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Autore: roxy92    22/06/2016    1 recensioni
L'aria si era increspata lievemente e si era udito un tonfo. Sesshomaru aveva girato elegantemente il viso nella direzione che aveva percepito, appena disturbato dalla diversità di quel piccolo avvenimento così insolito rispetto ai normali giorni del Sengoku. Si era concentrato per qualche istante ma non aveva trovato nulla di interessante. Così aveva deciso di continuare il suo peregrinare come nulla fosse, disinteressato a quanto, in realtà, stesse accadendo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'aria si era increspata lievemente e si era udito un tonfo. Sesshomaru aveva girato elegantemente il viso nella direzione che aveva percepito, appena disturbato dalla diversità di quel piccolo avvenimento così insolito rispetto ai normali giorni del Sengoku. Si era concentrato per qualche istante ma non aveva trovato nulla di interessante. Così aveva deciso di continuare il suo peregrinare come nulla fosse, disinteressato a quanto, in realtà, stesse accadendo.

 

La ragazza fu scaraventata in basso ed il suo corpo impattò rovinosamente al suolo. Rotolò un paio di volte prima di fermarsi nella polvere e, solo quando fu ferma, si rese conto di avere le dita ricoperte di fango. Le portò davanti agli occhi , osservando le proprie mani incrostate di sangue e doloranti. Realizzò all'improvviso di essere stata sconfitta. La rabbia le morse le viscere e batté il pugno contro il terreno, imprecando mentalmente contro se stessa. Era stata un'imprudente, una sciocca, e doveva ringraziare non sapeva neppure quale divinità per essere ancora viva, se mai ce ne fosse stata una. Si portò a sedere ed iniziò a guardarsi intorno. Desolata, prendeva coscienza di non avere la men che minima idea di dove fosse. Provò ad alzarsi in piedi ed i suoi movimenti furono accompagnati dal clangore metallico delle piastre che cingevano braccio destro e petto. L'unica cosa che poteva fare era nascondere l'armatura nel ciondolo ed iniziare a perlustrare i dintorni, organizzarsi su come tornare, nella speranza che fosse possibile. Doveva ringraziare più di una divinità: dopo pochi passi, in mezzo ad un cespuglio, percepì il pulsare ritmico della sua spada.

 

Rin canticchiava, raccogliendo i fiori nella radura. La primavera era esplosa dopo un inverno troppo lungo ed aveva regalato boccioli dai colori sgargianti. Ne aveva fatti due mazzi di medie dimensioni. Sistemandoli meglio si sedette nuovamente nell'erba. Presto, ne avrebbe intrecciate due corone. Era un animo puro il suo, di una lucentezza disarmante. Era potente nella suo candore: per certe creature, una fonte inesauribile di nutrimento.

La presenza doveva aver pensato quello, nell'accorgersi di quel boccone prelibato lasciato incustodito. Lo scontro, per lui, era stato rovinoso. Era riuscito a gettarsi nel portale e scampare la fine. La sua avversaria, tuttavia, si era dimostrata coriacea. L'aveva mandata lontano, a perdersi nell'universo sconfinato, in oscure dimensioni. Senza quelli come lei nei paraggi, per lo meno, poteva saziarsi e recuperare le forze indisturbato. Lo credeva veramente, mentre si rincuorava e si avvicinava in fretta, senza celarsi minimamente. Non appena aveva messo piede in quel prato, la bambina aveva urlato. Un minuscolo esserino verde gli era apparso innanzi brandendo un bastone più alto di lui di diverse spanne. Dall'estremità superiore di quel manufatto mistico erano scaturite fiamme. Battendo le palpebre, sorpreso e leggermente contrariato per il piccolo contrattempo, la presenza aveva mosso il dito e sbalzato l'esserino lontano, a sbattere tra le rocce. La bambina aveva lasciato cadere a terra i fiori, immobile per il terrore e straziata per il dolore, per quel minuscolo scocciatore. Era un cuore puro e lo sarebbe stato fino alla fine. Lo straniero si leccò le labbra, spalancando le sue iridi profonde, così scure da potercisi perdere dentro. Solo un attimo lo separava dal suo pasto.

 

La ragazza sentì calore alle spalle. Veloce estrasse la spada dal fodero che recava sulla schiena e poté vedere la lama rossa. Ce n'era uno nei paraggi e stava per colpire. Aguzzò l'olfatto. Doveva fare in fretta se voleva fermarlo. Annusò il vento. Ringhiò rendendosi conto che si trattava proprio di lui, del suo nemico. Cosa faceva quel disgraziato? Era li per finirla o si era ritrovato li con lei perché aveva sbagliato qualche passo nella formula, comportandosi da idiota? Non aveva tempo di ultimare le congetture. Aveva percepito subito un'aura umana vicino a lui ed il terrore. Non poteva assolutamente permettergli di nutrirsi. Non sarebbe più riuscita a batterlo, sicuramente. Corse ancora più in fretta e snudò la lama più lunga, la più corta già stretta tra le zanne. Il suo correre divenne volo ed atterrò con un sibilo nel giusto prato. Aveva lanciato il pugnale e, davvero era troppo felice per crederci, il primo colpo era andato a segno. Era sangue caldo quello che colava dalla ferita sul braccio del suo nemico.

