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Autore: _Juddy_    19/06/2016    1 recensioni
|| Shuuto || Raiting arancione tendente al rosso || 6.000 parole || Tanti auguri, Sissy-chan! ♥ ||
"...il cuore di Gouenji si chiuse in una morsa d’acciaio al pensiero di Yuuka ma la reazione di Kidou fu ben peggiore: si alzò di scatto e, dirigendosi verso la porta, iniziò a battere i pugni sul ferro battuto fin quando le nocche non iniziarono a sanguinare a contatto con la dura superficie.
- Siete dei vigliacchi!! Lasciatela stare...! Aprite questa maledetta porta, ne ho abbastanza di voi e dei vostri Dei! Lasciate stare mia sorella!! Haruna, Haruna.... N-noooo!-"
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel/Shuuya, Celia/Haruna, Jude/Yuuto, Yuuka Gouenji/Julia Blaze
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Non c’è nessun angolino dell’autore in fondo alla OS perché mi sembrava poco appropriato.
Ho preferito invece fare una riflessione che andasse oltre alla OS, analizzasse i personaggi e la loro psicologia ma che contenesse anche un mio messaggio personale.
Perché siamo tutti un po’ schiavi in fondo, schiavi di chi o cosa dovrete deciderlo voi.
Grazie a chiunque leggerà e lascerà una recensione, un bacio immenso alla festeggiata!
Alla prossima minna,
Juddy ♥
 


Slaves

A Sissy.
Tanti auguri di buon compleanno, fatina mia!
Diciassette anni... Si diventa grandi eh! *scuoricina*
Ti voglio un mondo di bene, grazie per esserci sempre! ♥
 

Lo schiavo avanzava lentamente trascinando dietro di sé pesanti catene che gli gravavano sui polsi.
Gli occhi umidi di lacrime che avevano sfregiato per tutta la notte quel volto pallido e scarno, le braccia piene di ferite, alcune ormai infettate, causate dalle numerose scudisciate ricevute durante quei giorni di prigionia. Indossava solamente una misera canottiera bianca, addirittura stracciata in più punti, macchiata di terra e di sangue rappreso, e dei pantaloncini, strappati anch’essi, che gli arrivavano a malapena alle ginocchia.
Un fascio di luce lo colpì in pieno volto, accecandolo e facendo diradare l’oscurità portata dalla sua disperazione. La guardia che gli era accanto lo spinse malamente a terra, le catene troppo pesanti per permettere allo schiavo di rialzarsi. Al contatto col suolo alcune ferite ripresero a sanguinare, sporche di terra fangosa, provocando un dolore lancinante.
Il sole era alto, da ciò lo schiavo dedusse che era ormai arrivato mezzogiorno. In uno stato di penoso tormento provò a guardarsi intorno, le lacrime che bruciavano con la stessa intensità di un tizzone ardente, impotente e solo nel suo dolore.
Poco distante da lui si trovava un ragazzo, a occhio e croce doveva avere più o meno la sua età, steso su un fianco, semi svenuto. Due guardie lo scrutavano dall’alto ma non aveva catena alcuna a costringerlo al suolo: forse semplicemente perché entrambi gli uomini erano sicuri che non sarebbe andato da nessuna parte vista la sua pietosa condizione. Aveva i capelli biondi con alcune ciocche tirate verso l’alto, le labbra increspate in una smorfia di dolore, il volto sporco di sudore e dalla sozzura dell’ambiente; gli occhi bruni rivolti fissi davanti a sé, in essi si leggeva solo una grande preoccupazione.
Lo schiavo guardò nella sua stessa direzione: davanti a loro si ergeva un tempio  che risplendeva talmente alla luce del sole da sembrar essere d’oro zecchino, davanti ad esso c’era uno spiazzo dove si trovava un altare in legno che comunicava solamente una grande paura.
- Che il giorno del Sacrificio agli Dei cominci.-
Una voce solenne risuonò nel silenzio circostante; dal tempio uscì un uomo vestito con abiti cangianti, sulla testa una corona splendente impreziosita in più punti da gemme di raro valore. Al suo fianco avanzava lentamente una bambina, gli occhi buoni e bruni velati da uno strato di lacrime mentre si guardava attorno con un lampo di paura ad illuminarle lo sguardo; era vestita con un semplice abitino bianco che alla luce del sole appariva quasi trasparente, una rosellina di stoffa delicatamente poggiata sui capelli castani legati in due morbide trecce. Scesi tutti i gradoni che separavano il tempio dallo spiazzo dove si trovava l’altare, il Re si mise a sedere su un trono poco distante, la bambina invece rimase in piedi accanto a lui continuando a tremare convulsamente. L’uomo le fece una carezza sulla testa e le mise un braccio intorno alla vita nel vano tentativo di calmarla ma nessuno dei presenti si sentì di considerarlo un gesto d’affetto, cosa che per’altro fu riconfermata da un sorriso malizioso e decisamente poco rassicurante del Re che continuava a stringerla al suo fianco con una stretta forte e possessiva, la mano scendeva lungo il fianco magro della piccola fino ad arrivare all’orlo di quel vestitino assurdamente corto.
