Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: OfeliaMontgomery    23/06/2016    0 recensioni
[IN REVISIONE]
«Il libro delle Lune narra che diciassette anni dopo la morte di ogni Guardiano della Notte, quest'ultimi verranno reincarnati nel corpo di cinque ragazzi che compieranno diciassette anni nel giorno di Halloween. I cinque ragazzi che verranno prescelti per la reincarnazione si ritroveranno con un marchio a forma di Luna Crescente sul dorso della mano destra nel giorno del loro compleanno e saranno i discendenti delle cinque famiglie di Guardiani stessi.»
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Era passata una settimana da quando avevamo iniziato quei durissimi allenamenti che mi avevano letteralmente distrutto. Ero stanchissima.
Essendo che Derek non aveva voluto farmi da cavia durante i miei allenamenti, avevo chiesto alle mie migliori amiche di darmi una mano, ovviamente dopo aver avuto il consenso di mio nonno. Sembrava che si divertissero a farmi da cavie, soprattutto Sabrina che ogni volta era lei a dirmi di muovermi per andare ad allenarmi. Ora purtroppo erano tornate a casa e già mi mancavano moltissimo, ma mi avevano promesso che sarebbero tornate e Amanda aveva acconsentito a darlo poi loro un passaggio.
Con il controllo vegetale ero migliorata moltissimo. Ora riuscivo a controllare molti rami e radici tutti insieme e per un lasso di tempo superiore ad un’ora. Con il muro di rovi invece avevo ancora dei problemi, riuscivo a crearlo, arrivava a metà e poi si distruggeva. I rovi si spezzavano, i rami e le radici pure, cosa che mi mandava in bestia. Mio nonno aveva detto che per quel incantesimo ci voleva molto più autocontrollo e forza, alla quale ci stavo lavorando tutt’ora. Combattevo per almeno due ore al giorno con Derek, nella palestra adiacente alla stanza degli allenamenti, per mettere su muscoli ed essere preparata a difendermi anche senza la magia, oltre che a diventare più forte per poter reggere i miei stessi incantesimi.
In quel momento ero nell’aula degli incantesimi da sola e stavo tribolando nel cercare tutti gli ingredienti che mi servivano per creare la pozione del riposo. Da quanto avevo letto sul libro di nonna, la pozione del riposo serviva per rilassare i muscoli, dormire bene ed essere super attivi il giorno dopo. Proprio quello che serviva a me. In questi giorni ero davvero stanca. Mi svegliavo sempre verso le sei e fino a mezzogiorno mi allenavo con gli incantesimi nella sala degli allenamenti, poi mi riposavo per qualche ora nel pomeriggio e dopodichè riprendevo gli allenamenti e combattevo con Derek per mettere su muscoli quasi fino all’ora di cena.
«Ahhh mancano i petali di rosa» sbottai scocciata, dopo aver messo sul tavolo un barattolo di vetro contente la camomilla secca e tenendo in una mano quello vuoto che avrebbe dovuto contenere i petali delle rose. Lessi per l’ennesima volta la ricetta e finalmente notai in basso a destra, scritto in verticale, un appunto di mia nonna. “In certi casi si possono usare i petali di papavero, ma attenti potrebbero farvi avere vis-”. Purtroppo non riuscii a leggere tutto quello che c’era scritto perché l’angolo della pagina si era completamente rovinata, probabilmente qualcuno ci aveva fatto cadere sopra dell’acqua, magari la nonna.
Alzai le spalle scocciata poi gonfiai le guance essendo che non sapevo che fare, «Al diavolo. Usiamo il papavero!» borbottai, andando a prendere il barattolo di vetro contenente i petali di papavero nell’armadio di legno di quercia, sulla destra della stanza.
Riempii una pentola d’acqua fredda che andai poi a riscaldare con i poteri del fuoco e l’appoggiai sul tavolo. Presi un cucchiaino e lo portai dentro al barattolo di camomilla secca e ne presi una buona manciata poi la versai dentro alla pentola. Feci quel passaggio per altre due volte, poi infilai una mano dentro al barattolo contente i petali di papavero e ne presi un bel pugno. Li buttai nella pentola ed iniziai a mescolare con un cucchiaio di legno, poi ci aggiunsi una tazza di latte e sperai con tutto il cuore di non vomitare quella pozione.
