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Autore: darkrin    21/06/2016    1 recensioni
Caroline non scappa.
Marcel finge di non esserne così sollevato.
(Marcel/Caroline one-sided | Klaroline | Spoiler fino alla 3x22 di TO e alla 7x22 di TVD | what if...)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: - Caroline va a NOLA a cercare Klaus e, a differenza di quanto non è accaduto in TVD, resta a cercarlo. Spero di non essere andata troppo OOC e di non aver tralasciato troppi personaggi che non lo meritavano. /o
- Il titolo della storia è un verso di Last Orders dei Nothing But Thieves.
- Si ringrazia Niglia per avermi ancora una volta sopportata e accompagnata durante la stesura e i tremila dubbi insorti mentre scrivevo questa storia. 

 

But it wasn't heaven, just for 27
 
 
 
“I figli iniziano amando i loro genitori, in seguito li giudicano.
Raramente, se non mai, li perdonano.”
(Oscar Wilde)
 
 
 
Sente il suo sguardo su di lei e le gemelle – e la cosa la fa rabbrividire – prima ancora di voltarsi e intravedere il suo volto tra la folla: denti bianchi e orbite nascoste da un paio di occhiali da sole, pelle scura e la sicurezza di chi sa di avere tutta la città ai suoi piedi.
La città che era di Klaus e, con un brivido, Caroline stringe più saldamente le mani delle bambine tra le sue: quel posto non è più sicuro per lei. Per loro. E come ha potuto pensare anche solo per un attimo che lo fosse?, si chiede mentre cerca di farsi strada tra la folla, di mimetizzarsi, di sparire agli occhi di quell’uomo, come è sparita dalle grinfie di Rayna.
 
***
 
- Non sei di qui – afferma l’uomo che le stava guardando e che è appena comparso davanti a loro, facendo esalare un gridolino strozzato a Josie e cadere il gumbo che Lizzie stringeva tra le dita.
Caroline sa ancora riconoscere con dignità quando è in trappola e senza via di fuga – e non vuole pensare a cosa questo dica della sua vita. Quindi raddrizza la schiena, solleva il capo e non distoglie lo sguardo dagli occhiali scuri che indossa l’uomo, mentre avanza di un passo e fa impercettibilmente scivolare le bambine alle sue spalle.
- No – afferma.
Tenta di non rabbrividire quando sente gli occhi dell’uomo seguire ogni suo minimo movimento, quando il leggero vento che si è levato le fa giungere l’odore di qualcosa che non è un vampiro. Qualcosa che somiglia a Klaus e Klaus è sicurezza e riparo e quest’uomo non è Klaus, ma gli somiglia abbastanza da –
Caroline è bionda, ma ha smesso di essere una ragazzina stupida anni fa e sa che l’uomo che le sta di fronte, che si è frapposto tra lei e la sua auto, è la cosa più pericolosa che si aggiri tra le vie di New Orleans.
- Sono solo di passaggio – afferma con un innocente sorriso di scuse.
L’uomo si appoggia alla macchina alle sue spalle, spalanca le braccia ed è così teatrale da farle venire quasi da storcere il naso.
Sembra Klaus, ma non lo è.
- Un’amica mi ha raccontato – inizia l’uomo, con le labbra spalancate in un sorriso. – Di una ragazza bionda, accompagnata da due bambine, giunta qui a cercare qualcuno che non si vede da anni. Sembra improbabile che siate in due a rispondere alla stessa descrizione, non ti pare, tesoro? –
- Non sono il tuo tesoro – sbotta prima di riuscire a trattenersi.
Gli somiglia, non è lui. E ci sono cose che Caroline può fare con Klaus – mancargli di rispetto, rispondere a tono, sfidarlo, sgusciargli tra le dita come acqua, come un sospiro contro la pelle – che non può permettersi con quest’uomo e deve ricordarsene.
Il sorriso sulle sue labbra si allarga ancora. Caroline sente Josie e Lizzie agitarsi leggermente alle sue spalle; sente la magia che scorre dentro i loro corpicini bruciarle il palmo delle mani, sente il costante bisogno di proteggerle, proteggerle, proteggerle.
L’uomo avanza verso di lei e Caroline si rifiuta di indietreggiare anche quando lui intreccia un boccolo biondo intorno alle dita e mormora a pochi centimetri dal suo volto:  
- No, certo che no. Ma stavi cercando Klaus Mikaelson. -
- Klaus non è più qui – afferma, scuotendo la testa in un gesto degno dell’ex Miss Mystic Falls. – Ho già ricevuto l’avviso. –
- E in quanto attuale sovrano di New Orleans, è mio dovere sapere perché – continua, come se Caroline non l’avesse mai interrotto.
Ed in quell’istante, improvvisamente, Caroline capisce: non è Klaus, ma gli somiglia e quello che nasconde dietro agli occhiali scuri, ai sorrisi aperti è puro terrore.
- Hai paura – esala, prima di sbarrare gli occhi e portarsi le mani alla bocca come per costringere quelle parole a tornare nella sua gola.
I respiri sorpresi e gemelli delle bambine le fanno eco alle sue spalle – e non sono sue, ma le somigliano così tanto che ogni tanto le guarda e le si spezza il cuore.
L’uomo si irrigidisce -  e Caroline è convinta che la ucciderà, che deve supplicare perché almeno le bambine, almeno le bambine, almeno le – e scoppia a ridere, il corpo intero squassato da singulti.
 