Il ragazzo dai capelli biondi strinse i denti per la rabbia, le unghie conficcate nel palmo della mano tanto da farlo sanguinare. Nel silenziò risuonò un insulto che si perse in un gemito strozzato a causa di un calcio ricevuto in pieni polmoni, un modo come un altro per costringerlo al silenzio. Una delle due guardie accanto a lui scoppiò in una risata di scherno.
- Che venga portata la prescelta.-
Lo schiavo si riscosse immediatamente dai suoi pensieri, una lacrima si staccò dalle ciglia infrangendosi al suolo. Abbassò la testa nel vano tentativo di non assistere alla scena pietosa che di lì a poco si sarebbe presentata ai suoi occhi ma la guardia dietro di lui lo prese per i capelli obbligandolo a guardare verso l’altare. Il volto dello schiavo si contrasse in una smorfia di dolore mentre una voce gli bisbigliava all’orecchio:
- Altrimenti non è divertente ti sembra...?-
Nel frattempo davanti al Re era stata trascinata un’altra ragazzina, le braccia legate dietro la schiena: si dibatteva cercando di liberarsi, le urla che squarciavano il silenzio mentre l’avvolgeva una paura mai provata. Uno schiaffo le raggiunse una guancia nivea, stordendola e facendo così finire le sue vane resistenze.
Lo schiavo aveva il petto scosso da continui singhiozzi, ormai nemmeno provava più a liberarsi dalla ferrea stretta della guardia che lo costringeva a vedere quella scena terribile, sapeva che non sarebbe riuscito comunque a combinare niente. Il destino stava per compiersi e lui altro non poteva fare se non stare a osservare completamente impotente.
Si soffermò un’ultima volta ad osservare i tratti della “prescelta”: i capelli blu morbidi e mossi, in alcuni punti anche unti dal sudore e appiccicati alla fronte, gli occhi cerulei persi nel vuoto e sommersi di lacrime che spiccavano nel pallore mortale della sua carnagione.
Ad un cenno del Re le guardie la portarono vicino all’altare facendola distendere sopra di esso, la schiena a contatto col freddo legno venne percorsa da un tremito. Una guardia che teneva fra le mani una lancia affilatissima rivolta verso di lei.
- La prescelta sarà donata agli Dei come sacrificio, sono sicuro che l’apprezzeranno.-
Per un momento, ma solo per un momento, allo schiavo parve che guardasse nella sua direzione, sul volto dipinto un sorrisino divertito. Incurante dei suoi occhi pieni di lacrime e disprezzo che lo guardavano augurandogli di stramazzare al più presto, l’uomo riprese a parlare.
- Ebbene il momento tanto atteso è giunto e grazie a questo sacrificio potremo godere di un anno propizio. Che il destino si compia!-
La bambina accanto al Re si faceva sempre più pallida e tremante, costretta a quel contatto non voluto: se prima infatti aveva solo un braccio dell’uomo a cingerle la vita, adesso si poteva dire che la stava benissimo abbracciando, sorridendo compiaciuto e strofinando il suo viso contro il suo. Era così vicino che la piccola poteva avvertire il suo respiro sulla sua pelle mentre impietrita osservava la lancia cadere spietata sul corpo della ragazzina prescelta, trafiggendolo. L’ultimo urlo di disperazione che usciva privo di forze insieme a un rivolo di sangue dalle labbra candide di lei che si univa a quello della bambina dalle trecce castane. Entrambe le voci si persero nel silenzio circostante, nel silenzio che portava la morte.
- Onii-chan...!!-
La guardia, soddisfatta di averlo fatto assistere a tutta la scena, lasciò andare i capelli dello schiavo che stramazzò a terra privo di forze, come una marionetta alla quale erano stati recisi i fili. Un sussurro si perse nel vento che aveva iniziato a soffiare delicatamente da nord-est indicando che era ormai arrivata la sera:
- Haruna...-
I contorni si fecero via via sempre più scuri, attorno a lui si respirava un’afa quasi soffocante mentre il profumo della morte e del sangue lo avvolgeva. Con le lacrime che ancora risplendevano alla base delle ciglia perse i sensi.
Le guardie lo dovettero trascinare fin dentro la sua cella, e una volta lì ancora non aveva ripreso conoscenza. Non riusciva a riaprire gli occhi perché sapeva che non ci sarebbe più stata lei al suo fianco, gli avvenimenti delle ultime ore lo avevano distrutto; lo schiavo non aveva più voglia di guardare il mondo e sperava di rimanere svenuto per sempre, disteso su quel giaciglio fatto di paglia. Ma il destino beffardo lo avrebbe fatto risvegliare a breve, prolungando così la sua lenta agonia.
 
 
- E di questo ragazzo cosa ne facciamo, mio Signore?-
Il Re si alzò lentamente dal trono facendo segno alla bambina di seguirlo con un freddo cenno del capo.
Il sacrificio si era oramai compiuto e la prescelta giaceva senza vita sull’altare poco distante, il volto contratto in un urlo di terrore spezzato sul nascere. Di lì a poco il suo corpo sarebbe stato portato dentro al tempio e bruciato in onore degli Dei.
