miei occhi. Non l’ho mai visto così serio.
Mi chiudo a riccio, portando le ginocchia fino al petto e stringendo le spalle.
Osservo di fronte a me. Dylan sta sorridendo, è bellissimo. Alexandra lo guarda come se non ci sia niente di più meraviglioso al mondo. Beth, invece, si è accorta di me e mi osserva malinconica. Le sorrido come per rassicurarla e poi sposto lo sguardo su Brian.
Mi scruta e non fiata.

Forse tutto ciò mi aiuta a capire che, come loro, sono andati avanti, devo farlo anche io.
Brian ha proseguito per la sua strada, non curandosi dei suoi sentimenti e Dylan ha voltato pagina, conoscendo la vera felicità. Io non posso rimanere bloccata. Non posso stare in quest’oblio che non mi permette di proseguire.
In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti.

 
Angolo autrice. 
BUONASERAAAA! Sono stata velocissima!
Non riesco a non scrivere per molto tempo e così ho buttato giù il primo capitolo del sequel di Bisbetica viziata! Che ne dite? 
Ora vi troverete confusi per le novità, ma state tranquilli ahahah 
Sono curiosa di sapere i vostri pareri, a presto!
  
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