***
 
Le offre una casa – un riparo, dice, almeno per una notte. Che cosa si direbbe dell’ospitalità di New Orleans, se si sapesse che costringiamo i viaggiatori a rimettersi su strada dopo un così lungo viaggio? – e Caroline non si fida, ma le bambine sono stanche e forse potrebbe scoprire cosa ne è stato di Klaus.
E vuole bene ad Alaric, ma non è che abbia davvero un luogo a cui tornare, no?
 
***
 
La casa in cui Marcel – come si è presentato l’uomo – le conduce è una villa nel cuore del Quartiere Francese e Caroline non fatica a immaginare Klaus vivere in quelle stesse stanze insieme a Rebekah e Elijah. Non fatica a trovare tracce del gusto dell’Ibrido Originale nei mobili scuri e nella pelle nera che riveste il divano del salotto in cui Marcel le chiede di attendere giusto il tempo di dare disposizioni per preparare le vostre stanza.
Non fatica a immaginare come e quando Marcel abbia conquistato quell’abitazione, ma serra le labbra e si ingiunge di non dire una parola: ha sfidato abbastanza la sorte delle gemelle per una giornata sola.
 
***
 
Una notte, diventano due, tre, dieci, settimane prima che Caroline se ne accorga, prima che Caroline si fermi a pensare ad Alaric, a Stefan, a Rayna e a tutto quello da cui sta fuggendo, da cui sperava che Klaus la tenesse la sicuro.
 
Non si sente al sicuro, all’inizio. La prima mattina che passa nell’Abattoir – perché è un nome così poco evocativo ed ovviamente è il nome che Klaus ha scelto per quella che doveva essere la sua dimora – si alza dal letto in punta di piedi. Le bambine dormono ancora placide, tra le lussuosa lenzuola di seta e gli innumerevoli cuscini, e Caroline trae un sospiro di sollievo al solo vederle così rannicchiate e in pace. Non ha mai desiderato altro per loro.
Non sarebbe venuta a cercare Klaus – non così presto e con ancora i desideri di una vita normale e umana così vicini e brucianti sotto la pelle -, se non fosse stato per garantire la sicurezza di Josie e Lizzie.
Il respiro lento, regolare e pacifico che riempie e solleva il petto delle due bambine rischia di cullarla di nuovo nel sonno, ma non può permetterselo. E non può permettersi di andarsene perché un giorno aveva detto a Klaus - gli aveva promesso perché nessun dire è semplicemente tale con Klaus, nessuna affermazione è senza impegno - che sarebbero stati amici e se c’è una cosa che Caroline ha imparato a fare, da quando è diventata un vampiro - e forse anche prima, quando ancora era solo una ragazzina insicura e con manie di controllo - è essere leale. È rimanere a Mystic Falls, a Whitmore, all’inferno per i suoi amici. Per trascinarli fuori da qualsiasi casino nel quale si erano cacciati a causa del loro sangue o della loro straordinaria capacità di crearsi nemici.
Non che non capisca i nemici di Klaus, davvero – ci è stata, grazie tanto – ma dovevano farlo sparire proprio ora che hanno una tregua e sono amici e si sente costretta a fare qualcosa?
 
