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Autore: Amantea    21/06/2016    3 recensioni
"Un uomo legge il giornale seduto all'interno della sua automobile, ogni mattina.
Una donna anziana non mette mai il cappotto, nemmeno nelle mattine d'inverno più fredde.
Mia madre mi tiene per mano mentre camminiamo spedite, è presto, ma non poi così presto, me lo ripete, dolcemente, mentre mi tira un po', lungo la salita, che è faticosa per le mie gambette muscolose ma corte, rispetto alle sue. Mia madre ha lunghe gambe, dalla falcata decisa, e un poco nervosa.
Salutiamo i passanti, pochi in verità, perché qui, a Neverville, come le sento ripetere spesso, ci sono poche anime, e quasi tutte perdute."
Un'avventura negli spazi infiniti, una missione da compiere, narrata dalla voce della protagonista, che non è quello che sembra, ricordando la propria infanzia, temendo quello che sarà ...
La mia prima storia originale, prendendo a prestito la fantascienza per scavare nell'animo dei protagonisti.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NEVERVILLE
 
-12-



Avevo un amico invisibile da bambina.
Ero piccola al tempo, avrò avuto forse quattro anni.
Non c'erano bambini a Neverville. Io non ne ho mai incontrati. Non so se venivano tenuti nascosti, o se fossero tutti già stati portati via.
Ma io avevo un amico immaginario. Gli sfogliavo i miei libri, ci facevo merenda insieme, e qualche volta mi arrabbiavo con lui. 
Perché a volte combinava disastri, e poi mia madre dava la colpa a me.

Una sera mi disse che sarebbe dovuto partire. Tornarsene a casa.
Che per lui quello non era un posto sicuro. Che sarebbe arrivato qualcosa di cattivo, e di stare attenta, di non farmi prendere. Che come lui ce n'erano altri, e forse un giorno sarebbero tornati, per aiutare i bambini della terra.
Io ero talmente piccola...
Non so perché i ricordi riaffiorano quando meno ce lo aspettiamo.
Ma quella sera di tanti anni fa il mio amico mi salutò. 
Fu appena un guizzo di luce, una scia di colori. E poi sparì.




L'equipaggio non è ancora tornato a bordo, Jody ha anticipato tutti e questo gioca senza dubbio a nostro vantaggio. 
Non credo che abbiano bene in mente le conseguenze delle loro azioni. Jody è una testa calda, e Pete gli va dietro. 
Stanno rischiano tutto... e lo stanno facendo per me.
Osservo l'espressione dura di Jody, la sua determinazione, mentre mi precede lungo il corridoio. E ascolto la strana sensazione che mi ha lasciato il nostro scontro di poco fa. Pete mi segue, percepisco anche in lui il coraggio di affrontare il Capitano, e il senso di protezione che nutre verso di me.

Io, e gli uomini della mia vita... sorrido, mentre a passo svelto puntiamo alla porta della sala comandi, fiduciosa che l'effetto sorpresa sarà più che sufficiente, e non ci sarà bisogno di alzare le armi e tanto meno -tanto meno!- di usarle.
Non contro il capitano.
Basterà disarmare lui e gli addetti ai monitor -dovrebbero essere quattro per turno, non di più- e poi costringerli a parlare.
Un piano semplice per dei fuori di testa.
Una spallata decisa, e la porta si apre, e sono rapida a cogliere il capitano fermo davanti ai suoi schermi, nell'atto di voltarsi, la mano all'arma, gli occhi dapprima fermi e poi increduli. E in pochi istanti, la mano all'arma ci corre davvero, gli altri soldati che si alzano dalle loro postazioni, poche parole gridate quasi senza senso.
Appena due guizzi di colore, è questo quello che percepisco di Jody e Pete mentre si lanciano a disarmare i compagni. 
Io guardo il capitano, so che non  mi farebbe mai del male, so che non può farmene.
Ma come nella vasca, mi sento forte, so che posso disarmarlo senza nemmeno toccarlo, e lo faccio. Non so bene come. Qui non c'è acqua che si solleva, eppure sì, è un'onda d'urto, che gli fa saltare via l'arma dal fianco, e gli squarcia la tuta, dalla coscia al polso.