Il ragazzo dai capelli biondi era sempre accasciato a terra, steso su un fianco, ma alla vista della bambina che si avvicinava assieme al Re gli occhi scuri s’imperlarono di lacrime.
- Ah già, lui...-fece un gesto vago della mano fingendo noncuranza- Portatelo in una cella, così lo faremo combattere nel Torneo che si terrà tra qualche giorno.-
A quelle parole la piccola, che era stata fino ad allora con lo sguardo basso a tormentarsi l’orlo del vestitino in seta, sussultò. Il Re se ne accorse e le prese il mento con due dita, costringendola a guardarlo negli occhi.
- Leva le tue mani dal viso di mia sorella, capito?! Non la toccare...!-
Il ragazzo dai capelli biondi non aveva la forza di alzarsi ne di poter fare alcunché, si limitò a sfogarsi sommergendo di insulti l’uomo, schiumante di rabbia impotente.
Il Re altro non fece che scoppiare a ridere di gusto, una risata sprezzante e altezzosa. Ad un suo ordine una delle due guardie, che erano state per tutto il tempo dietro al ragazzo, si fece avanti, aiutandolo –per modo di dire- a rimettersi in piedi.
- Non sei contenta, Yuuka? Tuo fratello diventerà un guerriero! Non devi avere paura, non gli succederà niente...-
Il ragazzo sentì ribollirgli dentro una sensazione mai provata, il volto paonazzo e sudato, mentre il Re posava le labbra sui capelli di sua sorella in un gesto che dava la lontana impressione di volerla rassicurare.
- Avrai modo di riscattarti al Torneo, ragazzo. Se vincerai ti sarà concesso di esprimere un desiderio, e chissà...! Magari potrei anche ridarti la tua dolce sorellina.-
Il Re si diresse all’interno del tempio seguito a ruota dalla bambina che represse a malapena un gemito guardando un’ultima volta il fratello. Gli occhi bruni di lui furono invece illuminati da un improvviso lampo di speranza mentre le guardie lo portavano nella sua cella.
 
 
- Entra.-
Il ragazzo fece come gli era stato ordinato, la guardia richiuse alle sue spalle la porta in ferro battuto. Le tenebre lo inghiottirono, non una fonte di luce illuminava la cella fatta eccezione per una misera finestrella quadrata situata in un punto alto dello spoglio muro davanti a lui.
Improvvisamente tutta la tensione accumulata nelle ultime ore si sciolse lasciando il posto ad un pianto irrefrenabile: la testa gli faceva male, un dolore acuto e martellante che non gli concedeva un attimo di tregua. Faticava a rimanere in piedi quindi si mise a sedere, la schiena poggiata delicatamente contro il muro: il pensiero di sua sorella nelle grinfie di quell’uomo non gli dava pace, avrebbe fatto di tutto per lei, anche uccidere quell’essere infame con le sue stesse mani se fosse stato necessario!
Era ormai scesa la notte e ancora non riusciva a dormire a causa del vento freddo che penetrava da quella maledetta finestrella e dall’umido di cui erano intrise le pareti della sua prigione. Piano piano i suoi occhi si assuefecero alle tenebre circostanti e iniziò a vedere più distintamente le cose attorno a lui: lanciò un urlo di terrore nel vedere due occhi rubizzi risplendere nel buio.
- Chiudi la bocca e fa’ silenzio se non vuoi finire la serata con un paio di scudisciate sulla schiena.-
Aprì più volte la bocca ma non riuscì a sillabare una sola parola tanto era stato lo spavento e ci vollero un paio di minuti abbondanti perché il respiro si regolarizzasse del tutto, tornando così relativamente calmo.
- C-chi sei?-
Per tutta risposta un ragazzo si mise a sedere di fronte a lui permettendogli così di osservarlo meglio: terribilmente chiaro di carnagione, il volto scarno era contornato da castane ciocche rasta raccolte in una coda alta, il corpo martoriato da lividi e ferite ancora sanguinanti, addosso aveva soltanto pochi stracci. Ma la cosa che lo colpì di più furono gli occhi color sangue, somiglianti a due splendidi rubini scintillanti di disperazione, attenti e spiccanti nel biancore della sua pelle.
Lo sconosciuto fece spallucce socchiudendo gli occhi, incapace anche di sopportare la tenue luce della luna che faceva capolino dalla finestrella.
- Ha tanta importanza per te sapere chi sono? Un povero diavolo, ecco chi.-
E senza aggiungere altro si alzò facendo qualche passo indietro, le gambe deboli e tremanti: scomparve dalla vista del coetaneo, inghiottito nuovamente dalle tenebre.
- Per quanto ti possa interessare, io mi chiamo Gouenji Shuuya. S-sei... Sei anche tu uno schiavo?-
Una risata ruppe il silenzio.
- No guarda, mi trovo in questo tugurio a patire le pene dell’inferno per semplice villeggiatura.-
Gouenji rimase spiazzato dal freddo sarcasmo della risposta, fece per ribattere ma il ragazzo riprese a parlare, una voce supplichevole ma che al contempo impartiva quello che aveva tanto l’aria di essere un ordine.