Era stato un idiota. Doveva aver sbagliato qualche passo nella formula. Come era possibile che quella pazza fosse ancora di fronte a lui? Non si capacitava né del fatto che fosse li ne di come fosse riuscito a colpirlo. Eppure, il metallo che gli bruciava tra le carni era reale. Lei si avvicinava minacciosa. Glielo leggeva negli occhi che l'avrebbe ucciso per proteggere la bambina. Quella maledetta, a differenza sua, in parte era stata umana.

Ringhiando e dimenticandosi del pasto, si scagliò con l'arma in mano contro di lei. Fatale errore: lei lo aspettava con la spada ed era brava. Un passo di lato, come un lieve movimento di danza, un leggero spostamento d'aria; i suoi occhi azzurri e magnetici e bellissimi, poi la lama: in pieno petto. Era così che Galen lo finiva.

Rin aveva assistito terrificata alla scena. La ragazza che era intervenuta, dopo aver sconfitto l'avversario, si era passata una mano sulla bocca e sugli occhi. Aveva lasciato scivolare le ginocchia a terra e respirava forte, col viso rivolto al basso. Era in affanno. Deglutì quattro o cinque volte, prima di alzarsi barcollando e dirigersi verso il corpo del suo nemico. Recuperava le sue armi tra carni che stavano già diventando polvere. Aveva sorpassato Rin senza curarsi di lei più di tanto. Solo dopo diversi minuti le si rivolse, chiedendole se stesse bene.

 

All'inizio Rin ebbe paura ma meno di prima. D'improvviso le sue gambe si mossero e corse via, verso Jaken. Quasi non aveva udito la domanda della straniera, così simile nell'incarnato e nel colore di occhi e capelli alla persona che aveva cercato di far del male a lei e ferito Jaken. Raggiunse il suo amico e pianse, accorgendosi che respirava impercettibilmente. Le lacrime le annebbiavano la vista e non si rese conto che la nuova arrivata era vicino a lei e, inginocchiata, le posava una mano sulla spalla.

“Perché ti disperi? Tu stai bene e lui non è né morto né moribondo?”

Rin negò con la testa. Nella sua epoca aveva visto soffrire e riconosceva quando qualcuno stava male.

La mano calda che cercava di consolarla abbandonò la sua spalla e si poggiò aperta, sul petto di Jaken.

Vedendo la luce azzurra che scaturiva dalle dita artigliate, Rin smise di piangere. Pochi istanti dopo, il respiro del piccolo amico tornò normale ed il suo colorito salutare. Tutti i lividi erano spariti.

“Lascialo dormire. Si sveglierà da solo tra qualche minuto.”

La bambina si sfregò gli occhi per tergerli dalle lacrime e la ragazza bionda le carezzò la testa.

“Sei molto più carina quando sorridi.”

Forse fu quel gesto dolce a convincerla: Rin non ebbe più paura. Chiese alla straniera chi fosse, che ci facesse li e la ringraziò per l'aiuto.

La ragazza rispose di chiamarsi Galen e di venire da tanto, troppo lontano, un posto freddo, e di dover tornare a casa propria, non appena avesse trovato un modo per riuscirci. La aspettavano e a casa aveva tanta gente da proteggere, da chi, Rin lo aveva già sperimentato di persona.

“E tu, invece? Non sei un po' troppo piccola per girare da sola? Quel rospetto non sembra una gran difesa...”

Rin arrossì e raccontò di non essere sola, che presto sarebbe tornato il suo signore, qualcuno che la proteggeva.

In effetti, addosso la bambina aveva odore di demone potente.

Galen annuì e non ci mise bocca ma si attardò parecchio, nell'attesa che il rospo tornasse operativo ed un protettore degno di quel nome si degnasse di farsi vivo. Credeva che avrebbe impegnato minuti, al massimo ore. Con suo sommo disappunto, si trovò costretta a trascorrere tre giorni con una bambina tanto curiosa ed un rospo saccente. Passò settantadue ore a cacciare per nutrire la piccola e raccogliere margherite, prima che sua maestà tornasse. Sapeva che neppure i demoni maggiori sono avvezzi ad accorgersi di quelli della sua razza e non poteva fare una colpa al nobile Sesshomaru, se non si era reso conto del pericolo che correva la sua protetta. Ora però iniziava a passare troppo tempo. Era parecchio irritata quando un guerriero possente, dalla lunga chioma argentata, fece la sua comparsa. Galen alzò gli occhi al cielo, cominciando a pregustare la sua ritrovata libertà. Unica nota positiva, dovette ammettere, in tutto quel tempo perso, era che sua signoria era davvero un belvedere. Uno spettacolo per gli occhi di una donna, senza dubbio alcuno. Almeno quello, si ripeteva tra se, mentre si alzava per potersene andare.

 

 

  
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