Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono
proprietà degli autori Steven Moffat e Mark Gatiss; questa
storia è stata
scritta senza alcuno scopo di lucro.
Autrice: ladyT
Regular Cast: Sherlock Holmes, John Watson.
Tipologia: One-shot
Spoiler: NO. Storia
collocata dopo l’episodio finale della terza
season.
Rating: G.
Riassunto: Il consulente investigativo è alle prese con uno
strano mistero che
avvolge le mura dell’Hampton Court. Un mistero che non gli
lascia tregua. “[…]Holmes
cercava di svincolarsi dalla sua
presa, mentre gli occhi erano fissi su quella scena insanguinata. I
pezzi del
cadavere erano privi di colore. Non riusciva a dare forma a quel volto.
Non
vedeva gli occhi, il naso, la bocca. Il suo cuore batteva
freneticamente
evitandogli anche di respirare. Per la paura, in realtà.”
Titolo:
EXPERIENCING DEJA VU CAN BE KIND OF CREEPY
«Ricordami
perché mi
lascio sempre trascinare in certe situazioni senza sapere il frutto dei
tuoi
piani? Perché c’è sempre un piano nel
tuo palazzo mentale, Sherlock!»
La
voce di Watson era ovattata contro la spalla del consulente
investigativo.
«Mio
caro, Watson. Sai che c’è un unico mistero che mi
appassioni
davvero..»
La luce bianca della torcia illuminava fiocamente la grande classica
sala
medievale delineando i contorni delle pareti sontuosamente decorate con
arazzi
d’epoca. «Non
dirmi che siamo
entrati furtivamente, in piena notte, nell’Hampton Court per
ammirare questa
rappresentazione artistica?»
Sherlock era fermo e
immobile davanti agli arazzi che rappresentavano la storia di Abramo.
Alla
ricerca di particolari incognite. Dettagli che potessero
‘raccontare’ quella
storia. Ma anche un piccolo scorcio di vita dell’artista che
aveva dato luce a
questo tessuto a dominante di trama. «La
tua impazienza è noiosa, Watson!»
Poi percepì qualcosa attraversare il suo corpo. Un qualcosa
di inspiegabile che
gli aveva procurato dei brividi, quasi da pelle d’oca. Una
sensazione negativa
che, fortunatamente, durò poco o forse abbastanza. «E
per la cronaca non
siamo venuti qua per ammirare questi arazzi..»
E per dare un tocco di
teatralità al discorso che stava per intraprendere, spense
la torcia. «Siamo
qui per la storia
di Catherine Howard, una giovane ragazza costretta a sposarsi con un
sovrano di
avanzata età, il crudele e capriccioso re Enrico VIII.
Accade che la moglie si
innamorò perdutamente di un giovane di corte. Ma un giorno,
il Re sorprese gli
amanti in flagrante e decise il loro destino. Al giovane di corte
spettò la morte,
mentre alla consorte toccò l’esilio nelle sue
stanze con la proibizione
assoluta di non lasciarle. E bla bla bla.. Tornando, ai giorni nostri,
si
vocifera che molti hanno visto il suo fantasma passeggiare in questa
sala, in
quel corridoio e bussare contro quella porta, urlando. Implorando
istericamente
il perdono.»
Poi
riaccese la torcia per ‘ammirare’
la faccia di Watson: un’espressione facciale che diceva Tu mi credi interessato, ma in realtà
sono alquanto seccato. «Sherlock,
mi sembri… Frenetico!»
Il consulente investigativo disegnò una linea curva sulle
labbra e con gli
occhi chiari e scintillanti, proferì parola. «Puoi
dirlo ben forte!»
poi gli diede le spalle e
proseguì il cammino fino al centro della sala. «Oserei
aggiungere anche..»
E
subito Holmes continuò la frase del partner «Estatico?»
Watson fece il segno
negativo muovendo l’indice della sua mano destra. «Psicotico!»
Questo
aggettivo lasciò senza parole il consulente investigativo. E
poi il partner
perse la calma. «Sherlock,
lasciatelo dire. Tu… Non sei umano!»
E
d’improvviso la torcia si spense. Lasciando quei due al buio.
«Accendi
quella dannata
torcia, Sherlock!»
