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Autore: alessiawriter    22/06/2016    4 recensioni
Una notte di Luna Nuova, una piccola mezzodemone spaventata e un Sesshomaru stranamente comprensivo.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Discendenze'
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Notte di Luna Nuova

 


 

 

Sesshomaru aveva già avvertito la sua presenza, in merito al suo udito e olfatto soprannaturale di demone cane, prima ancora che la piccola mettesse piede nel corridoio che portava alla loro camera. D’altronde, per via della sua natura demoniaca, il Gran Generale dell’Ovest non sentiva il bisogno di chiudere gli occhi e riposarsi come un normale essere umano, dunque rimaneva sempre in un’accurata allerta, come se attendesse l’accendersi improvviso di una guerra.

 

La stanza in cui Sesshomaru e Rin, la sua compagna umana, riposavano era interamente avvolta dal manto impenetrabile dell’oscurità, neanche i raggi lunari riuscivano a squarciare le tenebre; eppure, gli occhi del demone cane non incontravano alcuna difficoltà nell’osservare ciò che lo circondava. Adagiato sopra i cuscini dalla soffice e pregiata stoffa color crema, Sesshomaru, che aveva il viso che non tradiva alcuna emozione, era girato verso la porta d’ingresso, quasi aspettando l’arrivo della piccola creatura.

 

Accasciata gracilmente sul suo petto, dormiva con tutta tranquillità la fanciulla Rin, coperta unicamente da una veste leggera dalla quale trasparivano le sue delicate e amabili fattezze femminili. I capelli lisci neri della giovane dormiente creavano una specie di aureola intorno al suo capo e niente più dell’osservare il viso rilassato della sua amata lo appagava così tanto, anche se non avrebbe mai trovato il coraggio di rivelarlo a qualcheduno.

 

Sentendo i passi della piccola farsi sempre più vivide e forti, decise che fosse giunta l’ora di alzarsi e recuperò l’intimo da terra, magicamente volato durante l’ultimo amplesso con la consorte, coprendosi in seguito con la sua casacca bianca abbandonata accanto ai capi di Rin. Riusciva addirittura a captare il suono del battito cardiaco, che rimbombava nelle sue orecchie appuntite come una dolce melodia, e prima che la piccola potesse abbassare la maniglia per aprire la porta, Sesshomaru le si parò davanti facendola involontariamente sobbalzare per la sorpresa.

 

Dall’alto del suo metro e novanta, Sesshomaru inevitabilmente riduceva la figura della bambina di soli tre anni ad una ancora più minuta ed esile di quanto non fosse in realtà. La mezzodemone alzò la testa, staccandosi quasi il collo per poter osservare il volto altero e rigido del padre, e prese a mordersi il labbro inferiore con i denti canini. Provò un tale senso d’inadeguatezza e inferiorità al cospetto della presenza genitoriale così lontana e distante dalla sua persona che questo la costrinse a spostare lo sguardo verso il pavimento, intimidita.

 

Sesshomaru si ritrovò ad osservare quella bambina che non sembrava neanche un’erede del suo sangue demoniaco. La piccola, difatti, aveva un aspetto umano, con le sue orecchie piccole, gli occhi marroni e i capelli del medesimo colore che scendevano lungo la sua schiena priva dalla consueta coda. Tanto è vero che quando nacque il loro primogenito, Koan, si meravigliò come non vide le orecchie canine che aveva invece in dotazione il suo balordo fratellastro, bensì una lunga coda pelosa e morbida terribilmente e orgogliosamente simile alla sua. Il suo unico timore era appunto che la sua discendenza potesse somigliare più a Inuyasha che a lui, ma dovette ricredersi quando vide che entrambi i suoi figli gli erano molto più affini di quanto immaginasse.

 

Sesshomaru annusò nell’aria le emozioni che stava provando in quel momento la sua bambina e quasi venne assalito dai rimorsi. Quasi, per l’appunto. «Mikomi, che ci fai ancora in piedi a quest’ora?», chiese ostentando la solita calma e impassibilità.