***
 
- Anche Klaus aveva una figlia– afferma Marcel.
È seduto sul ricco tappeto indiano che copre il pavimento e Lizzie è rannicchiata tra le sue gambe incrociate, impegnata a giocherellare con una pila di lego. Le gemelle hanno sviluppato quasi subito un affettuoso attaccamento nei confronti del sovrano di New Orleans e Caroline deve riconoscere che l’uomo ha una straordinaria capacità di occuparsi delle bambine. Ha sentito parlare di una giovane strega – Davina, mormorano tra le stradine di New Orleans – di cui l’uomo si era preso cura come di una figlia e che era morta a causa dei Mikaelson.
Non fatica a immaginare Marcel nei panni di padre. Non fatica a immaginare l’odio che deve averlo divorato quando, dopo averle intrecciato per anni i capelli, non ha potuto fare nulla per salvarla.
- Si chiama Hope – afferma, tirando delicatamente un ciocca dei capelli di Lizzie.
La bambina si volta e gli lancia un’occhiata di fuoco a cui l’uomo risponde sollevando le mani in segno di resa. Lizzie sbuffa, gli tira un minuscolo calcio contro il ginocchio e torna a giocare con i pezzetti di plastica.
Caroline la guarda, pensa che la ama – le ama – come non ha mai amato niente. Non ha amato Stefan, non ha amato Tyler, non ha amato Matt. Non pensa il suo nome, pensa tanto forte da arrivare a digrignare i denti.
- Deve avere quasi la stessa età di Lizzie e Josie – continua l’uomo. – Chissà, magari sarebbero diventate amiche. -
- Potrebbero sempre farlo – nota, pronunciando ogni parola con un distacco che non sente.
Marcel si volta a guardarla con un sopracciglio inarcato. Sa che stanno giocando su lati diversi della stessa scacchiera, sa che la lealtà di Caroline non è per lui e allo stesso tempo c’è qualcosa nella ragazza che gli sta di fronte che gli ricorda Camille; qualcosa di fresco e leggero che gli rende l’aria di New Orleans e il ricordo dell’uomo che vi ha seppellito più tollerabile.
- Lei e sua madre non hanno alcun motivo per tornare qui – afferma con un’alzata di spalle.
Caroline non gli chiede se le ucciderebbe, se osassero tornare a New Orleans. Teme di conoscere la risposta.
- Non capisco davvero come Klaus abbia potuto scegliere un nome del genere – afferma invece, con tono leggero. – Pensavo avesse più classe. -
 
***
 
- Sono speciali anche per delle streghe – mormora Marcel incantato, dopo che Lizzie lo priva per errore di un po’ di magia.
Caroline si irrigidisce e per la prima volta sembra terrorizzata e pronta a fuggire da lui, da quella città e al diavolo Klaus, al diavolo Rayna, al diavolo tutti se non Lizzie e Josie e –
Gli ricorda un cervo di fronte ai fari di una macchina. L’uomo si umetta le labbra.
- Non ucciderei Hope, se tornasse – afferma e spera che Caroline capisca, spera che non scappi, ma si volta e lascia che lo faccia, se è quello che desidera.
 
***
 
Caroline non scappa.
Marcel finge di non esserne così sollevato.
 
***
 
C’è da capirlo, si ripete e cerca di convincersi: aveva Davina e aveva Camille e aveva Vincent - aveva anche Klaus e Rebekah, ma a loro non pensa – e ora non ha più nulla. Più nessuno con cui parlare, con cui dividere quell’infinita solitudine che è a volte l’eternità, che è a volte regnare su una città. Cerca di non soffermarsi su cosa potrai mai portargli il provare certe cose per una persona che è già - che è sempre stata, da ben prima di arrivare - roba di Klaus.
Cerca di non soffermarsi sull’amarezza.
 