- Non provare ad avvicinarti. Tu te ne stai buono buonino dalla tua parte di cella, io dall’altra, ok? E non lamentarti se hai freddo o qualsiasi altro problema perché io ho già i miei, grazie.-
- V-va bene... Buonanotte, allora.-
- Tsk, buonanotte un corno. Comunque...-fece una pausa, come per scusarsi del tono aggressivo usato, per poi finire la frase, stavolta con più dolcezza.- ... Buonanotte anche a te, Gouenji.-
Un sorrisetto sbocciò sul volto di Shuuya mentre si rannicchiava in un angolo della fredda cella; chiuse gli occhi, cercando di non pensare a niente, e in pochi minuti il sonno lo avvolse col suo tiepido abbraccio, ma senza sogni e pieno di lacrime.
Il ragazzo dagli occhi rubizzi rimase invece sveglio ad osservare il cielo stellato che s’intravedeva dalle grate della finestrella. Sentì nel silenzio della notte il respiro irregolare del suo compagno di cella che interrompeva il flusso dei suoi pensieri e la cosa lo disturbava alquanto, abituato com’era all’assoluta solitudine a cui era stato costretto.
Gouenji infatti tremava a causa del freddo e dell’umidità notturna e doveva avere anche un sonno molto agitato visto che si rigirava in continuazione da una parte e dall’altra. Il rasta gli si avvicinò con l’intenzione di svegliarlo ma alcune parole impastate dal sonno lo fermarono:
- C’è mia sorella dietro la porta... Sta anche piovendo... Vi prego, fatela entrare, devo dirle una cosa importante...-
Sorella.
Dietro la porta.
- No! Per favore, non la cacciate... E’ venuta per me...-
Il cuore gli si strinse in una morsa di acciaio mentre gli metteva una mano sulla fronte sudata: era caldo e come minimo il giorno dopo gli sarebbe venuta una febbre da cavallo se non si fosse coperto al più presto. Sbuffò, scocciato, mentre si levava la canottiera e la posava delicatamente addosso al ragazzo: certo non era un granché visto anche quanti strappi aveva il tessuto ma doveva essere stato sufficiente perché Gouenji smise immediatamente di tremare, le labbra distese finalmente in un sorriso sereno.
Gli rivolse un ultimo sguardo, accompagnato da un sorriso sbilenco che assomigliava molto di più ad una smorfia, per poi tornare nel suo lato della piccola stanza. Liberò le ciocche castane dalla costrizione della coda sfregandosi gli occhi ancora inumiditi dalle lacrime, si distese sul pagliericcio che, a contatto con la schiena nuda, gli provocò un fastidioso prurito. Rimase per un po’ a guardare il soffitto della cella abbandonandosi agli incubi che sapeva di fare non appena avrebbe chiuso gli occhi...
 
 
- Tu, vieni con noi.-
Haruna cominciò a tremare convulsamente aggrappandosi con ancora più forza al braccio del fratello. Non era mai un buon segno quando le guardie decidevano di entrare nella loro cella senza quel poco di cibo e d’acqua surriscaldata necessari a sopravvivere!  
Guardò Kidou: aveva il volto pallido e il colpo martoriato da lividi, ferite e bruciature ma gli occhi vivi e brillanti di un’antica nobiltà ormai perduta.
- Che vorreste farle?-                    
La guardia corrugò le sopracciglia contrariata ma non lo degnò della minima risposta, si limitò a stringere ancor di più la frusta che teneva in mano. Si vedeva che era al limite della sua –poca, quasi inesistente- pazienza.
Kidou, liberatosi delicatamente dalla stretta della sorella, fissò i suoi occhi rubizzi in quelli dell’uomo di fronte a lui. Quest’ultimo scoppiò in una risata malvagia, e sprezzante sputò a terra.
- Gli Dei hanno aspettato anche troppo una nuova vittima sacrificale e anche io...-
Haruna impallidì ed urlò di terrore di fronte allo sguardo pieno di orribile desiderio della guardia accompagnato da un sorriso sornione.
- Ora smettila!-
Il ragazzo tremava di rabbia, le mani strette a pugno e il respiro irregolare; deciso a proteggerla a costo della vita, si mise davanti alla sorella.
Lo schiocco della frusta risuonò nel vuoto.
- Chi sei tu per darmi ordini? Nessuno. E allora perché vuoi peggiorare la tua situazione con altre scudisciate? Ma guardalo... Si prende anche la libertà di continuare a sostenere quel suo sguardo irritante!-
- Finché questo corpo ne avrà la forza, proteggerò Haruna!-
L’ennesima risata denigratoria della guardia, stavolta la frusta non schioccò a vuoto: Kidou si accasciò al suolo, la misera canottiera bianca riprese a sanguinare. L’uomo gli tirò un calcio in pieno stomaco facendo così cessare tutti i vani tentativi del ragazzo di rimettersi in piedi.