 

La suddetta Mikomi si sentì schiacciare da quegli occhi dorati, il cui colore caldo contrastava la freddezza innaturale che diffondeva invece la presenza del Gran Generale dell’Ovest. «Io non riuscivo a dormire e volevo andare a distendermi accanto alla mamma», ammise flebilmente mentre lanciava un’occhiata veloce al padre.

 

Sesshomaru la osservò ancora, ritrovando nei suoi lineamenti quelli di Rin, e forse fu questo, o più sicuramente la voglia di sbarazzarsi della piccola per tornare al fianco della sua compagna, che lo fece piegare sulle ginocchia e raggiungere il livello della bambina. A quella distanza ridotta, il demone cane notò negli occhi di Mikomi una scintilla di paura mista a incertezza. Un tempo, amava vedere nelle sue vittime tutta l’apprensione che riusciva a infondere, ma rivedere quell’emozione sul volto della bambina non gli suscitava il solito piacere cupo.

 

Sesshomaru allungò le braccia e prese la bambina sotto le ascelle, per poi issarla e avvicinarla al suo petto. Mikomi rimase rigida in quell’abbraccio, paralizzata improvvisamente da quelle attenzioni che suo padre raramente mostrava per lei o suo fratello maggiore Koan; tuttavia, si costrinse ad allacciare le mani attorno al collo del padre e quando alle sue narici giunse l’odore familiare e tipico del demone di pompelmo e noce moscata, finalmente riuscì a rilassare i nervi.

Si lasciò andare contro Sesshomaru, mentre questi attraversava tutto il corridoio vuoto e silenzio, i cui muri erano tappezzati da arazzi antichi, fino ad arrivare ad una finestra semiaperta da cui una leggera brezza autunnale trovava modo di entrare. Contemporaneamente, i loro capelli si mossero e si intrecciarono insieme.

 

E per la prima volta, Mikomi specchiandosi vide nel suo riflesso un’immagine che non le apparteneva. I capelli argentati avevano preso una strana tonalità simile a quelli scuri della madre, gli occhi dorati ora risplendevano di un marrone intenso e le orecchie appuntite si erano modellate assumendo una forma più rotonda e morbida. Non si riconosceva neanche più e quando poggiò le mani sul vetro della finestra, continuò ad osservarsi con aria critica e trepidante: l’aspetto che tanto la faceva assomigliare al padre e che per questo motivo le infondeva sicurezza e la inorgogliva, era completamente sparito; le venne addirittura da piangere.

 

In cerca di spiegazioni, si voltò verso il padre con il labbro tremante. «Cosa mi succede?» domandò con voce rotta, mentre rivolgeva uno sguardo implorante al demone cane perché sperava placasse le sue preoccupazioni.

 

Sesshomaru, sempre la solita faccia imperturbabile, le accarezzò la guancia paffuta e marmorea, dove prima vi erano delle strisce color magenta ereditate esclusivamente da lui, e salì fino alla fronte, dove solitamente una mezzaluna si stagliava tra la frangetta dei suoi capelli. «Questo cambiamento avviene puntualmente la prima notte di ogni nuovo ciclo lunare, quindi quando la luna è nuova», spiegò, il tono pragmatico e incolore come sempre. «Perdi momentaneamente i tuoi poteri demoniaci e assumi l’aspetto di un normale essere umano», continuò distogliendo lo sguardo dal suo per puntarlo in alto ad osservare il cielo.

 

Mikomi si pizzicò la punta del naso con le mani prive degli artigli e nascose il viso tra i capelli argentei del padre. «Succede anche a Koan?», chiese ancora, soffiando quelle parole nell’orecchio del demone cane.

 

L’olfatto potente del Gran Generale dell’Ovest intercettò il profumo diverso che la bambina tra le sue braccia emanava e ancora una volta ne fu inebriato, quasi stregato. Su limitò ad annuire impercettibilmente con il capo. «Tutti voi mezzodemoni ne siete soggetti», ringhiò quella parola come se fosse un insulto, il vecchio rancore che ancora si annidava nelle viscere del demone cane che tornava a farsi presente.