«Spero con tutto il cuore di non vomitarla prima ancora che possa fare effetto» borbottai, storcendo il naso e la bocca in una smorfia di disgusto. Non aveva un cattivo profumo – e non volevo immaginare il gusto che avrebbe avuto – solo che con le rose sarebbe stato sicuramente più dolce e meno selvatico.
Mi tappai il naso con una mano poi contai «Uno…due…tre» e tracannai tutta la pozione in un solo sorso, cercando di assaporarla il meno possibile. Appoggiai con una botta violenta la tazza di ceramica sul tavolo, scheggiandone il bordo, e mi portai una mano davanti alla bocca per cercare di non vomitare nulla. Dio, che schifo! Che gustaccio! Latte, camomilla e papaveri, da vomito proprio.
Stetti ferma per alcuni minuti con la mano sulla bocca e con gli occhi chiusi, cercando di non pensare al bruciore di stomaco che mi era appena venuto. Chissà se quella dannata pozione aveva avuto successo…
Un paio di minuti più tardi iniziai a sentire le palpebre farsi pesanti come macigni, la testa girarmi vorticosamente e le gambe diventare deboli, tanto da non riuscire a reggere il mio peso. Che cosa stava succedendo? Mia nonna aveva scritto che la tisana, la pozione, avrebbe conciliato il sonno, ma non pensavo che sarebbe accaduto subito. Se avessi saputo che avrebbe funzionato immediatamente, l’avrei presa prima di andare a dormire e non ora.
La testa prese a pulsarmi con forza, facendomi portare involontariamente le mani su di essa e stringere gli occhi per il dolore. Quando riaprii gli occhi vidi la stanza vorticare come una girandola e un conato di vomito mi salì fino in gola.
Sentii freddo alle gambe poi iniziarono a tremarmi, come se degli spifferi gelidi me le stessero accarezzando. La vista cominciò ad appannarsi e in quel momento mi chiesi se avevo fatto la cosa giusta nel usare i petali dei papaveri.
Provai a muovermi per uscire da quella stanza, ma le gambe mi tremarono così tanto che rischiai di cadere al suolo e solamente grazie alla sedia lì vicino riuscii a salvarmi da un possibile schianto contro il pavimento a quadri grigi dell’aula. Provai anche a gridare, a chiedere aiuto, ma dalla mia bocca uscì solamente un flebile ed impercettibile suono, quasi come un basso ed inudibile lamento. Perché? Perché mi stava succedendo tutto questo? Ed io che volevo solamente riposarmi un po’. Dannazione!
Qualcuno mi aiuti! Aiuto, mi sto sentendo male! Avrei voluto gridarle quelle parole, ma dalla mia bocca non uscì nulla e, il mio cervello si stava lentamente disconnettendo dal corpo. Il mio corpo non ascoltava più i miei comandi. Se ne stava fermo a tremolare, come se sentisse freddo nonostante le finestre fossero chiuse e non rispondeva, non voleva muoversi. Volevo muovere una gamba per incominciare a dirigermi verso la porta, la mia unica salvezza, ma non si spostava dal punto in cui ero, rimaneva immobile e pesante come il marmo. Cosa mi stava succedendo? Che cos’aveva di così pericoloso il papavero?
La mia vista divenne ancora più offuscata e la testa prese a girare sempre più velocemente; provai a muovermi e questa volta il mio corpo si mosse, ma le mie gambe non ressero il mio peso e caddi al suolo picchiando dolorosamente la testa e le ginocchia contro al pavimento duro e freddo. Emisi un rantolo di dolore, ansimando in cerca d’aria e stringendo con forza i pugni, facendomi diventare persino le nocche bianche. Alzai di poco la testa, stringendo i denti per non lasciarmi sfuggire versi di dolore, e con gli occhi appannati dalle lacrime vidi delle gambe verdastre e grondanti di sangue avvicinarsi con passo zoppicante verso di me, facendomi tremare dalla paura poi il nulla. Il buio mi avvolse completamente ed io svenni picchiando nuovamente la testa sul pavimento.