Al buio, la sala sembrava spettralmente
lugubre, cupa e tetra. Le grandi finestre colorate erano del tutto
oscurate da
grosse nubi grigie scure e minacciose. Le travi di legno sembravano
deformarsi.
«Ti
sembra il momento
di scherzare, Sherlock?»
Poi il rumore della torcia lanciata con
violenza sul pavimento. «Batterie
scariche, Watson. Fantastico!»
Vibrava
un’atmosfera misteriosa in quella sala. E, nonostante la
mancanza di luce, i
due partner non abbassarono mai la guardia e scrutarono ogni angolo del
Great
Hall tenendo le orecchie ben aperte. «Ma
che..?»
Watson sgranò gli occhi
nel vedere qualcosa o meglio qualcuno in penombra. Non si vedeva bene.
Era
completamente una figura, priva di ogni colore, che stava seduta su
quella
poltrona che a quell’epoca era stata occupata solo dal Re.
Sembrava che stesse
sorridendo. Un largo e luminoso sorriso agghiacciante. «Chi
sei?»
Watson,
preso dalla curiosità, si avvicinò lentamente a
quella figura che sembrava
aspettasse qualcuno dietro a quella porta che chissà dove
conduceva. Il cuore diventava
sempre più matto man mano che la loro distanza si
accorciava. «Quel
sorriso..»
La
paura cresceva a dismisura dentro di lui. «No.
Non può essere vero!»
urlò con tutto il fiato che aveva in gola quando il volto di
quella figura si era
avvicinata bruscamente al suo ridacchiando come uno psicopatico per poi
smaterializzarsi nel nulla. «SHEEEERLOOOOCK!!»
Il suo urlo fece sobbalzare il consulente investigativo che
cercò di
raggiungere velocemente il partner. «Watson?»
La sua faccia era
spaventosamente paonazza. «Sembri
che hai visto un fant..»
Improvvisamente
udirono un rumore provenire fuori dalla sala. Sembravano dei passi
pesanti
accompagnati dalle urla isteriche. E le finestre che
‘vibravano’ con la stessa
tonalità di suono della sua stridula voce. «Questo
è solo un incubo, chiudo gli occhi e mi
sveglierò accanto a mia moglie!»
Watson chiuse le palpebre
e poi le aprì. Non era un incubo. «Andiamo
ad aprire quella porta!»
La
curiosità di Sherlock era immensa quanto una galassia.
Troppa era la voglia di
smascherare ai quattro venti che le calamità paranormali non
esistevano. E
nemmeno i fantasmi. Adagiò le mani alla maniglia della porta
cercando di
aprirla, ma invano. «Vuoi
aiutarmi o preferisci rimanere lì impallato, Watson?»
Troppo
strano. La porta era vittima di violenza da parte della donna
urlatrice. Con
tutti quei calci e pugni che riceveva, eppure qualcuno o qualcosa
neutralizzava
le azioni di Sherlock. Quella di aprila. «È
inutile, Sherlock!»
Involontariamente
cominciava ad agitarsi anche lui. E come se non bastasse, si udirono
altri
passi pesanti mentre la donna continuava ad aumentare la forza per
sfondare la
porta. Era incredibilmente spaventata e lo dimostravano anche le grida
di
terrore e i pianti isterici. E poi il silenzio assoluto. Le finestre
non
vibravano più. Le travi erano perfettamente allineate ed in
equilibrio. Le nubi
erano completamente scomparse. La torcia era tornata a funzionare.
Sherlock la
andò a prendere, mentre Watson aprì con
incredibile facilità quella porta. «Oddio!
Non ci posso
credere!»
Era più che spaventato. «I
fantasmi non esistono, Watson. C’è qualcuno che si
prende
gioco degli umani creduloni!»
Poi girò le spalle e vide
una scena fuori dal comune. Fuori dalla pazzia. Una pozzanghera di
sangue lungo
quel corridoio. Pezzi di corpo sparsi qua e là. «Mi
dispiace, Sherlock!»
Una
piccola lacrima rigava il volto di John mentre cercava di alzarsi. Le
gambe
molli, la forza che gli veniva a mancare e il respiro che sembrava
appesantirsi
sempre di più. Ma non doveva cedere altrimenti chi avrebbe
consolato il suo
partner? Chi gli avrebbe dato coraggio di continuare ad andare avanti? «Chi
è?»