Mikomi deglutì sommessamente e catturò nel tono del padre quella nota aspra che la fece destare e allontanare dal suo petto, meravigliata da quello scatto improvviso. Lo guardò con uno sguardo timoroso e si ritrovò a sperare  involontariamente che la mettesse giù, così avrebbe avuto la possibilità di scappare dritta nella sua camera.

 

Sesshomaru, quasi leggendole nel pensiero, si voltò a guardarla con il cipiglio altero e superbo, mentre si allontanava della finestra. In silenzio, si diresse verso la stanza di Mikomi, che si trovava al piano inferiore del suo castello, e si accinse a scendere le scale, il rumore del battito cardiaco della piccola farsi sempre più insistente man mano che superavano le rampe dai gradini in pietra.

 

Mikomi non voleva rimanere da sola, avrebbe di gran lunga preferito rimanere tra le braccia di quel padre che sebbene gli trasmettesse un moto di titubanza, riusciva a mediare tra le angosce del suo cuore soltanto con la sua presenza. Per questo, arrivati al corridoio che li avrebbe condotti alla sua stanza, Mikomi strinse la veste del padre e si decise a fronteggiarlo. «Padre», lo richiamò assumendo la migliore espressione decisa che in quel momento potesse permettersi. «Non voglio ancora andare a dormire», esclamò, una nota di insicurezza le sfuggì dal suo controllo.

 

Sesshomaru inarcò un sopracciglio, fermandosi dunque nel bel mezzo del corridoio. «E cosa proporresti di fare?», brontolò, accennando un sorriso con un angolo delle sue labbra rosee, colpito da tanta audacia.

 

Mikomi si strinse nelle spalle, non aveva previsto quella risposta da suo padre, pensava che sarebbe andato avanti facendo finta di non averla sentita; si ritrovò quindi accorto di parole e avvampò. «Non lo so», ammise dopo un po’. «Vuoi vedere le mie bambole?», chiese, rianimandosi di colpo.

                                                            

Sesshomaru la guardò sconcertato e per la prima volta in quella serata il suo viso si tinse di un’espressione che non fosse la solita di indolenza e distacco. Provò a protestare, ma la bambina tra le sue braccia scalciava per essere messa a terra e si decise ad accontentarla, lasciandolo andare. La vide saltellare fino alla sua camera e per un attimo fu tentato di andarsene di nuovo a letto, tra le braccia della sua Rin, tuttavia, una testa corvina spuntò nuovamente dalla stanza in cui si era rifugiata e lo incitò con un gesto impazienta a seguirla. «Vieni!»

 

Sesshomaru storse il naso davanti a quell’ordine, ma non disse nulla; voleva solo uscire il più in fretta possibile da quella scomoda situazione in cui lui stesso si era cacciato con le sue mani. Il Principe dei Demoni incastrato da una bambina mezzodemone di soli tre anni, gli sembrava così ironico.

 

Mikomi si era già seduta a terra, circondata solo dalle sue bambole più belle, e aspettò che il suo papà la raggiungesse pettinando i capelli ai fantocci. Sesshomaru osservò prima la sua bambina e poi i suoi giocattoli, pensando che una ritirata strategica fosse più dignitosa che ridicolizzarsi a quel modo, e fece per uscire dalla stanza, quando la piccola mano di Mikomi afferrò quella sua, grande e dalle dita lunghe nelle cui unghie si stagliavano artigli capaci di far raggelare il sangue anche al più nobile dei combattenti. Eppure, Mikomi non ne ebbe paura neanche un solo istante.

 

La bambina lo guardò con gli occhi esitanti e supplicanti, temendo una sua imminente scomparsa. «Per favore», lo pregò, gli occhi già pieni di lacrime.

 

Sesshomaru alzò gli occhi al cielo e prese posto davanti la bambina, incrociando le gambe e le braccia, mentre voltava la testa di lato a fissare il muro in gesto di esplicita protesta. A Mikomi non importava se suo padre non la stesse veramente ascoltando, il solo averlo lì già le riempia il cuore di felicità ed entusiasmo. Si stese lungo la coda morbida del padre e prese ad illustrargli tutti gli accessori e le particolarità di ogni bambola.

