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Autore: Silvia Macaluso    20/06/2016    0 recensioni
Questa è una storia nella storia, una doppia immedesimazione, il frutto di un amore complicato e la nascita della luna e della pioggia. Lettura che richiede molta attenzione e trama che, spero, vi colpirà. Buona lettura, lasciate un mi piace e recensite!
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Era notte e le stelle in cielo risplendevano come gemme.
Ermes stava zitta zitta, seduta sul gradino della sua casa ad Atene, in mezzo alla natura.
Osservava la luna e desiderava esserne figlia poichè gli dei in quella vita non le erano stati accanto, almeno non ancora.
All'improvviso iniziò a piovere lentamente; piccole goccie di rugiada le rigavano il volto e si confondevano con le sue lacrime.
Una mano calda, inaspettatamente, le accarezzò il viso e lei, voltandosi, riconobbe la governante, Antinea.
La fanciulla finse un sorriso e, sedutasi Antinea, la osservò a lungo. 
Antinea aveva perso i genitori ed era cresciuta da sola, sempre forte e sorridente; lei, pur avendo perso l'amore della sua vita, Eric, non si sentiva così, ma debole ed ingenua.

«Smettila di piangere, Ermes, è passato un anno, dovrai pure andare avanti!»
«Non voglio» rispose tutto d'un fiato. 
Fra le due calò il silenzio e Antinea si sentii in dovere di risollevare l'umore all'amica.
«Ti piace la pioggia?»
«Si, ma preferisco guardare la luna».  
«Sono esattamente la stessa cosa, sai?» sorrise Atinea.
«Ma cosa dici? Non essere sciocca!»

«Vedi, Ermes, soffermandoti a guardare non vedrai mai la verità. Ci fu un tempo dove qui ad Atene mai la notte era stata illuminata dalla luna o il terreno bagnato dalla pioggia. Abitava una ragazza: i suoi capelli ricci erano biondi e i suoi occhi di un colore inspiegabile. Non erano azzurri, nè verdi o castani. Si dice che i suoi occhi fossero di un grigio così splendente e cristallino da sembrare bianchi.

Sin da bambina tutti la prendevano in giro per ciò e la chiamavano ''mostro''. Iphigenia non si sentiva un mostro, era sempre stata convinta che fossero gli altri a non capirla, che dentro di lei vi fosse talmente tanta luce e bellezza da non essere visibile a tutti gli occhi umani. 
Iphigenia aveva una grande passione, andare a cavallo, e un giorno, dopo essere stata ancora presa in giro nonostante fosse diventata una donna, decise di fuggire e tentare il suicidio poichè non sopportava più tutto ciò. 

Sellò il suo cavallo e corse verso il fiume, galloppando come mai prima d'ora nella sua vita. Giunse nel fiume e, scioltisi i capelli, mise due grosse pietre nelle tasche della sua veste per affondare meglio. Avanzò prima un piede, poi l'altro verso le fredde acque del fiume che subito le fecero provare i brividi. 
Quando vi fu totalmente dentro si lasciò andare e sentii l'acqua nei polmoni. Niente più vista, rumori o dolori, solo il blu più oscuro di quelle acque profonde.

D'improvviso, però, quando tutto sembrava esser perduto, una mano le afferrò il braccio con forza e la riportò a galla. Ripresi i sensi, Iphigenia riaprì gli occhi e di fronte a lei vide un uomo; i suoi occhi bianchi la confusero così tanto da credere di essere realmente morta e ti trovarsi nell'olimpo. 
«Va meglio?» risuonò una voce calda, profonda, dolce. 
«Si» rispose Iphigenia sollevandosi dal terreno. 
Si accarezzò la fronte e poi si fermò a pensare «Ma chi siete voi? Perchè mi avete salvata?»
«Signorina, il mio nome è Alexandre, sono un uomo di Atene» soggiunse un pò per riprendere il fiato «Ero venuto in questo luogo per lo stesso vostro motivo» abbassò lo sguardo. 
Iphigenia, offesa, urlò «Perchè allora non avete proceduto? Come vi siete permesso di scegliere per me?» si alzò e gli voltò le spalle. 
«Ho visto i vostri occhi, signorina, uguali ai miei. Mi è parso di rivedermi in lei, come un assurdo specchio e in quel momento ho capito l'errore che entrambi stavamo correndo. Mi scusi, volevo salvarla da un destino peggiore di questo» abbassò lo sguardo ma, proprio in quel momento Iphigenia si avvicinò e gli alzò il mento per osservare quegli occhi, cloni, gemelli, identici ai suoi.
«Forse lei sa cosa siamo noi, signore?»
«Mi hanno sempre ripeuto, sin da bambino, che siamo esseri speciali ma non ho ancora compreso il perchè, signorina».
Risero entrambi ed Alexandre potè osservare per la prima volta l'incantevole sorriso di Iphigenia, mentre questa, ricambiando il favore, si concentrò su quelle braccia possenti incorniciate da una carnagione lattea e su quei capelli scuri come il terreno. Rimasero a scrutarsi a lungo, senza dire nulla, poi si sedettero sotto l'ombra di un albero a parlare, parlare delle loro vite, dei loro interessi. 