Sherlock aumentava sempre di più il passo fino a trovarsi di
correre, ma John
gli venne incontro e lo bloccò a metà strada. «Devo
sapere chi è! Dimmelo!»
Le labbra di Watson tremavano, non riuscivano a formulare quel nome. «Levati
di torno!»
Holmes cercava di svincolarsi dalla sua presa, mentre gli occhi erano
fissi su
quella scena insanguinata. I pezzi del cadavere erano privi di colore.
Non
riusciva a dare forma a quel volto. Non vedeva gli occhi, il naso, la
bocca. Il
suo cuore batteva freneticamente evitandogli anche di respirare. Per la
paura,
in realtà. Teoricamente non si spaventava facilmente, ma
quella notte qualcosa
era riuscita a far cambiare le carte in tavola. La stanza venne invasa
da un
ticchettio dell’orologio che segnava le ore 3 del mattino e
che nessuno ci
faceva caso. E poi una sensazione strana e gelida si era impossessata
del corpo
di Holmes. Fortunatamente durò pochissimo o abbastanza. «Sherlock,
tutto bene?»
Chiese
Watson nel vederlo del tutto ‘smarrito’. Si, gli
era sembrato un po’ spaesato
con la testa tra le nuvole. Il consulente investigativo si
guardò intorno e poi
riprese vitalità. «Oh,
quegli arazzi..»
Ma qualcosa non lo
convinceva e cercò con tutte le forze di scacciare via
quell’inquietante
sensazione anche se lo stava abbandonando da un bel po’. «Siamo
qui per Catherine
Howard, mio caro Watson.»
Spense la torcia per dare un tocco di melodrammaticità.
«Una
giovane ragazza
costretta a sposarsi con un sovrano di avanzata età, il
crudele e capriccioso
re Enrico VIII. Un giorno, il Re sorprese la moglie con un giovane di
corte in
flagrante e decise il loro destino. Lui venne ucciso e la moglie
rinchiusa nelle
sue stanze con la proibizione assoluta di non lasciarle. E..»
Nella sua mente un flash di immagine di una torcia che cadeva per
terra. Poi tornò
alla realtà e continuò il discorso. «Siamo
qui per incontrare lei! Molti dicono di averla
sentita sfogare dietro quella porta. Un fantasma isterico.»
Poi riaccese la torcia per ‘contemplare’ la faccia
di Watson. La sua solita
normale espressione facciale. «Sherlock,
sembri..»
Una vocina nella testa di
Sherlock gli suggerì l’aggettivo che stava per
descriverlo. «Frenetico.
»
E, infatti, Watson
disse: «Frenetico!»
Non
ci fece caso alla vocina e sorrise di gioia illuminata. «Puoi
dirlo ben forte!»
esclamò
incamminandosi fino al centro della sala. «Oserei
aggiungere anche..»
Holmes
voleva continuare la frase, ma la vocina in testa lo bloccò
in tempo: «Stai
per dire ‘Estatico’, ma Watson muoverà
l’indice della mano come segno negativo
e ti dirà..»
Sherlock, con il suo solito
modo di fare,
continuò la frase dell’amico.
«Scommetto
che stai per
dire ‘Psicotico!’, vero Watson?»
Poi sorrise
sorprendendosi di saper prevenire i pensieri degli altri. E questo fece
scattare la pazienza del povero John. «Sherlock..
Non sei umano!»
E
d’improvviso la torcia si spense. Lasciando quei due al buio.
«Accendi
quella dannata
torcia, Sherlock!»
Il consulente investigativo non riusciva a
sentire le imprecazioni di John poiché si trovò
investito da una sensazione di
aver già vissuto questa scena. La
sala
lugubre, cupa e tetra. Le nubi che sembravano minacciare il finimondo.
Le travi
di legno che si deformavano in una strana danza. E poi la scena della
torcia
lanciata sul pavimento. «Batterie
scariche, Watson.»
Percepiva una strana atmosfera girare intorno a loro. Poi la vocina
nella testa
gli suggerì di non perdere di vista il suo partner.
Così fece. Dopo un po’ vide
che lui aveva sgranato gli occhi nel vedere qualcosa o meglio qualcuno
in
penombra. Con un’unica differenza, però. Lui
intravedeva semplicemente una
poltrona che all’epoca era stata probabilmente designata solo
al Re, mentre
Watson vedeva una figura seduta sopra, priva di ogni colore. Con il
cuore a
mille e la paura che cresceva a dismisura dentro di lui «Oddio
non può essere
vero!»