Stavo correndo a piedi nudi su un manto di foglie secche che scricchiolavano sotto al mio peso, in un bosco che sembrava non avere mai fine, ferendomi le gambe e le braccia con rami duri e appuntiti come pungiglioni che spuntavano dai tronchi degli alberi. Non sapevo esattamente da cosa stessi scappando, ma le grida che sentii echeggiare tra gli alberi di quella fitta boscaglia mi fecero venire la pelle d’oca e una scossa di adrenalina mi fece correre ancora più velocemente pur di sopravvivere. Non avevo alcuna intenzione di morire in quel posto.
Avevo il fiato corto e stavo facendo una grande fatica a restare in piedi per via di tute le ferite che mi ero procurata sulle gambe. I muscoli delle gambe che mi chiedevano pietà, diventati rigidi e duri come il marmo. E i polmoni che mi bruciavano e il cuore che batteva con eccessiva velocità nel petto. Non ce la potevo fare. Mi stavo sentendo male. Faticavo a respirare e la vista cominciò ad appannarsi. Mi dovetti per forza fermare per riprendere fiato perché sennò sarei potuta svenire da un momento all’altro. Mi appoggiai con la schiena ad un tronco d’albero senza pungiglioni e ripresi con lunghi e profondi respiri il fiato. I battiti del mio cuore rallentarono e la testa smise di pulsare. Mi stavo già sentendo meglio, ma poi un senso di nausea mi invase e tornai a sentirmi nuovamente male. Cazzo!
«Avisss!» sibilò una voce raccapricciante e femminile da dietro l’albero a cui ero appoggiata, facendomi sobbalzare e gridare dalla paura con il cuore in gola e le spalle rigide dovute ad un senso di angoscia che aveva iniziato a impossessarsi di me. La cosa alle mie spalle ridacchiò, un suono basso e agghiacciante, poi sentii qualcosa di viscido appoggiarsi sulla mia spalla, lasciata scoperta dalla canotta che indossavo, facendomi venire la pelle d’oca e la nausea tornò a farsi sentire.
Balzai in avanti con un po’ di fatica e barcollando inciampai nei miei stessi piedi, cadendo poi al suolo e picchiando malamente il sedere sul terreno fangoso di quel posto.
«Chi sei?» domandai con voce tremolante, puntando lo sguardo verso quella creatura dalle fattezze umane.
La donna uscì allo scoperto e per poco non mi strozzai con la poca saliva che aveva, poi iniziai a boccheggiare in cerca d’aria con gli occhi incollati su quella figura raccapricciante e da far accapponare la pelle.
La pelle era bluastra, quasi verdognola segno che era in putrefazione, gli occhi erano completamente neri e angoscianti e, aveva il corpo completamente grondante di sangue e l’abito bianco che indossava macchiato da chiazze scarlatte. Mosse un passo barcollante verso di me, emettendo un rantolo basso e roco e facendo scivolare al suolo delle ciocche dei suoi lunghi capelli rossi come il sangue e voluminosi come la criniera di un leone che lasciarono delle chiazze vuote sulla sua testa, da cui si poteva intravedere la pelle verdognola e in decomposizione. 
«Stammi lontana!» strillai terrorizzata mentre guardavo con occhi spalancati quella donna, quel mostro avvicinarsi con lentezza a me.
«Voglio il tuo corpo. Rivoglio la mia vita» mormorò con voce roca e sofferente mentre allungava un braccio in decomposizione verso di me e cercava di afferrarmi con la sua mani rinsecchita e dalle unghie spezzate sulla carne.
«Col cazzo che ti faccio prendere il mio corpo, anche io voglio vivere» sbraitai muovendo un piede nell’aria per allontanarla da me, mentre la fissavo con sguardo tagliente. Non volevo morire. Non volevo morire per colpa di un mostro del genere. Ma poi esattamente cos’era quella creatura?
«Chi sei? Che cosa sei?» strillai ancora freddamente mentre una scossa di adrenalina pervase il corpo facendolo balzare in aria, poi senza pensarci due volte presi a correre nella direzione opposta alla sua. Volevo fuggire da lì. Ma lì dove? Non sapevo nemmeno dove mi trovavo. E non riuscivo a capire cos’era quella cosa…
«Non scappareeeee» strillò con voce acuta e piangente la donna da dietro le spalle.