***
 
- Klaus non merita la tua lealtà – le sputa addosso con ira, scagliando la bottiglia di bourbon che stringeva tra le dita contro la parete.
Sono vicinissimi: solo lo spazio di un fiato sembra separare il petto ansante dell’uomo dal seno della ragazza.
Caroline scuote il capo.
- Non sai… -
- Klaus era un mostro – grida. – Capace solo di uccidere tutto quello che amavo. Dovresti essermi grata per aver liberato il mondo dai Mikaelson. Dovreste essere tutti grati.
Dà un calcio al divano, che finisce con il frantumarsi contro il muro. Caroline sussulta e serra gli occhi per il rumore e le schegge di vetro che piovono intorno a loro; benedice che la stanza delle bambine sia così lontana e lo abbiano il sonno così pesante.
Caroline inclina leggermente il capo di lato, si impone di non indietreggiare, di non farsi intimidire.
- Un mostro – mormora, come assaporando le parole sulla lingua. – Ma non lo siamo tutti? – domanda.
- Non come lui – ringhia l’uomo e non le è mai sembrato tanto un animale in gabbia. Rinchiuso nella sua pelle, nella sua ira, nella sua colpa.
- Certo che no – concorda e Marcel rialza di scatto il capo e la guarda con occhi pieni di sorpresa e di sollievo perché lo capisce, lo… ma non c’è alcun sostegno per le sue azioni negli occhi azzurri di Caroline. – Non abbiamo avuto abbastanza secoli, abbastanza tempo per diventare come lui – afferma. - Elena e Jeremy hanno ucciso Kol e con lui centinaia di vampiri che non c’entravano nulla con la nostra guerra solo per completare una stupida mappa per una stupida cura che Elena voleva per spezzare il legame che aveva con Damon. Io ho ucciso dodici streghe per salvare Bonnie; Stefan è stato per anni il Ripper e per favore non farmi iniziare a parlare di Damon. E siamo tutti vampiri da meno di duecento anni, chissà quante persone avremo ucciso tra altri cento, trecento anni. –
 
***
 
- Un giorno dovrai presentarmi questo fantomatico Damon Salvatore – le comunica con fermezza.
E Caroline gli è grata del pensiero, della preoccupazione che è molto più di quello che i suoi amici le abbiano mai mostrato, ma ha già combattuto e vinto la sua guerra contro Damon Salvatore e non ha bisogno che Marcel o qualcun altro decida di vendicarsi per lei.
- Assolutamente no – risponde, dandogli una leggera spallata.
La risata di Marcel la accompagna per tutto il corridoio e le fa piegare le labbra in un sorriso senza che lei possa fare nulla per impedirlo.
 
***
 
- Non capisci – ruggisce. – Continuavano a dire che ero parte della famiglia, ma non hanno esitato neanche un istante ad uccidere Davina. A portarmi via tutto quello che avevo e osavano continuare a dirmi che mi amavano. –
Che mi amava, l’eco si perde tra le pareti della stanza e Caroline lo capisce così tanto che deve mordersi le labbra a sangue per non alzarsi e abbracciarlo e mostrarsi una comprensione che l’uomo di fronte a lei non vuole.
- Mio padre mi ha torturata quando ha saputo che ero stata trasformata – mormora invece, con voce leggera come se stesse parlando del tempo e non di suo padre che le accarezzava i capelli e la supplicava di resistere alla tentazione e apriva il portellone per far penetrare la luce del sole nella stanza e contro la sua pelle ustionata. – Sperava di poter torturare il vampirismo via da me – continua.
L’uomo la guarda sorpreso e non sa se lo sia di più perché è rimasta lì, seduta sul divano, con le mani in grembo e la schiena dritta o per quello di cui sta parlando.
- Non ho mai pensato che lo stesse facendo per qualcosa di diverso dall’amore che provava per me. E non per questo ho smesso di amarlo – conclude, con un leggero scuotere di spalle.
- Era sempre mio padre – aggiunge con un pigolio come se dovesse giustificarsi perché ancora, dopo tutto quello che le ha fatto e il tempo che è passato, lo ama.
Marcel è così incantato dal suo discorso che deve ricordarsi e ingiungersi di sbuffare e scuotere il capo perché Klaus non è la sua famiglia e la situazione non è affatto la stessa.
 
***
 
La routine è questa.
Ogni mattina le bambine si svegliano e Marcel è tutto sorrisi e calda accoglienza. Ogni giorno le porta a scoprire una nuova meraviglia di New Orleans – la mia città, Caroline spero che un giorno mi permetterai di mostrarti… -, il pomeriggio le lascia sole perché ha degli affari da gestire e la sera torna ubriaco d’ira e di colpa. Ogni sera tenta di convincerla che Klaus è fatto della stessa sostanza del male del mondo.
 