 

Sesshomaru contemplò l’immagine della figlia senza dire una parola. Non riconosceva la sua bambina, dal carattere testardo e vivace come la madre, ma risoluto e determinato come il suo, in quell’aspetto da umano che la sua natura da mezzosangue la obbligava ad assumere. Tuttavia, la forza che dimostrava di avere alla sua tenera età lo rendeva segretamente fiero e orgoglioso; allo stesso tempo una serie di dubbi lo attanagliavano: avrebbe dovuto crescerla ed educarla come una vera guerriera degna della sua stirpe, o avrebbe lasciato che fosse una ragazzina comune a tutte le altre, lontana dal pericolo in cui il desiderio di avventura già avviluppato in lei la avrebbe condotta?

 

Non sapeva ancora come comportarsi con lei, ma non ebbe modo di approfondire quei pensieri perché notò che Mikomi aveva già chiuso gli occhi e stringeva tra le sue mani la sua coda, coprendosi le spalle e il corpicino. Sesshomaru la strinse tra le sue braccia e poi si alzò, facendo la massima attenzione a non svegliarla e poggiandola sul letto. Si concesse qualche secondo per osservarla ancora e poi sparì nel buio del suo castello, arrivando velocemente nella camera da letto dove una Rin agitata lo stava aspettando.

 

Vedendolo entrare, Rin esalò un respiro sollevato e si lasciò andare contro i cuscini. «Dove sei stato?», chiese guardandolo mentre si toglieva la casacca e si stendeva accanto a lei. «Mi sono svegliata e non ti ho trovato, mi sono subito preoccupata», confessò in un sussurro.

 

Sesshomaru inarcò un sopracciglio e si voltò verso di lei. «Donna, nonostante tu sia ben consapevole delle capacità, continui ancora ad essere in apprensione per me?» fece retorico, mentre un sorriso si delineava sulle sua labbra.

 

Rin alzò gli occhi al cielo e si mise seduta, incrociando le braccia al petto. «Cosa ti aspetti, scusa?» replicò stizzita. «Non hai risposto alla mia domanda, comunque», tornò alla carica, guardandolo intensamente negli occhi.

 

Sesshomaru ricambiò il suo sguardo e strattonò il suo gomito, costringendola a posizionarsi seduta sopra il suo busto. «Mi sembra che tu sia fin troppo sveglia, malgrado l’ora», affermò, le mani che scendevano ad accarezzare languide tutto il suo corpo.

 

Rin si sentì accesa da un’intensa passione che le partiva dal bassoventre fino ad inamidarsi nel suo petto, lì dove il suo cuore – Sesshomaru lo sentiva bene – aveva preso a tamburellare all’impazzata. «E a me sembra che stasera tu sia troppo evasivo», commentò, cercando di rimanere abbastanza lucida per continuare quella conversazione.

 

Sesshomaru si chinò sulle sue labbra, sfiorandole lievemente senza però mai approfondire il contatto, rimanendo in bilico tra la voglia di divorarle e quella di continuare a stuzzicarla con il loro dialogo. Soffiò sulla bocca della fanciulla, mentre le sue mani avevano raggiunto ormai i primi bottoni della sua veste. «È proprio necessario parlarne ora?», ribatté, quando le sue mani finalmente raggiunsero il suo seno prosperoso.

 

Senza controllo, Rin si lasciò andare in un gemito, ma non aggiunse nulla; addio lucidità, insomma. Rin, osservandolo grazie alla luce della candela sul comodino, si accorse che le stelle apparivano meno splendenti difronte alla sua bellezza e quel pensiero la rese così inerme e malleabile tra le sue mani che si lasciò andare ad un altro amorevole amplesso con il suo amato.

 

Quando entrambi fuori sfiniti e sazi l’uno dell’altro, Sesshomaru si meravigliò di quanto fosse facile trovare la felicità nella sua consorte e chiuse gli occhi, trovando dopo tempo immemore le braccia di Morfeo pronte ad accoglierlo.

 

 

 


 

 

 




 

 

The End.

 

 

 

 

Grazie per essere arrivato a leggere fino a questo punto, mi farebbe tantissimo piacere se lasciassi una recensione (negativa o positiva che sia).

  
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