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Autore: Giandra    23/06/2016    1 recensioni
❧ RenRuki
➥ Romeo&Juliet!AU
☆ Quinta classificata al contest ‘How Shakespeare said’ indetto da fra_eater sul forum di EFP.
«Sei strano, Renji.»
Fu un istinto spontaneo quello di dirglielo. Per chi non lo sarebbe stato, vedendolo inseguire ogni sera lo stesso castello, introdursi ogni notte nella stessa dimora privata e infrangere ogni giorno le regole del proprio capo,
tutto per una sola ragazza?
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kuchiki Rukia, Renji Abarai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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[ Cosa può la luna contro l’imperfetta costanza dell’amore?
 
“Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita che la verità sia mentitrice; ma non dubitare mai del mio amore”.
— Shakespeare, Amleto. }

 
 
Correva con tutto il suo corpo, con tutta la sua anima, avvertiva il sudore che gli pervadeva l’animo fino a bagnargli le ossa. Una goccia perlacea gli cadde dalla fronte, finendo tra i girasoli del campo fiorito dei Kuchiki.
Si accucciò, come una ninja ben addestrato, cercando invano di nascondere il suo corpo prorompente tra le foglie e i petali giallognoli. Il buio lo aiutava, complice della sua infrazione e spettatore delle sue gesta.
Verificò di essere solo, anima solitaria nella notte, e riprese a correre, fermandosi pochi attimi dopo di fronte alla cancellata di quella villa tanto raffinata quanto imponente. Non aveva mai visto tanta possanza in nessun altro edificio, aveva la sensazione che gli stesse intimando di andare via prima ancora che lo facessero i padroni di casa. Ma lui non sarebbe scappato: non lo faceva mai — e quel giorno non era un'eccezione.
Scavalcò il cancello con un agile balzo e silenziosamente, in punta di piedi e con la schiena china, si incamminò verso il suo obiettivo. Sapeva che al ricco proprietario terriero non sarebbe andata giù la sua relazione con la sorella minore, Rukia, e non perché avesse qualcosa in particolare contro di lui: il suo rango sociale non era degno del loro cognome, frequentare qualcuno come Renji Abarai li avrebbe infangati nei secoli dei secoli.
Se Rukia l’avesse pensata così, se si fosse trovata anche per una sola volta in accordo con suo fratello, Renji avrebbe rinunciato, perché per lui la sua volontà era imprescindibile; ma la consapevolezza che anche alla ragazza non importasse dei ceti sociali lo faceva sentire un po' più vicino a lei — sia politicamente, sia sentimentalmente.
«Rukia! Pssssst!» bisbigliò, rasente alla finestra della giovane. Era davvero fortunato che la sua camera fosse al primo piano, così che potessero parlare senza che dovesse penentrare la villa. «Ehi, sono io!» le disse, bussando piano sulla pietra grigia e perfettamente levigata che dava alla costruzione un’aria elegante.
Aspettò solo qualche secondo, poi finalmente si palesò alla finestra una figura femminile e minuta, dai capelli corvini, folti e morbidi, che le incorniciavano il volto triangolare. Gli occhi scuri luccicarono alla luce della luna.
Gli sorrise e Renji giurò di poter morire lì, in quel momento, e sarebbe morto felice.
«Sei bellissima» le disse, impulsivamente, senza pensarci, ma quando le sue parole gli rimbombarono nella testa arricciò le labbra imbarazzato.
Rukia rise, senza aggiungere parola. Poggiò il gomito sulla ringhiera della finestra e affondò il mento nel palmo della mano, alzando gli occhi al cielo. «Hai visto la luna, stasera?» gli chiese, con le palpebre calate appena sugli occhi, pensierosa. Si diede una leggera spinta e salì sul davanzale, poggiando il capo sulla ghiaia e osservando il satellite con attenzione. «È rosa» constatò.
Renji si schiarì la voce tossendo, volse la sua attenzione alla luna e si accorse solo in quel momento dei riflessi rosei che avvolgevano il suo contorno circolare. «Hai ragione.»
«Avevi dubbi?» scherzò presuntuosamente.
Renji alzò il capo per vedere la sua buffa linguaccia e la contraccambiò, allungando il braccio in alto più che poteva. Rukia fece lo stesso e le punte delle mani arrivarono quasi a sfiorarsi.
Stettero lì, in silenzio, per quasi mezz'ora. Renji stava attento a ogni rumore, a ogni suono, a ogni sua mossa. Teneva a mente ogni parola, ogni occhiata, ogni attimo di quella serata.
Guardò di nuovo la luna e arrise: quanto era incostante, la luna? E anche le stelle, specialmente loro. Le cercavi nel dì ma nella luce esse si nascondevano e non si lasciavano trovare neanche se si urlava al cielo di avere estremo bisogno di una compagnia silenziosa; e quel giorno la luna era rosa, ma magari quello dopo sarebbe stata di nuovo bianca. Non riusciva a trovare un rigore in quegli astri che alti splendevano nel cielo, non riusciva a fidarsene.
Abbassò di nuovo lo sguardo e notò che Rukia lo stava guardando. Arrossì e, con una smorfia orgogliosa, girò il collo nel lato opposto. «Si può sapere cosa guardi?»
Notò una piccola vena farsi strada palpitante sulla sua fronte. «Potresti dire qualcosa, sai, per rompere il silenzio!»
«Ah, io dovrei?» Lui la squadrò con cipiglio, poi arrossì, pensando di aver osato troppo. «Se vuoi, posso raccontarti la mia giornata» la liquidò, a braccia conserte.
Rukia inclinò il capo e addolcì lo sguardo, poi annuì.