John
urlò con tutto il fiato che aveva in gola quando il volto di
quella figura si
era avvicinata bruscamente al suo ridacchiando come uno psicopatico per
poi
smaterializzarsi nel nulla. «SHEEEERLOOOOCK!!»
La vocina nella testa di
Sherlock lo rimproverò dicendo che non c’era tempo
per chiedergli se aveva
visto un fantasma perché il peggio doveva ancora arrivare.
Precisamente dietro
quella porta. E, infatti, Sherlock ignorò Watson e corse
verso quell’infisso
interno. Ed ecco un rumore provenire proprio nell’altra parte
della sala. Passi
pesanti e urla isteriche. Sherlock si ritrovò scaraventato
da un’immagine
all’altra di scene probabilmente già vissute.
Forse in un’altra dimensione. «Ora
le finestre vibrano
ogni volta che lei urla.»
Ed ecco avvenire quella scena. «Tu
dirai che è solo un
incubo e quindi chiuderai gli occhi sperando di svegliarti accanto a
Mary.»
Si girò verso Watson e vide che lui stava chiudendo le
palpebre per poi aprirle
deluso di non essere nel posto desiderato. «Come
facevi a sapere quello che stavo per dire e
fare? Hai incluso il dono della veggenza, ora nel curriculum?»
Ma non c’era tempo di rispondere a quella domanda
perché la curiosità aveva
condotto Sherlock ad aprire quella porta. «Watson
aiutami prima che succeda l’irreparabile!»
Ma
il partner era rimasto rabbrividito davanti a quella scena. Strana era
a dir
poco. «È
inutile, Sherlock!»
E
altre ‘premonizioni’ investirono la mente del
consulente investigativo. Dei passi pesanti
che cercavano di
raggiungere la donna. Lei che, non volendo essere catturata da loro,
continuava
ad aumentare la forza per sfondare la porta. Grida di terrore e di
pianti
isterici. E poi il silenzio assoluto. Le finestre che smisero di
vibrare in
modo accattivante. Le travi che tornarono ad essere perfettamente
allineate. Le
nubi che scomparvero completamente. E, come tocco finale «Ora
Watson, la torcia si
è accesa, vero?»
Il partner puntò lo sguardo verso quella
torcia che giaceva sul pavimento in mezzo alla sala. E vedendola
accendere di
colpo, rimase senza parole, Aveva davvero il dono della veggenza? «Non
chiedermi perché e
come faccio a sapere tutto questo.»
Sherlock prese la torcia
mentre la vocina lo ammoniva dicendo di aver sbagliato e che doveva
subito
aprire la porta. Cosa che ci pensò immediatamente Watson. Ed
ecco il suo grido
di orrore. «Oddio!
Non ci posso
credere!»
Era più che spaventato. Holmes intuiva dentro di
sé che non doveva far nessuna
battuta sull'inesistenza dei fantasmi e girò subito le
spalle. Davanti agli
occhi vide John prossimo allo svenimento. «Ma
che..?»
E vide anche una scena
fuori dal comune. Fuori dalla pazzia. Una pozzanghera di sangue che
‘bagnava’
una grande parte di quel corridoio. Pezzi di corpo sparsi qua e
là. «Ora
Watson ti dirà un desolato ‘Mi dispiace,
Sherlock’.»
ed
ecco avvenire quella scena. «Mi
dispiace, Sherlock!»
Una
piccola lacrima rigava il volto di John mentre cercava di alzarsi. «Vai
oltre alla domanda ‘Chi è?’ che non te
lo dirà mai. Non ha la forza di
pronunciare quel nome. Corri e vai a riconoscere da solo quel corpo
fatto a
pezzetti!
»
Sherlock
ascoltò il
consiglio e aumentò sempre di più il passo fino a
trovarsi di correre, ma John
gli venne incontro e lo bloccò a metà strada. «Levati
di torno!»
