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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    20/06/2016    2 recensioni
"Sherlock ci mise settimane a scrivere il discorso.
Scrisse e riscrisse parole su parole, senza mai riuscire a trovare quelle adatte a descrivere John e la loro amicizia. Erano tante – troppe – la cose che avrebbe voluto dire.
Avrebbe voluto far sapere a tutti quanto John fosse fantastico e speciale, quanto fosse coraggioso e leale, e raccontare del fatto che gli aveva salvato la vita così tante volte da averne perso il conto, e magari del fatto che fosse stato disposto a perdonarlo dopo tutti i torti che gli aveva fatto… ma nessuna delle parole scelte sembrava adatta.
Erano tutte troppo poco. Troppo semplici, troppo riduttive per essere utilizzare per descrivere qualcuno come John Watson. E allo stesso tempo, Sherlock sapeva, erano troppo intime e personali per poter essere pronunciate davanti ad un pubblico. Troppo esplicite per poter essere pronunciate ad alta voce."
[Seguito di "Broken Hearts"]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flares'
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Solo per John
 


 
 Sherlock era decisamente sorpreso.
 Non si sarebbe mai aspettato che John andasse da lui e gli chiedesse di fargli da testimone per le sue nozze; era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato, dopo ciò che era successo subito dopo il suo ritorno. John gli aveva detto che sarebbero rimasti solo amici e che non avrebbe mai potuto provare nulla per lui, perciò Sherlock aveva creduto che si sarebbe limitato ad invitarlo al matrimonio per una questione di cortesia, in nome della loro amicizia. Mai avrebbe immaginato che il suo migliore sarebbe andato da lui non solo per invitarlo, ma anche per chiedergli di fargli da testimone.
 Per questo Sherlock, quando John si presentò a Baker Street, esitò e non riuscì a nascondere la sorpresa di fronte a quella richiesta inaspettata. Una delle ragioni per cui non era certo di poter accettare era il fatto che non credeva di essere in grado di affrontare una cosa del genere, ma la vera ragione era che l’ultima cosa che voleva era fare da garante a quell’unione.
 Non voleva essere testimone di fronte al momento in cui l’uomo che amava avrebbe sposato la donna che aveva scelto al posto suo.
 Non voleva stare a guardare mentre John sceglieva un’altra, unendosi a lei per il resto della sua vita.
 Non voleva guardarlo andare via.
 Non avrebbe potuto sopportarlo.
 «Sei sicuro che sia una buona idea?» chiese, quindi, poggiando sul tavolo gli occhiali protettivi che stava utilizzando per il suo esperimento e abbassando lo sguardo per nascondere la delusione che quella nefasta ma attesa notizia aveva portato.
 John sospirò. «Sherlock, sei il mio migliore amico e vorrei averti al mio fianco il giorno del mio matrimonio.»
 «Anche dopo tutto ciò che è successo?» domandò il consulente investigativo, puntando lo sguardo sul viso dell’amico.
 Era inutile negare che dopo i baci che si erano scambiati, niente tra loro fosse più stato lo stesso, perché non era così. Non potevano continuare a fingere che non fosse accaduto. Quei momenti avevano cambiato radicalmente le loro vite e la loro amicizia, e inevitabilmente i due si erano allontanati, divenendo più distanti che mai.
 «Non potremmo semplicemente lasciarcelo alle spalle?» chiese il medico, sospirando e poggiando la schiena allo schienale della sedia. «Non potremmo dimenticarlo e basta?»
 Sherlock abbassò nuovamente lo sguardo.
 Dimenticare quei baci?
 Impossibile.
 Quei momenti erano impressi a fuoco nella sua memoria e niente avrebbe potuto cancellarli, nemmeno il tempo, nemmeno l’imminente matrimonio di John. Tutto ciò che provava non poteva semplicemente essere cancellato o dimenticato. La sua mentre era come un’hard drive, era vero, più volte lui l’aveva definito tale, ma in quel caso non sarebbe stato così semplice superare una cosa del genere.
