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Autore: Nadedza Lemuria    23/06/2016    0 recensioni
[Leggende Metropolitane]
[...]
Il branco di dieci lupi si leccava la propria bava, scaturita dalla forte fame causata dalla scarsità di prede.
Giravano intorno, in un continuo cerchio mentre il bambino singhiozzava...
Per il neonato sarebbe stata la fine...
[...]
Genere: Fluff, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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C’era calma piatta e anche il mercato portuale era meno chiassoso del solito. Marianne camminava tra i commercianti, schivando di volta in volta le pozzanghere e salutando i pochi conoscenti. Indossava un abito semplice, a maniche lunghe e svasate ma con le spalle scoperte, fatto in un misto di lana e cotone. Era bianco con la gonna marrone, in toni pastello. Portava anche uno scialle sulle spalle, anch’esso marrone. Portava un cesto in vimini al braccio destro, camminando con un portamento molto leggiadro.
La sua lunga treccia ondeggiava ad ogni suo passo.
L’espressione sul suo viso era sempre serena e calma anche se nella sua mente pensava e ripensava alla vicenda dell’altra notte, alle strane sensazioni che ha percepito tutte in una volta. Alcune voci nel paese la accusavano di praticare arti magiche ma nessuno aveva potuto provarle: non c’era alcuna prova né testimonianza. Ogni volta che qualche abitante voleva intavolare il discorso, gli altri gli rispondevano a tono “Sono solo voci! Non ricordi quando…” raccontando di qualche vicenda ove altri cittadini furono coinvolti in qualche pettegolezzo scopertosi una menzogna (o meglio, facendo credere che fosse tale).
La ragazza aveva comprato dei rocchetti di filo, aghi, spille da balia e qualche pezzo di tessuto a buon mercato. Era un’abile tessitrice: in poco tempo riusciva a cucire o anche solo a rammendare un abito e non esigeva nemmeno molto.
Uscita dal mercato si diresse verso casa. Fece tutto il tragitto a piedi, rimuginando sull’accaduto ancora una volta. Il percorso non era breve. Impiegava all’incirca venti o venticinque minuti a passo costante. Il sentiero si divincolava nella scarna boscaglia. Era serpeggiante e ovviamente era costituito interamente da terriccio e ciottoli. Con gli occhi assenti e rivolti verso il terreno, meditava e respirava profondamente per calmarsi. Poi si fermò. Si guardò intorno: aveva sentito un fruscio. Aveva l’impressione che qualcuno la stesse seguendo. L’aria era pesante e carica di tensione. Il vento sembrava che ululasse tra le fronde e i versi degli animali avevano smesso tutti in una volta.
Il silenzio prese il dominio.
Si guardava continuamente intorno, diventando sempre più nervosa. Sentì ancora una volta lo stesso fruscio.
Sobbalzò.
Da un cespuglio sbucò fuori una lepre che non appena l’ha notò, scappò via.
Si portò una mano al petto e tirò un sospiro di sollievo. “Per fortuna” pensò.
Riprese il cammino ma l’atmosfera che la circondava era ancora carica di tensione, come se stesse per succedere un evento che avrebbe cambiato tutta la storia di quel luogo. Arrivata davanti casa vide i piccoli della famiglia seduti sui gradini del porticato, piangere a dirotto. Fece cadere il cesto e corse da loro. S’inginocchiò davanti loro e gli chiese cosa fosse successo. Non aprirono nemmeno bocca quando all’interno della casa si sentirono urla e oggetti rompersi. Si alzò di scatto e facendo per aprire la porta, questa si spalancò. Una mano la spinse via facendola cadere a fianco.
Alzò lo sguardo: era il padre.
Aveva in volto un’espressione mai indossata. La faccia era raggrinzita e stropicciata come un foglio di carta. Era palesemente arrabbiato ma aveva anche qualcosa di diverso, come se fosse invecchiato tutto ad un tratto. Marianne lo guardava sbigottita. Non sapeva cosa chiedere o cosa dire. L’uomo si diresse fuori dal portico con una grossa valigia in mano, senza rivolgere alcuno sguardo ad uno dei suoi figli. Marianne non poteva rimanere immobile. Si alzò goffamente e lo rincorse: voleva delle spiegazioni. Il padre si girò e le rispose con un’occhiataccia, come se la maledisse. Si pietrificò. Sentì il cuore essere trafitto da una lama che scivolava lentamente dentro, come di chi volesse ucciderla in modo da farla soffrire.
Il padre si voltò ancora e riprese la sua fuga. Marianne rimase lì, immobile, guardandolo svanire.
I suoi fratelli corsero fuori casa, passando accanto alla sorella, per raggiungere il padre ma non lo trovarono.
I bambini continuavano a piangere e le sorelle maggiori  cercavano di consolarli, trattenendo a loro volta il pianto. I fratelli invece gridavano tra loro, incolpandosi a vicenda dell’accaduto. La madre non c’era, come era al suo solito fare. Non c’era mai quando serviva.