Renji non era come la luna. Renji non scintillava, non si librava in cielo, non si mostrava perfetto a chiunque lo guardasse.
Però Renji era lì; era con lei. La capiva e non aveva bisogno di raggiungere la stessa altezza del suo balcone per convincerla che ci sarebbe sempre stato. 
«Sei strano, Renji.»
Fu un istinto spontaneo quello di dirglielo. Per chi non lo sarebbe stato, vedendolo introdursi ogni notte nella stessa dimora privata e infrangere ogni giorno le regole del proprio capo, tutto per una sola ragazza?
Il giovane la fulminò con le iridi petrolio e iniziò a saltare come una scimmia mentre le urlava in sussurri spezzati — che rendevano ancora più buffa la scena — quanto fosse maleducata e ingrata. Lei rise e rispose a tono, come da copione.
Era sempre la solita storia, con Renji; ma era proprio quell'imperfetta costanza che la faceva sentire amata.







Angolo Autrice:
Salve a tutti. Come già detto nell'introduzione, questa storia partecipa al contest "How Shakespeare said", indetto da fra_eater sul forum di EFP. 
È strano come ogni storia che scrivo nel fandom partecipi a un contest, come per il mio anime preferito mi serva sempre un piccolo incentivo. Ma va beh, spero soltanto che questa volta vada come la precedente.
La citazione di Shakespeare non l'ho collegata subito con la trama; anzi, direi che la storia ha iniziato a prendere forma solo due giorni fa. Quando ho letto della notizia della luna rosa non ho saputo resistere.
Anyway, volevo solo dirvi un paio di cosette: per quanto riguarda il termine luna scritto sempre in minuscolo, mi sono documentata qui su come muovermi e ho preso atto del fatto che più di un sito riportava la stessa informazione, quindi ho deciso di fidarmi. Per la finestra, invece, ho pensato a una cosa di questo genere, però senza tutta la pietra nei lati: insomma, è una dimora di fine novecento, non del trecento. Qualcosa di abbastanza moderno, non so neanche se la pietra — magari ghiaia — possa andare. In breve, I'm confused(?).
Grazie mille di essere arrivati fin qui! Se vi va, lasciate un commentino — positivo, neutro o critico che sia.
Bye.


   
 
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