 «Non sono la persona più adatta al compito.» concluse Holmes, sistemando distrattamente un vetrino sul microscopio, sperando che quell’argomentazione reggesse e spingesse John a cercare qualcun altro per ricoprire quel ruolo.
 «Sei il mio migliore amico.» replicò Watson, aggrottando le sopracciglia. «Non c’è nessuno più adatto di te a questo compito. Nonostante tutto, sai bene che io tengo a te. E voglio averti al mio fianco. Sei l’unico che vorrei al mio fianco quel giorno.»
 Non l’unico, si ritrovò a pensare Sherlock. Sarà Mary ad essere al tuo fianco quel giorno. E per sempre. Sospirò, poi scosse il capo per allontanare quel pensiero dalla mente.
 Dimentica.
 Smettila di pensarci.
 È finita.
 Dimentica.
 John, vedendolo esitare, si mise in piedi e si schiarì la voce. «Comunque se non vuoi farlo non c’è problema. Non sei costretto.» concluse, stringendo i pugni, le bracci rigidamente tese lungo i fianchi. «Scusa se ti ho disturbato.» aggiunse e detto questo si voltò per andarsene.
 Il consulente investigativo sentì una fitta di senso di colpa colpirlo allo stomaco come un pugno. Si rimproverò immediatamente per essersi lasciato andare a quel sentimento, ma non poté fare a meno di ignorare che aveva appena deluso il suo migliore amico. E nonostante tutto, nonostante il rifiuto e il conseguente dolore che aveva provato, lui teneva a John più che a chiunque altro e l’idea di averlo deluso lo uccideva.
 Scosse il capo e tornò alla realtà, dicendosi che, in fondo, avrebbe potuto farlo.
 Per John avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
 Solo per John, si disse.
 «Aspetta.» sbottò prima che John potesse lasciare l’appartamento.
 Il medico si bloccò, senza voltarsi.
 «Lo farò.» concluse Holmes. «Lo farò volentieri.» aggiunse.
 John si voltò e i loro sguardi si incontrarono. «Davvero?» chiese, incerto.
 Sherlock annuì, accennando un sorriso, perdendosi per un momento negli occhi blu del suo migliore amico.
 Il dottore sorrise. «Grazie.»
 
 Dopo quell’episodio, Sherlock si ripromise di non cedere più a sentimentalismi.
 Quello che provava John lo stava fuorviando e confondendo, facendogli mettere in atto comportamenti privi di senso.  
 Come accettare l’incarico da testimone.
 Quello era decisamente stato il più grande errore della sua vita.
 Come poteva sperare che tutta quella faccenda andasse a finire bene o sperare di dimenticare ciò che era accaduto tra loro, dopo aver accettato di fare una cosa del genere? Come gli era saltato in mente di farsi incantare dagli occhi di John e cedere in quel modo a una richiesta tanto assurda?
 Aveva permesso al suo cuore di prevalere sulla sua mente e le conseguenze, sapeva, sarebbero state nefaste. Sperava solo che dal suo discorso da testimone non trapelasse nulla che lasciasse intendere ciò che era accaduto fra loro o ciò che lui provava per lo sposo, altrimenti la situazione sarebbe divenuta ancora peggiore di quanto già non fosse.
 
 Sherlock ci mise settimane a scrivere il discorso.
 Scrisse e riscrisse parole su parole, senza mai riuscire a trovare quelle adatte a descrivere John e la loro amicizia. Erano tante – troppe – la cose che avrebbe voluto dire.
 Avrebbe voluto far sapere a tutti quanto John fosse fantastico e speciale, quanto fosse coraggioso e leale, e raccontare del fatto che gli aveva salvato la vita così tante volte da averne perso il conto, e magari del fatto che fosse stato disposto a perdonarlo dopo tutti i torti che gli aveva fatto… ma nessuna delle parole scelte sembrava adatta.