***
 
- Sto per dirti una cosa che ti darà fastidio – gli annuncia una sera in cui Marcel torna e non c’è la solita violenza ad animargli gli occhi.
 - Stefan sta per venire a trovarci? – domanda, inarcando un sopracciglio.
Caroline scuote la testa, con una risata. Non c’è più amarezza, quando pensa a Stefan, a Damon, a Valerie.
- In certe cose sei uguale a lui – afferma, prima di potersi fermare a pensare a cosa la spinga a cercare di svegliare l’ira dell’uomo che le sta di fronte anche ora che non c’è. Al perché debba sempre parlare prima di pensare e rischiare di ritrovare la sua testa su una picca.
Marcel la guarda ancor più perplesso da sopra il suo calice pieno di sangue.
- A Stefan? – le domanda, incerto.
Per un attimo Caroline sembra esitare; l’uomo vede gli ingranaggi lavorare dietro l’azzurro perfetto dei suoi occhi. Marcel si porta il bicchiere alle labbra, ne prende un sorso, prima che Caroline scuota di nuovo il capo, decida che non importa, che non ha paura.
- A Klaus – afferma.
 
***
 
La scorge mentre parla con Vincent, un pomeriggio. La vede parlare e ridere e sembra a suo agio, sembra contenta e Marcel non ne dubita perché è Caroline – e Caroline ha sempre quella luce, addosso – e finge di non sentire la morsa che gli stringe lo stomaco. L’idea di tradimento che gli stringe lo stomaco.
Come se non sapesse già che Caroline non è mai stata dalla sua parte.
 
***
 
Una mattina la trova in piedi, davanti a una delle ampie finestre della villa. I boccoli biondi le ricadono in morbide onde lungo le spalle, indossa un vestitino giallo e stringe tra le dita una tazza fumante di caffè e ha sul volto l’espressione di chi non è ancora del tutto certo di essere sveglio, di essere pronto ad affrontare una giornata di persone e parole e azioni.
Il sole che filtra attraverso il vetro le disegna arabeschi tra i capelli e sulle gote chiare e per un istante Marcel pensa che sia fatta della stessa sostanza del miele che le api custodiscono con il loro geloso ronzio.
Non è un artista, ma gli piacerebbe ritrarla in quell’istante in cui è sola e così assolutamente sé stessa: vorrebbe riportare su carta quelle onde di miele e le ossa di acciaio che esso nasconde, che si intravedono soltanto.
Comincia a capire cosa Klaus vedesse in lei. Perché la volesse come regina – perché lo è già, lo è sempre stata.
 
Si chiede se stia pensando a quel ragazzo di cui gli ha parlato o al padre delle gemelle – non sono davvero mie, gli ha confessato una sera, si può quasi dire che io le abbia rapite. Che io sia la cattiva, ed è la prima volta che Marcel l’ha vista prossima a spezzarsi, che è stato prossimo a prometterle ogni cosa, ogni protezione di cui avesse bisogno. Si chiede se stia pensando a Klaus.
 
***
 
- C’era una donna. Faceva la barista in un locale nel Quartiere Francese e studiava per diventare psicologa  – le racconta un giorno, a pranzo. – Eravamo tutti convinti che Klaus fosse innamorato di lei. –
Caroline cerca di non far caso a come quelle parole le facciano bruciare qualcosa nel petto. Si concentra sulle carote che sta tagliando per Josie, sul respiro leggero delle bambine al suo fianco.
- E invece? – domanda Lizzie,con la bocca piena di pane e basta uno sguardo di Caroline per farle abbassare lo sguardo e borbottare: - Scusa, mamma. –
- Ma non si è mai trattato davvero di lei – continua Marcel e la guarda in quel modo che sembra volerle scavare nell’anima, sembra volerle dire cose che Caroline non è pronta – non lo è mai stata – a sentire. Finge di non accorgersi di quanto le brucino le guance dopo.
 