Holmes cercava di
svincolarsi dalla sua presa, mentre gli occhi erano fissi su quella
scena
insanguinata. Cercava mentalmente di comporre i pezzi del corpo che
giacevano
dispersi in quel corridoio zeppo di schizzi di sangue. Pezzi privi di
colore. E,
in quel momento, l’orologio incominciò a
ticchettare. Erano le ore 3 del
mattino. La vocina esclamò con tono mesto «Oh,
no! Tempo scaduto.»
E poi una sensazione
strana e gelida si era impossessata del corpo di Sherlock.
Fortunatamente durò
pochissimo o abbastanza. «Pronto,
Sherlock! Ci
sei?»
Watson gli afferrò un braccio, lo scosse come per
svegliarlo. Si leggeva nei
suoi occhi un senso di smarrimento e di confusione. Anche se gli occhi
di
Sherlock erano indirizzati verso quelli di Watson, in realtà
vedeva scorrere,
in modo accattivante, flash di immagini di scene diverse. «Ora
viene il momento in cui gli racconterai del motivo per cui hai
trascinato
Watson in questa caccia al fantasma. Spegnerai la torcia per dar un
tocco di
melodrammaticità. E gli racconterai velocemente la storia di
Catherine Howard. »
E quando tornò
nella realtà si rese conto che stava
concludendo il racconto. «Un
giorno il Re sorprese
la moglie con un giovane di corte in flagrante e decise il loro
destino. Lui
venne ucciso e la moglie rinchiusa nelle sue stanze con la proibizione
assoluta
di non lasciarle. E..»
Poi la confusione lo portò a interrompere
il discorso. «Ma
non te lo avevo già
raccontato, Watson?»
Riaccese la torcia e con gli occhi attenti
e orecchie ben aperte si guardò intorno. Qualcosa stava per
succedere, ma non
sapeva ancora cosa. Questa volta era Watson che
‘contemplava’ la sua faccia.
Sherlock incominciò a raccontare le scene che stavano
invadendo il suo palazzo
mentale. «Ora
tu mi dirai che sembro ‘frenetico’ e io
sorriderò
sfacciatamente così..»
Disegnò un largo sorriso sulle labbra
anche se si sentiva ancora spaesato. «Stai
per dirmi…»
- imitando la voce di
Watson - «’Oserei
aggiungere anche…’»
-
cambio di voce - «E
io ti bloccherò esclamando ‘Estatico’,
ma tu mi farai il
segno negativo muovendo l’indice della tua mano destra
correggendomi con..»
-
ritornò ad imitare la voce di Watson - «’Psicotico’!»
Non sapeva se vantarsi di
sapere predire le scene future oppure entrare nel panico
perché qualcosa non stava
filando liscio come l’olio. Ma John perse la pazienza «
Sei strafatto?
Cocaina o morfina? »
E d’improvviso la torcia si spense.
Lasciando quei due al buio. «Prima
che mi urlerai contro questa testuale
imprecazione..»
- e di nuovo imitando la voce del partner - «’Accendi
quella dannata, torcia, Sherlock’»
-
e poi di nuovo tornando alla sua voce normale - «Io
ti risponderò che le pile sono scariche!»
Però qualcosa gli diceva di non lanciare per terra la torcia
e di tenerla
sempre in mano. Così fece. Loro due in mezzo a quella sala
lugubre, cupa e
tetra. Quelle nubi che presagivano qualcosa di sinistro. Le travi di
legno che
si divertivano a flettere e a deformarsi. E, inoltre, circolava
un’aria così
misteriosa e fredda nella sala medievale. Poi la vocina nella testa gli
suggerì
di inseguire Watson. «Probabilmente,
seduta su quella poltrona, tu vedrai un
fantasma. Sgranerai gli occhi dal terrore di aver visto qualcuno di
famigliare,
vero? Ma la giusta domanda è ‘Chi’?»
E, così d’istinto osservò
le pupille del suo partner sperando di vedere ciò che lui
stava guardando.
Seppur piccola l’immagine nei suoi occhi, intravedeva una
figura priva di
colore che sfoggiava un sorriso luminoso e agghiacciante. E, in
quell’istante,
Watson lanciò un urlò «Oddio
non può essere vero!»,
ma Sherlock lo bloccò
cercando di capire l’identità di quel fantasma. «Dimmi
chi hai visto!»
e riuscì solo a sentire «Mmmm..»
poiché
la solita vocina nella testa riuscì ad ottenere la sua
completa attenzione
ordinando di andare verso quella porta. E in fretta. «Watson,
veloce! Dobbiamo
aprire quella porta!»