 Erano tutte troppo poco. Troppo semplici, troppo riduttive per essere utilizzare per descrivere qualcuno come John Watson. E allo stesso tempo, Sherlock sapeva, erano troppo intime e personali per poter essere pronunciate davanti ad un pubblico. Troppo esplicite per poter essere pronunciate ad alta voce.
 Poi ebbe un lampo di genio. Aveva letto su un manuale che il discorso doveva essere incentrato sullo sposo e sul suo rapporto con il testimone, sulla loro amicizia e sul tempo trascorso insieme… e cosa meglio di qualche racconto riguardo i casi da loro affrontati poteva descrivere ciò che c’era fra loro? Era proprio grazie a un caso che era nata la loro amicizia. Le indagini erano ciò che li avevano uniti fin dall’inizio, rendendo il loro rapporto speciale ed esclusivo.
 Perciò sarebbe stato proprio di questo che avrebbe parlato nel suo discorso.
 
 Tuttavia, quando il giorno del matrimonio arrivò e con esso anche il momento del discorso, dopo aver esordito con i telegrammi che Molly gli aveva consigliato di usare per rompere il ghiaccio e dopo il racconto di qualche caso brillantemente risolto e delle loro avventure – il tutto accolto da un sommesso brusio poco entusiasta – Sherlock si ritrovò nel panico.
 Stava rovinando tutto.
 Per l’ennesima volta nella sua vita stava mandando tutto all’aria.
 Ma quel giorno non se lo sarebbe potuto permettere. Era il matrimonio di John, il suo migliore amico, e non avrebbe potuto rovinarlo solo perché non era stato in grado di mettere insieme due parole per un discorso.
 Perciò con gli occhi di tutti puntati su di lui, prese la decisione di distaccarsi da ciò che aveva scritto e preparato con cura nelle settimane precedenti e di aprire completamente il suo cuore. Sarebbe stata la scelta migliore, si convinse, e sarebbe anche stato l’unico modo per ottenere qualcosa di socialmente accettabile. Ma ciò di cui era anche consapevole era che sarebbe stato complicato e doloroso più di ogni altra cosa perché con quelle parole avrebbe detto addio a John per sempre.  
 Ma per John poteva farlo.
 Solo per John.
 
 Sherlock si ricosse, tornando alla realtà nella sala del ricevimento al matrimonio di John. Prese un bel respiro e dopo aver rivolto uno sguardo fugace al suo amico, lo riportò sugli ospiti, che erano ancora in attesa che lui proseguisse.
 «Ciò che sto cercando di dire è che sono il più sgradevole e maleducato degli ignoranti, la persona più irritante che si possa avere la sfortuna di incontrare.» riprese. «Sono incurante delle virtù, insensibile alla bellezza e totalmente indifferente di fronte alla felicità… Quindi se non avevo capito che John mi stava chiedendo di essere il suo testimone, è perché non mi sarei mai aspettato di essere il migliore amico di nessuno. E certamente non il migliore amico dell’uomo più coraggioso, gentile e saggio che io abbia mai avuto la fortuna di incontrare.» disse e un coro di voci commosse si levò dalle tavole. Sherlock volse il capo verso l’amico. «John, io sono un uomo ridicolo, redento soltanto dal calore e dalla costanza della tua amicizia. Ma, considerando che a quanto pare sono il tuo migliore amico, non posso certo congratularmi con te per la scelta delle tue amicizie.» si schiarì la voce e abbassò lo sguardo, poi si voltò verso Mary, rivolgendole uno sguardo dolce e carico di affetto, nonostante gli stesso portando via l’unica persona che davvero contasse per lui. «A dire il vero adesso posso. Mary… quando ti dico che ti meriti quest’uomo, ti sto facendo il più grande complimento di cui sono capace.» disse e le rivolse un sorriso accennato, che lei ricambiò. Poi tornò a voltarsi verso John e sentì una stretta al cuore nel vedere che il suo amico aveva il volto tirato e gli occhi scintillanti a causa delle lacrime. Ma lui non poteva fermarsi. Non ancora. Perciò sospirò e riprese. «John, tu hai affrontato guerre, ferite e tragiche perdite.» poi sussurrò: «Mi dispiace ancora per quell’ultima.» e si schiarì la voce. «Quindi ricorda questo: oggi sei seduto tra la donna che hai scelto per moglie e l’uomo che hai salvato. In breve le due persone che più ti amano al mondo. E so di parlare anche per Mary quando dico che noi non ti deluderemo mai e che abbiamo una vita intera per dimostrartelo.» concluse.