***
 
- Come fai a essere certa che potevi fidarti di Klaus? – le domanda ed ha la voce così piena di stanchezza per quella guerra che continua a portare avanti. Solo.
Caroline scuote il capo.
- Eravamo amici – gli dice.
Non c’è davvero molto altro che lei possa aggiungere. Non c’è molto altro che qualcuno di diverso da lei o Klaus possa capire.
 
***
 
- Mi ucciderebbe se lo liberassi –
- No – afferma con tutta la sicurezza del mondo. – Non lo permetterò – annuisce convinta dalle sue stesse parole.
- E come pensi di fare, tesoro? –
- Gli dirò che è una cosa che avrebbe fatto Mikael. –
Uccidere suo figlio, non aggiunge, ma rimane sospeso tra di loro come tutte le parole che non si dicono, come tutte le volte che Marcel la guarda e sembra così tanto Klaus. Ed è forse una maledizione della loro famiglia – dei Mikaelson – passare una vita a fuggire dal ricordo dei propri genitori e continuare a ripetere, sempre, i loro errori.
- E a quel punto ucciderà te. –
Una risata cristallina le sfugge dalle labbra:
- Se avesse voluto farlo, l’avrebbe fatto anni fa. -
 
***
 
Pensa ad Alaric e Stefan e Damon solo quando si ricorda di non pensarci da giorni. Quando si ricorda che dovrebbe farlo e si sente in colpa per un istante, prima che le bambine tornino a correre tra le sue gambe, a richiamare la sua attenzione.
 
***
 
Ric la chiama, le dice: è finita. Rayna è morta. Stef… Stefan è libero e… è finita. La guerra, dice, è finita. Le chiede: dove siete? Vengo a prendervi e Caroline mormora, sottovoce, l’indirizzo dell’Abattoir, spera che l’uomo non le faccia domande, spera che capisca che era il luogo più sicuro, per lei. Per loro.
Spera che non le chieda quando Klaus è diventato il primo nome, il primo volto, a cui rivolgersi nel momento del bisogno. Quando non ha mai smesso di esserlo.
 
- Ho sempre temuto che Stefan sarebbe tornato e ci avresti lasciati – le confessa, mentre caricano la macchina con tutte le valigie delle bambine. – Non avevo mai pensato di dovermi guardare le spalle da Klaus. -
L’uomo conclude con una risata che non riesce a scacciare l’amarezza che gli permea la voce, la punta di disprezzo che si avvolge intorno al nome dell’Ibrido Originale.
Caroline chiude gli occhi, esala un sospiro. Le si spezza il cuore perché Alaric è un brav’uomo – ha tentato di ucciderla, una volta, ma è un brav’uomo anche se a volte il suo volto si sovrappone a quello del mostro che l’ha rapita nel cortile della sua stessa scuola, che l’ha torturata, che ha causato la morte di suo padre – e odia l’idea di abbandonarlo, di lasciare lui e le bambine seppur per poco tempo, solo che, ad un certo punto, tra una promessa di sparire e una telefonata che le ha riempito i polmoni di aria e fiato e speranza, Klaus è diventato suo amico. Klaus è diventato una persona a cui tiene e non può semplicemente andarsene.
Non è mai stata in grado di farlo.
 
- Torno appena possibile – mormora contro la spalla di Ric, quando l’uomo l’abbraccia per salutarla.
- Appena sarà tutto finito – aggiunge.
L’uomo annuisce, le posa una mano sulla guancia e le deposita un bacio sulla fronte.
- Ti aspetteremo – risponde con un sorriso.
 
Caroline rimane a guardare la macchina che si allontana e le bambine che la salutano sventolando le manine. Il cuore le si stringe meno di quanto dovrebbe.
 
***
 
Sa che Marcel non è pronto – a liberarlo, a guardarlo negli occhi, ad affrontare la delusione e il dolore, a… - e Caroline sa che non può liberarlo senza il suo sostegno e forse non vuole neanche farlo davvero.
Mentre cambiava infiniti pannolini, preparava biberon e pappine, mentre guardava Alaric e pensava non lo amo, non lo amo, non lo amo, non sarò mai in grado di amarlo, Caroline ha imparato ad essere paziente. Non importa se sarà ora, tra un anno o forse un secolo, un giorno tirerà fuori Klaus dalla sua prigione di marmo.
 
 
 
   
 
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