Come un quadro, o una fotografia.
Li sento tutti immobili, raggelati nell'ultima posizione assunta prima che partisse quello che è partito dalla mia mano, e che non saprei come chiamare, ma il cui effetto è evidente.
Poi lentamente Pete e Jody si muovono, puntano le armi sui compagni, ché restino al loro posto, o ci tornino, mentre il capitano non distoglie gli occhi dai miei, e neanche si muove.

Non so se sia più incredulo o rammaricato.
- Spero che abbiate una spiegazione per tutto questo -, dice solamente. - E tenete giù quelle armi -.
Pete e Jody si scambiano un'occhiata rapida, non si fidano, restano in guardia, le cosce tese e le braccia puntate, ora sull'uno ora sull'altro.
- Sì -, dico io. 
Abbiamo una spiegazione, e non c'è bisogno di armi. Non fra di noi.
Faccio un cenno con la mano, mentre mi avvicino di qualche passo. 
Non dovevo essere io a guidare questo strambo attacco, eppure adesso che sono di fronte al capitano mi sento autorizzata a parlare, a chiedere, e a sapere.
Soprattutto a sapere.
Jody mi vede avanzare, sembra voler dire qualcosa, ma non lo fa. 
Non so se è l'antica fratellanza che ci unisce che lo convince, ma lui l'arma la abbassa veramente, pur continuando a tenere i compagni sotto controllo.
Pete lo imita, mormora il mio nome, ma non gli rispondo.
So cosa fare.

Getto uno sguardo rapido allo squarcio che ho provocato. 
Non esce sangue. 
Non l'ho ferito.
E' una constatazione che mi solleva, dunque posso controllare in qualche modo questo mio potere... non è necessariamente distruttivo.
Non sono pericolosa. Non sempre. Non quando non serve. Non quando non voglio.
Il capitano alza il polso, se lo massaggia un po'.
Forse brucia. Che sensazione dà? Vorrei chiederlo... ma so che non è il caso.
E' un attimo, qualcosa mi colpisce.
Qualcosa di rosso e qualcosa di scuro.
Un tatuaggio forse... un marchio? Sul polso del capitano.
Un ricordo bambino che torna prepotente e mi toglie il fiato.
Mi blocco, non posso farne a meno. 
Se non fossi già abbastanza pallida, giurerei che sto sbiancando.
- Neverville... stai bene? -. E' lui che parla. Lui, il capitano. Coglie ogni sfumatura. Me lo sono chiesta ogni fottutissima volta come diavolo faccia. Perché abbia questa maledetta sensibilità verso di me. Questa stramaledetta premura.
- No -. 
Aspetto che il mio no sibilato a stento faccia effetto.
- No! -, ripeto. - Voglio sapere. Una volta per tutte. Voglio sapere la verità! -.

Non credo fosse questo ciò che Pete e Jody si aspettavano da quest'irruzione.
E adesso immagino che ci stiano guardando, percepisco il loro stupore, il loro sentirsi sospesi, e un po' interdetti.
- Voglio la verità!- grido, di nuovo.
Oliver abbassa gli occhi, e quando li rialza su di me sembrano quasi raddolciti, o rassegnati.
- La verità? -, ripete. 
- Ho amato tua madre, Mina. L'ho amata veramente. E salvando te, è come se avessi salvato qualcosa di lei -.
Fa una pausa. Giurerei che ha la voce commossa. Ma forse è solo un'incrinatura, prima di tornare la voce ferma e salda di sempre.
- Ti ho tirato fuori io da quella vasca, dopo una settimana. E non eri sola in quell'acqua, Mina -.
   
 
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