 E in quel momento si sentì più leggero. Fu come se fosse riuscito a togliersi finalmente il peso che da anni gravava sul suo cuore, opprimendolo fino a togliergli il fiato.
 Si schiarì la voce e riprese in mano i telegrammi che aveva poggiato di fronte a sé sul tavolo. «Ehm… adesso qualche storiella divertente su John.» disse, risollevando lo sguardo e puntandolo sugli ospiti. Ma quando lo fece si bloccò, aggrottando le sopracciglia. Li osservò per qualche istante e vedendo che alcuni si stavano tamponando gli occhi con dei fazzoletti e altri stavano tentando di nascondere le lacrime, abbassò lo sguardo sul suo amico. «Cosa…? Che succede? Perché fanno tutti così?» chiese. «John?»
 Forse aveva sbagliato. Forse non avrebbe dovuto dire quelle cose, perché se avevano scatenato quella reazione evidentemente non potevano e non dovevano essere pronunciate davanti ad un pubblico ad un matrimonio. «Ho sbagliato qualcosa?» chiese, agganciando lo sguardo del medico, preoccupato come non mai di aver commesso l’ennesimo errore.
 John accennò un sorriso e rise sommessamente, scuotendo il capo. «No, non hai sbagliato niente.» disse dolcemente, poi si mise in piedi. «Vieni qui.» mormorò e lo strinse a sé, circondandogli il petto con le braccia e poggiando il viso contro il suo.
 Un applauso scrosciante si levò dalle tavole.
 Sherlock sentì il cuore accelerare improvvisamente, martellando nella sua cassa toracica con tanta potenza da mozzargli il respiro. Involontariamente sollevò un braccio e poggiò una mano sul fianco di John, abbandonandosi a quella stretta per qualche secondo, sentendo che tutto intorno a sé era scomparso e che non c’era nessun’altro a parte lui e John, in quel momento.
 John gli accarezzò delicatamente la schiena, stringendolo forte a sé. «Grazie, Sherlock.» sussurrò al suo orecchio, poi gli sfiorò la guancia con le labbra, in un bacio leggero e carico di tenerezza.
 Sherlock chiuse gli occhi e quando li riaprì incontrò quelli di John, che si era allontanato da lui per guardarlo negli occhi.
 John mosse una mano e sfiorò delicatamente quella di Sherlock, chiuse le dita intorno alle sue, accarezzandole per un lungo istante senza mai staccare gli occhi dai suoi, mentre l’applauso continuava. Alla fine interruppe il contatto visivo e tornò alla realtà; si sedette accanto a Mary, lasciandolo andare e ponendo fine a quel contatto.
 
 Quella sera, dopo aver risolto il caso degli omicidi commessi “dall’uomo invisibile”, e aver salvato la vita del maggiore Sholto, Sherlock aveva potuto finalmente dedicarsi all’ultima parte del suo compito da testimone: il valzer scritto per John e Mary.
 Perciò era salito sul palco allestito al fondo della sala e dopo aver preso il suo violino, aveva intonato la melodia che aveva composto nelle settimane precedenti, mettendoci tutto se stesso. In quella melodia aveva racchiuso una parte del suo cuore e sperava che John potesse ricordarlo sempre, ricordando con quanto affetto Sherlock aveva accompagnato i primi istanti della sua nuova vita.