Marianne si guardava intorno, pallida come un cadavere. Ai suoi occhi sembrava che il mondo rallentasse: i suoi fratelli che litigavano, le sue sorelle che consolavano e che la guardavano con aria di rammarico.
Tutto si muoveva con estrema lentezza.
Rivolse lo sguardo verso l’uscio della porta e vi trovò la figura spettrale della madre, con il viso cupo e l’aria minacciosa che la fissava. Nei suoi occhi c’era uno strano bagliore, quasi ultraterreno, quasi malefico.
La rimase a guardare. Aveva gli occhi ambrati, lucidi e pieni d’odio. I suoi capelli argentei erano portati tutti su con uno chignon sciatto che le faceva cadere qualche capello davanti agli occhi. La sua bocca era contratta come in una smorfia. Una volata di vento le fece entrare qualcosa negli occhi. Li stropicciò e se li strofinò con il palmo delle mani. Dopo aver battuto le palpebre un paio di volte, notò la nuova espressione della madre. Non aveva più la bocca contratta. Sorrideva. Il sorriso molto tirato che le faceva scorgere tutta la dentatura e che l’ha faceva sembrare posseduta. Il cuore le accelerò. Fece un passo indietro. Il vento si fece gelido che le provocò i brividi. Ed ecco di nuovo la sensazione. L’insicurezza, la paura, l’ansia, il malessere provato l’altra notte tornò più carico di prima. In un battito di ciglia, la figura della madre scomparve ma le sue sensazioni si moltiplicarono.
Chiuse gli occhi per un attimo, prese un bel respiro e si riprese. Si doveva riprendere. I suoi fratelli avevano bisogno di lei. Andò verso le ragazze e cercò di farle riprendere. Disse loro di portare i più piccoli a fare una passeggiata, stando fuori un po’ di tempo per far calmare le acque. Obbedirono. Poi si diresse verso i fratelli per farsi spiegare cosa fosse successo ma nessuno parlava, guardavano altrove con il viso corrugato. Alzò la voce e ripeté la domanda. “Allora? Cos’è successo? Cos’è tutta questa baraonda?”.
Ma nessuno rispose. Marianne si stancò del loro silenzio e corse dentro dalla prima testimone: la madre. Entrò in casa ma non vi trovò nessuno. La madre era scomparsa e la casa era sottosopra. Piatti e stoviglie in mille pezzi, le sedie in disordine e cadute a terra. Mise le mani sul tavolo. Con le dita sfiorò i cocci di vaso. Prese una delle sedie cadute a terra e l’avvicinò al tavolo. Nel raccoglierla trovò la sua bambola di pezza, polverosa e calpestata. La raccolse, la spolverò con le mani e si sedette. Le dita le scivolarono sulle cuciture e sull’occhio di bottone. Era vecchia e malridotta. Erano anni che non la vedeva. La girò tra le mani cercando di scoprire qualche altro difetto ma non ne aveva. L’abitino azzurro e i capelli rossi erano intatti, più o meno. La guardò a lungo e la mise sul grembo. Con i polpastrelli le accarezzava le guance e rimase a riflettere. Si ricordò della sua infanzia problematica, con il padre che partiva per viaggi che duravano anni e la madre che nei momenti più delicati della vita della figlia, era assente lasciandola a badare ai suoi fratellini e alle sue sorelline. A volte pensava che la lasciasse a posta con loro per combinare qualche guaio ma per fortuna, non è mai capitato nulla del genere. Sua madre non era brava ad allevare bambini. Marianne non sapeva nemmeno come avesse fatto a sopravvivere con lei. Era sempre assente, era un miracolo che la riuscisse a sfamare. Appoggiò il gomito sul tavolo e portò una mano al viso, coprendosi gli occhi ormai irritati dal vento. Sua madre era un mistero, più del padre. Anche se la sua presenza era concreta, era sempre troppo poca. E poi con tutte le strane raccomandazioni che faceva loro: “Non uscite dopo che la luna sorge!” oppure “Non aprite mai quella porta!” riferendosi ad una stanza che nessuno al di fuori di sua madre aveva mai visto.
“Esco.”
Marianne sobbalzò. Si ritrovò di nuovo la figura spettrale della madre davanti a sé.
Scattò in piedi appoggiando la bambolina sul tavolo. “Dove vai?”
“Non sono affari tuoi, figlia.” Rispose con tono gelido e pieno di ira.
La ragazza non proferì altra parola.
La madre si mise un mantello grigio col cappuccio, coprendo l’abito verde scuro e uscì.
Marianne si mise sull’uscio guardandola svanire nel bosco. I fratelli non appena notarono la madre cercarono delle spiegazioni ma lei nulla, se ne andò muta. Il gruppo rimase immobile poi uno dei gemelli, Romuald, cercò la sorella maggiore e rivolse il suo sguardo a lei cercando spiegazioni. La sorella maggiore lo guardò e scosse la testa. Uscì sul portico e fece cenno agli altri di tornare in casa e di aiutarla prima che la restante parte della famiglia tornasse.
 
  
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