- Ecco come finiscono i ribelli come te: inginocchiati di fronte ai più forti e sconfitti miseramente! Pagherai la tua impudenza, verme insignificante!-
Il pagliericcio cosparso sul freddo suolo della cella si colorò di rosso, la frusta sferzava l’aria spietata e desiderosa di dolore. Kidou giaceva stremato a terra in un bagno di sangue con gli occhi socchiusi e il respiro debole.
- Hai finito la tua misera resistenza!-
La guardia si voltò verso Haruna che nel frattempo aveva assistito impietrita e impotente a tutta la scena. Un piede sulla testa del ragazzo per costringerlo a terra.
- A te la scelta: o smetti di fare resistenza e accetti il tuo destino o lo uccido!-
A testa bassa e con gli occhi imperlati di lacrime, Haruna mosse qualche passo verso la guardia.
L’uomo le circondò le spalle minute con un braccio e le leccò maliziosamente un orecchio.
- B-bastardo....! Lascia stare.... M-mia...Sorella.-
La guardia sorrise a Kidou che, malgrado il dolore, stava cercando di rimettersi in piedi.
- Tua sorella? Lurido verme, tua sorella non ti appartiene più! La rivedrai solo il giorno in cui verrà sacrificata agli Dei! E fino a quel momento starà con me per tenermi compagnia...! Ma non temere la potrai sentire tutte le sere ugualmente.-
La porta si richiuse e Yuuto, rimasto solo, pianse amaramente sangue misto a lacrime.
Continuò a piangere ininterrottamente anche tutti i giorni successivi quando, a sera, era costretto ad ascoltare il martirio di sua sorella, succube dei desideri e delle voglie della guardia che rideva senza pietà, ben conscio che lui era lì, dietro la porta della cella, ad ascoltare gli spasmi e le grida di Haruna senza poter far niente.
 
 
Il sole lo colpì in pieno viso, dandogli delicatamente il buongiorno.
- Che ci faccio con questo straccio addosso?-
Gouenji soffocò uno sbadiglio mentre si metteva a sedere. Il ragazzo con i rasta gli si avvicinò lentamente: il petto nudo scosso da colpi di tosse, lucidi e arrossati gli occhi, come se avesse pianto tutta la notte.
- Lo straccio sarebbe la mia canottiera che, mio malgrado, ho usato ieri sera per coprirti visto che tremavi come una foglia. E poi mi sa che alla fine la febbre me la sono presa io...-
Tossì nuovamente accasciandosi mestamente a terra, piccole goccioline di sudore gli rigavano il volto sempre più pallido mentre scivolava in un limbo delirante, dove sogno e realtà erano indistinti. Le ferite del giorno prima non si erano ancora rimarginate, il sangue correva lungo quel corpo distrutto e sfiancato dalla fatica senza fermarsi; gli occhi avevano perso la brillantezza che prima gli caratterizzava: adesso erano di un rosso spento, opaco, e continuavano a guardare il vuoto. Le labbra tremavano mentre cercavano di articolare qualche sconclusionata parola di aiuto.
Gouenji si spaventò nel vederlo in quello stato: con fatica lo aiutò stendersi, la testa delicatamente poggiata sulle sue gambe. Adocchiò un vecchio secchio in ferro arrugginito: l’acqua contenuta era sporca e per giunta di un marroncino per nulla rassicurante ma decise che quello era il momento sicuramente meno opportuno per mettersi a fare l’igienista, così intinse la canottiera che fino a quel momento aveva tenuto in mano e la poggiò delicatamente sulla fronte del ragazzo. Capì che però non sarebbe bastato, tanto più che quella maledetta  acqua era caldissima e in quel momento tutto serviva fuorché un liquido incandescente e pieno di sostanze chimiche, ma altro a disposizione non c’era quindi si dovette arrangiare.
Il sole ormai brillava alto nel cielo e, sebbene la cella fosse molto più calda rispetto alla notte, lo schiavo continuava a tremare convulsamente per il freddo che solo lui avvertiva. Gouenji si chinò su di lui abbracciandolo delicatamente cercando di trasmettergli quel po’ di calore che aveva in corpo e si mise ad aspettare. Cosa stava aspettando? Non lo sapeva, erano soli con un tempo infinito davanti a loro.
 
 
- G-gouenji.... Aaaah, la mia testa! C-che cavolo mi è successo?-
Gouenji dormiva saporitamente al suo fianco, la testa delicatamente poggiata sul braccio e nell’altra mano la canottiera stracciata usata fino a quel momento, ormai completamente intrisa di sangue e sudore; si stiracchiò e sbatté più volte le palpebre cercando di mettere a fuoco le immagini attorno a lui.
- Mai una volta che si possa dormire in pace, mh... Oh, ti sei svegliato finalmente! Come stai?-
- Da cani, grazie comunque per l’interesse.-
- Magari potresti anche degnarti di dirmi il tuo nome.-
L’altro gli rivolse uno sguardo perplesso, quasi fosse stata la prima volta in tutta la sua vita che qualcuno gli chiedeva come si chiamasse.
- Se ci tieni così tanto... Kidou Yuuto.-
Kidou sbuffò sonoramente raccogliendosi nuovamente le ciocche castane in una coda alta. Si mise a sedere, le ginocchia strette al petto, vicino a Gouenji che nel frattempo cercava invano di nascondere un mezzo sbadiglio.