All’improvviso mi sentii afferrare le caviglie da qualcosa e quando abbassai con timore lo sguardo vidi che erano delle ciocche di capelli color del sangue che si stringevano con forza intorno alla mie pelle candida.
«Non scappareee» strillò ancora con voce più bassa e tetra, poi con forza strattonò i suoi capelli e quelli allacciati alle mie caviglie si strinsero con più forza intorno alla mia pelle facendomi cadere con violenza a terra e picchiare malamente il mento e le ginocchia sul terreno cosparso di foglie secche che scricchiolarono rumorosamente sotto al mio peso. Mi lasciai sfuggire un lamento dolorante poi cercai disperatamente di aggrapparmi a qualcosa mentre la donna mi tirava con forza verso di lei. Conficcai le unghie nella terra, mi graffiai le mani e le ginocchia contro a dei sassi con i quali mi scontrai mentre quella cosa continuava a trascinarmi con violenza per riportarmi a lei.
«No! Non voglio morire!» gridai con tutto il fiato che avevo in corpo e con le lacrime calde a solcarmi le guance sporche di terra e arrossate dalle botte prese.
La donna rise macabramente quando le fui davanti con uno sguardo terrorizzato e spaurito, poi mi agguantò con un mano un ginocchio, da cui mi partirono scariche elettriche che mi fecero sfuggire dalle labbra un basso rantolio e mi tirò ancora più vicina a sé. Sentii la puzza tremenda della morte, un tanfo così forte e nauseabondo che mi fece lacrimare gli occhi e salire un conato di vomito che riuscii a trattenere a stento.
«Lasciami andare mostro!» lanciai un urlo terrorizzato quando appoggiò la sua mano rinsecchita sulla mia guancia per poi strofinare quello che una volta era stato un polpastrello, ma che ora era solamente un osso, su di essa, quasi come se volesse accarezzarmi.
«Avis!» all’improvviso sentii la voce dura, ma al contempo preoccupata di Derek e smisi di piangere, guardandomi in giro confusa. Derek era lì per salvarmi?
«Avis, svegliati!» percepii un forte calore sulle mie spalle, come se qualcuno mi avesse afferrata e ora stesse muovendo il mio corpo per svegliarmi da un terribile incubo.
La donna davanti a me mi guardò con uno sguardo sofferente, ma allo stesso tempo spaventoso poi spalancò la bocca ed emise un’agghiacciante tanto quanto acuto urlo che mi fece accapponare la pelle e tappare le orecchie con forza.
«Derek, aiutami!» biascicai con voce esile poi spalancai gli occhi ed incontrai quelli verdi e preoccupati del mio protettore.
«Sono qui» Derek mi strinse delicatamente fra le sue braccia, la mia schiena appoggiata al suo petto duro che si alzava e abbassava velocemente e la mia testa sulla sua spalla coperta solamente da una sottile maglietta nera.
Scoppiai a piangere con il corpo scosso da tremolii, non di freddo, ma di paura. Di una paura assurda. Quell’incubo mi aveva spaventata a morte. E se fosse stata un visione?
Derek mi strinse con più forza tra le sue braccia donandomi calore, poi prese a sussurrarmi parole di conforto che ebbero uno strano effetto calmante su di me. Prese ad accarezzarmi con lentezza un braccio, sfiorandomi la pelle accaldata dal suo tocco con i polpastrelli ruvidi, mentre io mi beavo del suo calore e del suo profumo mascolino. Derek riuscii a calmarmi quasi del tutto. Le lacrime avevano smesso di scendere e il cuore si stava pian piano regolarizzando, ma quel senso di angoscia con il quale mi ero risvegliata era ancora dentro di me e mi impediva di rilassarmi appieno.
«Avis, ora che ti sei calmata mi potresti spiegare che cazzo è successo qui?» borbottò preoccupato Derek, guardandomi con la coda dell’occhio, ma continuando comunque ad accarezzarmi le braccia. Chiusi gli occhi poi portai il mio viso al incavo del suo collo e inspirai a pieni polmoni il suo profumo che sapeva di acqua di colonia ed infine mormorai «sono stanca, ne parliamo dopo» e crollai stremata fra le sue braccia, questa volta senza fare alcun incubo.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: OfeliaMontgomery