 Nonostante tutti gli avvenimenti di quel giorno, l’unica cosa cui era riuscito a pensare durante l’esecuzione era al momento in cui John l’aveva stretto a sé, a quel “grazie, Sherlock” sussurrato al suo orecchio e alla sensazione delle sue labbra sulla sua guancia. Quel momento sarebbe stato impresso nella sua memoria per sempre. Era stato meraviglioso e straziante allo stesso tempo; John era riuscito a colmargli il cuore di gioia e spezzarglielo allo stesso tempo… gioia e dolore racchiusi in un attimo e in un piccolo gesto apparentemente senza alcuna importanza.
 Una volta conclusa la melodia e dopo qualche altra parola per salutare gli ospiti e dare il via alle danze, Sherlock era sceso dal palco per informare John e Mary riguardo l’ultima deduzione di quel giorno: i signori Watson sarebbero presto diventati genitori.
 A quella notizia gli occhi di John si illuminarono. Dopo un inziale momento di panico e perplessità, il dottore poggiò una mano sulla spalla di Mary e una su quella dell’amico, poi rise.
 «Stai bene?» chiese, rivolto alla moglie.
 Mary annuì, sorridendo. «Sì.»
 A quel punto John si voltò verso Sherlock e incontrò i suoi occhi, rivolgendogli uno smagliante sorriso carico di gioia.
 Il consulente investigativo ricambiò e nello stesso istante, il suo sorriso e quello di John si spensero. Nessuno dei due disse nulla, ma entrambi avevano capito che era arrivato il momento di dirsi addio. Non ci sarebbe stata nessuna speranza per loro… nessuna occasione, morta insieme a Sherlock il giorno in cui era saltato dal tetto del Bart’s.
 Non sarebbe stati mai più Sherlock e John.
 Mai più loro solo loro due contro il resto del mondo.
 Era finita.
 E faceva male. Terribilmente male.
 I loro sguardi rimasero agganciati ancora per qualche istante, poi John lo distolse, abbassandolo sul pavimento.
 Sherlock deglutì a vuoto, ma si impose di mantenere contegno e freddezza di fronte ai due novelli sposi. «Ballate.» disse.
 «Cosa?» chiese John, aggrottando le sopracciglia, risollevando lo sguardo di scatto.
 «Andate a ballare.» ripeté l’altro. «Non possiamo rimanere fermi qui o la gente si chiederà di cosa stiamo parlando.»
 «Giusto.» concordò il medico, voltandosi per assicurarsi che nessuno avesse fatto caso al fatto che tutti era tre erano immobili sulla pista da troppo tempo.
 «E tu?» chiese Mary, gli occhi scintillanti a causa delle lacrime, poggiando una mano sul petto del moro, accarezzandolo.
 Watson si voltò di scatto, allarmato dalle parole della moglie. «Non possiamo ballare tutti e tre. Ci sono dei limiti.» disse immediatamente, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di Sherlock.
 Sherlock sentì una stretta al cuore. «Sì, ci sono.» concordò.
 Mary, a quel punto, sorrise. «Vieni, marito, andiamo.»
 John ricambiò. «Questo non è un valzer, vero?» scherzò.
 «No.» replicò lei.
 «Non preoccuparti, Mary, gli ho dato delle lezioni.» aggiunse Sherlock.
 E le immagini di quel pomeriggio gli tornarono alla mente. La loro vicinanza, i loro corpi a contatto, le loro mani chiuse le une sulle altre, i loro visi a poca distanza l’uno dall’altro. Era stato così complicato resistere alla tentazione di lasciarsi andare, quel giorno… ma Sherlock non avrebbe mai potuto farlo. Non dopo tutto ciò che John gli aveva detto, non dopo avergli chiaramente detto che non avrebbe mai potuto esserci nulla fra loro perché lui amava Mary.
 Sherlock sapeva che decidere di dargli lezioni di ballo non avrebbe fatto altro che farlo soffrire, eppure aveva accettato.
 Solo per John.
