Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Jawn Dorian    22/06/2016    3 recensioni
Lui e i sui bislacchi problemi.
Lui e la sua situazione politica grave ma mai seria.
A volte era pronto ad accettare a braccia aperte il ruolo di giullare di quella immensa corte che era il mondo, altre volte si incaponiva a tentare di spiegare che la colpa non era la sua. In Italia la colpa è sempre degli altri.
{ Raccolta. Un vano tentativo di riscrivere il personaggio di Lovino in chiave realmente satirica.
E un po' di Spamano. Quella non guasta mai. }
Genere: Comico, Drammatico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Sei una terra così bella” gli aveva detto un giorno “perché ti lasci sporcare così?”
Lovino non aveva risposto. Forse era troppo semplicistico spiegare per l’ennesima volta che se prendi una goccia di veleno al giorno non diventi necessariamente immune al veleno, ma anzi, ecco, diventi velenoso.
“Romà, dimmi una cosa” aveva continuato imperterrito – e chi lo fermava mai a Peppino  – “sei andato a scuola?” chiese, con serietà e una smorfia nervosa.
“Sì…diciamo di sì.”
“E sai contare?”
Italia sorrise, credendo che finalmente fosse in atto uno scherzo.
“Sì, so contare!”
“E camminare…sai camminare?”
“Sì” annuì e camminò sul posto con aria pomposa per farlo ridere. Ma lui non rise affatto.
“E contare e camminare insieme lo sai fare?”
Il sorriso sulle lebbra di Lovino si spense.
“Sì, penso di sì…”
“E allora forza” con una stretta ferrea gli arpionò il braccio “conta e cammina!”
“Peppino-“
“Conta e cammina, avanti!”
“Uno, due, tre…”
 
 
 
 
 

La mafia uccide solo d'Estate





"Cento passi da casa nostra"
 
9 Maggio, 1978
Cinisi
 
La primavera siciliana era come l’estate per il resto d’Italia. Il sole non si era fatto attendere. Picchiava con impertinenza su un individuo impertinente a sua volta, che non sapeva di avere così tante cose in comune col sole. Attraversava a grandi falcate una viottola che l’avrebbe portato a casa, giusto il tempo di svoltare l’angolo. Aveva la giacca in mano, la camicia rossa stropicciata e con le maniche arrotolate fin sopra i gomiti. Non si era preso il disturbo di mettersi la cravatta, quella mattina, e andava bene così.
La spiaggia era deserta. Il rumore delle onde e il canto delle cicale erano gli unici suoni che la facevano da padroni. Per un po’, solo un poco, qualcos’altro poteva capeggiare su Cinisi, ed era qualcosa di dolce e stranamente familiare. Lovino aveva già sentito quel suono, prima di allora. Era un suono che scatenava in lui nefasti presentimenti, ma che allo stesso tempo riusciva a rilassarlo, proprio perché non si trattava di una novità: la sensazione che qualcosa di brutto fosse accaduto non gli procurava ormai alcun moto iracondo, ma solo un muto dolore.
 Le cicale per le vie di Cinisi cantavano più forte che mai una marcia funebre che nessuno aveva mai sentito.
 
 



 
 
“Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale.
Non ci sarà nessun comizio…e non ci saranno più altre trasmissioni.
Peppino non c'è più, è morto, si è suicidato.”
 
La radio gracchiava più forte del solito. Lovino distolse lo sguardo dalla caffettiera che borbottava sul fornelletto del gas insudiciato dalla ruggine. Era giunto a poche conclusioni nella sua vita, e una di quelle era senza ombra di dubbio che il caffè era uno dei veri piaceri di un uomo libero, anche se lui non si poteva dire propriamente un uomo. Ma non pensò al suo caffè che saliva. I suoi occhi ora erano inchiodati all’apparecchio. Le sue labbra si schiusero e un sorrisetto sghembo e nervoso si fece largo per poi mutare in una smorfia incredula.
 
“No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: ‘voglio abbandonare la politica e la vita’.
Ecco, questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione.”
 
Lovino si mosse. Non tremò e non produsse alcun suono. Scelse di essere rigoroso nel suo silenzio e di spostare la caffettiera. Forse avrebbe dovuto spegnere la radio. Non si doveva sapere che stava ascoltando proprio quella stazione. Non si doveva mai sapere niente, mentre stava a Cinisi.
Versò il caffè nella tazzina gialla, che aveva un'unica macchia di caffè incrostato vicino al manico.
Ci aveva provato, a mandarla via con qualche vigoroso colpo di spugna, ma quella era rimasta lì avvinghiata.
E Lovino Vargas era una nazione  che – si sapeva – si arrendeva quasi subito.
 
“E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa?
Se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari.
Suicidio.
Come l'anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano…oppure come l'editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell'Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi, non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell'onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto.”
 
Le cicale continuavano a cantare. Forse faceva troppo caldo per un caffè. Ma Lovino lo bevve comunque. Tutto ad un fiato, senza i soliti piccoli sorsi, senza il solito peculiare cucchiaino di zucchero. Con un unico movimento secco. Staccò la tazzina dalle labbra, la strinse forte e decise di non domandarsi il perché sentiva tanto il bisogno di farlo. Passò il pollice su quella macchia marrone e solitaria.
Suicidio. Un suicidio. Sì. Rigoroso nel suo silenzio.
 
“Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia…ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato! Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall'altra parte.
Tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare.
Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino.”
 