- Non era mica necessario rimanere a farmi da angioletto custode per tutta la notte!-
Le lacrime ripresero a rigare le guancie diafane del rasta.
Decise di essersi umiliato già abbastanza, si alzò e fece per andare a rannicchiarsi sul suo giaciglio fatto di paglia ormai colorata di rosso e intrisa di lacrime ma una stretta ferrea e possessiva lo bloccò prontamente prendendolo per un polso. Rimase in piedi ad osservare imperturbabile il vuoto di fronte a sé nella speranza che Gouenji lasciasse la presa: i residui della febbre alta avuta durante la notte continuavano a farsi sentire con continui capogiri e cali di pressione, aveva le labbra secche  intrise di saliva e sangue rappreso, riprese a tremare. A nulla servirono i suoi tentativi di muovere qualche passo in avanti perché era ancora troppo debole; nuovamente le tenebre tornavano a distendersi attorno a lui ma Gouenji, prevenendo un nuovo ed inevitabile mancamento, con uno sospiro si alzò e delicatamente lo aiutò a mettersi a sedere sul pagliericcio con la schiena al muro. Dal canto suo Kidou, con una gamba piegata e una distesa, le braccia distese lungo il corpo, le mani strette a pugno, la testa inclinata e poggiata al muro e un sorrisetto di autocommiserazione sbocciato sul volto, non oppose resistenza.
Le ombre si allungavano sempre di più indicando che stava ormai venendo sera, i passi delle guardie dietro la porta della cella risuonavano nel silenzio che regnava tra i due ragazzi. Gouenji, cercando di distogliere l’attenzione dalle grida degli altri prigionieri torturati senza pietà nelle celle limitrofe, rivolse una fugace occhiata a Kidou: gli occhi avevano ripreso improvvisamente quel color rosso fuoco che tanto li caratterizzava, il respiro accelerato e il volto paonazzo, i muscoli contratti; ad ogni risata di una guardia dietro la porta, ad ogni urlo disperato dei prigionieri, sobbalzava. Un momento di silenzio fu spezzato dal gemito dimesso di una bambina, il cuore di Gouenji si chiuse in una morsa d’acciaio al pensiero di Yuuka ma la reazione di Kidou fu ben peggiore: si alzò di scatto e, dirigendosi verso la porta, iniziò a battere i pugni sul ferro battuto fin quando le nocche non iniziarono a sanguinare a contatto con la dura superficie.
- Siete dei vigliacchi!! Lasciatela stare...! Aprite questa maledetta porta, ne ho abbastanza di voi e dei vostri Dei! Lasciate stare mia sorella!! Haruna, Haruna.... N-noooo!-
Accasciatosi a terra si graffiava i bracci portandosi via brandelli di pelle, si copriva la testa di paglia, si strappava i vestiti di dosso, urlava in preda al delirio. Le lacrime lavavano il suo volto dal sangue e dalla vergogna, si raggomitolò poi su se stesso coprendosi il volto con le mani.
- Quindi la ragazza sacrificata agli Dei era tua sorella?-
Il silenzio aveva già risposto, non erano necessarie ulteriori spiegazioni ma una voce fioca e tremante parlò ugualmente:
- La vita dopo un po’ diventa un susseguirsi ciclico di un folle dolore, una galleria buia e oscura di cui non si vede mai la fine. I miei genitori si ridussero in schiavitù a causa di grandi debiti contratti... Ero piccolo quando successe e nessuno in fondo mi hai mai spiegato come accadde. Una volta entrati qui dentro, in questo inferno, mamma e papà si dimenticarono persino di me e Haruna tale era la loro disperazione...-
Nel sentire queste parole il volto di Gouenji si contrasse in una smorfia di disappunto.
- Ti chiedi come sia possibile, vero? Succede nel momento in cui si dimentica persino di vivere e con questa apatica rassegnazione giunse presto la loro fine...-
Kidou soffriva nel ricordare e avrebbe fatto volentieri a meno di raccontare la sua vita ma le parole uscivano incontrollate dalle sue labbra, ansiose di essere ascoltate.
- Le ragazze schiave vengono risparmiate da scudisciate e sfiancanti lavori inutili al solo scopo di derisione, loro sono l’offerta da consacrare agli Dei. Fosse stato per me non avrei mai fatto niente di ciò che mi veniva ordinato se non fosse stato per Haruna.-
Batté un pugno a terra tremando di rabbia impotente.
- Qualche volta venivano a tormentarmi dicendo che sarebbe stata la prossima a essere sacrificata. Per lei misi da parte anche l’orgoglio e, in quei momenti, o mi prostravo ai loro piedi in una supplica delirante o accettavo le loro richieste che a volte si riducevano a scudisciate sulla schiena per il semplice gusto della macabra tortura. Inutile dire che il mio era solo un misero tentativo di allungare i tempi perché in cuor mio sapevo che il suo momento sarebbe comunque arrivato presto o tardi.-
Per tutto quel tempo Kidou era rimasto bocconi a terra, frustrato come mai prima si era sentito, tremante per la tempesta di sentimenti che si agitava nel suo cuore. Gouenji gli prese il viso tra le mani costringendolo a guardare fisso nei suoi occhi bruni che incorniciavano un’espressione seria e costernata. Gli mostrò poi il ciondolo di una misera catenina di metallo che portava al collo.