 «Oh, sì, l’ha fatto.» confermò John, riportandolo alla realtà. «A Baker Street, barricati all’interno. Una volta la signora Hudson è entrata… non so come siano cominciate le voci.» concluse con una risata, trascinando la moglie in pista.
 Mary rise e quando John la strinse a sé, dando le spalle a Sherlock, mimò un grazie con le labbra, diretto a Holmes.
 Sherlock, in risposta, annuì. Poi si voltò e tornò sul palco, oltrepassando gli invitati che stavano ballando sulla pista, avvicinandosi al leggio. Imbustò lo spartito e lo poggiò nuovamente al leggio, accanto ai fiori che aveva indossato all’occhiello per tutta la giornata.
 Rivolse un ultimo sguardo agli sposi, poi lasciò la sala.
 
 Sherlock uscì dal ristorante poco dopo, indossando il suo fedele cappotto mentre percorreva il vialetto, diretto verso l’uscita, il cuore sempre più pesante ad ogni passo.
 Era stata una lunga giornata e nonostante avesse appena assistito a un evento che avrebbe dovuto colmarlo di gioia, non poté fare a meno di sentire una fitta di dolore attraversagli il petto, facendosi strada fino al suo cuore.
 Quel giorno aveva segnato la sua condanna.
 Quel giorno aveva perso l’ultima parte del suo cuore che gli era rimasta.
 Quel giorno aveva perso John.
 E sapeva che non sarebbe mai riuscito a superare quella perdita, nemmeno dopo anni. Perché John era la sua vita. Il suo tutto. Era l’unico uomo per cui avesse mai provato qualcosa che andasse oltre l’amicizia, l’unico che lo avesse accettato senza pregiudizi… l’unico che avesse mai amato.
 Ma per loro, in fondo, non c’era mai stata nessuna speranza. N’è mai ci sarebbe stata.
 Sherlock uscì dal cancello e notò che una limousine nera stava attendendo accanto al marciapiede, con i motori accesi. Gli ci vollero pochi secondi per capire che si trattava di suo fratello e per salire a bordo, lasciandosi tutto alle spalle.
 Prese posto sui sedili posteriori e non appena si fu seduto, incontrò gli occhi di Mycroft, seduto accanto a lui.
 Nessuno dei due parlò. I loro occhi rimasero incatenati per un lungo istante e tutto fu chiaro ad entrambi, senza bisogno di parole. Lo sguardo del maggiore era colmo di dolore malcelato e quello del minore di angoscia e consapevolezza.
 Sherlock distolse lo sguardo per primo, poco prima che le lacrime gli salissero agli occhi, appannandogli la vista. Si prese il capo fra le mani, affondandovi il viso per nasconderlo alla vista di suo fratello ed evitare di incontrare nuovamente i suoi occhi, sapendo che non avrebbe potuto sopportare il peso del suo sguardo.
 «Ti avevo detto di non farti coinvolgere, fratellino.» esordì Mycroft, quando l’auto partì immettendosi sulla strada, rompendo il silenzio che li aveva avvolti per lunghi, interminabili istanti. «Perché l’hai fatto?»
 «Solo per John.»
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti. Rieccomi qui, come promesso, con il seguito di Broken Hearts.
Come avrete potuto leggere è praticamente identico all’episodio The sign of Three, tranne per la parte che riguarda i pensieri di Sherlock, che mi sono presa la libertà di modificare alla luce della precedente fic.
Ovviamente non è finita qui. Ci sarà un’altra one-shot, relativa all’episodio His Last Vow e in questo modo avrò ripercorso tutta la terza stagione in modo alternativo. Non vi abbandono ancora, non preoccupatevi ;)
Non so ancora quando pubblicherò il seguito, perché devo ancora scriverlo. O meglio, idearlo. Ma considerando che ho scritto questo in poche ore, non è detto che ci vorrà molto… :)
Fino ad allora, a presto e grazie a tutti.
Bacioni, Eli♥
   
 
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