La marcia funebre era per lui.
Lovino strinse la tazzina più forte e si poggiò con il bacino al tavolo della cucina. Ora teneva lo sguardo fisso su quel piccolo oggetto di ceramica. Non osava più guardare la radio. Si sentiva come se il gracchiante apparecchio lo stesse fissando con la stessa intensità di due occhi neri come la pece.
Gli occhi di Peppino.
Due occhi così profondi e sinceri che quasi erano riusciti a ricordargli che gli occhi ce li aveva anche lui, e aveva visto quello che aveva visto e non poteva più fare finta di niente. Che aveva delle orecchie, e spegnere la radio sarebbe stato da codardi.
Che aveva una bocca. E che il silenzio uccide.
Il silenzio uccide.
 
“Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci. Lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo! Ma non perché ci fa paura…ma perché ci dà sicurezza!
Perché ci identifica, perché ci piace!”
 
La tazzina si distrusse in mille pezzi contro il pavimento. Anche Lovino si frantumò. Cadde in ginocchio di fronte alla radio e pianse. Che lo sentisse tutta Cinisi.
“Me l’hanno ucciso…me l’hanno…ucciso…Peppino-”
 
“Noi siamo la mafia!
E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso!
 Tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente!”
 
“Vi odio! Io- io vi odio! Siete-” strillò dal suo balcone, da una finestra all’altra, che lo sentissero, che chi gli aveva portato via tutto non potesse più togliersi dalla testa le sue parole “—SIETE UNA MONTAGNA DI MERDA!”
Che lo sentissero urlare. Di silenzio ne aveva abbastanza.
Con la bocca ancora impastata dall’amaro del caffè, Lovino pianse tutte le lacrime che si era tenuto per sé nella sua vita di nazione lunga più di un secolo. Il caffè, uno dei pochi piaceri di un uomo libero.
Ma non era propriamente un uomo. Non era propriamente libero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“…Novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove e cento! Lo sai chi c'abita qua?”
“Peppino, ti prego—“
“Ah, u'zu Tanu c'abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi! Vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te! «Salutiamo zu' Tanu!» «I miei ossequi, Peppino. I miei ossequi, Romano!». E invece sono loro i padroni di Cinisi! Sono i tuoi padroni!”
“Ma io non posso farci niente se il paese—“
“Ahhh, il paese! E mio padre! E la mia famiglia! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente! Prima che si prendano tutto quello che hai! Voglio liberarti da loro!”
 
 
 
Prima che sia troppo tardi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Parla! La verità è là, non devi negarla
Parla! Chi tappa la falla non resta a galla
Parla! Dalla tua bocca libera la favella
Come una farfalla che si libra dalla calla
Parla! I mutismi sono inascoltabili
Parla! I timori hanno timoni deboli
Parla! Urla termini interminabili
Parla! Perché il silenzio è dei colpevoli
{ Caparezza - Il Silenzio è dei colpevoli }

 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice (IMPORTANTI)
Io personalmente ho smesso di prendere sul serio Hetalia molto tempo fa. E ho smesso anche di tentare di scrivere a riguardo molto prima. Ogni tanto, anche se sono passati anni da quando ero fissatissima (ebbene sì), è ancora divertente guardarsi una puntata e ridere (per non piangere) di come i giapponesi ci considerino dei rincoglioniti.
Ma ehi, sono italiana e sono anche rincoglionita, quindi non farò la predica a nessuno. So perfettamente che Hetalia è quella che i miei amici chiamerebbero una ‘goliardata’, che va presa con le molle e che serve solo per farsi due risate in allegria. Solo che ho voluto creare la mia personale idea del personaggio di Lovino con questa serie, La mafia uccide solo d’Estate (titolo dal film di Pif). Perché io penso che Hetalia sarebbe potuto essere tante cose. Che Lovino Vargas, Romano, o come tutti lo chiamino, potrebbe essere un personaggio propriamente satirico, e non un uno tsundere a caso. Ma nessuno qui critica Himaruya, che probabilmente si è già preso la sua buona dose di cazziatoni. Ma in compenso, ho deciso che se non lo può fare lui, ci posso provare io. Per cui, comincio con speranza questa nuova raccolta tutta incentrata su di Lovino e sulla mia interpretazione personale e forse un po' ottimistica di come rendere il suo personaggio propriamente italiano. Non penso sarà molto lunga, perché tempo e idee cominciano a scarseggiare, ma ci si prova, e sarei felice di vedere qualcuno seguirmi in questa avventura bislacca.
 
Eh, sì, ho scritto una cosa sulla mafia. Non mi ritengo assolutamente in grado di trattare un tema di questa portata, né di osare scrivere il nome’ Peppino Impastato’ con le mie dita così tante volte. Se devo essere sincera, mi sento estremamente a disagio nel pubblicare una cosa simile, ma all’ispirazione non si comanda. Ho scritto qualcosa su Giuseppe Impastato perché I Cento Passi  era un must in casa mia da quando facevo le scuole medie e sono semplicemente storie che non si dimenticano. Badate bene che ovviamente non sto facendo propaganda politica! E’ solo un pasticcio per dare un omaggio a questo splendido film, ad una persona che per quanto mi riguarda è un eroe, a questo pezzo della mia crescita.
Tutte le citazioni fighe che avete letto qui (il pezzo dei cento passi e ovviamente l’annuncio alla radio di Salvo Vitale), sono palesemente estrapolate – e riadattate per l’occasione - dal film I cento passi.
Mi auguro che prendiate con le molle tutto ciò che ho scritto.
Grazie infinite a chi ha letto fin qua.
 
 
 
  
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