- Me lo regalò mia sorella qualche tempo fa...-
- La ragazzina con le trecce castane e il vestito bianco?-
Gouenji accennò un piccolo segno di assenso.
- E’ la schiava di compagnia del Re... Spero bene per quell’infame che non le abbia torto nemmeno un capello perché altrimenti il giorno del Torneo io...-
- Il Torneo? Oh, oh questa è bella! Sai in cosa consiste?-
- Immagino in un combattimento... Però poi alla fine al vincitore verrà concesso di esprimere un desiderio! Non mi farò sfuggire questa occasione per trarla in salvo dalle grinfie di quel bastardo!-
Kidou iniziò a ridere amaramente scuotendo la testa divertito, gli occhi spalancati traboccanti di paurosa follia, il volto contratto in una risata demoniaca. Si alzò in piedi e avanzò qualche passo verso Gouenji che lo guardava allibito.
- Sciocco, quello è un combattimento tra schiavi al solo scopo ludico per il Re e le guardie! Il vincitore potrà anche esprimere un desiderio ma il perdente paga il prezzo della sconfitta con la vita! Ma del resto che ci vuoi fare? Un povero cane da bastonare in meno...!-
- Mi stupisco che proprio tu mi faccia questa paternale. Se non è al Torneo, l’ipotetico perdente sicuramente morirà per le torture inflittagli dalle guardie quindi... Non ho certo paura di troncare la vita di una persona, anzi! Finalmente dopo tanto tempo rinchiuso in questa cella potrò sfogare su qualcuno questa rabbia che mi attanaglia!-
- Quasi mi spiace dirti che non troverai nessuna resistenza da parte del tuo avversario! Spero comunque di poter soddisfare degnamente il tuo desiderio di sangue...-
L’espressione di Gouenji mutò di colpo, stupita e atterrita insieme. Kidou continuava ad avanzare a piccoli passi senza mai smettere di ridere: scuoteva la testa con forza, le mani portate alle tempie e lo sguardo stralunato, tossì qualche goccia di sangue.
- C-come sarebbe a dire?-
- Non farmi soffrire oltre, Gouenji...Guarda come sono ridotto: non ho più niente! Haruna era l’unica cosa che mi rimaneva ed ora che mi è stata sottratta non ho motivo per continuare a vivere.-
Gouenji non riusciva a rispondere, apriva e chiudeva le labbra senza riuscire a sillabare una sola parola; gli occhi di Kidou s’infuocarono di un rosso spaventoso, deliranti e infuriati, mentre con una spinta faceva cadere a terra Shuuya.
- Lo sapevo... LO SAPEVO! Anche tu sei un debole, proprio come tutti gli altri! Cosa c’è ora? Un attimo prima eri così sicuro... I sentimenti ti condizionano a tal punto? Oppure dillo che ti faccio talmente tanta pena da far vacillare le tue più ferree convinzioni! DILLO!!-
Kidou piangeva calde lacrime e al contempo manteneva quel sorriso sconvolto, tendeva una mano verso il vuoto come richiesta d’aiuto.
- Tu sei pazzo!-
- Tu stesso lo dici, vedi? E hai ragione. La razionalità, l’orgoglio... Tutte cose che ho messo da parte per mia sorella! E adesso puoi ben vedere cosa rimane di me: un ragazzo tormentato dalla follia della morte e nulla più...!-
 - Non posso, non dopo che hai condiviso con me il tuo dolore!-
Gouenji rimosse velocemente con il dorso della mano alcune timide lacrime impigliate tra le ciglia.
- Proprio per questo dovresti comprendermi... Non posso più vivere così! Sotto questo corpo martoriato dal sangue e dalle lacrime c’è un cuore... Tu sei stato l’unico ad aver ascoltato questo mio calvario e ad essersi confidato a sua volta con sincerità... Nella mia vita non ho ricevuto altro che schiaffi! Almeno da parte tua, l’unica persona lontanamente simile ad un vero amico che abbia mai avuto, vorrei trovare una mano tesa.-
- Kidou... Perdonami...-
- Shuuya, ascoltami! Prolungare la mia vita sarebbe la più terribile delle torture, perché ciò significherebbe la tua sconfitta, la tua morte...! Non infliggermi proprio tu questo dolore... La mia felicità è la tua perché penso che come fratello maggiore tu possa capirmi... Per favore, Gouenji, per favore! Non lasciarmi solo anche tu davanti a questo tormento....!!-
Le lacrime rigavano il volto di entrambi mentre si guardavano negli occhi: il calore del fuoco abbracciò teneramente la forza della terra in quel momento di resa per entrambi.