E una volta arrivati a destinazione,
Sherlock iniziò a descrivere le premonizioni che frullavano
nel suo palazzo
mentale «Rumori
di passi pesanti.
Le finestre colorate che vibrano con la stessa tonalità di
suono delle urla
isteriche di quella donna.»
Ed ecco avvenire quella
scena. «E
poi, tu chiuderai gli
occhi sperando di svegliarti accanto a Mary.»
Si girò verso Watson e
vide che lui stava chiudendo le palpebre per poi aprirle deluso di non
essere
nel posto desiderato. «Aspetta.
Come fai a sapere tutto questo?»
Ma il tempo stava scadendo. «Tu
continuerai a trovare il modo di aprire la porta, ma lui ti
dirà ‘È inutile,
Sherlock!’ poiché
una forza paranormale tenterà di
neutralizzare le tue azioni. E sentirai altri passi pesanti che
cercheranno di
raggiungere la donna. E lei, non volendo essere catturata da loro,
continuerà a
sfogarsi contro la porta. Calci, pugni, A graffiare le ante di legno.
Tutto
invano. Altre urla e poi silenzio assoluto. »
«Ora
le finestre hanno
smesso di vibrare, le nubi sono scomparse, le travi sono tornate al
loro
equilibrio statico. E, come tocco finale, la torcia ha ripreso a
funzionare.»
Qualche secondo dopo, la torcia che teneva in mano si accese. Watson
era
rimasto senza parole per tutto questo tempo. «Mio
caro Watson, conosci quella strana sensazione che
si dice in francese?»
Senza perdere tempo aprì la porta e subito
si trovò di fronte quella scena che aveva visto inizialmente
prima di
raccontare la storia di Catherine. Ed ecco il famoso grido di spavento
di Watson.
«Oddio!
Non ci posso
credere!»
Sherlock
si inzuppò le scarpe di sangue, curioso di assemblare i
pezzi di quel
malridotto corpo e scoprirne l’identità. Poi
s’inginocchiò accanto a quella
testa nascosta dai capelli lunghi e insanguinati. Li sistemò
in modo da vedere
il volto. «Mi
dispiace, Sherlock!»
Era
tutto quello che era riuscito a dire Watson nello scoprire
l’identità della
povera vittima, mentre il consulente investigativo continuava a
scrutare altri
dettagli. La forma delle sopraciglia. Gli angoli dei suoi occhi. Il
contorno
delle sue labbra. La pelle. Il naso. «Non
può essere lei!»
Sussurrò con voce
flebile. Tutti i dettagli
gli davano un solo nome e cognome. Non voleva crederci. Il cuore
batteva
freneticamente evitandogli di respirare. Non voleva crederci. «Non
può essere..»
E, mentre il ticchettio dell’orologio stava segnando le ore
3, il corpo di
Sherlock fu invaso da spasmi e convulsioni. Le lacrime che scendevano
lungo la
guancia. Le labbra che tentavano di urlare il suo nome. La mente che
vedeva
ancora tutti quei dettagli con su scritto “MOLLY
HOOPER”! E, in quel momento,
iniziò a suonare il monitor multiparametrico che
attirò la completa attenzione
di medici e infermieri pronti ad intervenire per salvare quel paziente
disteso
sul lettino della stanza in Terapia Intensiva. «Sherlock
Holmes, non mollare!
»
gridò un infermiere pronto ad usare il defibrillatore. «Carica
a 360. LIBERA!
»
E
fuori da quella stanza, un uomo molto elegante e sinistro stava
assistendo quella
scena con un sorriso luminoso e agghiacciante «
“Che
il gioco abbia inizio!”
»
-THE END-
---Angolo
dell’autrice---
Ciao sherlockiani!
È
la prima volta che scrivo qualcosa su Sherlock Holmes {interpretato da
Benedict
Cumberbatch}, spero che sia di vostro gradimento.
Amo qualsiasi tipo di critiche, l’importante che siano
costruttive senza sfondo
di offese gratuite! Aspetto i vostri pareri! Ci conto, eh!
E grazie a voi per aver letto la mia inquietante, angosciante e assurda
fanfiction! :’’)