Quelle discussioni continuarono per altri giorni, settimane, mesi. Di giorno in giorno fra i due nasceva qualcosa di sempre più forte, vero. Un giorno Alexandre, avendo bendato Iphigenia, la riportò sotto l'ombra di quel pino e la baciò. Questo fu il loro primo bacio e da quel giorno ve ne furono altri mille. 
Ad Atene, quando passavano sorridenti per la piazza, mano nella mano, tutti li osservavano e ridevano di loro ma, per quei due, nulla aveva più imporanza.
Si amavano e nessun altro mondo, se non il loro, li avrebbe più condizionati. Non era un amore falso o profano, entrambi sarebbero stati pronti a soffrire, morire per l'altro, erano ormai diventati una cosa sola.

Questo amore e questa bontà non erano, però, capiti dal popolo che li riteneva esseri pericolosi, occhi maligni, di ghiaccio, diavoli. I due dovettero quindi scappare, rufuggiarsi, e passarono mesi rinchiusi, senza luce, calore o frescura, senza colori. Certo, vi era il loro amore, ma questo non sempre era sufficiente.
Quella non era più vita e così, un giorno, Alexandre, geloso del sole e dei colori primaverili, decise di uscire di casa mentre ancora Iphigenia dormiva, per non farla spaventare. Le baciò le labbra e poi il viso e decise di coglierle dei fiori, per vedere di nuovo quei sorrisi che l'avevano fatto innamorare. 
Aperta la porta, la luce bruciò quasi i suoi occhi delicati e ci mise un pò per far riabituare la vista. Vide in lontananza un cespuglio, pieno di bellissime e profumate rose rosse, incorniciate dal prato verde zerbino e il cielo blu splendente. 

Alexandre, sorridendo, si avvicinò al cespluglio, non accorgendosi, però, di un uomo nascosto armato di arco. Nel momento stesso in cui Alexandre strappò la prima rosa, questo scoccò la freccia che, veloce, fece per raggiungere Alexandre. 
La punta, però, non colpì lui ma Iphigenia che aveva visto tutta la scena. Nel vederla per terra, sanguinante, un urlo di disperazione ed odio uscì dalle sue labbra, come fosse una belva e l'uomo armato fuggì, poichè impaurito.

Iphigenia stava per perdere i sensi e morire ma era ancora sorridente e strinse la mano al suo amore. Alexandre piangeva e urlava, disperato, mentre abbracciava la sua consorte che gli pregava di far silenzio.
«Alexandre...smettila, ti prego...taci» ripeteva Iphigenia con un filo di voce «Ti amo » sorrise «e sono felice di morire così, per te».
Alexandre si accasciò al suo ventre piangendo e sussurrò «Vi amo anch'io, signorina ma sono furioso perchè voi, ora, avete scelto per me».
D'un tratto, Iphigenia chiuse definitivamente gli occhi e Alexandre, preso dal dolore, le tolse la freccia dal petto e se la conficcò nel suo.

D'improvviso un'immensa oscurità si fece largo nel cielo e tante piccole stelle si unirono lentamente in un unico punto. Tutti gli ateniesi osservarono il cielo e riconobbero lo stesso colore degli occhi di quei due matti, raggrupatosi ora in un punto fisso, luminoso. 
Così Iphigenia divenne Luna, per cullare la notte e diventare madre delle stelle. Nuvole la ricoprirono e, da queste, uscì pioggia che la bagnò e la rese più bella, luminosa. Alexandre era ora pioggia per proteggere Iphigenia dato che in vita non c'era riuscito e ogni notte abbracciava luna per non lasciarla sola. Quando si faveva estate, la pioggia diventava una costellazione attorno alla Luna. Alexandre, diventò inoltre, padre di tante piccole stelle e sposò Luna, pronto a cambiare di giorno in giorno aspetto pur di rimanerle accanto» finì Atinea «Ti piace?».

«E' una storia meravigliosa, al di là di qualche errore scientifico» rise per poi tornare seria «E ora ho capito. Eric, anche se morto, mi è sempre vicino anche se non lo vedo» Atinea le sorrise e le accarezzò il viso.
«Vai a dormire ora, è tardi».

Quando Ermes rimase sola, vise una rosa rossa nascere dal suo terreno e riconobbe il suo amore. Si avvicinò e la odorò, riconoscendo il profumo di Eric e così, da quel giorno, Ermes si prese cura della sua rosa che non appassì mai, se non al momento della sua morte, quando ancora la teneva fra le mani.
   
 
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