Gouenji capì che la solitudine, il dolore, le torture avevano reso folle quel ragazzo, lo avevano consumato sottraendogli tutta la sua forza vitale, di lui non rimanevano altro che lacrime, pazzia e tanto odio verso quell’ingiusta vita. Avrebbe potuto ignorare quella richiesta, fare finta di nulla, ma anche facendo così nulla sarebbe cambiato: Kidou non avrebbe lottato comunque al Torneo, sostanzialmente perché non aveva più nulla per cui combattere.
- Ti ammiro, veramente tanto...-
Quella notte, mentre Kidou dormiva rannicchiato tra le sue braccia, Gouenji pianse amaramente.
 
 
Lo schiavo cadeva sotto i ripetuti attacchi dell’avversario che, come una furia assassina, brandiva senza pietà la lancia contro il suo corpo insanguinato, ma non accennava a rialzarsi.
L’espressione di Gouenji trasudava rabbia e indignazione mentre continuava ad avventarsi contro di lui: voleva ammazzarlo il prima possibile per non farlo soffrire oltre; si fermò un istante ad osservarlo: profondi tagli ormai disseminati ovunque sulle braccia e sulle gambe incorniciavano il suo corpo ormai distrutto, la faccia era un’orrenda maschera di sangue che si confondeva con il colore degli occhi. Kidou si rialzò barcollando e mosse qualche passo verso il ragazzo dai capelli biondi come a volerlo sfidare, vedere fino a che punto arrivava.
Lo schiavo si voltò in direzione del Re che per tutto quel tempo era rimasto ad osservare il loro combattimento dall’alto del suo trono d’oro zecchino, gli occhi ancora spaventosamente vivi e ardenti di rabbia, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo:
- Ricordati che tutti prima o poi cadono sconfitti, non solo io!-
Non aveva più forze: il prossimo sarebbe stato il colpo finale che lo avrebbe portato alla morte.
Gouenji respirò profondamente: chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì gli si scagliò contro lanciando un urlo disperato. La lancia che stringeva in mano trapassò spietata quel debole corpo sfiancato dalla vita: Kidou incrociò per l’ultima volta i suoi occhi bruni, una lacrima a rigargli il volto e un flebile sorriso a increspare le labbra:
- G-grazie, Shuuya...-
Gouenji si lasciò cadere sui talloni, incredulo: la tensione accumulata nelle ultime ore si sciolse in un pianto amaro. Strascicandosi sui ginocchi si avvicinò al corpo senza vita di Kidou e lo abbracciò: rivoli di sangue imbrattavano il suolo, i residui di lacrime ancora impigliati alla base delle ciglia, l’espressione serena nonostante tutto.
La voce autoritaria del Re lo richiamò alla realtà:
- Hai vinto, schiavo. Il desiderio...-
Shuuya lo guardò dritto negli occhi senza la minima esitazione, sicuro e adirato al contempo.
- Libera Yuuka.-
Il Re chinò la testa in segno di resa, solo per quella volta e solo per un momento, mentre la bambina scendeva i gradoni del tempio e correva tra le braccia del suo fratellone.
 

Se ci pensiamo bene, l’abbraccio di Gouenji e Yuuka è anche l’abbraccio di Kidou e Haruna.
Kidou mette da parte l’onore e l’orgoglio per Haruna finendo con l’impazzire.
Rinuncia al suo desiderio di libertà e preferisce morire piuttosto che continuare a vivere senza la sorella e permettere a Gouenji e Yuuka di tornare a vivere insieme felici.
Gouenji combatte per amor di Yuuka e vince portandosi dietro il dolore di aver ucciso un amico.
Entrambi combattono contro il dolore, la solitudine e le torture.
E se per caso vi state chiedendo il senso di tutta questa storia, signori, vi rispondo allo stesso modo di Kidou: tutti prima o poi cadono sconfitti. Persino il Re, colui che aveva il potere assoluto, viene sconfitto da due schiavi qualunque che gli dimostrano che l’amore verso una persona può portare a scelte estreme e di dolore ma che vincono su qualsiasi legge che non appartenga al cuore.
Tutti chiniamo la testa prima o poi di fronte a qualcuno: Kidou di fronte alle sue debolezze e al suo dolore e Gouenji di fronte alla richiesta dell’amico di combattere contro lui che ha perso tutto tranne che la vita.
Questa è l’estremizzazione del massimo dolore umano perché in fondo tutti nel corso della vita, come Kidou e Gouenji, ci vediamo sconfitti da qualcuno o peggio ancora da noi stessi, tutti perdiamo persone a noi care alle quali vorremmo dire ancora una volta “ti voglio bene”, tutti ci ritroviamo soli in una stanza a piangere senza un apparente motivo.
Proviamo troppe emozioni: piangiamo, soffriamo ma, certo, abbiamo l’opportunità di amare e non dobbiamo assolutamente sprecarla. La miglior vendetta è il perdono: non abbandoniamo le persone solo perché non abbiamo provato ad ascoltarle, non disprezziamoci l’un l’altro per una guerra creata da noi stessi, portiamoci sempre appresso la parola amore e rispetto.
 Ci sarà sempre una persona pronta a perdonare e a ricominciare da capo per un futuro migliore, una persona che magari consideravamo ormai dimenticata, una persona in grado di amare.
  
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